Imprese ed Aziende

Monday 12 May 2003

Un colore può essere registrato come marchio. Per la Corte di Giustizia UE a determinate condizioni sì. Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Sentenza 6 maggio 2003

Un colore può essere registrato come marchio. Per la Corte di Giustizia UE a determinate condizioni sì

Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Sentenza 6 maggio 2003

Nel procedimento C-104/01,

aventi ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, dall’Hoge Raad des Nederlanden (Paesi Bassi), nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Libertel Groep BV

e

Benelux-Merkenbureau,

domanda vertente sull’interpretazione dell’art. 3 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1),

LA CORTE,

composta dal sig. J.-P. Puissochet, presidente della Sesta Sezione, facente funzioni di presidente, dai sigg. M. Wathelet e C.W.A. Timmermans, presidenti di sezione, C. Gulmann, D.A.O. Edward e P. Jann, dalla sig.ra F. Macken, dai sigg. S. von Bahr e J.N. Cunha Rodrigues (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. P. Léger,

cancelliere: sig.ra M.-F. Contet, amministratore principale,

viste le osservazioni scritte presentate

– per la Libertel Groep BV, dagli avv.ti D. W. F. Verkade e D. J. G. Visser, advocaten,

– per Benelux-Merkenbureau, dall’avv. C. J. J. C. van Nispen, advocaat,

– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H. G. Sevenster, in qualità di agente,

– per del governo del Regno Unito, dalla sig.ra R. Magrill, in qualità di agente, assistita dal sig. D. Alexander, barrister,

– per Commissione, dai sigg. N.B. Rasmussen e H. M. H. Speyart, in qualità di agenti

vista la relazione d’udienza,

  sentite le osservazioni orali del Benelux-Merkenbureau, rappresentato dall’avv. C. J. J. C. van Nispen, del governo olandese, rappresentato dalla sig.ra J. van Bakel, in qualità di agente, del governo del Regno Unito, rappresentato dal sig. M. Tappin, barrister, e della Commissione, rappresentata dal sig. H. M. H. Speyart, all’udienza del 30 aprile 2002,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 novembre 2002,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.

Con ordinanza 23 febbraio 2001, pervenuta alla Corte il 5 marzo seguente, la Hoge Raad der Nederlanden ha sottoposto alla Corte, a norma dell’art. 234 CE, quattro questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione dell’art. 3 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1; in prosieguo: la «direttiva»).

2.

Tali questioni sono sorte nell’ambito di una controversia tra la società Libertel Groep BV (in prosieguo: la «Libertel») e il Benelux-Merkenbureau (Ufficio Marchi del Benelux; in prosieguo: il «BBM») a seguito del diniego di quest’ultimo di procedere alla registrazione, a titolo di marchio, di un colore arancione per i prodotti e i servizi di telecomunicazioni, registrazione richiesta dalla Libertel.

I – Il contesto normativo

A – La convenzione di Parigi

3.

Sul piano internazionale, il diritto dei marchi è disciplinato dalla convenzione di Parigi sulla tutela della proprietà industriale del 20 marzo 1883, modificata, da ultimo, a Stoccolma il 14 luglio 1967 (in Série des traités des Nations Unies, n. 11 851, volume 828, pagg. 305-388; in prosieguo: la «convenzione di Parigi»). Tutti gli Stati membri sono firmatari di tale convenzione.

4.

La convenzione di Parigi dispone, all’art. 6 quinquies, lett. B, punto 2, che i marchi possono essere esclusi dalla registrazione ovvero dichiarati nulli quando siano privi di qualsiasi carattere distintivo.

5.

L’art. 6 quinquies, lett. C, primo comma, della convenzione di Parigi, precisa quanto segue:

«Per valutare se il marchio possa essere oggetto di tutela, si deve tenere conto di tutte le circostanze di fatto, in particolare della durata dell’uso del marchio medesimo».

B – La normativa comunitaria

6.

L’art. 2 della direttiva, intitolato «Segni suscettibili di costituire un marchio di impresa», così recita:

«Possono costituire marchi di impresa tutti i segni che possono essere riprodotti graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, la forma del prodotto o il suo confezionamento, a condizione che tali segni siano adatti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese».

7.

L’art. 3 della direttiva, intitolato «Impedimenti alla registrazione o motivi di nullità», prevede, nei nn. 1 e 3, quanto segue:

«1. Sono esclusi dalla registrazione, o, se registrati, possono essere dichiarati nulli:

a) i segni che non possono costituire un marchio di impresa;

b) i marchi di impresa privi di carattere distintivo;

c) i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che in commercio possono servire a designare la specie, la qualità, la quantità, la destinazione, il valore, la provenienza geografica ovvero l’epoca di fabbricazione del prodotto o della prestazione del servizio, o altre caratteristiche del prodotto o servizio;

d) i marchi di impresa composti esclusivamente da segni o indicazioni che siano divenuti di uso comune nel linguaggio corrente o negli usi leali e costanti del commercio;

e) i segni costituiti esclusivamente:

– dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto;

– dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico;

– dalla forma che dà un valore sostanziale al prodotto;

(…)

3. Un marchio di impresa non è escluso dalla registrazione o, se registrato, non può essere dichiarato nullo ai sensi del paragrafo 1, lettere b), c) o d), se prima della domanda di registrazione o a seguito dell’uso che ne è stato fatto esso ha acquisito un carattere distintivo. Gli Stati membri possono inoltre disporre che la presente disposizione sia anche applicabile quando il carattere distintivo è stato acquisito dopo la domanda di registrazione o dopo la registrazione stessa.

(…)».

8.

L’art. 6 della direttiva precisa quanto segue:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

a) del loro nome e indirizzo;

b) di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

c) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,

purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

2. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio di un diritto anteriore di portata locale, se tale diritto è riconosciuto dalle leggi dello Stato membro interessato e nel limite del territorio in cui esso è riconosciuto».

C – La legge uniforme Benelux in materia di marchi

9.

Il Regno del Belgio, il granducato del Lussemburgo ed il Regno dei Paesi Bassi hanno collocato le rispettive discipline dei marchi in una legge comune, la legge uniforme Benelux sui marchi (Trb. 1962, 58). Tale legge è stata modificata, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 1996, dal protocollo 2 dicembre 1992, recante modifica della legge medesima (Trb. 1993, 12), al fine di trasporre la direttiva nell’ordinamento giuridico dei detti tre Stati membri.

10.

L’art. 6 bis della legge uniforme Benelux sui marchi, nel testo modificato (in prosieguo: la «LBM»), così recita:

«1. L’Ufficio del Benelux dei marchi nega la registrazione di un deposito quando, a suo avviso:

a) il segno distintivo depositato non costituisce un marchio ai sensi dell’art. 1, in particolare per mancanza di qualsiasi carattere distintivo ai sensi dell’art. 6 quinquies, lett. B, n. 2, della Convenzione di Parigi;

b) il deposito riguarda un marchio di cui all’art. 4, nn. 1 e 2.

2. Il diniego di registrazione deve riguardare il segno costitutivo del marchio nella sua integralità. Il diniego può essere limitato a uno o più prodotti ai quali il marchio è destinato.

3. L’Ufficio del Benelux informa il depositante senza indugio e per iscritto della sua intenzione di negare in tutto o in parte la registrazione, gliene comunica i motivi e gli dà la facoltà di replicare entro un termine che dev’essere fissato dal regolamento di esecuzione.

4. Se le obiezioni dell’Ufficio del Benelux contro la registrazione non sono state rimosse entro il termine impartito, la registrazione del deposito è rifiutata in tutto o in parte. L’Ufficio del Benelux informa il depositante senza indugio e per iscritto comunicando i motivi del diniego e indicando il rimedio giurisdizionale contro detta decisione previsto dall’art. 6 ter.

5. Il rifiuto di registrare il deposito per tutti i prodotti o per una parte dei prodotti comporta la nullità totale o parziale del deposito. Tale nullità non produce i suoi effetti prima che sia decorso, senza che gli interessati se ne siano avvalsi, il termine per il ricorso di cui all’art. 6 ter o che sia stata irrevocabilmente respinta la richiesta di ordinare la registrazione».

11.

L’art. 6 ter della LBM così dispone:

«Il depositante può, entro i due mesi successivi alla comunicazione ex art. 6 bis, quarto comma, presentare alla Cour d’Appel di Bruxelles, al Gerechtshof dell’Aja o alla Cour d’Appel di Lussemburgo un ricorso volto ad ottenere un’intimazione di registrazione del deposito. (…) La Corte territorialmente competente viene determinata in base al recapito del depositante, a quello del mandatario o all’indirizzo postale, indicato al momento del deposito».

II – La causa principale e le questioni pregiudiziali

12.

La Libertel è una società con sede nei Paesi Bassi la cui attività principale consiste nella fornitura di servizi di telecomunicazione mobile.

13.

Il BBM è l’autorità competente in materia di marchi per il Regno del Belgio, il Granducato del Lussemburgo e del Regno dei Paesi Bassi. Dal 1° gennaio 1996 è compito del BBM esaminare i depositi dei marchi con riguardo agli impedimenti assoluti alla registrazione.

14.

Il 27 agosto 1996, la Libertel depositava presso il BBM un colore arancione a titolo di marchio per taluni prodotti e servizi di telecomunicazioni, vale a dire, quanto ai prodotti della classe 9, i materiali di telecomunicazioni e, per i servizi di cui alle classi 35-38, la gestione commerciale, finanziaria e tecnica dei mezzi di telecomunicazione.

15.

Il modulo di deposito riportava, nello spazio destinato ad accogliere la riproduzione del marchio, una superficie rettangolare di colore arancione e, nello spazio destinato ad accogliere la descrizione del marchio, la menzione «arancione», senza indicazione di un qualsiasi codice del colore.

16.

Con lettera 21 febbraio 1997, il BBM comunicava alla Libertel il diniego provvisorio di registrazione di tale segno. Il detto ufficio rilevava che, non avendo la Libertel dimostrato che il segno depositato, composto esclusivamente dal colore arancione, avesse acquisito un carattere distintivo per effetto dell’uso, tale segno sarebbe statosprovvisto di qualsiasi carattere distintivo ai sensi dell’art. 6 bis, n. 1, lett. a, della LBM.

17.

Avverso tale diniego provvisorio la Libertel proponeva opposizione. Il BBM, ritenendo che non sussistessero motivi per riconsiderare il proprio diniego provvisorio, comunicava il diniego definitivo con lettera 10 settembre 1997.

18.

A termini dell’art. 6 ter della LBM, la Libertel proponeva ricorso avverso tale diniego dinanzi al Gerechtshof te ’s-Gravenhage (Paesi Bassi), ricorso che veniva respinto con sentenza 4 giugno 1998.

19.

Il 3 agosto 1998 la Libertel proponeva ricorso per cassazione dinanzi al Hoge Raad der Nederlanden.

20.

Nell’esame della controversia da parte dell’Hoge Raad, sorgevano questioni in merito alla corretta applicazione dell’art. 6 bis, n. 1, lett. a), della LBM e, quindi, parimenti in merito all’interpretazione dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva. Con ordinanza 23 febbraio 2001, il Hoge Raad sottoponeva pertanto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se sia possibile che un semplice specifico colore, riprodotto in quanto tale o indicato con un idoneo codice internazionale, possa avere carattere distintivo per determinati prodotti o servizi ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva.

2) In caso di soluzione affermativa della questione sub 1):

a) In base a quale circostanza possa ritenersi che un semplice colore specifico possieda carattere distintivo nel senso soprammenzionato.

b) Se sia rilevante ai fini della soluzione della prima questione la circostanza che la registrazione venga chiesta per un elevato numero di prodotti e/o servizi oppure per un prodotto o servizio specifico, ovvero per un gruppo specifico di prodotti o servizi.

3) Se, ai fini della valutazione del carattere distintivo di un determinato colore come marchio, debba verificarsi se, con riferimento al detto colore, sussista un interesse generale a mantenerlo disponibile, come avviene per quanto riguarda i segni che indicano una provenienza geografica.

4) Se il Bureau Benelux, nel valutare la questione se un segno depositato come marchio possieda carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b) della direttiva, debba limitarsi ad una valutazione in astratto del carattere distintivo ovvero debba tener conto di tutte le circostanze concrete del caso, in particolare dell’uso che di tale segno sia stato fatto e del modo in cui sia stato usato».

III – Sulle questioni pregiudiziali

A – Considerazioni preliminari

21.

Con le questioni pregiudiziali, vertenti sull’art. 3 della direttiva, si chiede se e, eventualmente, in presenza di quali requisiti un colore specifico possa, di per sé, possedere, senza limitazioni spaziali, carattere distintivo per taluni prodotti o servizi.

22.

Ai fini dell’esame di tali questioni occorre preliminarmente accertare se un colore specifico possa, di per sé, costituire un marchio ai sensi dell’art. 2 della direttiva.

23.

A tal fine, un colore specifico deve rispondere a tre requisiti. In primo luogo, deve costituire un segno. In secondo luogo, tale segno deve poter essere oggetto di rappresentazione grafica. In terzo luogo, in segno medesimo deve essere idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa da quelli di altre imprese.

24.

Il Consiglio e la Commissione hanno effettuato una dichiarazione congiunta, riportata nel processo verbale del Consiglio all’atto dell’adozione della direttiva, a termini della quale essi «ritengono che l’art. 2 non escluda la possibilità […] di registrare come marchio una combinazione di colori o un colore unico […], sempreché tali segni siano idonei a distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa da quelli di altre imprese» (GU UAMI n. 5/96, pag. 607).

25.

Tuttavia, una dichiarazione di tal genere non può essere presa in considerazione per interpretare una disposizione di diritto derivato quando,come nella specie, il contenuto di tale dichiarazione non trova alcun riscontro nel testo della disposizioni di cui trattasi e non possiede, pertanto, portata giuridica (v. le sentenze 26 febbraio 1991, causa C-292/89, Antonissen, Racc. pag. I-745, punto 18, e 29 maggio 1997, causa C-329/95, VAG Sverige, Racc. pag. I-2675, punto 23). Il Consiglio e la Commissione hanno d’altronde espressamente riconosciuto tale limite nel preambolo della loro dichiarazione, a termini della quale «le dichiarazioni del Consiglio della Commissione riportate in prosieguo non costituiscono parte integrante del testo legislativo, non pregiudicandone l’interpretazione da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee».

26.

Spetta, conseguentemente, alla Corte stabilire se l’art. 2 della direttiva debba essere interpretato nel senso che un colore specifico sia, di per sé, idoneo a costituire un marchio.

27.

Si deve rilevare, a tal riguardo, che non può presumersi che un colore specifico costituisca un segno. Di regola, un colore rappresenta una semplice proprietà delle cose. Tuttavia, esso può costituire un segno. Ciò dipende dal contesto in cui il colore viene utilizzato. Un colore specifico può ben costituire un segno in relazione ad un prodotto o servizio.

28.

Inoltre, come già affermato dalla Corte, una rappresentazione grafica, ai sensi dell’art. 2 della direttiva, deve permettere che il segno possa essere rappresentato visivamente, in particolare attraverso immagini, linee o caratteri, in modo da poter essere individuato con esattezza (v. sentenza 12 dicembre 2002, causa C-273/00, Sieckmann, Racc. pag. I-0000, punto 46).

29.

Per poter assolvere alla propria funzione, la rappresentazione grafica ai sensi dell’art. 2 della direttiva deve essere chiara, precisa, di per sé completa, facilmente accessibile ed intelligibile (v. la menzionata sentenza Sieckmann, punti 47-55).

30.

Nella specie, il quesito sottoposto alla Corte riguarda la domanda di registrazione di un colore specifico la cui rappresentazione consiste in un campione del colore su superficie piana, di una descrizione verbale del colore e/o di un codice di identificazione del colore medesimo internazionalmente riconosciuto.

31.

Orbene, un semplice campione di colore non risponde ai requisiti indicati supra ai punti 28 e 29.

32.

In particolare, un campione di colore può alterarsi con il tempo. Non può escludersi che taluni supporti consentano di registrare un colore in modo inalterabile. Tuttavia, altri supporti, in particolare la carta, non consentono di preservare la sfumatura dall’usura del tempo. Il deposito di un campione di colore non presenterebbe pertanto il carattere della costanza postulato dall’art. 2 della direttiva (v. la menzionata sentenza Sieckmann, punto 53).

33.

Ne consegue che il deposito di un campione di un colore non costituisce, di per sé, una rappresentazione grafica ai sensi dell’art. 2 della direttiva.

34.

Per contro, la descrizione verbale di un colore, laddove sia formata da parole composte esse stesse da caratteri, costituisce una rappresentazione grafica del colore medesimo (v. in tal senso la menzionata sentenza Sieckmann, punto 70).

35.

Una descrizione verbale del colore non risponderà necessariamente in tutti i casi ai requisiti indicati supra ai punti 28 e 29. Tale questione dovrà essere valutata, caso per caso, alla luce delle circostanze della specie.

36.

L’associazione di un campione di un colore e di una descrizione verbale del colore stesso può quindi costituire una rappresentazione grafica ai sensi dell’art. 2 della direttiva, sempreché la descrizione sia chiara, precisa, di per sé completa, facilmente accessibile, intellegibile ed obiettiva.

37.

Per le stesse ragioni indicate al punto 34, la determinazione di un colore per mezzo di un codice di identificazione internazionalmente riconosciuto può essere considerata quale rappresentazione grafica. Tali codici sono reputati precisi e stabili.

38.

Nel caso in cui un campione di colore, accompagnato da una descrizione verbale, non risponda – in particolare per mancanza di precisione o di costanza – ai requisiti dettati dall’art. 2 della direttiva affinché possa costituire una rappresentazione grafica, tale mancanza può essere eventualmente compensata dall’aggiunta di una designazione del colore stesso per mezzo di un codice di identificazione internazionalmente riconosciuto.

39.

Quanto alla questione se un colore specifico sia di per sé idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa da quelli di altre imprese, ai sensi dell’art. 2 della direttiva, occorre accertare se semplici colori specifici siano di per sé idonei a trasmettere, o meno, informazioni precise, in particolare quanto all’origine di una merce o di un servizio.

40.

A tal riguardo si deve ricordare che i colori, se è vero che ben possono trasmettere talune associazioni di idee e di suscitare sentimenti, per contro risultano poco idonei, per loro natura, a comunicare informazioni precise, tantopiù in quanto vengono abitualmente e ampiamente utilizzati nella pubblicità e nella commercializzazione dei prodotti e dei servizi per il loro potere attrattivo, al di fuori di qualsiasi messaggio preciso.

41.

Tuttavia, da tale rilievo di fatto non sarebbe corretto dedurre il divieto assoluto di considerare semplici colori specifici come idonei a distinguere i prodotti o i servizi di una determinata impresa da quelli di altre imprese. Non si può escludere, infatti, che esistano situazioni nelle quali un colore specifico può servire per indicare l’origine dei prodotti o dei servizi di un’impresa. Si deve quindi ammettere che colori specifici possono essere idonei a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese, ai sensi dell’art. 2 della direttiva.

42.

Dalle suesposte considerazioni deriva che un colore specifico può costituire, in presenza dei menzionati requisiti, un marchio ai sensi dell’art. 2 della direttiva.

43.

Alla luce dei rilievi esposti ai precedenti punti 22-42 è quindi possibile procedere all’esame delle questioni pregiudiziali.

Sulla terza questione

44.

Occorre anzitutto esaminare la terza questione con cui il giudice di rinvio chiede se, ai fini della valutazione del carattere distintivo che un determinato colore possa presentare come marchio, occorra verificare l’esistenza di un interesse generale al mantenimento della disponibilità del colore medesimo, come accade per i segni che indicano una provenienza geografica.

45.

Secondo alcune delle osservazioni presentate alla Corte, con l’aiuto dei mezzi tecnici attuali sarebbe possibile distinguere un numero molto elevato di sfumature di colori. Tale affermazione può essere vera, ma è priva di pertinenza con riguardo allaquestione in esame. Al fine di stabilire se un semplice colore specifico possa essere registrato come marchio occorre collocarsi nell’ottica del pubblico cui ci si rivolge.

46.

In assenza di qualsiasi indicazione contraria nell’ordinanza di rinvio, si deve ritenere che la causa principale riguardi prodotti e servizi destinati a tutti i consumatori. Conseguentemente, si deve ritenere che, nella specie, il pubblico cui ci si rivolge è costituito dal consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto (v. la sentenza 22 giugno 1999, causa C-342/97, Lloyd Schuhfabrik Meyer, racc. pag. I-3819, punto 26).

47.

Il numero di colori che tale pubblico è in grado di distinguere è poco elevato, tenuto conto del fatto che raramente disporrà della possibilità di porre direttamente a raffronto prodotti che presentino sfumature di colore diverse. Ne consegue che il numero di colori differenti effettivamente disponibili, in quanto marchi potenziali, al fine di distinguere i prodotti o i servizi, deve essere considerato ridotto.

48.

Secondo constate giurisprudenza, il diritto di marchio costituisce un elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato desidera stabilire e conservare (v. le sentenze 17 ottobre 1990, causa C-10/89, HAG II, Racc. pag. I-3711, punto 13, e 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW, Racc.pag. I-905, punto 62). I diritti e le facoltà che il marchio conferisce al rispettivo titolare devono essere esaminati in considerazione di tale obiettivo.

49.

Inoltre, a termini dell’art. 5, n. 1, della direttiva, il marchio registrato conferisce al titolare, per prodotti o servizi determinati, un diritto esclusivo che gli consente di monopolizzare il segno registrato come marchio senza limiti di tempo.

50.

La possibilità di registrare un marchio può essere oggetto di restrizioni per motivi di interesse pubblico.

51.

I vari motivi d’impedimento alla registrazione, elencati all’art. 3 della direttiva, vanno quindi interpretati alla luce dell’interesse generale sottostante a ciascuno di essi (v. sentenza 18 giugno 2002, causa C-299/99, Philips, Racc. pag. I-5475, punto 77).

52.

Per quanto attiene all’art. 3, n. 1, lett. c), della direttiva, la Corte ha riconosciuto che tale disposizione persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che i segni o le indicazioni descrittivi delle categorie di prodotti o servizi per le quali si chieda la registrazione possano essere liberamente utilizzati da tutti (v. le sentenza 4 maggio 1999, causa riunite C-108/97 e C-109/97, Windsurfing Chiemsee, Racc. pag. I-2779, punto 25, e 8 aprile 2003, cause riunite C-53/01 – C-55/01, Linde, Racc. pag. I-0000, punto 73).

53.

Parimenti, quanto all’art. 3, n. 1, lett. C), della direttiva, la Corte ha già affermato che tale disposizione persegue una finalità di interesse generale, la quale impone che una forma, le cui caratteristiche essenziali svolgono una funzione tecnica e sono state scelteper adempiere quest’ultima, possa essere liberamente utilizzata da tutti (v. le menzionate sentenze Philips e Linde, rispettivamente punto 80 e punto 72).

54.

Per quanto attiene alla registrazione come marchio di colori specifici, senza limitazioni spaziali, dal numero ridotto di colori effettivamente disponibili deriva che un ridotto numero di registrazioni come marchi per servizi o prodotti potrebbe esaurire tutta la gamma di colori disponibili. Un monopolio così esteso non sarebbe compatibile con un sistema di concorrenza non falsato, soprattutto in quanto rischierebbe di creare uno svantaggio concorrenziale illegittimo a favore di un solo operatore economico. Non sarebbe inoltre consono allo sviluppo economico ed alla promozione dello spirito imprenditoriale il fatto che operatori economici già stabiliti possano registrare a loro favore tutti i colori effettivamente disponibili, a detrimento dei nuovi operatori.

55.

Nell’ambito del diritto dei marchi comunitario deve essere quindi riconosciuto l’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità di colori per gli altri operatori che offrano prodotti o servizi del genere di quelli oggetto della domanda di registrazione.

56.

Più il numero dei prodotti o dei servizi oggetto della domanda di registrazione è elevato, più il diritto esclusivo eventualmente conferito al marchio può presentare carattere esorbitante e collidere direttamente con il mantenimento di un sistema di concorrenza non falsato e con l’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità dei colori per gli altri operatori che offrano prodotti o servizi del genere di quelli oggetto della domanda di registrazione.

57.

Nelle proprie osservazioni la Commissione ha affermato che il principio secondo cui taluni segni devono restare disponibili e non possono quindi beneficiare di tutela sarebbe espresso nell’art. 6 della direttiva piuttosto che negli artt. 2 e 3. Tale argomento non può essere accolto.

58.

Infatti, l’art. 6 della direttiva mira a limitare gli effetti del marchio una volta che questo sia stato registrato. L’argomento della Commissione si risolve nell’auspicare un controllo minimo dei motivi di impedimento, di cui all’art. 3 della direttiva all’atto dell’esame della domanda di registrazione, considerato che il rischio che operatori possano appropriarsi di taluni segni che dovrebbero restare disponibili verrebbe neutralizzato dai limiti imposti, a termini dell’art. 6 della direttiva, nella fase di realizzazione degli effetti del marchio registrato. In definitiva, seguendo tale ragionamento, la valutazione dei motivi di impedimento di cui all’art. 3 della direttiva viene, in sostanza, sottratta all’autorità competente al momento della registrazione del marchio, per essere poi trasferita ai giudici incaricati di garantire l’esercizio concreto dei diritti conferiti dal marchio.

59.

Una siffatta impostazione è incompatibile con il sistema della direttiva che si fonda su un controllo effettuato ex ante alla registrazione e non a posteriori. Nessun elemento della direttiva consente di trarre tale conclusione dall’art. 6. Al contrario, il numero e il carattere dettagliato degli impedimenti alla registrazione di cui agli artt. 2 e 3 delladirettiva, nonché l’ampio ventaglio di rimedi esperibili in caso di diniego indicano che l’esame effettuato all’atto della domanda di registrazione non dev’essere un esame minimo. Esso dev’essere severo e completo, al fine di evitare l’indebita registrazione di marchi. Come già affermato dalla Corte, è opportuno, per motivi di certezza del diritto e di buona amministrazione, assicurarsi che i marchi il cui uso potrebbe venir contestato validamente in sede giudiziaria non vengano registrati (sentenza 29 settembre 1998, causa C-39/97, Canon, Racc. pag. I-5507, punto 21).

60.

Conseguentemente, la terza questione pregiudiziale dev’essere risolta nel senso che, ai fini della valutazione del carattere distintivo che un determinato colore possa presentare come marchio, occorre tener conto dell’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità di colori per gli altri operatori che offrano prodotti o servizi del genere di quelli oggetto della domanda di registrazione.

Sulla prima questione e sulla seconda questione, sub a)

61.

Con la prima questione e con la seconda questione, sub a), il giudice di rinvio chiede sostanzialmente se e, eventualmente, in presenza di quali requisiti si possa ritenere che un colore specifico possegga carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), e n. 3, della direttiva.

62.

Secondo costante giurisprudenza, la funzione essenziale del marchio consiste nel garantire al consumatore o all’utilizzatore finale l’identità di origine del prodotto o del servizio contrassegnato, consentendo loro di distinguere senza confusione possibile questo prodotto o questo servizio da quelli di provenienza diversa (v., in particolare, la sentenza Canon, cit. supra, punto 28, nonché la sentenza 4 ottobre 2001, causa C-517/99, Merz & Krell, Racc. pag. I-6959, punto 22). Un marchio deve distinguere i prodotti o i servizi di cui trattasi come provenienti da una determinata impresa. A tal riguardo, occorre tener conto, al tempo stesso, dell’utilizzazione abituale dei marchi quale indicazione d’origine nei settori interessati nonché della percezione del pubblico cui ci si rivolge.

63.

Il pubblico cui ci si rivolge, come definito supra al punto 46, è costituito dal consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto.

64.

Occorre tener conto del fatto che il consumatore medio solo raramente ha la possibilità di procedere ad un confronto diretto dei vari marchi, ma deve fare affidamento sull’immagine non perfetta che ha mantenuto nella memoria (v., con riguardo a contesti diversi, le sentenze Lloyd Schuhfabrik Meyer, cit. supra, punto 26, e 20 marzo 2003, causa C-291/00, LTJ Diffusion, punto 52, Racc. pag. I-0000).

65.

La percezione del pubblico cui ci si rivolge non è necessariamente la stessa nel caso di un segno costituito da un colore specifico rispetto al caso di un marchio denominativo o figurativo, consistente in un segno indipendente dall’aspetto dei prodotti da esso designati. Infatti, se il pubblico ha l’abitudine di percepire,immediatamente, marchi denominativi o figurativi come segni d’identificazione dell’origine del prodotto, ciò non si verifica necessariamente quando il segno si confonde con l’aspetto del prodotto del quale è richiesta la registrazione. Non è abitudine dei consumatori presumere l’origine dei consumatori basandosi sul loro colore ovvero sul colore della loro confezione, in assenza di qualsiasi elemento grafico o testuale, in quanto, negli usi commerciali attuali, un colore specifico non viene utilizzato, in linea di principio, come strumento di identificazione. Un semplice colore specifico difetta, di regola, della proprietà tipica di distinguere i prodotti di una determinata impresa.

66.

Nel caso di un colore specifico, l’esistenza di un carattere distintivo anteriormente a qualsiasi utilizzazione potrebbe ipotizzarsi solamente in circostanze eccezionali, segnatamente quando il numero dei prodotti o servizi per i quali venga richiesta la registrazione del marchio risulti molto limitata ed il mercato pertinente molto specifico.

67.

Tuttavia, un colore specifico, ancorché non possieda ab initio carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva, può acquisire tale carattere, con riguardo ai prodotti o ai servizi oggetto della richiesta, a seguito di uso ai sensi dell’art. 3, n. 3, della direttiva. Tale carattere distintivo può essere acquisito, segnatamente, a seguito di un processo normale di familiarizzazione del pubblico interessato. In tal caso, l’autorità competente sarà tenuta a valutare globalmente i fattori che possono dimostrare che il marchio sia divenuto atto a identificare il prodotto di cui trattasi come proveniente da un’impresa determinata e, quindi, a distinguere tale prodotto da quelli di altre imprese (v. la menzionata sentenza Windsurfing Chiemsee, punto 49).

68.

La prima questione pregiudiziale dev’essere quindi risolta nel senso che un colore specifico senza limitazioni spaziali può presentare, per taluni prodotti e servizi, carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), e n. 3, della direttiva sempreché, segnatamente, possa essere oggetto di rappresentazione grafica chiara, precisa, di per sé completa, facilmente accessibile, intellegibile, costante e oggettiva. Quest’ultimo requisito non può essere soddisfatto mediante la mera riproduzione su carta del colore di cui trattasi, bensì mediante la determinazione di tale colore per mezzo di un codice di identificazione internazionalmente riconosciuto.

69.

La seconda questione pregiudiziale, sub a), dev’essere quindi risolta nel senso che può ritenersi che un colore specifico possegga carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), e n. 3, della direttiva, sempreché, tenuto conto della percezione del pubblico cui ci si rivolge, il marchio sia idoneo ad identificare il prodotto o il servizio per il quale si chieda la registrazione come proveniente da un’impresa determinata e, quindi, a distinguere tale prodotto o tale servizio da quelli di altre imprese.

Sulla seconda questione pregiudiziale, sub b)

70.

Con la seconda questione, sub b), il giudice di rinvio chiede se il fatto che la registrazione come marchio di un colore specifico venga richiesta per un numero elevato di prodotti o servizi ovvero per un prodotto o servizio specifico o, ancora, perun gruppo specifico di prodotti o servizi, sia rilevante ai fini della valutazione se il colore medesimo possegga carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), della direttiva.

71.

Alla luce delle considerazioni esposte supra ai punti 56, 66 e 67, la seconda questione pregiudiziale, sub b), dev’essere risolta nel senso che la circostanza che la registrazione come marchio venga richiesta per un numero elevato di prodotti o servizi ovvero per un prodotto o servizio specifico o, ancora, per un gruppo specifico di prodotti o servizi, è pertinente, unitamente alle altre circostanze della specie, tanto ai fini della valutazione del carattere distintivo del colore oggetto della domanda di registrazione quanto ai fini della valutazione se la registrazione si porrebbe in contrasto con l’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità dei colori per gli altri operatori che offrano prodotti o servizi del genere di quelli oggetto della domanda di registrazione.

Sulla quarta questione

72.

Con la quarta questione il giudice di rinvio chiede sostanzialmente se, al fine di valutare se un marchio possegga carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b) e n. 3, della direttiva, l’autorità competente in materia di registrazione dei marchi debba procedere ad un esame astratto o concreto, tenendo conto di tutte le circostanze della specie e , segnatamente, dell’uso che sia stato fatto del marchio.

73.

Si deve rilevare, in primo luogo, che, ai sensi del dodicesimo ’considerando’ della direttiva, «tutti gli Stati membri della Comunità sono parti contraenti della convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale» e «è necessario che le disposizioni della presente direttiva siano in perfetta armonia con quelle della convenzione di Parigi».

74.

Orbene, l’art. 6 quinquies, lett. c), n. 1, della convenzione di Parigi precisa che «per valutare se il marchio può essere oggetto di tutela, si deve tener conto di tutte le circostanze di fatto, in particolare della durata dell’uso del marchio».

75.

In secondo luogo, la registrazione di un segno come marchio viene sempre richiesta con riguardo ai prodotti o ai servizi indicati nella domanda di registrazione. Il carattere distintivo di un marchio dev’essere quindi valutato, da un lato, con riguardo ai prodotti o ai servizi oggetto della domanda di registrazione e, dall’altro, tenendo conto della percezione di tale marchio da parte del pubblico cui ci si rivolge.

76.

L’autorità competente in materia di registrazione dei marchi, dovendo garantire che il segno non sia sprovvisto di carattere distintivo con riguardo ai prodotti o servizi dell’impresa richiedente la registrazione come marchio, non può procedere ad un esame in abstracto, dovendo tale esame essere necessariamente effettuato in concreto. Tale esame deve prendere in considerazione tutte le circostanze pertinenti del caso di specie,ivi compreso, eventualmente, l’uso che sia stato fatto del segno oggetto della richiesta di registrazione a titolo di marchio.

77.

La quarta questione pregiudiziale dev’essere quindi risolta nel senso che, ai fini della valutazione se un marchio possegga carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), e n. 3, della direttiva, l’autorità competente in materia di registrazione dei marchi deve procedere ad un esame concreto, tenendo conto di tutte le circostanze della specie, in particolare dell’uso che di tale marchio sia stato fatto.

Sulle spese

78.

Le spese sostenute dai governi olandese ed del regno Unito, nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE

pronunciandosi sulle questioni sottopostele dal Hoge Raad der Nederlanden, con ordinanza 23 febbraio 2001, dichiara:

1) Un semplice colore specifico, senza limitazioni spaziali, può possedere, per taluni prodotti e servizi, carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), e n. 3, della direttiva sempreché, segnatamente, possa essere oggetto di rappresentazione grafica chiara, precisa, di per sé completa, facilmente accessibile, intellegibile, costante e oggettiva. Quest’ultimo requisito non può essere soddisfatto mediante la mera riproduzione su carta del colore di cui trattasi, bensì mediante la determinazione di tale colore per mezzo di un codice di identificazione internazionalmente riconosciuto.

2) Ai fini della valutazione del carattere distintivo che un determinato colore possa presentare come marchio, occorre tener conto dell’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità di colori per gli altri operatori che offrano prodotti o servizi del genere di quelli oggetto della domanda di registrazione.

3) Può ritenersi che un colore specifico possegga carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), e n. 3, della direttiva, sempreché , tenuto contodella percezione del pubblico cui ci si rivolge, il marchio sia idoneo ad identificare il prodotto o il servizio per il quale si chieda la registrazione come proveniente da un’impresa determinata e, quindi, a distinguere tale prodotto o tale servizio da quelli di altre imprese.

4) La circostanza che la registrazione come marchio venga richiesta per un numero elevato di prodotti o servizi ovvero per un prodotto o servizio specifico o, ancora, per un gruppo specifico di prodotti o servizi, è pertinente, unitamente alle altre circostanze della specie, tanto ai fini della valutazione del carattere distintivo del colore oggetto della domanda di registrazione quanto ai fini della valutazione se la registrazione si porrebbe in contrasto con l’interesse generale a non restringere indebitamente la disponibilità dei colori per gli altri operatori che offrano prodotti o servizi del genere di quelli oggetto della domanda di registrazione.

5) Ai fini della valutazione se un marchio possegga carattere distintivo ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. b), e n. 3, della direttiva, l’autorità competente in materia di registrazione dei marchi deve procedere ad un esame concreto, tenendo conto di tutte le circostanze della specie, in particolare dell’uso che di tale marchio sia stato fatto.

Puissochet

Wathelet

Timmermans

Gulmann

Edward

Jann

Macken

von Bahr

Cunha Rodrigues

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 6 maggio 2003.

Il cancelliere

Il presidente

R. Grass

G.C. Rodríguez Iglesias