Enti pubblici

Thursday 22 April 2004

Stranieri. Niente espulsione nelle more della sanatoria. Cassazione Sezione prima civile sentenza 12 febbraio-13 aprile 2004, n. 6993

Stranieri. Niente espulsione nelle more della sanatoria

Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 12 febbraio-13 aprile 2004, n. 6993

Presidente Losavio – Relatore Macioce

Pm Abbritti – parzialmente conforme – ricorrente Nunoo

Svolgimento del processo

Con decreto 17 ottobre 2002 il Prefetto di Savona disponeva l’espulsione dal territorio nazionale della cittadina nigeriana Mercy Nunoo ai sensi dell’articolo 13 comma 2 lettera b) Dl 286/98. Contro l’espulsione ricorreva la straniera innanzi al Tribunale di Savona deducendo distinte ragioni di nullità dell’atto e di divieto della espulsione. L’adito Tribunale con decreto 9 dicembre 2002 rigettava il ricorso affermando: che non sussisteva la prospettata violazione dell’articolo 13 comma 7 del Dl 286/98 sia perché la Nunoo non aveva provato di ignorare l’italiano sia perché – ed era dato decisivo – il testo era stato tradotto in inglese, lingua ufficiale della federazione nigeriana; che non poteva essere esaminata la censura proposta avverso il provvedimento di trattenimento nel Cpta (convalidato dal Tribunale di Roma il 19 ottobre 2002), essendo avverso la convalida proponibile ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 14 comma 6 del Tu; che non sussisteva violazione dell’articolo 19 non esistendo alcuna prova della paventata persecuzione al rientro in Nigeria; che pur essendo stata attivata procedura di emersione, la regolarizzazione della espellendo non sarebbe stata possibile.

Per la cassazione di tale decreto la Mercy Nunoo ha proposto ricorsoli 14 marzo 2003 con quattro motivi. L’intimato Prefetto non ha espletato difese.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la Nunoo Mercy denunzia violazione degli articoli 2 comma 6 e 13 comma 7 del Dl 286/98 per avere il Tribunale indebitamente affermato spettare all’espulso l’onere di provare la mancata conoscenza dell’italiano ed asserito, erroneamente, che l’inglese fosse la lingua ufficiale della Nigeria (dato irrilevante, perché la conoscenza vuol dire esatta comprensione). Il motivo non ha fondamento. La censura – che perviene alla inconsistente pretesa per la quale l’atto dovrebbe essere comunicato all’espulso anche mediante traduzione nel “dialetto” al medesimo comprensibile ~ neanche si avvede della secca quanto corretta affermazione del Tribunale per la quale essendo l’inglese ‑ lingua nella quale il decreto opposto venne tradotto ‑ la lingua ufficiale della federazione della Nigeria, la traduzione in tal lingua avrebbe assolutamente soddisfatto il requisito posto dalla norma (traduzione nella lingua conosciuta dall’espellendo) in termini di presunzione legale di conoscenza. Ed alla corretta statuizione del Giudice del merito, peraltro in linea con la ferma giurisprudenza di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. 1080/04 ‑ 889/04 ‑ 490/04 ‑ 19586/03), deve aggiungersi il rilievo per il quale è dei tutto irrilevante che YespeRendo possa essere ‑ magari a cagione del suo eventuale analfabetismo ‑ non in grado di intendere neanche ridioma che il suo paese ha adottato come lingua “ufficiale”. Con il secondo motivo poi la ricorrente denunzia la violazione degli art. 13 e 13 bis ‑ 14 del D.Leg. 286/98 per avere il Tribunale escluso che in sede di opposizione alla espulsione si possano far valere i vizi del decreto di trattenimento nel CPTA, non prospettati in sede propria. Il rilievo è privo di alcun pregio, avendo il Tribunale esattamente rilevato che a norma delFart. 14 c. 6 del T.U. avverso la convalida della misura è previsto il ricorso per cassazione con la conseguenza per la quale non si scorge né possibilità ‑ né tampoco ragione alcuna ‑ per consentire che, preclusa ogni questione per mancato ricorso avverso la convalida, la stessa questione sia deducibile innanzi a giudice diverso (anche in ragione della competenza per terrìtorio) da quello che la norma prevede essere chiamato, nell’immediatezza, a giudicare della legittimità del trattenimento.

3. Totalmente inconsistente è, poi, il terzo motivo con il quale la ricorrente si duole del fatto che il Tribunale abbia dichiarato priva di alcuna prova la mera prospettazione di un fumus persecutionis rilevante ex art. 19 c. 1 T.U., ove rimpatriata in Nigeria (ed in ragione ‑ si lascia intendere ‑ dei suoi costumi sessuali), non scorgendosi, infatti, perché mai il Tribunale avrebbe dovuto ritenere appartenente al notorio una siffatta generica ipotesi di rischio. Fondata è invece la censura contenuta nel quarto motivo con il quale si lamenta la violazione degli artt. 33 L. 189/02 e 2 L. 222/02. Il Tribunale, infatti, nel prendere in esame la difesa della ricorrente, che adduceva ristanza di sanatoria (proposta attraverso la dichiarazione di emersione) quale causa di esclusione della potestà espulsìva del Prefetto, ha ritenuto di esaminare il fatto della “attivazione” della procedura di emersione delibandone l’esito negativo (in considerazione della ragione della espulsione, fondata su motivo diverso da quello del mancato rinnovo del permesso). Ebbene, il Giudice del merito ha commesso duplice grave errore di diritto. Da un canto il Tribunale non si è avveduto, nella sua prognosi sull’esito della domanda di emersione, che Yipotesi espulsìva de qua che era stata posta dall’art. 1 c. 8 lett. a) del D.L. 195102 (nel senso di escludere dal beneficio della regolarizzazione gli espulsi, salvo che l’espulsione fosse stata adottata per il mancato rinnovo del titolo), era stata in sede di conversione (L. 222/02 entrata in vigore il 13.10.02) ulteriormente ristretta, comprendendosi nella “sanabilitW’ anche gli espulsi ad indiscutibile reinserimento sociale. Dall’altro canto, e la ragione appare affatto assorbente, il Tribunale ha profondamente errato proprio nel compiere lo scrutinio di sanabilità, che allo stesso assolutamente non competeva.

4. Ed infatti, a fronte della prospettazione, da parte dell’espulso ricorrente avverso il decreto del Prefetto, della pendenza della procedura di emersione, spettava al Giudice solo accertare la data e la certezza dell’inoltro della dichiarazione di cui all’art 1 del D.L. 195/02 conv. in L. 222/2, con la conseguenza che: 1) ove la domanda di sanatoria avesse preceduto l’espulsione, certamente questa sarebbe stata illegittima, avendo riguardo al chiaro disposto dell’art. 2 c. 1 del D.L. 195/02 citato (la cui ratio è quella di impedire che siano drasticamente allontanati lavoratori che, alla luce del sole, hanno richiesto di essere sariati) per il quale fino alla conclusione della procedura non possono essere adottati provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale nei confronti dei lavoratori “in emersione” salvo che risultino pericolosi per la sicurezza dello Stato;011 ove, invece, la domanda fosse stata posteriore, nessun impedimento sarebbe derivato allesercizio del potere espulsivo, il cui decreto sarebbe però rimasto esposto al rischio di una revoca ex tunc, quale effetto dell’accoglimento della domanda (art. 2 c. 2 cit.).

Il chiaro errore commesso dal Tribunale nel non aver applicato le richiamate norme importa la cassazíone del decreto in relazione al motivo qui accolto ed il rinvio allo stesso Ufficio che, in applicazione dell’esposto principio, procederà all’esame della domanda (ed alla regolarnentazione anche della spese del giudizio di legittimità).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione, accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia ‑ anche per le spese ‑ al Tribunale di Savona in persona di altro magistrato.