Enti pubblici

Tuesday 11 May 2004

Sistema del ballottaggio per l’ elezione del Sindaco. I dubbi di costituzionalità del TAR Abruzzo. 466 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2004.

Sistema del ballottaggio per l’elezione del Sindaco. I dubbi di costituzionalità del TAR Abruzzo

.   466   ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 2004.

  Ordinanza emessa il 29 gennaio 2004 dal tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo sezione staccata di Pescara sul ricorso proposto da Grosso Felice Antonio ed altri contro Comune di Pescara ed altri Elezioni – Elezioni dei consigli comunali (nella specie: consiglio comunale di Pescara) – Turno di ballottaggio e voto disgiunto – Sindaco espresso da una componente di un raggruppamento elettorale diverso da quello che abbia ottenuto la maggioranza assoluta di voti validi al primo turno – Attribuzione del premio di maggioranza Esclusione – Conseguente pericolo di ingovernabilita’ dell’ente locale – Irragionevolezza – Incidenza sui principi di imparzialita’ e buon andamento della Pubblica Amministrazione. – D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 73, nn. 7 e 8. – Costituzione, artt. 3 e 97. (GU n. 18 del 5-5-2004)

  IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 395 del 2003,

proposto  da Grosso Felice Antonio, Cetrullo Erminio, Lepore Michele,

Masci  Carlo,  Diodoro  Alessandro,  Lino  Augusto,  Govini  Antonio,

D’Ascanio  Gian  Franco,  Di  Campli  Donato,  Maglia  Guido,  Grossi

Giuliano,  tutti  rappresentati  e  difesi  dagli avv. Franco Gaetano

Scoca,  Marcello  Russo  e  Manuel  De Monte, presso il secondo ed il

terzo elettivamente domiciliati in Pescara, via Colonna n. 31;

    Contro  il Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro tempore,

rappresentato  e  difeso  dall’avv.  Paola  Di Marco ed elettivamente

domiciliato in Pescara, presso la residenza comunale;

    E nei confronti di:

        Di  Marco  Michele,  rappresentato e difeso dall’avv. Tommaso

Marchese,  presso lo stesso elettivamente domiciliato in Pescara, via

dei Marrucini n. 11;

        Damiani  Sandro, rappresentato e difeso dagli avv. Attilio Di

Camillo   e   Giulia  Di  Donato,  presso  gli  stessi  elettivamente

domiciliato in Pescara, via dei Marruccini n. 80;

        D’Alfonso Luciano, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo

Cerulli Irelli, Giulio Cerceo e Sergio Della Rocca, presso il secondo

elettivamente domiciliato in Pescara, viale D’Annunzio n. 142;

        Gentile   Antonio,   quale   rappresentante   lista   Partito

Socialista Nuovo PSI, non costituito in giudizio;

        Iannucci  Nando,  quale  rappresentante  lista Semper Fidelis

Luci, non costituito in giudizio;

        Ministero  dell’interno, in persona del ministro pro tempore,

prefettura  di  Pescara, in persona del prefetto pro tempore, Ufficio

centrale  elettorale  di  Pescara,  in  persona  del  Presidente  pro

tempore,  rappresentanti  e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello

Stato di L’Aquila, domiciliataria per legge;

    Per  l’annullamento della proclamazione degli eletti al Consiglio

comunale   di  Pescara,  effettuata  il  14 giugno 2004  dall’Ufficio

elettorale  di  Pescara,  a  seguito  delle  elezioni  amministrative

svoltesi  nei  giorni 25 e 26 maggio e 8 e 9 giugno 2003, nella parte

in  cui  sono  stati  attribuiti  20  Consiglieri  (anziche’  19)  al

raggruppamento  di  liste  collegato al candidato n. 1 alla carica di

sindaco  sig.  D’Alfonso  Luciano  e  quindi sono stati attribuiti 20

Consiglieri  (anziche’  21)  al  raggruppamento di liste collegato al

candidato  n. 2  alla  carica di Sindaco sig. Masci Carlo, nonche’ di

tutti  gli  atti connessi nella parte in cui sono stati computati, al

fine   di   determinare  la  cifra  elettorale  complessiva,  i  voti

conseguiti  dalla lista n. 20 – Nuovo PSI e dalla lista n. 1 – Semper

Fidelis  Luci,  e  per  la  correzione  dei  risultati elettorali con

attribuzione  di n. 21 seggi al raggruppamento collegato al candidato

Masci  e  di  n. 19  seggi  al   raggruppamento collegato al candidato

D’Alfonso  e,  quindi,  con  proclamazione  della  elezione di Grosso

Felice Antonio in luogo di Di Marco Michele.

    Visto il ricorso con i relativi allegati;

    Visti gli atti di costituzione in giudizio di: comune di Pescara,

Di  Marco  Michele,  Damiani  Sandro,  D’Alfonso  Luciano, Avvocatura

distrettuale dello Stato per il Ministero dell’interno, la Prefettura

di Pescara e l’Ufficio centrale elettorale di Pescara;

    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive

difese;

    Visti gli atti tutti della causa;

    Relatore,  alla pubblica udienza del 15 gennaio 2004, il cons. Di

Giuseppe;

    Uditi  gli  avv. Scoca, Russo e de Monte per la parte ricorrente,

gli   avv.   Cerulli   Irelli,   Cerceo   e   Della   Rocca   per  il

controinteressato  sindaco, l’avv. Di Marco per il comune resistente,

l’avv.  Marchese  per il controinteressato Di Marco, l’avv. Donatella

Laureti,  su  delega  degli  avv.  Di  Camillo  e  Di  Donato  per il

controinteressato  Damiani  e  l’avv.  dello  Stato Massimo Lucci per

l’Amministrazione dell’interno costituita;

    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con ricorso depositato il 27 giugno 2003 e notificato in data 4 e

7  luglio  2003  (e, peraltro, in data 9 luglio 2003 nei confronti di

Gentile  Antonio  e  18 luglio  2003 nei confronti di Iannucci Nando)

unitamente  al  decreto  di  fissazione  dell’udienza di discussione,

emesso  il  30 giugno  2003  e  rilasciato  in copia conforme in data

17 luglio  2003,  ricorso  di  nuovo depositato il 24 luglio 2003, il

sig.  Grosso Felice Antonio ed altri dieci consorti di lite, epigrafe

indicati,  hanno  chiesto  l’annullamento  della  proclamazione degli

eletti al Consiglio comunale di Pescara, effettuata il 14 giugno 2003

dall’Ufficio   elettorale   di  Pescara,  a  seguito  delle  elezioni

amministrative  svoltesi  nei  giorni  25  e 26 maggio e 8 e 9 giugno

2003,  nella  parte  in  cui  sono  stati  attribuiti  20 Consiglieri

(anziche’  19) al raggruppamento di liste collegato al candidato n. 1

alla  carica  di  Sindaco  sig. D’Alfonso Luciano e quindi sono stati

attribuiti  20  Consiglieri  (anziche’ 21) al raggruppamento di liste

collegato  al candidato n. 2 alla carica di sindaco sig. Masci Carlo,

nonche’  di  tutti  gli  atti  connessi nella parte in cui sono stati

computati,  al fine di determinare la cifra elettorale complessiva, i

voti  conseguiti  dalla  lista n. 20 – Nuovo PSI e dalla lista n. 1 –

Semper  Fidelis  Luci;  hanno  chiesto,  inoltre,  la  correzione dei

risultati   elettorali   con   attribuzione   di   n. 21   seggi   al

raggruppamento  collegato  al  candidato  Masci  e  di n. 19 seggi al

raggruppamento  collegato  al  candidato  D’Alfonso  e,  quindi,  con

proclamazione  della elezione di Grosso Felice Antonio in luogo di Di

Marco Michele.

    Il  ricorso  premette che alla succitata consultazione elettorale

hanno   partecipato  sei  candidati  a  sindaco:  Valloreia  Lorenzo,

collegato alla sola lista n. 1 – Semper Fidelis Luci; Teodoro Gianni,

collegato  alla  sola  lista  n. 2 – Lista Teodoro per Pescara; Masci

Carlo,  collegato al raggruppamento di liste denominate Forza Italia,

Alleanza    Nazionale,   Partito   Democratico   Cristiano,   U.D.C.,

Alternativa  Femminile, Fiamma Tricolorie, Pescara Futura e Cattolici

Democratici    per   Pescara;   D’Alfonso   Luciano,   collegato   al

raggruppamento  di  liste  denominate  La  Margherita, Democratici di

Sinistra,  U.D.E.U.R.,  Lista  Di  Pietro-Italia  dei Valori, Pescara

Amica,  Socialisti  Democratici Italiani, Verdi, Comunisti Italiani e

Partito  Comunista Rifondazione; D’Amico Giorgio, collegato alla sola

lista   n. 20   Nuovo  P.S.I.  Partito  Socialista;  Bosio  Fabrizio,

collegato alla sola lista n. 21, Fronte Sociale Nazionale.

    Il  ricorso  premette, altresi’, che al primo turno elettorale le

predette  liste  n. 1  e  n. 20  non  hanno raggiunto il 3% dei voti;

infatti,  la  n. 1  –  semper Fidelis Luci ha conseguito lo 0,1% e la

n. 20  –  Nuovo  P.S.I.  Partito  Socialista  ha  conseguito  l’l,3%.

Peraltro,  non  avendo  alcuno  dei candidati a sindaco conseguito la

maggioranza  assoluta,  si e’ proceduto al turno di ballottaggio, cui

sono  stati  ammessi i predetti candidati D’Alfonso e Masci. In vista

del secondo turno, si sono collegate (o apparentate) al primo di tali

candidati,  sia  le  predette  liste  nn. 1 e 20, sia la lista n. 2 –

Lista Teodoro per Pescara.

    All’esito  del  turno  di  ballottaggio,  svolto nei giorni 8 e 9

giugno 2003, e’ risultato eletto alla carica di sindaco del comune di

Pescara  il  dott.  Luciano  D’Alfonso  con  la  cifra di 41.570 voti

validi.

    In  sede  di  determinazione  della  cifra elettorale complessiva

delle  liste  collegate  con i candidati a sindaco, al raggruppamento

collegato  al  candidato  D’Alfonso  e’  stata  attribuita  la  cifra

complessiva  di  36.417  voti,  computandovi  anche i voti conseguiti

dalle liste n. 1 – Semper Fidelis Luci e n. 20 – Nuovo P.S.I. che non

hanno  conseguito,  al primo turno, il 3% dei voti; al raggruppamento

collegato al candidato Masci e’ stata attribuita la cifra complessiva

di 37.693 voti.

    Cosi’  operando,  l’Ufficio  centrale elettorale ha attribuito 20

quozienti  al  raggruppamento  collegato  al  candidato  D’Alfonso ed

altrettanti   a   quello  collegato  al  candidato  Masci.  Tanto  ha

comportato  che  in sede di proclamazione dei 40 Consiglieri comunali

eletti,  il  ventesimo dei seggi spettanti al primo raggruppamento e’

stato   attribuito  alla  lista  n. 2  –  Teodoro  per  Pescara,  con

proclamazione a consigliere del sig. Di Marco Michele.

    Il  ricorso  espone  che,  a  favore  del  primo  raggruppamento,

dovevano essere, invece, computati soltanto i voti della lista n. 2 –

Teodoro per Pescara, che al primo turno aveva superato il 3%, sicche’

la relativa cifra elettorale complessiva sarebbe stata determinata in

35.336  voti,  con  la conseguenza che, in luogo del predetto sig. Di

Marco,  sarebbe  risultato eletto alla carica di consigliere comunale

il sig. Grosso Felice Antonio (primo dei ricorrenti), candidato della

lista  n. 3  –  Partito  Democratico  Cristiano  che era collegata al

candidato a sindaco avv. Masci.

    Il ricorso deduce, in diritto, i seguenti motivi:

    I.   –  Violazione ed erronea applicazione dell’art. 73 del d.lgs.

18  agosto  2000,  n. 267,  nonche’  eccesso di potere per sviamento,

poiche’,  ai  sensi  del  comma 7 dell’art. 73 cit., non sono ammesse

all’assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo

turno  meno  del  3%  dei voti validi e che non appartengano a nessun

gruppo  di  liste  che  abbia  superato  tale soglia; tali liste sono

escluse,  peraltro,  dalla  valutazione  della  cifra  elettorale del

raggruppamento  cui  i  delegati  delle stesse decidano di fornire il

proprio  appoggio  in  sede  di  ballottaggio. Tanto, onde evitare lo

sconvolgimento,  tramite gli apparentamenti, dei risultati elettorali

del   primo   turno,   assegnando   valore  ponderale  e  addirittura

determinante a liste che, per il risultato conseguito, la legge priva

di  peso  specifico.  In  definitiva,  l’apparentamento non priva gli

aggregati  dei  voti  conseguiti  nel primo turno per aver modificato

l’originaria   impostazione  per  la  quale  gli  elettori  si  erano

espressi,  ma  non accresce l’effetto di quei voti sottraendoli a chi

li ha conseguiti sulla base di programmi e accordi rimasti invariati.

    II.  – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 73 del d.lgs.

n. 267  del  2000  e delle direttive ministeriali, nonche’ eccesso di

potere  per  sviamento  e  difetto  di motivazione, poiche’ l’Ufficio

elettorale  centrale  ha  disatteso  le  istruzioni  ministeriali, in

particolare  quelle  di  cui  al  paragrafo  30,  ed  ha  addirittura

modificato  ed  interpolato, con autonome ed autografe correzioni, il

testo  del  modello  ministeriale  di  verbale, al paragrafo 6, cosi’

arbitrariamente,  e  senza  adeguata motivazione, discostandosi dalle

univoche  direttive  impartite  dal  Ministero  dell’interno le quali

hanno  valore  di  indirizzo  interpretativo  per il predetto Ufficio

elettorale, essendo questo pur sempre un organo amministrativo, anche

se  straordinario  e  temporaneo  e comunque non sottoposto a vincolo

gerarchico.   Cosi’   operando,   l’Ufficio  elettorale  centrale  ha

sottratto  una  maggioranza  consiliare  al  raggruppamento  di liste

collegate   al   candidato  Masci,  mentre,  secondo  una  precisa  e

consapevole   scelta   del  legislatore,  l’ammissibilita’  del  voto

disgiunto   (possibilita’   di   votare   un   candidato  sindaco  e,

contemporaneamente,  una lista ad esso non collegata) comporta che e’

ben possibile che in Consiglio vi sia una maggioranza contrapposta al

Sindaco.

    III. – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 73, comma 2 e

segg.,  del  d.lgs.  n. 267 del 2000, poiche’ il candidato D’Alfonso,

pur    avendo   presentato   un   «programma»   comune   alle   liste

originariamente  collegate,  non ha, in occasione dell’apparentamento

successivo,  pubblicato  un  nuovo  programma  che  desse conto della

comunanza  d’intenti  del  precedente raggruppamento con le tre nuove

liste apparentate.

    IV.  – Attuazione dell’art. 26, ultimo comma, della legge n. 1034

del  1971 e degli artt. 91 e segg. c.p.c., potendosi provvedere sulle

spese del giudizio anche nei confronti dei resistenti.

    Il  ricorso  conclude  per l’annullamento in parte qua degli atti

impugnati   e   per  la  correzione  dei  risultati  elettorali,  con

attribuzione  di  21  seggi  al   raggruppamento di liste collegate al

candidato Masci, e quindi di 19 seggi a quello collegato al candidato

D’Alfonso, oltreche’ per la declaratoria della elezione a consigliere

comunale  del  candidato Grosso Felice Antonio in luogo del candidato

Di Marco Michele.

    Per  resistere  si e’ costituito in giudizio il comune di Pescara

la  cui  difesa,  con  memoria  depositata  il  21  luglio  2003,  ha

controdedotto nel merito del ricorso, chiedendone la reiezione.

    Peraltro, si e’ costituito in giudizio il dott. D’Alfonso Luciano

la  cui  difesa,  con  memorie  depositate  in  data 19 luglio 2003 e

19 settembre 2003, ha sostenuto, in sintesi, che all’indubbio fine di

conseguire  una  compattezza  all’interno  del Consiglio comunale che

offra  garanzie  di stabilita’, efficienza e funzionalita’ al governo

locale,   nell’interesse   primario   della  stessa  collettivita’  i

collegamenti  istituiti al momento del turno di elezione del sindaco,

e  quindi  anche  del  secondo  turno, debbono essere considerati per

identificare  la  composizione  delle  coalizioni  e  procedere  alla

ripartizione dei seggi, non potendo prescindersi dalle coalizioni che

si  sono fronteggiate nel turno di ballottaggio, poiche’ quest’ultimo

configura  la  convergenza  di  interessi tra piu’ forze politiche in

relazione  all’esito  del  primo turno; infatti, il non tenerne conto

determina un risultato disomogeneo, in quanto il collegamento operato

ai   fini  del  primo  turno,  ma  superato  di  fatto  dalle  scelte

dell’elettorato,   puo’   diventare   decisivo   per   la  definitiva

assegnazione  dei  seggi  dopo  il  ballottaggio;  peraltro,  la tesi

propugnata  dalla  parte  ricorrente,  in  stridente contrasto con il

generale  principio  improntato  all’esigenza  di  salvezza  dei voti

espressi  dagli  elettori,  finisce per disperdere o non utilizzare i

voti  conseguiti  da  quelle  liste  che, pur irrilevanti ai fini del

primo  turno,  hanno  comunque  fatto  parte nel secondo turno di una

coalizione che ha superato lo sbarramento.

    Si  e’  costituito  in giudizio anche il sig. Di Marco Michele la

cui  difesa,  con memoria depositata il 19 luglio 2003, ha osservato,

in  sostanza,  argomentazioni  analoghe  a quelle sopra riassunte. La

stessa  difesa, d’altra parte, con memoria depositata il 19 settembre

2003,   ha   eccepito  l’inammissibilita’  del  ricorso  poiche’  non

notificato  all’effettivo  controinteressato  dott.  Damiani  Sandro,

sebbene  fosse  noto il suo subentro nella carica di consigliere gia’

all’epoca della notifica del ricorso.

    Inoltre,   si   sono   costituiti   in   giudizio   il  Ministero

dell’interno,   la   prefettura   di  Pescara  e  l’Ufficio  centrale

elettorale  di  Pescara la cui difesa, con memorie depositate in data

18 agosto 2003 e 17 settembre 2003, ha contestato le censure di parte

ricorrente, chiedendone la reiezione.

    Infine,  con  atto  del  24 settembre  2003,  si e’ costituito in

giudizio  il  citato  dott Damiani Sandro, subentrato nella carica di

consigliere  comunale  a  seguito  della nomina ad Assessore del sig.

Teodoro   Gianni   della  stessa  lista  d’appartenenza,  concludendo

anch’esso per la reiezione del ricorso.

    Con   memoria   depositata  il  5 dicembre  2003  la  difesa  dei

ricorrenti  ha  evidenziato come appaia carente d’interesse e tardiva

la  costituzione  in  giudizio  del  Ministero  dell’interno  e della

prefettura  di  Pescara e dell’Ufficio centrale elettorale, oltre che

contraddittoria  in  relazione  alle istruzioni diramate dallo stesso

Ministero  in materia elettorale, e ne ha chiesto l’estromissione con

condanna alle spese di giudizio.

                            D i r i t t o

    I.  –  Il  ricorso  in  esame risulta depositato in segreteria il

giorno  27 giugno  2003  ed  il  relativo  decreto  presidenziale  di

fissazione  dell’udienza  di  discussione  risulta  emesso  il giorno

30 giugno  2003  e risulta rilasciato alla parte ricorrente il giorno

1° luglio 2003.

    ll  ricorso stesso risulta notificato il giorno 4 luglio 2003 nei

confronti  sia  del comune di Pescara, sia del controinteressato sig.

Di Marco Michele.

    Peraltro,  il ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di

parte  ricorrente) il giorno 5 luglio 2003, a mezzo servizio postale,

nei  confronti,  sia  del Sindaco eletto dott. D’Alfonso Luciano, sia

dell’Ufficio  centrale  elettorale  di  Pescara  presso  l’Avvocatura

distrettuale  dello  Stato di L’Aquila, notifica da entrambi ricevuta

il 7 luglio 2003.

    Inoltre,  il  ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di

parte  ricorrente)  il  giorno  9 luglio  2003 nei confronti del sig.

Gentile  Antonio, quale rappresentante della lista denominata Partito

Socialista  Nuovo  P.S.I.,  ed il giorno 18 luglio 2003 nei confronti

del  sig. lannucci Nando, quale rappresentante della lista denominata

Semper Fidelis Luci.

    Infine,  il  ricorso  in  esame,  con  le  prove  delle  avvenute

notificazioni,  risulta nuovamente depositato in Segreteria il giorno

24 luglio 2003.

    II.  –  Sotto il profilo della completezza del contraddittorio il

rapporto  processuale deve essere ritenuto completo, giacche’ risulta

spontaneamente  costituito  in  giudizio  anche  il controinteressato

dott.  Damiani  Sandro  il quale, a seguito della nomina ad assessore

del  sig.  Teodoro  Gianni, e’ subentrato nella carica di Consigliere

comunale   divenendo   l’effettivo   controinteressato  nel  presente

giudizio.

    D’altra    parte,   non   puo’   essere   condivisa   l’eccezione

d’inammissibilita’  del  ricorso  (sollevata dalla difesa del sig. Di

Marco   Michele)   in   relazione  alla  mancata  notifica  dell’atto

introduttivo  nei  confronti del predetto dott Damiani, poiche’, alla

data  (27 giugno  2003) del primo deposito del ricorso stesso, questi

non era stato ancora surrogato nella carica di consigliere; pertanto,

la  notifica  effettuata  nei confronti del controinteressato sig. Di

Marco   appare   idonea  a  rendere  ammissibile  il  ricorso,  salva

l’eventuale integrazione del contraddittorio che, nel caso di specie,

ad  avviso  del Collegio appare superflua, essendosi il dott. Damiani

costituito spontaneamente.

    III.  –  Quanto  alla  domanda  di estromissione dal giudizio del

Ministero  dell’interno,  della  prefettura di Pescara e dell’Ufficio

centrale  elettorale  di Pescara, proposta (in memoria del 5 dicembre

2003)  dalla difesa della parte ricorrente, osserva il collegio, che,

in  effetti, secondo la giurisprudenza, l’Ufficio centrale elettorale

non  e’ parte necessaria nel giudizio elettorale (Cons. St., Ad. Pl.,

31  luglio 1996, n. 16) cosi’ come non lo e’ il prefetto (Cons. G. A.

Sic., 3 giugno 1981, n. 31; Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996, n. 499)

e cosi’ come non puo’ essere ritenuto tale il Ministero dell’interno.

    Tra  l’altro,  nella  specie,  sembrerebbe  sussistere  anche  un

contrasto  tra  la posizione assunta dal ministro degli interni quale

ricavabile  dal testo dei verbali ristampati predisposti in occasione

del  turno  elettorale, e quella dell’Ufficio centrale di Pescara che

invece ha ritenuto di seguire un diverso indirizzo.

    Tuttavia,  ognuno  di  questi  organi  non e’ privo d’interesse a

partecipare  ai  giudizi  elettorali,  essendo  organi  della  stessa

Amministrazione  dell’interno  comunque  coinvolti  nel  procedimento

elettorale,  sicche’  la  relativa  costituzione  effettuata da parte

dell’Avvocatura  dello  Stato – la quale non ha bisogno allo scopo di

uno  specifico  mandato (Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509;

Cassaz.,  SS.UU.,  21  luglio  1999, n. 484) -non puo’, ad avviso del

Collegio,  essere ritenuta inammissibile, tanto piu’ che, nel caso di

specie,  e’  stata proprio la parte ricorrente a notificare (sia pure

per  notizia)  il  ricorso  all’ufficio  centrale  elettorale  presso

l’Avvocatura distrettuale dello Stato.

    La scelta dell’avvocatura non e’, quindi, censurabile da parte di

questo   collegio  visto  che  ha  autonomamente  ritenuto  di  dover

sostenere la tesi dell’ufficio elettorale centrale.

    La  Costituzione,  poi,  non puo’ essere ritenuta tardiva perche’

successiva  ai quindici giorni dalla ricevuta notifica (come sostiene

la difesa di parte ricorrente), giacche’ la perentorieta’ del termine

prescritto dal terzo comma dell’art. 83/11 del d.P.R. n. 570 del 1960

riguarda  soltanto la proposizione dell’eventuale ricorso incidentale

da  parte  dei  controinteressati  (Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996,

n. 499).

    IV.  –  Quanto al merito del ricorso in esame giova ricordare che

esso  e’  diretto  all’annullamento  dell’atto di proclamazione degli

eletti al Consiglio comunale di Pescara nella parte in cui, all’esito

del  turno  di  ballottaggio,  sono  stati  attribuiti venti seggi di

consigliere,   anziche’   diciannove,   al  raggruppamento  di  liste

collegate  al  sindaco  eletto  dott.  D’Alfonso, ed e’ diretto, come

effetto, alla correzione dei risultati elettorali con attribuzione di

ventuno   seggi   al  raggruppamento  di  liste  collegate  all’altro

candidato   a   sindaco   avv.  Masci  e,  quindi,  con  declaratoria

dell’elezione a Consigliere del ricorrente sig. Grosso Felice Antonio

in luogo del sig. Di Marco Michele ed anzi in luogo del dott. Damiani

Sandro  che gli e’ subentrato nella posizione di secondo degli eletti

per la stessa lista d’appartenenza.

    Il  ricorso  sostiene,  in  stretta  sintesi,  che,  in  fase  di

determinazione   della   cifra  elettorale  complessiva  delle  liste

collegate  a  ciascuno  dei predetti candidati a sindaco, non debbono

essere computati i voti conseguiti dalle liste che al primo turno non

hanno superato la soglia del 3% dei voti validi.

    Il  Collegio  rileva che, sulla specifica questione, esistono due

autorevoli, e pur discordanti, orientamenti della giurisprudenza.

      Un  primo indirizzo giurisprudenziale, il quale prende le mosse

piu’  indietro  nel tempo, pur se ribadito anche recentemente, e’ nel

senso  di  ritenere  che,  ai fini dell’attribuzione dei seggi, debba

darsi  rilievo ai raggruppamenti di liste compiuti in vista del turno

c.d.  di  ballottaggio per l’elezione del sindaco, con la conseguenza

che  debbono  essere  computati  i  voti conseguiti da tutte le liste

collegatesi  in  occasione  del  secondo turno (Cons. St., sez. V, 19

marzo  1996,  n. 290;  20  settembre  2000,  n. 4894;  4 maggio 2001,

n. 2519; 29 gennaio 2003, n. 455).

    Tale  indirizzo  giurisprudenziale risulta prevalentemente basato

sulle seguenti considerazioni:

        il  sistema  elettorale  appare  finalizzato  a perseguire la

stabilita’   del  governo  delle  amministrazioni  locali  attraverso

l’attribuzione  del  c.d.  premio di maggioranza al raggruppamento di

liste   collegate   con   il  candidato  eletto  sindaco,  ma  appare

finalizzato   anche   alla  eliminazione  della  frantumazione  delle

minoranze  in  seno  ai  consigli  comunali, il tutto a beneficio del

complessivo andamento dell’amministrazione locale;

        tutto il procedimento elettorale per l’elezione del sindaco e

del  consiglio comunale non puo’ essere visto nei singoli momenti, ma

deve  essere  considerato come un unicum, che sulla base delle libere

scelte  delle  forze  politiche  quanto  al  loro raggrupparsi, ferma

l’elezione  del sindaco, tiene in effetti di mira la composizione del

consiglio comunale;

        la  razionalita’  del  criterio della considerazione unitaria

del  gruppo  di  liste  non   viene  meno  nell’ipotesi in cui, per la

ripartizione  dei  seggi  di  minoranza, concorrano liste che si sono

presentate  al  corpo  elettorale  singolarmente  e liste che si sono

presentate  in  raggruppamento,  dovendo  darsi prevalenza ai diversi

programmi    politici   sottoposti   al   giudizio   dell’elettorato,

considerazione ugualmente valida con riguardo al gruppi formatisi nel

turno di ballottaggio;

        non si deve tener conto dell’eventuale collegamento tra due o

piu’  liste  operato nell’ambito del primo turno di votazione, stante

l’ontologica  ed  insopprimibile  differenza tra detto collegamento e

quello   instaurato  ai  fini  del  ballottaggio,  rispondendo  l’uno

all’accordo  tra liste diverse per unire le proprie forze ad eleggere

subito  il  candidato  sindaco  appoggiato  anche in competizione con

altri candidati sia pure della medesima area politica, l’altro invece

alla  convergenza  di interessi tra piu’ forze politiche in relazione

all’esito  del  primo turno, diversamente determinandosi un risultato

disomogeneo, ossia la circostanza che il collegamento operato ai fini

del  primo  turno, ma superato di fatto dalle scelte dell’elettorato,

possa  diventare  decisivo  per  la definitiva assegnazione dei seggi

dopo il ballottaggio;

         in difetto di diversa precisazione, i riferimenti legislativi

al  computo  della  predetta  cifra  elettorale sembrano riguardare i

collegamenti  esistenti al momento in cui si effettuano le operazioni

di  cui  trattasi  e  quindi  i collegamenti come definiti al secondo

turno, non spiegandosi altrimenti l’utilita’ del collegamento in sede

di   ballottaggio,  collegamento  che  e’  preordinato  a  facilitare

ulteriori aggregazioni di liste, nella prospettiva di stabilita’ e di

efficienza  operativa  degli  organi  comunali,  e che, quindi, nella

distribuzione  dei  seggi  impone  una  considerazione  unitaria  del

gruppo.

    D’altra   parte,  il  secondo,  e  del  tutto  recente  indirizzo

giurisprudenziale e’ nel senso di ritenere che, ai sensi dell’art. 73

del  d.lgs.  n. 267  del  2000,  le  liste elettorali che non abbiano

conseguito  almeno il 3% dei voti sono escluse, sia dall’attribuzione

dei  seggi  nel  primo  turno,  sia  dalla  valutazione  della  cifra

elettorale  del  raggruppamento cui i delegati di tali liste decidano

di  fornire  il  proprio  appoggio  in  sede di ballottaggio, a nulla

valendo  che  nel secondo turno le stesse liste siano confluite in un

raggruppamento  che abbia superato tale soglia (Cons. St., sez. V, 10

febbraio 2003, n. 652; 4 giugno 2003, n. 3083).

    Tale  indirizzo  giurisprudenziale risulta prevalentemente basato

sulle seguenti considerazioni:

        l’utilizzazione  dei  voti ottenuti dalle liste che non hanno

superato  lo sbarramento al fine di integrare la cifra elettorale del

raggruppamento  indicato  dai  delegati di dette liste per l’appoggio

nel  turno  di  ballottaggio,  e  quindi per la scelta di uno dei due

candidati   a   sindaco   rimasti   in   lizza,  contrasta,  sia  con

l’espressione  del  voto  degli  elettori  che e’ stata formulata con

riguardo  ad  una  lista  che si e’ presentata autonomamente al primo

turno  elettorale  con  un  proprio  candidato  a  sindaco  e con uno

specifico  programma  elettorale, sia con la scelta che tali elettori

possono aver effettuato in sede di ballottaggio per sostenere l’uno o

l’altro  dei candidati rimasti in corsa per l’elezione, scelta avente

tre  possibilita’:  a)  non  votare  alcuno dei candidati perche’ non

ritenuti  meritevoli  di  sostegno;  b) votare a favore del candidato

indicato  dal  delegato  di  lista;  c)  votare  a  favore dell’altro

dandidato  in quanto preferito rispetto al candidato cui la lista per

la   quale  avevano  votato  al  primo  turno  si  e’  associata  nel

ballottaggio;

        ben   due  delle tre suindicate possibilita’ – lett. a) e c) –

contrastano  con  la  scelta  dei delegati di lista di far convergere

necessariamente  sul  candidato prescelto i voti conseguiti nel primo

turno,   mentre   nel   procedimento   elettorale   non  puo’  essere

privilegiata   un’interpretazione  che  non  sia  nel  massimo  grado

possibile  rispettosa  della  volonta’  degli elettori e che, invece,

consentirebbe ai delegati di lista di sostituirsi ai singoli elettori

nella  espressione  del  voto  integrando,  per  cosi’  dire, la loro

volonta’ attraverso lo spostamento, non solo a favore del candidato a

sindaco  prescelto,  ma anche a favore delle liste che lo sostenevano

al  primo turno, i voti conseguiti dalle liste che non hanno superato

lo sbarramento;

        nel primo turno i raggruppamenti avrebbero potuto presentarsi

uniti  e  se  non  l’hanno  fatto  cio’ ha determinato una fase della

competizione  elettorale  in  cui  sono  stati  avversari, sostenendo

diversi  candidati con differenti programmi, sicche’ non e’ possibile

sapere come il singolo elettore si sarebbe regolato per l’ipotesi che

fosse stato chiamato a scegliere tra raggruppamenti diversi da quello

cui  ha  attribuito il proprio consenso nel primo turno; pertanto, se

non si vuole incidere sul libero esercizio del diritto costituzionale

all’elettorato  attivo,  non  deve  essere  consentito altro che agli

elettori  stessi  di  modificare  il proprio orientamento nel segreto

dell’urna,  ma  non di certo ai delegati delle liste di appartenenza,

non  essendo  affatto  pacifico  che  la  scelta  dell’apparentamento

operata  dai  delegati  di  lista corrisponda alla scelta dei singoli

elettori;

        elementi  letterali  d’interpretazione delle norme consentono

d’individuare  una  netta  distinzione tra le due tornate elettorali,

impedendo  l’utilizzazione  dei risultati del primo turno per la fase

successiva  del  ballottaggio:  il voto di lista si riferisce solo al

primo  turno elettorale (comma 3 dell’art. 73 cit.), mentre nel turno

di  ballottaggio  il voto si esprime con riguardo al solo candidato a

sindaco  prescelto  (comma  8  dell’art. 72,  d.lgs. cit.), rimanendo

ininfluenti  le liste collegate ai fini dell’espressione del voto; la

cifra   elettorale  e’  costituita  dai  voti  di   lista  e,  quindi,

ragionevolmente  dai  voti  conseguiti  dalle  liste nel primo turno,

l’unico   nel   quale  esse  sono  direttamente  rilevanti  (comma  5

dell’art. 73  cit.);  l’assegnazione  dei  seggi e’ effettuata avendo

riguardo  alla  cifra  elettorale «nel turno di elezione del sindaco»

che,  appunto,  e’  il  primo  nel  quale  assumono rilievo le liste,

singole o collegate, che hanno riportato voti che compongono la cifra

elettorale  (comma  8  dell’art. 73  cit.); lo sbarramento del 3% dei

voti  validi  si  riferisce  al primo turno ed il mancato superamento

comporta  l’esclusione  dall’assegnazione  dei  seggi;  in  tale fase

procedimentale,  il  primo  momento e’ costituito dall’individuazione

della  cifra elettorale cui rimangono estranee le liste che non hanno

superato  lo sbarramento (comma 7 dell’art. 73 cit.); la disposizione

che  contempla  il procedimento per l’assegnazione dei seggi (comma 8

dell’art. 73  cit.)  si  riferisce  solo  al  primo  turno  e  non al

ballottaggio  che,  a  ben  vedere,  non e’ in alcun modo considerato

dalle norme sull’assegnazione dei seggi;

        la previsione normativa (comma 7 dell’art. 73 cit.) delle due

condizioni  negative  per  la  non  assegnazione  di  seggi  (mancato

conseguimento  del  3% dei voti e non appartenenza a nessun gruppo di

liste  che  abbia superato tale soglia), lungi dal riferirsi al turno

di ballottaggio, vuole evitare che siano escluse dall’assegnazione di

seggi  quelle  liste  che,  pur non avendo conseguito il 3% dei voti,

abbiano  tuttavia  aderito  ad  un  raggruppamento  di liste che tale

limite  ha  superato,  prevedendo  l’eccezione  alla  regola del c.d.

sbarramento,  onde incentivare le aggregazioni delle forze politiche;

tale  disposizione si colloca, comunque, nell’ambito della disciplina

del  primo  turno  e  non  in  quella del turno di ballottaggio, dove

l’indicazione  delle  liste,  pur  riportata  nelle schede, non entra

nella determinazione dei risultati che sono esclusivamente ricondotti

ai voti attribuiti ai candidati a sindaco.

    Dinanzi  a  due  diversi,  comunque  autorevoli  indirizzi  della

giurisprudenza,  il  collegio deve porsi il problema di quale dei due

sia da ritenere il piu’ conforme al sistema vigente.

    Entrambi  manifestano argomentazioni degne di considerazione, non

prive di elementi a favore dell’una o dell’altra soluzione.

    Il collegio, comunque, deve effettuare una necessaria premessa.

    Il  sistema elettorale vigente e’ stato introdotto con il preciso

intento di evitare che si verificasse un continuo ricorso alle urne e

ricambi  nel  governo  degli  enti  locali  a seguito di mutamenti di

posizioni   nell’ambito  della  maggioranza  e  dei  partiti  che  la

compongono,   con  la  precisa  volonta’  di  garantire  una  stabile

maggioranza e uno stabile governo dell’ente locale.

    Si  e’  scelto cosi’ di spingere le varie componenti a coagularsi

attorno  ad  una  persona  indicata quale sindaco che governi con una

stabile maggioranza durante l’intero mandato.

    E’ stato, percio’, previsto un premio di maggioranza da assegnare

a  colui  che avesse ottenuto la vittoria nel primo o secondo turno e

maggiori  attribuzioni di poteri alla giunta rispetto al consiglio in

un’ottica   di   rovesciamento   della  precedente  disposizione  che

conferiva alla competenza residuale del consiglio e non della giunta,

come  accade  ora,  i  compiti  che  non  fossero stati espressamente

conferiti  ad  uno  dei  due organi, scegliendo cosi’ la strada di un

esecutivo piu’ forte.

    Si  e’  voluto,  pero’, mantenere un doppio sistema e conservare,

percio’,  un  notevole  valore  al  vecchio  principio  proporzionale

introducendo,  anche,  la  possibilita’  del  voto  disgiunto  tra il

candidato a sindaco e le liste che lo sostengono.

    Il  sistema ha, poi, subito delle modi.che, anche a seguito della

pronuncia  n. 197/1996 della Corte costituzionale, le cui motivazioni

che  hanno  portato  al  rigetto della questione sottopostagli, hanno

indotto,  pero’,  il  legislatore a modificare la percentuale di voti

necessaria  al  primo turno per disporre il premio di maggioranza; di

recente, poi, dopo, percio’, che la Corte si era gia’ pronunciata, e’

stata   introdotta   una   norma   la   quale,  per  evitare  che  si

riproducessero  i  guasti della eccessiva frammentazione del voto, ha

escluso   dalla   ripartizione   dei  seggi  quelle  liste  che,  non

appartenendo  a  nessuna  coalizione, non avessero raggiunto al primo

turno almeno il 3% dei voti validi.

    Il  collegio deve subito osservare che il principio in realta’ ha

scarsa  consistenza  e  poco  importa  se una lista possa ottenere un

seggio  nella  coalizione,  quando  abbia  effettuato  la  scelta  di

appartenere  ad un raggruppamento, mentre assume rilevante importanza

proprio nel caso che la lista abbia effettuato una scelta di autonoma

presentazione dinanzi all’elettorato.

    Nel primo caso, infatti, ai sensi di quanto previsto dall’art. 73

del  decreto legislativo n. 267 del 2000, l’appartenenza ad un gruppo

di  liste  che  comunque  abbia  superato  la  soglia del 3%, provoca

effetti  favorevoli  anche  nei  confronti  di  quelle liste che tale

soglia non abbiano raggiunto.

    E’  questo  il  significato  della  norma  in questione la quale,

appunto,  esclude  dall’ammissione  all’assegnazione  dei  seggi solo

quelle liste che, non avendo ottenuto al primo turno almeno il 3% dei

voti  validi,  non  appartengano  a  nessun gruppo di liste che abbia

superato tale soglia.

    Effettuata  tale indispensabile premessa osserva il collegio come

l’argomento   posto  a  base  dell’indirizzo  giurisprudenziale  piu’

recente, ovvero che i raggruppamenti che non si sono presentati uniti

al  primo  turno  hanno  sostenuto  diversi  candidati con differenti

programmi,  sicche’  non e’ possibile sapere come il singolo elettore

si  sarebbe regolato per l’ipotesi che fosse chiamato a scegliere tra

raggruppamenti  diversi,  incide  sul  libero  esercizio  del diritto

costituzionale all’elettorato attivo, e’ valido non solo nell’ipotesi

di  liste  che  non  abbiano  raggiunto la soglia del 3%, ma anche di

quelli  che  tale  soglia  abbiano  superato  e  che comunque vengano

indirizzate  nel  turno  di ballottaggio a favore di una o dell’altra

delle liste.

    In  entrambi i casi, cioe’, la scelta dell’apparentamento operata

dai delegati di lista non e’ pacifico che corrisponda alla scelta dei

singoli elettori.

    In alcuno dei due casi, cioe’, la soluzione ipotizzata garantisce

all’elettorato una scelta consapevole.

    Non   sembra,   pertanto,   questo   un  elemento  sufficiente  a

giustificare l’attribuzione della possibilita’ di apparentamento solo

nel caso di raggiungimento della soglia del 3%.

    E’,  invece,  molto piu’ degna di considerazione l’argomentazione

che  rimanda  ad elementi letterali di interpretazione delle norme le

quali  consentono  di  individuare  una  netta distinzione tra le due

tornate  elettorali, dato che il voto di lista e’ richiamato solo nel

primo turno, mentre nel turno di ballottaggio il voto e’ espresso con

riguardo al solo candidato a sindaco.

    Nella  sentenza n. 152/2003 della quinta sezione del Consiglio di

Stato  si  legge,  in  effetti,  che  «dal punto di vista di elementi

letterali  d’interpretazione  che  consentono d’individuare una netta

distinzione   tra   le   due   tornate   elettorali  (primo  turno  e

ballottaggio) impedendo l’utilizzazione dei risultati del primo turno

per   una   fase   successiva   e   relativa   all’effettuazione  del

ballottaggio,  si  osserva che: a) il voto di lista si riferisce solo

al  primo  turno  elettorale  (cfr.  l’articolo 73, comma terzo 1 del

decreto  legislativo n. 267/2000) mentre nel turno di ballottaggio il

voto  si  esprime  con  riguardo al solo nome del candidato prescelto

(cfr.  art.  72, comma 1) rimanendo ininfluenti le liste collegate ai

fini  dell’espressione del voto; b) la cifra elettorale e’ costituita

dai  voti  di  lista  e,  quindi, ragionevolmente dai voti conseguiti

dalle  liste  del  primo turno, l’unico nel quale esse sono rilevanti

direttamente  (cfr. art. 73, comma 5); c) l’assegnazione dei seggi e’

effettuata avendo riguardo alla cifra elettorale aperte «nel turno di

elezioni  del  sindaco»  che,  appunto e’ il primo nel quale assumono

rilievo le liste, singole o collegate, che hanno riportato i voti che

compongono   la cifra elettorale (art. 73, comma 8); d) lo sbarramento

si   riferisce   al   primo   turno  e  comporta  l’esclusione  dalla

assegnazione  dei seggi. In tale ultimo procedimento il primo momento

e’,  pero’,  costituito  dall’individuazione  della  cifra elettorale

operazione  cui  rimangono  estranee  le liste che lo sbarramento non

hanno  superato  (art. 73, comma 7); e) la disposizione che contempla

il  procedimento  per  l’assegnazione dei seggi (art. 73, comma 8) si

riferisce  solo  al  primo  turno  e  non  al ballottaggio che, a ben

vedere,    non   e’   in   alcun   modo   considerato   dalle   norme

sull’assegnazione dei seggi».

    A  questi  elementi  di carattere lessicale va aggiunto che anche

l’interpretazione del Ministero degli interni, rilevabile, del resto,

dai  modelli  di  verbale  prestampati,  e’  quella  gia’ considerata

nell’indirizzo  piu’  recente  del  Consiglio  di  Stato,  visto  che

l’ufficio  elettorale  e’ stato costretto a modificare il verbale per

sostenere l’interpretazione da esso adottata.

      Queste  considerazioni,  difficilmente  contestabili  sul piano

letterale, posto anche che l’interprete nell’applicazione della legge

non  puo’  ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal

significato  proprio  delle  parole,  come si esprime l’art. 12 delle

disposizioni  sulla  legge in generale, condurrebbero necessariamente

all’accoglimento  del ricorso in aderenza con questo orientamento del

Consiglio di Stato.

    D’altro  canto  che  questa  debba  essere l’interpretazione piu’

conforme   al  dettato  legislativo  e’  dimostrato  dal  fatto  che,

altrimenti,  ove  fosse  consentito cioe’ l’apparentamento al secondo

turno,  la norma non avrebbe significato o meglio lo avrebbe soltanto

in  quei  casi,  peraltro  piuttosto  limitati,  nei  quali  uno  dei

candidati  a  sindaco  abbia raggiunto la maggioranza direttamente al

primo turno.

    Ma  se queste considerazioni fanno propendere il collegio per una

siffatta  interpretazione  della  norma,  lo  inducono,  tuttavia, in

perplessita’   sul   fatto   che   l’introduzione   della  soglia  di

sbarramento, disposta dall’art. 5 della legge 30 aprile 1999, n. 120,

sia  del  tutto  conforme all’ordinamento costituzionale in ordine al

principio  di parita’ e di uguaglianza di cui all’art. 3 della nostra

carta fondamentale, dato che si inserisce in un ordinamento basato su

un doppio turno elettorale nel quale alcune formazioni verrebbero del

tutto  escluse dal secondo turno; si pensi alla circostanza che anche

due  o  tre   gruppi  politici  potrebbero arrestarsi poco prima della

soglia  del  3%,  permettendo, in tal modo, l’esclusione di una parte

consistente dell’elettorato pari, in consimili casi, a circa il 9%.

    In  questo  caso,  tra  l’altro,  la  questione di illegittimita’

costituzionale, che il collegio non ritiene manifestamente infondata,

assumerebbe certo rilevanza.

    A  siffatto  riguardo,  poi,  non varrebbe ribattere alla tesi di

possibile  incostituzionalita’  che, comunque, gli elettori sarebbero

chiamati  ad  esprimersi.  Infatti,  il loro voto sarebbe indirizzato

solo  alla  indicazione  del  sindaco  e  si verificherebbe una netta

divaricazione  nel  calcolo del numero complessivo degli elettori tra

il  primo  e il secondo turno, con conseguenze distorte rispetto alla

composizione del consiglio.

       Ne’   va   dimenticato   che   sussiste   anche   una   palese

contraddittorieta’ insita nella norma di preclusione perche’ consente

l’apparentamento  a quelle formazioni che hanno raggiunto il 3% e non

alle   altre,   impedendo   la   valutazione   di   una   sola  parte

dell’elettorato espressosi al primo turno.

    Si  potrebbe anche a questo obiettare che si tratta di una scelta

del  legislatore  che ha voluto impedire una eccessiva frammentazione

del voto, ma questa obiezione non convince dal momento che, una volta

disposto  un  apparentamento,  la  frammentazione  verrebbe  comunque

evitata.

    Il   Consiglio   comunale,   poi,  con  un’operazione  di  dubbia

legittimita’,  viene  composto dal numero dei votanti al primo turno,

con  esclusione  di  una  parte  dell’elettorato,  e  con inevitabili

aggiustamenti  rispetto  al  totale  dei  voti gia’ espressi al primo

turno che necessariamente finirebbero per individuare una percentuale

diversa  da  quella  gia’  calcolata  per  evitare l’attribuzione del

premio di maggioranza.

    E’  vero,  come  ha  gia’  affermato  il Consiglio di Stato nella

richiamata  sentenza n. 3083/03, che la norma tende ad incentivare le

aggregazioni  delle forze politiche, prevedendo la possibilita’ di un

accorpamento  dei  voti  e  risponde, come gia’ accennato dalla Corte

costituzionale,  ad  una precisa scelta del legislatore ma, ad avviso

del  collegio,  se si giustifica in un sistema proporzionale puro, e’

dubbio  che  possa  trovare  una  logica  collocazione  in un sistema

elettorale   maggioritario   che   e’   indirizzato  a  garantire  la

governabilita’   dell’ente   locale   per   tutto  il  mandato;  tale

sbarramento,  infatti,  non  consentendo  la  valutazione  al secondo

turno,  finisce  col lasciare fuori dalle scelte, comunque, una parte

dell’elettorato  e  stravolge  o quanto meno incide in modo reale sul

principio di governabilita’.

    Tali   considerazioni  sono,  poi,  avvalorate  da  un  ulteriore

disposizione  presente nel sistema elettorale vigente e, cioe’, dalla

condizione  apposta  nel  comma  8 dell’art. 73 del Testo unico sugli

enti  locali,  la  quale  prevede che non possa scattare il premio di

maggioranza  per  il  sindaco eletto, quando un altro gruppo di liste

abbia superato nel primo turno il 50% dei voti validi.

    A  siffatto  riguardo  va, poi, considerato che le argomentazioni

introdotte  dalle  sentenze  del  Consiglio  di  Stato  piu’  innanzi

richiamate  sono  state  formulate  proprio in rapporto a fattispecie

nelle  quali  non  si  era verificata la condizione di cui al comma 8

dell’art.  73  del  testo unico n. 267/2000, consentendo in quel caso

l’attribuzione del premio di maggioranza.

    Tale aspetto della questione va indubbiamente considerato perche’

fa   emergere   ulteriori   elementi   in   ordine   alla   possibile

incostituzionalita’  di  tutto  il  sistema,  cosi’ come oggi risulta

conformato,  per  quanto riguarda il principio di ragionevolezza e il

principio  cardine  del buon andamento della Pubblica amministrazione

di cui all’art. 97 della Costituzione.

    Ne  costituisce  evidente  dimostrazione  la  circostanza  che il

presente  ricorso  sia  stato  presentato  non  soltanto da colui che

aspira  alla  posizione  di  consigliere  ma  da molti di coloro che,

appartenendo  al  gruppo  di  opposizione  al  sindaco  eletto, hanno

cercato in qualsiasi modo di ottenere la maggioranza in consiglio con

l’evidente  intento  di  porre  in difficolta’ il governo del sindaco

eletto e, quindi, del Comune di Pescara.

    Infatti,   l’apparentamento  delle  liste,  operato  dall’ufficio

elettorale,  ha consentito ad entrambe le formazioni che appoggiavano

i   due  candidati  del  turno  di  ballottaggio  di  ottenere  venti

consiglieri,  determinando, quindi, in favore del sindaco eletto, una

maggioranza  anche nell’organo consiliare, attraverso l’utilizzazione

della sua posizione di ventunesimo consigliere.

    Di qui anche la ragione del ricorso.

    E’   certamente  vero  che  l’apparentamento  si  sarebbe  potuto

indirizzare anche nei confronti del candidato a sindaco non eletto ma

tale   elemento   avvalora   ancor   piu’   la  possibilita’  che  la

governabilita’  dell’ente  locale  in  questo caso potesse ancor piu’

essere posta in notevoli difficolta’.

    Si  deve  ritenere,  quindi,  che la condizione di cui all’art. 8

costituisca un ulteriore elemento per censurare le scelte legislative

e  rimettere  la  questione  al  giudice  delle leggi per valutame la

costituzionalita’.

    A   suffragare,  infatti, l’ipotesi del collegio che la condizione

di  cui al sesto comma dell’art. 73 del Testo unico sugli enti locali

possa  in  qualche  modo  rappresentare  un  contrasto  con  il  buon

andamento  dell’amministrazione ed il principio di ragionevolezza, e’

la  innanzi richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 197 del

4  aprile  1996,  la  quale,  pur chiamata ad esprimersi su questione

diversa,  ha  comunque  effettuato  alcune considerazioni che possono

essere prese in esame sia a favore che contro la tesi del collegio.

    Si  legge  in un passo di questa decisione che «una volta che non

e’  contestato – come il giudice a quo non contesta – la legittimita’

costituzionale  del  principio  del  voto disgiunto, e si ammette che

l’adozione di tale principio rientra nei possibili modelli elettorali

che  il  legislatore puo’, nell’esercizio della sua discrezionalita’,

disegnare,   deve   necessariamente   riconoscersi   anche   che   la

governabilita’  dell’ente  locale  non  e’  assunta   come  un  valore

assoluto,  ma  e’  apprezzata  come  valore specificamente tutelabile

(giustificandosi  l’alterazione  del criterio proporzionale) soltanto

nel  caso,  di  maggior  allarme,  della, frammentazione dei consensi

espressi,  che  e quello del sindaco «debole» collegato ad una o piu’

liste  «deboli»  (nel  senso  sopra precisato). D’altra parte, che la

governabilita’  non  sia  un  valore  assoluto  e’ dimostrato proprio

dall’ipotesi,  che  puo’  verificarsi e della cui legittimita’ non si

dubita,  della maggioranza assoluta conseguita (al primo turno) dalla

lista  contrapposta,  o  comunqe  non  collegata, al candidato eletto

sindaco.  In  questo  caso  (in  cui  il  rischio della cosiddetta in

governabilita’   e’   massimo)  il  sindaco,  salva  la  facolta’  di

dimettersi  cosi’  provocando  lo  scioglimento  del  consiglio, deve

convivere  con  una  maggioranza  a  lui  contrapposta;  ma  cio’  e’

conseguenza della divaricazione del consenso espresso dall’elettorato

con  il  voto  disgiunto,   divaricazione  che  il legislatore intende

rispettare  per  non premiare (se non proprio penalizzare) il sindaco

che   si  e’  collegato  alla  lista  che  non  riscuote  sufficienti

consensi».

    In  altri termini sembrerebbe di comprendere dalla sentenza della

Corte  che  il  legislatore  ha  stabilito  che  la governabilita’ e’

maggiormente   meritevole   di   tutela   in   ordine   all’eventuale

frammentazione dei voti piu’ che dalla presenza di un sindaco debole.

    Cio’ e’ fonte di ulteriore perplessita’ per la contraddittorieta’

intrinseca che manifesta tale soluzione, se questo e’ stato veramente

l’intento del legislatore.

    Non  si  comprende,  infatti,  visto  il  sistema  elettorale  in

questione  nel  suo  contesto  perche’ la governabilita’ possa essere

meglio  garantita  se  esiste un sindaco debole rispetto ad un quadro

politico frammentato.

    Sulle  argomentazioni  delle  decisioni  della  Corte, osserva il

collegio  che  il  giudice delle leggi, ha preso, pero’, in esame una

situazione  diversa  da quella proposta oggi al giudizio del collegio

ed ha considerato come il giudice a quo abbia omesso ogni riferimento

ad   eventuali  problemi  di  legittimita’  costituzionale  del  voto

disgiunto  o  della condizione di cui al sesto comma dell’art. 73 del

Testo unico oggi vigente.

    Pur  ritenendo, poi, astrattamente possibile e conseguente ad una

scelta  legislativa  la  possibilita’  del voto disgiunto, sul quale,

peraltro,  non  era stata chiamata ad esprimersi, ha affermato che la

governabilita’  non  e’  stata assunta come un valore assoluto, ma e’

comunque  apprezzata  come valore specificamente tutelabile; ha fatto

discendere  la  sua considerazione proprio dalla circostanza che puo’

verificarsi  l’ipotesi  in  cui  al primo turno vi sia la maggioranza

assoluta  della lista contrapposta (ipotesi anche questa nella quale,

peraltro,  la  Corte  non  era stata chiamata ad esprimersi) nel qual

caso,   peraltro,   ha   anche   osservato   che   il  rischio  della

ingovernabilita’ e’ massimo.

    Ritiene  allora  il  collegio che, comunque, anche sotto siffatto

profilo,  anch’esso rilevante nella presente questione, visto che non

si  e’  potuta  applicare  la  norma  che consente l’attribuzione del

premio   di  maggioranza,  vada  proposta  la  questione  alla  Corte

costituzionale  perche’  la  esamini  direttamente in ordine alle due

ipotesi  del voto disgiunto e della condizione posta per impedire che

scatti  il  premio  di  maggioranza nel turno di ballottaggio, ovvero

all’ipotesi  che  la   lista  che non abbia espresso il sindaco, abbia

comunque ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi.

    La  tesi  del  collegio  scaturisce  da alcune considerazioni che

attengono   alla   specificita’  della  questione  in  esame  e  alla

possibilita’  che,  in  fondo,  un  esame  dettagliato  proprio sulla

questione  cosi’  com’e’  gli  e’ stata sottoposta, possa determinare

nella  Corte  costituzionale  un  convincimento diverso da quello che

sembrava  nascere dalla sentenza cui il collegio si richiama, ma che,

pero’,  si ribadisce riguardava un aspetto che non era stato preso in

esame   in  via  diretta,  ma  costituiva,  come  e’  evidente  dalle

motivazioni della decisione n. 197/ 1996, un mero obiter dictum.

    In  effetti,  se  il  voto disgiunto non e’ in se’ un male e puo’

anche  essere giustificato, e’ evidente che tale aspetto del problema

non puo’ non tener conto del sistema nel quale esso si inserisce.

    Situazioni  nelle quali una maggioranza di segno politico diverso

dall’esecutivo    espresso   non  e’  una  novita’  assoluta  e  trova

corrispondenza   in  alcuni  ordinamenti  democratici.  Tuttavia,  la

situazione  va  sempre valutata in rapporto all’ordinamento nel quale

si  inserisce  e  (come lo stesso giudice delle leggi riconosce nella

sentenza  citata),  nel  caso  che e’ stato sottoposto al collegio il

rischio  di ingovernabilita’ e’ massimo e potrebbe essere addirittura

piu’  grave  la’  dove  le liste non collegate al primo turno abbiano

deciso  di  spostare  i  loro  voti  (senza  riuscire  a esprimere il

sindaco), in favore della maggioranza del consiglio.

    In  una  siffatta  ipotesi  la  divaricazione  tra  maggioranza e

sindaco  sarebbe  ancora  maggiore  per  cui  non resterebbe, come la

stessa  corte  osserva,  che  la  soluzione di dimissioni del sindaco

eletto e di scioglimento conseguente del consiglio.

    Pero’,  tale  soluzione  non sembra corrispondere al principio di

buon  andamento  del  governo  della  cosa pubblica, perche’ verrebbe

completamente frustrata la volonta’ dell’elettorato il quale vedrebbe

compromesse le sue scelte e chiamato nuovamente alle urne.

    Anche  un  eventuale  tentativo  di  governo  troverebbe continui

ostacoli  e  la spada di Damocle della mozione di sfiducia, contenuta

nella  disposizione dell’art. 52 del Testo unico n. 267/2000 la quale

prevede, appunto, che il sindaco e le rispettive giunte cessano dalla

carica  in  caso  di  approvazione  di  una mozione di sfiducia della

maggioranza assoluta dei componenti del consiglio.

    D’altronde, che la contemporanea presenza delle due disposizioni,

che  si rimettono al giudizio della Corte, possa creare degli effetti

distorti, e’ emblematicamente rappresentata da alcune situazioni che,

come accennato piu’ avanti, possono in pratica verificarsi.

    Si’  esaminino  i  casi  seguenti,  prendendo in considerazione 5

liste come e’ accaduto nel caso sottoposto al collegio:

IPOTESI A.

    1) – I gruppo di liste apparentate 50,01%;

    2) – II gruppo di liste apparentate 41,29%;

    3) – lista autonoma 2,90%;

    4) – lista autonoma 2,90%;

    5) – lista autonoma 2,90%.

    In  questa fattispecie non sarebbe possibile alcun apparentamento

al  secondo turno e se il sindaco risultato eletto fosse il candidato

della   lista   con   il  41,20%  dei  voti,  il  Consiglio  comunale

risulterebbe  cosi’  composto:  I gruppo  di liste apparentato 22, II

gruppo  di  liste apparentato 18, per il gioco dei resti. In effetti,

rapportando  a  100  le  percentuali  calcolabili, in un comune di 40

consiglieri,  ad  ogni  lista  doveva essere assegnato un seggio ogni

2,28 voti percentuali, anziche’ 2,25.

    In  questo  caso,  cioe’, sarebbero state penalizzate, cosi’ come

voluto  dal  legislatore  le  liste non apparentate, ma, nello stesso

tempo,  avrebbe  avuto   un  premio, al di la della stessa percentuale

ottenuta,  la  lista  che  non  avesse  espresso il sindaco. Sarebbe,

cioe’, scattato un premio di maggioranza alla rovescia.

    Si  consideri, invece il caso che il I gruppo di liste non avesse

raggiunto  al  primo turno il 50,01% dei voti ma, per ipotesi solo il

49,09%;  in  questo caso l’altro raggruppamento avrebbe conseguito il

premio  di maggioranza, ottenendo 24 seggi su 40 mentre il I, per una

differenza % di solo 0,2, ben 6 seggi in meno.

IPOTESI B.

     1) – I raggruppamento di liste 50,01%;

    2) – II raggruppamento di liste 40,09%;

    3) – Lista autonoma 3%;

    4) – Lista autonoma 3%;

    5) – Lista autonoma 3%.

    In  questo  caso  ognuno  dei  due  raggruppamenti,  ove le liste

autonome,   le  quali  in  un  caso  di  questo  tipo  si  potrebbero

apparentare,   avessero   espresso   il   loro  consenso  per  il  II

raggruppamento, avrebbe ottenuto 20 consiglieri.

    A riprova, poi, che le scelte legislative non sembrano dettate da

una  logica  stringente,  mutuando  dalle  considerazioni della Corte

nella  richiamata  sentenza  n. 197  del  1996, si puo’ osservare che

l’eletto  sindaco  sarebbe  maggiormente tutelato in una posizione di

partenza  piu’ debole, quella cioe’ nella quale al primo turno avesse

ottenuto il 40,09 anziche’ il 41,29.

    E’  vero, come afferma il Consiglio di Stato nella sua decisione,

che  in  questo caso si sarebbe verificata l’ipotesi che, in pratica,

gli  elettori,  potendo  essi,  comunque,  manifestaieil  loro  voto,

avrebbero cosi confermato le indicazioni del delegato di lista, ma si

dovrebbe  pur  sempre  spiegare  come  mai  questa  conferma,  con le

inevitabili   conseguenze   sulla   composizione  del  consiglio,  e’

possibile in un caso e non nell’altro.

    Resta,  cioe’,  difficile  accettare  un  principio  che  esclude

comunque  dal  gioco  delle elezioni per uno degli organi eletti, una

parte   dell’elettorato   dal   secondo  turno  che,  in  ogni  caso,

rappresenta anch’esso un momento di consenso del corpo elettorale.

    Ma  vi  e’  un’ulteriore considerazione da fare: si consideri che

nell’ipotesi  B,  le  liste  non  apparentate  decidano  di spostare,

attraverso i delegati di lista, sul I raggruppamento il loro consenso

ma  che  gli  elettori spostino il loro voto, comunque, sul candidato

de1   II  che  ottenga  cosi’  l’elezione  a  sindaco  nel  turno  di

ballottaggio.

    Orbene,  in  questo  caso  il  Consiglio  sarebbe  composto da 24

consiglieri  della  «minoranza»  e da 16 della «maggioranza», facendo

verificare   cioe’   quell’ipotesi   di   assoluta   ingovernabilita’

individuato dalla Corte nella sua precedente sentenza ed in contrasto

palese  con  le  scelte  dell’elettorato  che, avendo individuato nel

turno di ballottaggio il sindaco nel candidato del II raggruppamento,

ha indubbiamente con cio’ manifestato la sua preferenza.

    Verrebbero,    percio’,   completamente   frustrate   le   scelte

dell’elettorato  facendo  verificare  proprio  quell’ipotesi  che  il

Consiglio  di  Stato,  scegliendo  il  suo ultimo orientamento, aveva

paventato che si potessero altrimenti verificare.

    Di qui, secondo il parere del collegio, l’illogicita’ del sistema

e la violazione di ogni principio di ragionevolezza.

    Ritiene,  percio’,  il  collegio  che  la  questione debba essere

sottoposta  alla  Corte costituzionale sotto il duplice profilo della

violazione  del  principio  di  eguaglianza,  nella misura in cui non

permette  al  turno  di  ballottaggio che alcune formazioni politiche

trovino la loro considerazione nel secondo turno elettorale il quale,

comunque,  puo’  modificare le scelte gia’ effettuate dagli elettori,

e,   sotto   il   profilo  della  non  manifesta  infondatezza  della

illegittimita’   costituzionale,  per  violazione  del  principio  di

ragionevolezza  e  del  buon  andamento  dell’amministrazione,  della

condizione,  posta  nell’ottavo  comma  di  cui all’art. 73 del Testo

unico,  nella  misura  in  cui,  qualora  la componente che non abbia

espresso  il  sindaco abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti

validi  al  primo turno, impedisca l’attribuzione di qualsiasi premio

di   maggioranza   al  sindaco  risultato  eletto;  sembra,  infatti,

necessaria  una modifica del sistema in modo da evitare, quanto meno,

che  non  si  verifichi  il rischio della cosiddetta ingovernabilita’

assoluta, rilevato, del resto, dalla stessa Corte costituzionale.

    Una  circostanza  peculiare  e  poi  emblematica della situazione

particolare che si e’ verificata e potrebbe verificarsi in futuro nel

sistema  cosi’  com’e’ studiato attualmente, e’ costituito dal fatto,

verificatosi  nella  presente  fattispecie,  che  al  primo turno, il

numero  dei  voti  ottenuti  dalle  liste,  che hanno poi ottenuto la

maggioranza   in   consiglio,   e’   inferiore   alla  manifestazione

complessiva  di  voto  che ha ottenuto il sindaco eletto nel turno di

ballottaggio,  in  conseguenza del sistema del voto disgiunto e delle

condizioni   assunte   per  stabilire  quando  scatti  il  premio  di

maggioranza.

     Questo,  pertanto,  in siffatti casi, risulterebbe eccessivamente

penalizzato rispetto alla volonta’ espressa dagli elettori laddove la

condizione  gia’  richiamata  di  cui all’art. 73, non attribuisca in

qualche  modo  la possibilita’ di valutare in modo piu’ favorevole il

risultato  elettorale ottenuto dall’eletto nel turno di ballottaggio,

limitando adeguatamente la condizione di cui al n. 8 dell’art. 73 del

Testo  unico  sugli enti locali, contenuto nel decreto legislativo 18

agosto 2000.

    Ritiene,  pertanto,  il  collegio  che,  cosi  come esposto nelle

considerazioni  innanzi  avanzate,  si possa ritenere rilevante nella

fattispecie   e   non   manifestamente  infondata  una  questione  di

costituzionalita’,  delle  norme  di cui ai numeri 7 e 8 dell’art. 73

del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per contrasto con gli

articoli 3 e 97 della Costituzione.

    La  prima  perche’  tratta  in  modo  difforme  alcune  liste  di

candidati  nel  primo  e  secondo turno in dipendenza dell’avvenuto o

meno   apparentamento  al  primo  turno,  la  seconda  perche’  porre

condizioni  per evitare l’attribuzione del premio di maggioranza, non

soltanto costituisce una violazione del desiderio degli elettori, non

valutando  le  scelte  da  questi  operate  in  un  secondo  turno di

elezione,   ma   comporta   inevitabilmente   un  forte  pericolo  di

ingovernabilita’ dell’ente locale.

    Il  giudizio  deve, pertanto, essere sospeso con remissione degli

atti alla Corte costituzionale.

                               P. Q. M.

    Rilevata  d’ufficio la non manifesta infondatezza della possibile

illegittimita’  costituzionale  delle  norme  di  cui ai numeri 7 e 8

dell’art.  73  del  decreto  legislativo  18 agosto 2000, n. 267, per

contrasto  con  gli articoli 3 e 97 della Costituzione, e ritenuta la

sua  rilevanza  nel  caso  di specie, sospende il presente giudizio e

rimette gli atti alla Corte costituzionale.

    Ordina alla segreteria della sezione di trasmettere gli atti alla

Corte  costituzionale e copia della ordinanza alle parti in causa, ai

Presidenti dei rami del Parlamento, alla Presidenza del Consiglio dei

ministri e al Ministero degli interni.

    Cosi’ deciso in Pescara, il 15 gennaio 2004.

                   Il presidente estensore:Cantoni