Lavoro e Previdenza

Thursday 05 May 2005

Sicurezza del lavoro marittimo. L’ Italia dichiarata inadempiente alle Direttive UE SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione) 28 aprile 2005

Sicurezza del lavoro marittimo. L’Italia dichiarata inadempiente alle
Direttive UE

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
28 aprile 2005

"Inadempimento
di uno Stato – Direttiva 1999/95/CE – Orario di lavoro della gente di mare a
bordo delle navi – Mancata trasposizione entro il termine prescritto"

Nella causa C-410/03,

avente ad oggetto un ricorso per
inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE , proposto il 1º ottobre 2003,

Commissione delle Comunità europee,
rappresentata dalla sig.ra K. Banks e dal sig. K. Simonsson, in qualità di agenti,
con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata
dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. A. Cingolo,
avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta dal sig. K. Lenaerts,
presidente di sezione, dalla sig.ra N. Colneric
(relatore) e dal sig. J.N. Cunha
Rodrigues, giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver
sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1. Con il suo ricorso, la Commissione delle
Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana,
non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo
e del Consiglio 13 dicembre1999, 1999/95/CE, concernente l’applicazione delle
disposizioni relative all’orario di lavoro della gente
di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti della Comunità (GU 2000, L 14, pag. 29), o
avendo omesso di comunicarle le dette disposizioni, è venuta meno agli obblighi
ad essa incombenti in forza di tale direttiva.

2. La Repubblica italiana
chiede il rigetto del ricorso della Commissione.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

3. La direttiva del Consiglio 21
giugno 1999, 1999/63/CE, relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario
di lavoro della gente di mare concluso dall’Associazione armatori della
Comunità europea (ECSA) e dalla Federazione dei sindacati dei trasportatori
dell’Unione europea (FST) (GU L 167, pag. 33), è
finalizzata all’attuazione di detto accordo, riportato in allegato a tale
direttiva (in prosieguo: l’"accordo"), che si ispira a talune
disposizioni della convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro
(in prosieguo: l’"OIL") n. 180 sull’orario di lavoro della gente di
mare e sulla composizione dell’equipaggio, adottata il 22 ottobre 1996.

4. La clausola 4 dell’accordo dispone
quanto segue:

"Fatta salva la clausola 5, il
modello normale di orario di lavoro della gente di
mare si basa in linea di massima su una durata di otto ore al giorno con un
giorno di riposo per settimana e riposo nei giorni festivi. Gli Stati membri
possono introdurre procedure per autorizzare o registrare accordi collettivi
che stabiliscono l’orario normale di lavoro della gente di mare sulla base di modalità che non devono essere meno favorevoli
di detto modello".

5. La clausola 5 dell’accordo prevede
quanto segue:

– "1. La durata dell’orario di
lavoro o di riposo si configura come segue: a) il numero massimo di ore di lavoro non deve superare:

i) 14 ore su un periodo di 24 ore; e

ii) 72 ore su un periodo di 7 giorni;

o

b) il numero minimo di ore di riposo non dev’essere
inferiore a:

i) 10 ore su un periodo di 24 ore; e

ii) 77 ore su un periodo di 7 giorni.

– 2. Le ore di riposo possono essere
ripartite in non più di due periodi, uno dei quali dovrà essere almeno della
durata di 6 ore e l’intervallo tra periodi consecutivi di riposo non dovrà
superare 14 ore.

– 3. Gli appelli, le esercitazioni
antincendio e di salvataggio e le esercitazioni prescritte da regolamenti e
normative nazionali e da testi internazionali sono svolti in modo da ridurre al
minimo il disturbo nei periodi di riposo e non provocare affaticamento.

– 4. Riguardo a situazioni in cui la
gente di mare è a disposizione, come nel caso di un reparto macchine
incustodito, essa beneficia di un periodo compensativo di riposo qualora il
normale periodo di riposo sia disturbato da ordini di
lavoro.

– 5. Riguardo ai paragrafi 3 e 4, in assenza di accordi collettivi e di arbitrati ovvero se le autorità
competenti stabiliscono che le disposizioni nell’accordo o nell’arbitrato sono
inadeguate, spetta alle autorità competenti definire dette disposizioni per
garantire che la gente di mare interessata benefici di sufficiente riposo.

– 6. Col dovuto
rispetto dei principi generali di tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori, gli Stati membri possono applicare normative nazionali, regolamenti
o procedure che consentono alle autorità competenti di autorizzare o registrare
contratti collettivi che consentono deroghe ai limiti fissati ai paragrafi 1 e
2. Tali deroghe debbono, nella misura del
possibile, rispettare i modelli fissati ma possono tener conto di congedi più
frequenti o più lunghi o della concessione di congedi compensativi per la gente
di mare addetta alla guardia o operante a bordo di navi su brevi rotte.

– 7. In un posto facilmente
accessibile, unitamente alle modalità di lavoro a bordo, è apposta una tabella
indicante per ciascuna mansione almeno:

a) il programma di servizio in mare e
in porto; nonché

b) il numero massimo di ore di lavoro o il numero minimo di ore di riposo
richiesti da normative, regolamenti o accordi collettivi vigenti negli Stati
membri.

– 8. La tabella di
cui al paragrafo 7 è configurata secondo un modello standard nella lingua o
nelle lingue di lavoro della nave, oltre che in inglese".

6. La clausola 8 dell’accordo è
formulata come segue:

– "1. Si devono tenere registri
su cui riportare le ore giornaliere di lavoro o le ore
giornaliere di riposo della gente di mare per verificare il rispetto delle
disposizioni di cui alla clausola 5. La gente di mare riceve una copia del
registro che la riguarda, che dovrà essere firmata dal comandante o dalla
persona da lui autorizzata e dal membro della gente di mare.

– 2. Si devono definire procedure per
la tenuta di tali registri a bordo, nonché gli
intervalli con cui rilevare le informazioni. Il modello dei registri delle ore di lavoro o di riposo della gente di mare è stabilito
tenendo conto degli orientamenti internazionali vigenti. Il modello è nella
lingua o nelle lingue di cui alla clausola 5,
paragrafo 8.

– 3. Una copia delle disposizioni
pertinenti della normativa nazionale riguardante il presente accordo
e i relativi accordi collettivi dev’essere tenuta a
bordo ed essere facilmente accessibile per l’equipaggio".

7. Ai sensi della clausola 9
dell’accordo:

"I registri di cui alla clausola
8 saranno esaminati e vistati a intervalli adeguati
per verificare il rispetto delle disposizioni che disciplinano le ore di lavoro
o di riposo in attuazione del presente accordo".

8. Il quarto ‘considerando’ della direttiva 1999/95 ricorda che l’accordo si applica al
personale navigante a bordo di qualsiasi nave marittima, appartenente ad una
compagnia pubblica o privata, iscritta nel registro di uno Stato membro e
adibita normalmente ad operazioni marittime commerciali.

9. Ai sensi del quinto ‘considerando’
della direttiva 1999/95, questa è diretta ad applicare
a tutte le navi che fanno scalo in un porto della Comunità, a prescindere dalla
loro bandiera, le disposizioni della direttiva 1999/63 che si basano su quelle
della convenzione OIL n. 180, al fine di individuare e porre fine alle
situazioni manifestamente pericolose per la sicurezza o la salute della gente
di mare.

10. L’art. 1º della direttiva 1999/95
dispone quanto segue:

– "1. Scopo della presente
direttiva è istituire un sistema di verifica e di controllo dell’osservanza delle disposizioni della direttiva 1999/63/CE da parte delle
navi che fanno scalo nei porti degli Stati membri al fine di migliorare la
sicurezza in mare e le condizioni di lavoro, sanitarie e di sicurezza della
gente di mare a bordo delle navi.

– 2. Gli Stati membri adottano misure
adeguate affinché le navi che non sono registrate nel loro territorio o che non
battono la loro bandiera rispettino le clausole da 1 a 12 dell’accordo che figura
nell’allegato della direttiva 1999/63/CE".

11. L’art. 3 della direttiva 1999/95,
intitolato "Elaborazione di relazioni", prevede quanto segue:

"Fatto salvo l’articolo 1,
paragrafo 2, qualora uno Stato membro nel cui porto una nave abbia
fatto scalo volontario nel normale esercizio delle proprie attività
commerciali oppure per ragioni operative, riceva un reclamo da esso non
ritenuto manifestamente infondato o acquisisca prova del fatto che la nave non
rispetta le norme previste dalla direttiva 99/63/CE, elabora una relazione che
invia al governo del paese di registrazione della nave e, allorché un’ispezione
effettuata a norma dell’articolo 4 fornisca le prove in merito, tale Stato
membro adotta tutte le misure necessarie per fare modificare le condizioni a
bordo che risultano manifestamente pericolose per la sicurezza o la salute
dell’equipaggio.

L’identità della persona che presenta
il reclamo non deve essere resa nota al comandante né al proprietario della
nave in questione".

12. Ai sensi dell’art. 4 della
direttiva 1999/95, intitolato "Ispezione e ispezione
più dettagliata":

– "1 L.’ispettore, quando effettua
un’ispezione, per acquisire la prova che la nave non rispetta le prescrizioni
della direttiva 1999/63/CE, verifica se:

– sia stata elaborata una tabella
dell’organizzazione del lavoro a bordo, nella lingua o nelle lingue di lavoro
utilizzate sulla nave e in lingua inglese conforme al modello riprodotto
nell’allegato I, o ad altro equivalente, e che essa
sia affissa a bordo in un luogo di facile accesso;

– sia tenuto un registro delle ore di
lavoro o di riposo della gente di mare, nella lingua o
nelle lingue di lavoro utilizzate a bordo e in lingua inglese conforme al
modello riprodotto nell’allegato II o ad altro equivalente, conservato a bordo
e debitamente vidimato dall’autorità competente dello Stato in cui la nave è
registrata.

– 2. A norma del paragrafo 1,
allorché un reclamo sia stato ricevuto o l’ispettore ritenga, in base alle sue
osservazioni a bordo, che i lavoratori si trovino in stato di
eccessivo affaticamento, egli effettua un’ispezione più dettagliata per
determinare se le ore di lavoro prestate o i periodi di riposo iscritti nel registro
corrispondano alle norme stabilite dalla direttiva 1999/63/CE nel settore
marittimo e se essi siano stati debitamente osservati, tenendo conto di altri
registri concernenti il funzionamento della nave".

13. L’art. 5 della direttiva 1999/95,
intitolato "Eliminazione delle irregolarità", è formulato come segue:

– "1. Qualora l’ispezione o
l’ispezione più dettagliata riveli che la nave non è conforme ai requisiti
della direttiva 1999/63/CE, lo Stato membro adotta le misure necessarie per far
sì che vengano modificate le condizioni a bordo che
comportano un pericolo manifesto per la sicurezza o la salute della gente di
mare imbarcata. Tali misure possono consistere in un divieto di lasciare il
porto fino a che non siano state eliminate le
irregolarità constatate o fino a che la gente di mare non si sia
sufficientemente riposata.

– 2. Allorché esistano
prove evidenti che i membri dell’equipaggio incaricati del primo turno di
guardia o dei turni successivi si trovano in uno stato di affaticamento eccessivo,
lo Stato membro provvede affinché la nave non lasci il porto prima che siano
state eliminate le irregolarità constatate o che l’equipaggio si sia
sufficientemente riposato".

14. L’art. 6 della direttiva 1999/95,
intitolato "Misure successive", recita:

– "1. Nel caso in cui sia stato prescritto ad una nave il fermo in un porto a
norma dell’articolo 5, l’autorità competente dello Stato membro informa il
comandante, il proprietario o l’armatore della nave, le autorità dello Stato di
bandiera o dello Stato di immatricolazione della nave o le autorità consolari,
oppure, in mancanza di queste, la rappresentanza diplomatica più vicina di tale
Stato dei risultati delle ispezioni di cui all’articolo 4, delle decisioni
dell’ispettore o delle eventuali misure correttive richieste.

– 2. In caso di ispezione
a norma della presente direttiva occorre evitare nella misura del possibile
indebiti ritardi alla nave. Qualora una nave subisca indebiti
ritardi, il proprietario o l’armatore ha diritto di richiedere un indennizzo
per eventuali perdite o danni subiti. In tutti i casi in cui si faccia valere un ritardo indebito, l’onere della prova
incombe al proprietario o all’armatore della nave".

15. Ai sensi dell’art. 7 della stessa
direttiva, intitolato "Diritto di ricorso":

– "1. Il proprietario o
l’armatore di una nave o il suo rappresentante in uno Stato membro ha il
diritto di ricorrere contro una decisione di fermo adottata
dall’autorità competente. Il ricorso non sospende il fermo.

– 2. A tal fine gli Stati membri
istituiscono e mantengono in vigore le opportune procedure di ricorso, secondo
le rispettive legislazioni nazionali.

– 3. L’autorità competente informa
adeguatamente il comandante della nave di cui al paragrafo 1 del
diritto di ricorso".

16. L’art. 8 della detta direttiva,
intitolato "Cooperazione tra amministrazioni", è formulato come
segue:

– "1. Gli Stati membri adottano
le disposizioni necessarie per garantire una cooperazione tra le proprie
autorità competenti e le autorità competenti degli Stati membri per l’effettiva
attuazione della presente direttiva, in condizioni compatibili con quelle
previste dall’articolo 14 della direttiva 95/21/CE del Consiglio, del 19 giugno
1995, relativa all’attuazione di norme internazionali per la sicurezza delle navi,
la prevenzione dell’inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo,
per le navi che approdano nei porti comunitari o che navigano nelle acque sotto
la giurisdizione degli Stati membri (controllo dello Stato di
approdo) Gli Stati membri comunicano
alla Commissione le disposizioni adottate.

– 2. Le informazioni relative alle misure adottate a norma degli articoli 4 e 5
sono pubblicate secondo modalità identiche a quelle previste al primo comma
dell’articolo 15 della direttiva 95/21/CE".

17. L’art. 9 della direttiva 1999/95,
intitolato "Divieto di trattamento più favorevole", dispone:

"Gli Stati membri devono
assicurare che in caso di ispezione di una nave
immatricolata o battente bandiera di uno Stato che non è parte della
convenzione OIL n. 180, o del protocollo della convenzione OIL n. 147, dopo
l’entrata in vigore di detti strumenti il trattamento riservato a tale nave e
al suo equipaggio non sia più favorevole di quello riservato ad una nave
battente bandiera di uno Stato che è parte della convenzione n. 180 dell’OIL o
del protocollo della convenzione OIL n. 147 o di entrambi".

18. Al suo art. 10, n. 1, la
direttiva 1999/95 prevede che gli Stati membri mettano in vigore le
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per
conformarsi alla stessa entro il 30 giugno 2002. Ai sensi del n. 3 dello stesso
articolo, essi comunicano immediatamente alla Commissione
tutte le disposizioni di diritto nazionale da essi adottate nel settore
disciplinato da tale direttiva e la Commissione ne informa gli altri Stati
membri.

La normativa nazionale

19. Il decreto legislativo 27 luglio
1999, n. 271, intitolato "Adeguamento della normativa sulla sicurezza e
salute dei lavoratori marittimi a bordo delle navi mercantili da pesca
nazionali, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485" (Supplemento
ordinario alla GURI n. 151 del 9 agosto 1999; in prosieguo: il "decreto
legislativo"), ai sensi del suo art. 2, si applica ai lavoratori marittimi
imbarcati a bordo di tutte le navi o unità mercantili, nuove ed esistenti,
adibite a navigazione marittima ed alla pesca nonché
alle navi o unità mercantili in regime di sospensione temporanea di bandiera,
alle unità veloci e alle piattaforme mobili.

20. L’art. 11, nn.
1 e 3-10, del decreto legislativo dispone quanto segue:

– "1. Per "durata del
lavoro a bordo della nave" si intende il tempo
durante il quale un lavoratore marittimo è tenuto ad effettuare l’attività
lavorativa connessa all’esercizio della navigazione. Rientrano nella durata del
lavoro a bordo, oltre alle normali attività di navigazione e di porto:

a) gli appelli per le esercitazioni di emergenza antincendio ed abbandono nave, nonché tutte le
esercitazioni prescritte dal regolamento di sicurezza e dalla Convenzione di
Londra sulla salvaguardia della vita umana in mare di cui alla legge 23 maggio
1980, n. 313 e successivi emendamenti di seguito denominata Convenzione Solas;

b) le attività richieste dal
comandante inerenti la sicurezza della navigazione, in
caso di pericolo per l’equipaggio e la nave;

c) le attività di formazione in
materia di igiene e sicurezza del lavoro a bordo, in
relazione alle mansioni svolte;

d) le attività di manutenzione
ordinaria della nave;

e) le attività richieste dal
comandante nel caso di operazioni di soccorso ad altre
unità mercantili o da pesca o di soccorso a persone.

(…)

– 3. Fatte salve le disposizioni
presenti nei contratti collettivi nazionali di categoria, la durata dell’orario
di lavoro del lavoratore marittimo, a bordo delle navi
mercantili e delle navi da pesca, è stabilita in otto ore giornaliere, con un
giorno di riposo a settimana, oltre ai giorni di ferie.

– 4. I limiti dell’orario di lavoro o
di quello di riposo a bordo delle navi sono così
stabiliti:

a) il numero massimo di ore di lavoro a bordo non deve superare:

— 1. 14 ore in un periodo di 24 ore;

— 2. 72 ore per un periodo di sette
giorni;

ovvero:

b) il numero minimo delle ore di
riposo non è inferiore a:

— 1. 10 ore in un periodo di 24 ore;

— 2. 77 ore per un periodo di sette
giorni.

– 5. Le ore di riposo non possono
essere suddivise in più di due periodi distinti, di cui uno è almeno di 6 ore
consecutive, e l’intervallo tra i due periodi consecutivi di riposo non deve
superare le 14 ore.

– 6. Le attività di cui alle lettere
a), b), c), d) ed e) del comma 1 sono svolte, per quanto possibile, in maniera
tale da non disturbare i periodi di riposo e da non provocare fatica.

– 7. Nelle situazioni in cui il
lavoratore marittimo si trovi in disponibilità alle
chiamate, il marittimo dovrà usufruire di un adeguato periodo di riposo
compensativo qualora la durata normale del suo periodo di riposo sia interrotta
da una chiamata di lavoro.

– 8. Per le navi impiegate in viaggi
di breve durata e per le particolari tipologie di navi impiegate in servizi
portuali, la contrattazione collettiva potrà derogare a quanto previsto nei
commi 4 e 5, tenendo conto di periodi di riposo più frequenti o più lunghi
oppure della concessione di riposi compensativi ai marittimi impiegati nel
servizio di guardia o ai marittimi che operano a bordo.

– 9. A bordo di tutte le navi mercantili e da pesca nazionali è
affissa, in posizione facilmente accessibile e redatta in lingua italiana ed in
lingua inglese, una tabella con l’organizzazione del servizio di bordo,
contenente per ogni posizione lavorativa:

a) l’orario del
servizio in navigazione e del servizio in porto;

b) il numero massimo di ore di lavoro o il numero minimo di ore di riposo
previste ai sensi del presente decreto o dai contratti collettivi in vigore.

– 10. Una copia del contratto
collettivo è conservata a bordo, a disposizione di tutti i lavoratori imbarcati
e degli organi di vigilanza".

21. L’art. 18, n. 1, del decreto
legislativo prevede che, "ai fini di verificare l’applicazione delle disposizioni
contenute nel presente decreto, le navi di cui all’articolo 2, sono sottoposte
alle seguenti visite:

(…)

c) visita occasionale:

(…)

5) per le navi o unità
mercantili straniere".

22. Ai sensi dell’art. 21, nn. 1 e 3, del decreto legislativo:

– "1. Al fine di verificare il
mantenimento della conformità dell’ambiente di lavoro e ogni qualvolta se ne
verifichi la necessità una visita occasionale è disposta, a bordo delle unità
di cui all’articolo 18 comma 1 lettera c), dall’Autorità marittima competente
di propria iniziativa, o su richiesta dell’Azienda
unità sanitaria locale competente, dei rappresentanti delle organizzazioni
sindacali, degli armatori o della gente di mare. La visita può, inoltre, essere
richiesta direttamente dai lavoratori mediante il rappresentante alla sicurezza
dell’ambiente di lavoro di cui all’articolo 16.

(…)

–         
3.
La visita occasionale effettuata a bordo delle navi o unità mercantili
straniere è svolta secondo le procedure indicate nel
Memorandum di intesa sul controllo dello stato del porto di approdo".

–         
 

Procedimento precontenzioso

23. Non avendo ricevuto nessuna informazione relativamente alle misure adottate
dalla Repubblica italiana per conformarsi alla direttiva 1999/95, la
Commissione ha avviato il procedimento di cui all’art. 226 CE. Con lettera del
19 dicembre 2002, la Commissione, dopo aver diffidato tale Stato intimandogli
di presentare le sue osservazioni, ha emesso un parere motivato con cui
dichiarava che tale direttiva non era stata recepita
entro il termine prescritto ed invitava la Repubblica italiana ad adottare le
misure necessarie per conformarsi al detto parere entro un termine di due mesi
a decorrere dalla sua notifica.

24. Nella loro risposta del 14
febbraio 2003, le autorità italiane hanno comunicato alla Commissione che un
decreto legislativo era in preparazione.

25. Con lettera 1º luglio 2003 le
dette autorità hanno fatto riferimento all’elaborazione, in via amministrativa,
di una tabella relativa all’organizzazione del lavoro
a bordo e ad un registro per l’orario di lavoro a bordo, ai sensi degli
allegati I e II alla direttiva 1999/95.

26. Non avendo ricevuto altre
comunicazioni dalle autorità italiane, la Commissione ha proposto il presente
ricorso.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

27. La Commissione sostiene che nella
lettera delle autorità italiane inviatale il 1º luglio 2003 non si fa
riferimento ad alcuna misura atta ad istituire le regole prescritte dagli artt.
3-9 della direttiva 1999/95. A suo parere, la
definizione di una tabella e di un registro potrebbe al massimo presentare il
carattere di una misura preparatoria all’adozione di regole corrispondenti agli
obblighi previsti dall’art. 4 di tale direttiva. La Repubblica italiana non
avrebbe ancora adottato le misure necessarie per conformarsi alla detta
direttiva o comunque non le avrebbe comunicate alla
Commissione.

28. Il governo
italiano fa valere che la direttiva 1999/95 ha inteso instaurare un sistema di
controllo e di verifica dell’osservanza delle disposizioni di cui alla
direttiva 1999/63. Quest’ultima direttiva
sarebbe stata attuata in Italia, per quanto riguarda le sue disposizioni
essenziali, dall’art. 11 del decreto legislativo. Le autorità italiane
avrebbero già definito, in via amministrativa, la tabella relativa
all’organizzazione dell’orario di lavoro a bordo ed il registro
dell’orario di lavoro a bordo, che sarebbero conformi ai modelli previsti,
rispettivamente, dagli allegati I e II alla direttiva 1999/95. Tale governo fa
valere che ogni eventuale completamento applicativo che si rendesse necessario verrà perfezionato nell’ambito della legge comunitaria
31ottobre 2003, n. 306

, ove la direttiva 1999/63 sarà
inserita all’allegato B.

29. Per quanto
riguarda gli artt. 2 e 18 del decreto legislativo, il governo italiano,
nella sua controreplica, aggiunge che il sistema di
controllo e di verifica dell’osservanza delle disposizioni di cui alla
direttiva 1999/63, che è già stato oggetto di applicazione,
riguarda non solo le navi battenti bandiera italiana, ma anche tutte le navi
che fanno scalo nei porti della Comunità. Quindi, la direttiva 1999/95, nei
suoi aspetti fondamentali, sarebbe già stata recepita
nell’ordinamento interno.

Giudizio della Corte

Osservazioni preliminari

30. In via preliminare, occorre ricordare
che l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in
relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla
scadenza del termine stabilito nel parere motivato (v., in particolare,
sentenze 11 settembre 2001, causa C-71/99, Commissione/Germania, Racc. pag. I-5811, punto 29, e 11
ottobre 2001, causa C-110/00, Commissione/Austria, Racc.
pag. I-7545, punto 13). Pertanto, la Corte non può
tenere conto della legge comunitaria 31 ottobre 2003, n. 306.

31. Dato che la Commissione, nella motivazione
del suo ricorso, ha unicamente contestato al governo italiano di non aver
provato l’avvenuta adozione delle misure corrispondenti agli obblighi imposti
agli Stati membri dagli artt. 3-9 della direttiva 1999/95,
il ricorso deve essere inteso come relativo a queste sole disposizioni.

Sull’art. 4 della direttiva 1999/95

32. Si deve ricordare che, ai sensi
della giurisprudenza della Corte, al fine di garantire la piena applicazione
delle direttive, in diritto e non solo in fatto, gli Stati membri devono
stabilire un preciso ambito normativo nel settore di cui trattasi (sentenze 28
febbraio 1991, causa C-360/87, Commissione/Italia, Racc.
pag. I-791, punto 13, e 27 novembre 2003, causa
C-429/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I-0000, punto 40).

33. È giocoforza
constatare che il decreto legislativo non soddisfa a tale obbligo per quanto
riguarda l’art. 4 della direttiva 1999/95.

34. Tale disposizione prevede
ispezioni specifiche per acquisire la prova che la nave non rispetta le
prescrizioni della direttiva 1999/63. Essa enuncia in modo particolareggiato
gli elementi sui quali le verifiche devono vertere e prescrive, in particolare,
che siano effettuati, nell’ambito di ispezioni
cosiddette "più dettagliate", controlli incrociati tra, da un lato, il
registro delle ore di lavoro o di riposo e, dall’altro, altri registri
concernenti il funzionamento della nave.

35. Orbene, il decreto legislativo
non contiene prescrizioni del genere.

36. Pertanto, il ricorso deve essere
considerato fondato nella parte in cui verte sull’art. 4 della direttiva
1999/95.

Sull’art. 3 della direttiva 1999/95

37. L’art. 3, primo
comma, della direttiva 1999/95 istituisce un duplice obbligo a carico
degli Stati membri. Il primo obbligo consiste nell’elaborazione di una relazione
da inviare al governo del paese di registrazione della nave, qualora uno Stato
riceva un reclamo o acquisisca prova del fatto che la
nave non rispetta le norme previste dalla direttiva 1999/63.

38. Dalla giurisprudenza della Corte risulta che una disposizione che riguarda solo i rapporti
tra uno Stato membro e la Commissione o gli altri Stati membri non deve, in
linea di principio, essere recepita (v. sentenze 20 novembre 2003, causa
C-296/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I-0000,
punto 92, e 27 novembre 2003, Commissione/Francia, cit., punto 68).

39. Occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza altrettanto costante, ciascuno degli
Stati membri destinatari di una direttiva ha l’obbligo di adottare, nell’ambito
del proprio ordinamento giuridico, tutti i provvedimenti necessari a garantire
la piena efficacia della direttiva, conformemente allo scopo che essa persegue
(v., in particolare, sentenze 17 giugno 1999, causa C-336/97,
Commissione/Italia, Racc. pag. I-3771, punto 19; 8 marzo 2001, causa C-97/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I-2053, punto 9, e 7
maggio 2002, causa C-478/99, Commissione/Svezia, Racc.
pag. I-4147, punto 15).

40. In particolare, ai sensi del suo
secondo e del suo settimo ‘considerando’, la direttiva
1999/95 è diretta a migliorare le condizioni di vita e di lavoro della gente di
mare a bordo delle navi e a salvaguardare la sicurezza in mare. La relazione
inviata al governo del paese di immatricolazione della
nave ha lo scopo di segnalare una situazione di pericolo manifesto per la
sicurezza o la salute dei membri dell’equipaggio. Essa è direttamente
finalizzata ad eliminare tale rischio e non risponde solo a meri obblighi di informazione. La piena efficacia della norma esige quindi
un recepimento.

41. Di conseguenza, occorre
accogliere il ricorso della Commissione nella parte in cui verte su detto
obbligo.

42. Per quanto riguarda il secondo
obbligo previsto dall’art. 3, primo comma, della
direttiva 1999/95, esso impone agli Stati membri di adottare le misure
correttive necessarie qualora un’ispezione effettuata a norma dell’art. 4 della
stessa direttiva fornisca le prove richieste in merito all’inosservanza delle
norme previste dalla direttiva 1999/63. Posto che, come accertato al punto 36
della presente sentenza, tale art. 4 non è stato recepito
nell’ordinamento italiano, il ricorso della Commissione deve parimenti essere
considerato fondato nella parte in cui verte su detto obbligo.

43. L’art. 3, secondo comma, della
direttiva 1999/95 prevede che l’identità della persona che presenta il reclamo
non venga resa nota né al comandante né al
proprietario della nave in questione.

44. Nessuna delle disposizioni di
diritto interno invocate dal governo italiano riporta
tale divieto.

45. Pertanto, il ricorso è fondato relativamente a tale punto.

Sull’art. 5 della direttiva 1999/95

46. Tale disposizione prevede, in
particolare, che le misure dirette all’eliminazione delle irregolarità
constatate possano e, a determinate condizioni, debbano consistere in un
divieto, per la nave interessata, di lasciare il porto fino a che non siano
state eliminate tali irregolarità.

47. È pacifico che siffatte misure
non figurano nelle disposizioni di diritto interno fatte valere dal governo
italiano.

48. Quindi,
il ricorso deve essere accolto nella parte in cui verte sull’art. 5 della
direttiva 1999/95.

Sull’art. 6 della direttiva 1999/95

49. L’art. 6, n. 1, della direttiva
1999/95 prevede, a carico dell’autorità competente dello Stato membro
interessato, un obbligo di informazione nel caso in
cui ad una nave sia stato prescritto il fermo in un porto a norma dell’art. 5
della direttiva stessa.

50. I destinatari di una tale
informazione sono, da un lato, il comandante, il proprietario o l’armatore
della nave e, dall’altro, le autorità dello Stato di bandiera o dello Stato di immatricolazione della nave o le autorità consolari,
oppure, in mancanza di queste, la rappresentanza diplomatica più vicina di tale
Stato.

51. La normativa nazionale fatta
valere dal governo italiano non introduce alcun corrispondente obbligo di informazione.

52. È vero che, come ricordato al
punto 38 della presente sentenza, in linea di principio, uno Stato membro non è
tenuto a recepire disposizioni che riguardano solo i
rapporti tra gli Stati membri.

53. Occorre sottolineare
che, nella fattispecie, l’obbligo di informare le autorità dello Stato di
bandiera o dello Stato di immatricolazione della nave o le autorità consolari,
oppure, in mancanza di queste, la rappresentanza diplomatica più vicina di tale
Stato è il corollario delle responsabilità del detto Stato derivanti dal
diritto internazionale pubblico.

54. Infatti, ai sensi dell’art. 94,
n. 1, della convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, firmata a
Montego Bay il 10 dicembre 1982, entrata in vigore il 16 novembre 1994 ed
approvata con decisione del Consiglio 23 marzo 1998, 98/392/CE (GU L 179, pag. 1), relativa agli obblighi dello Stato di
bandiera, ogni Stato esercita efficacemente la propria giurisdizione e il
proprio controllo su questioni di carattere amministrativo, tecnico e sociale
sulle navi che battono la sua bandiera. In particolare, a norma dei nn. 2, lett. b), e 3, lett. b), del detto articolo, ogni
Stato esercita la propria giurisdizione conformemente alla propria legislazione
su tutte le navi che battono la sua bandiera e sui rispettivi comandanti,
ufficiali ed equipaggi, in relazione alle questioni di
ordine amministrativo, tecnico e sociale di pertinenza delle navi, e ogni Stato
adotta, per le navi che battono la sua bandiera, tutte le misure necessarie a
salvaguardare la sicurezza in mare, con particolare riferimento a composizione,
condizioni di lavoro e addestramento degli equipaggi, tenendo conto degli
appropriati strumenti internazionali.

55. Dal n. 6 di tale articolo risulta che lo Stato di bandiera, una volta avvisato del
fatto che su una nave non sono stati esercitati i controlli opportuni, apre
un’inchiesta e, se vi è luogo a procedere, intraprende le azioni necessarie per
sanare la situazione.

56. Ne deriva che l’informazione di
cui all’art. 6, n. 1, della direttiva 1999/95 mira direttamente a salvaguardare
la sicurezza in mare in una situazione manifestamente pericolosa. La piena
efficacia di tale disposizione richiede quindi un recepimento
esplicito nel diritto interno.

57. Di conseguenza, il ricorso deve
essere accolto nella parte in cui verte sull’art. 6, n. 1, della direttiva
1999/95.

58. Per quanto riguarda l’art. 6, n.
2, della direttiva 1999/95, esso introduce norme relative
alla tutela degli interessi finanziari delle persone interessate dalle
ispezioni effettuate in forza di tale direttiva. Siffatte norme non trovano
alcun equivalente nelle disposizioni di diritto interno fatte valere dal
governo italiano.

59. Pertanto, il ricorso deve essere
accolto nella parte in cui verte sull’art. 6, n. 2, della direttiva 1999/95.

Sull’art. 7 della direttiva 1999/95

60. Per quanto riguarda tale censura,
si deve ricordare che, secondo costante giurisprudenza
della Corte, la trasposizione nel diritto interno di una direttiva non richiede
necessariamente che sue disposizioni vengano riprese in modo formale e testuale
in una norma di legge espressa e specifica e può essere sufficiente un contesto
giuridico generale, purché esso garantisca effettivamente la piena applicazione
della direttiva in modo sufficientemente chiaro e preciso affinché, qualora la
direttiva miri ad attribuire dei diritti ai singoli, i destinatari siano messi
in grado di sapere esattamente quali sono i loro diritti e di farli valere, se
del caso, dinanzi ai giudici nazionali (sentenze 28 febbraio 1991, causa
C-131/88, Commissione/Germania, Racc. pag. I-825, punto 6, e 15 novembre 2001, causa C-49/00,
Commissione/Italia, Racc. pag. I-8575, punti 21 e
22).

61. Orbene, nessuna delle
disposizioni di diritto interno invocate dal governo
italiano prevede un diritto di ricorrere contro una decisione di fermo di una
nave adottata dall’autorità nazionale competente né un obbligo per quest’ultima di informare di tale diritto il comandante
della nave interessata.

62. Di conseguenza, il ricorso della
Commissione deve essere considerato fondato nella parte in cui verte sull’art.
7 della direttiva 1999/95.

Sull’art. 8 della direttiva 1999/95

63. L’art. 8, n. 1, di tale direttiva
riguarda solo i rapporti tra gli Stati membri nonché i
rapporti tra questi e la Commissione. Come ricordato al punto 38 della presente
sentenza, in linea di principio, siffatte disposizioni non devono essere recepite.

64. Tuttavia, poiché gli Stati membri
hanno l’obbligo di garantire il pieno rispetto del diritto comunitario, la
Commissione ha la facoltà di dimostrare che il rispetto della disposizione di
una direttiva che disciplina tali rapporti rende necessaria l’adozione di
specifiche misure di attuazione nell’ordinamento
giuridico nazionale (v. citate sentenze 20 novembre 2003, Commissione/Francia,
punto 92, e 27 novembre 2003, Commissione/Francia, punto 68).

65. Nella fattispecie, la Commissione non ha addotto argomenti per provare l’esistenza di una prassi delle
autorità italiane contraria agli obblighi degli Stati membri derivanti
dall’art. 8, n. 1, della direttiva 1999/95.

66. Di conseguenza, il ricorso della
Commissione al riguardo dev’essere respinto.

67. Invece, esso deve essere
considerato fondato nella parte in cui verte sull’obbligo di pubblicazione
previsto dall’art. 8, n. 2, della direttiva 1999/95, in quanto le disposizioni
fatte valere dal governo italiano non menzionano in alcun modo un tale obbligo
nell’ordinamento interno.

Sull’art. 9 della direttiva 1999/95

68. Le disposizioni di diritto
interno fatte valere dal governo italiano non comportano alcun divieto di
trattamento più favorevole ai sensi dell’art. 9 della direttiva 1999/95.

69. Pertanto, il ricorso deve essere
accolto nella parte in cui verte su tale disposizione.

70. Alla luce dell’insieme delle
considerazioni che precedono, occorre, da un lato, dichiarare che la Repubblica italiana,
non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 3-7, 8, n. 2, e 9 della
direttiva 1999/95, è venuta meno agli obblighi ad essa
incombenti in forza di tale direttiva e, dall’altro, respingere il ricorso per
il resto.

Sulle spese

71. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del
regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la
Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta
sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata
alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Quarta
Sezione) dichiara e statuisce:

1) La Repubblica
italiana, non avendo adottato le disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative necessarie per conformarsi agli artt. 3-7, 8, n. 2, e 9 della
direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 dicembre 1999, 1999/95/CE,
concernente l’applicazione delle disposizioni relative all’orario
di lavoro della gente di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti
della Comunità, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale
direttiva.

2) Per il resto, il ricorso è
respinto.

3) La Repubblica italiana è
condannata alle spese.