Penale

Saturday 13 May 2006

Secondo la Suprema Corte non integra il reato di diffamazione la presentazione di un esposto da parte dei genitori per denunciare comportamenti e metodi scorretti degli insegnanti nei confronti dei figli (Cassazione 11154/2006)

Secondo la Suprema Corte non
integra il reato di diffamazione la presentazione di un esposto da parte dei
genitori per denunciare comportamenti e metodi scorretti degli insegnanti nei
confronti dei figli (Cassazione 11154/2006)

LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

SENTENZA

IN FATTO

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di
Cagliari, sezione di Sassari, confermava la sentenza 30/6/2003che aveva assolto
A.G. D.L.,
M.G. M., G. F., A.S., G.R., P.P., P.P.,
C.M., S.S., F.A. S., M.C., M.A. P., P.O., C.C., G.C., C.C.,
M.A. P. e F.C. dal reato
loro ascritto di diffamazione [1] ai danni
di C.L., commesso il 31/8/1998, per aver agito
nell’esercizio di un diritto.

Il fatto era costituito dalla
presentazione di un esposto al Provveditorato agli Studi di Sassari che L.C., insegnante dell’ITC di
Chiesi, sosteneva offensivo della propria reputazione, perché in esso si
censurava il suo comportamento professionale affermandosi che nel corso
dell’anno scolastico non aveva fornito agli studenti il necessario
supporto didattico; che aveva contribuito a creare negli studenti problemi di
natura psicologica a causa degli atteggiamenti arroganti tenuti, corredati
talvolta da espressioni non proprio civili e alle disparità di
trattamento riservate agli alunni, specie di sesso maschile; che
nell’esercizio della sua attività aveva omesso le interrogazioni
durante l’anno scolastico e le aveva talvolta sostituite con prove
scritte, del cui esito gli alunni erano stati informati solo in occasionali
colloqui.

Ha proposto ricorso la persona
offesa costituita parte civile lamentando la violazione di legge e il vizio di
motivazione in relazione al ritenuto diritto di critica.

La sentenza impugnata sarebbe
illogica e contraddittoria ed in assenza della verità oggettiva dei
fatti denunciati sarebbe errata l’applicazione della scriminante.

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

L’esposto risulta
pacificamente indirizzato al Provveditore agli studi e sollecitava la sua
attività di vigilanza e censura sul comportamento professionale della
insegnante ricorrente, che secondo gli imputati non era consono alla sua
funzione di docente e di educatore.

Precedevano alcuni addebiti
specifici, la maggior parte dei quali, e certamente tutti quelli riportati del
capo di imputazione, erano stati ovviamente riferiti agli imputati dai figli,
alunni della L:

il
Tribunale dava atto della copiosa acquisizione probatoria, citando e
illustrando nei contenuti le disposizioni di genitori e alunni, degli imputati,
del Preside e dell’ex Preside, il verbale di un’assemblea di classe
precedente l’esposto, nonché i documenti prodotti dalla persona
offesa, giungendo, in fatto, alla conclusione che era indubbiamente emersa una
situazione di innegabile tensione fra gli alunni e l’insegnante.

L’insoddisfazione degli
alunni e dei loro genitori risultava provata, secondo il Tribunale, non solo
dalle dichiarazioni di costoro, quanto soprattutto dai documenti acquisiti e
dalle dichiarazioni dell’ex Preside.

Sicché poteva affermarsi che
gli imputati avevano redatto l’esposto legittimamente esercitando il loro
diritto di critica.

La Corte di appello, investita
dall’impugnazione della L., confermava tale valutazione, richiamando in
particolare, e riportando, la testimonianza dell’ex Preside e osservando
che la critica aveva tratto argomento dall’esperienza personale, per come
raccontata dai figli vissuta nelle assemblee di classe, degli imputati ed era
stata espressa in termini corretti nell’esposto indirizzato, su consiglio
dello stesso Preside, al Provveditore.

L’esposto, peraltro, non
aveva neppure vera e propria capacità diffamatoria in quanto, promosso
all’interno dell’istituzione scolastica, fu poi inviato, dai
soggetti legittimati a farlo, solo ed esclusivamente all’autorità
gerarchicamente superiore deputata al dovuto controllo.

Basterebbe tale considerazione
sull’assenza di comunicazione a più persone,
incontestata e incensurabile in fatto, ad escludere la sussistenza del
reato contestato.

Secondo la consolidata
giurisprudenza di questa Corte, difatti, in tema di diffamazione è da
escludere che sussiste il necessario requisito della divulgazione
dell’offesa allorché si presenti un reclamo contro una determinata
persona, affinché siano presi provvedimenti contro di essa,
dirigendolo personalmente al titolare dell’ufficio o al preposto
competente, salvo che esso risulti destinato, obiettivamente e nelle intenzioni
dei proponenti, ad essere riferito o comunicato ad altri (Sez.
5, sentenza n. 1794 del 5/11/1998; Sez. 5, sentenza
n. 31728 del 16/6/2004).

La difesa della ricorrente ha
appuntato anche su questo le sue critiche, ma senza ragione, perché,
assolti gli imputati per aver agito esercitando un diritto, non ha interesse a
dolersi che la Corte
di appello motivi anche sull’insussistenza del fatto.

Osserva peraltro il Collegio che se
pure si prescinde da tale aspetto e si considera il fatto sotto il profilo
dell’esercizio del diritto, il ricorso non può essere accolto.

A base delle doglianze della difesa
della ricorrente sta la prospettazione che non
può ammettersi legittimo esercizio di critica se manca la prova della
verità del fatto criticato.

L’asserzione è in
teoria esatta ma presume, per come è
argomentata, una distinzione tra proposizioni asseverative e proposizioni
valutative che riconduce alla prime solo fatti materiali misurabili; mentre
deve ammettersi che esistono giudizi di valore che non possono che essere
espressi in base a presupposti indimostrabili in termini, esterni, di
realtà (non misurabili: è bello, è brutto, ovvero è
bravo o non lo è), dei quali può predicarsi soltanto un controllo
di verità, secondo criteri interni, verificando che siano equanimi, non
contraddittori, esaustivi (non parziali).

Nel caso in esame l’esposto,
o reclamo che dir si voglia, aveva ad oggetto, secondo quanto non implausibilmente ritenuto dai giudici di merito, lo stato
di insoddisfazione di alunni e genitori nei confronti dei metodi e
dell’atteggiamento dell’insegnante, della quale nella sostanza si
dubitava che fosse una brava insegnante e una brava educatrice, invocandosi una
verifica del Provveditore sul punto.

Sicché il suo contenuto era
certamente composito: affermandosi, da un lato, l’esistenza di fatti
quali lo stato di insoddisfazione e di disagio, dimostrati, per quanto si
poteva, nell’esposto sulla base del narrato degli alunni e del constatato
negli incontri, e provati in giudizio principalmente sulla base dei continui
contrasti e delle difficoltà di rapporti raccontati dall’ex
Preside; invocandosi, dall’altro, un controllo sulla
professionalità dell’insegnante mediante una richiesta al suo superiore
che costituiva in se stessa esercizio del diritto ad
un’istruzione adeguata, ma che per sortire effetto non poteva non essere
corredata dai motivi della lamentela.

Il ricorso deve perciò
essere rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del
procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Roma, 1 mar. 2006.

Depositata in Cancelleria il 30
marzo 2006.