Enti pubblici

Friday 17 October 2003

Secondo la Banca Centrale Europea l’ allargamento dell’ UE agli stati dell’ est è subordinato allo sviluppo dei mercati finanziari di quei paesi

Secondo la Banca Centrale Europea l’allargamento dell’UE agli stati dell’est è subordinato allo sviluppo dei mercati finanziari di quei paesi

L’allargamento dell’UE e i mercati dei capitali. Eugenio Domingo Solans, Membro del Consiglio di Governo e del Comitato Esecutivo della Banca Centrale Europea. Discorso tenuto alla 7ma Conferenza Centrale sui Covered Bond. Berlino, 13 ottobre 2003

Sono lieto  

di trovarmi qui a Berlino per partecipare a questa 7ma Conferenza Centrale sui Covered Bond. Vorrei anche ringraziare l’Associazione delle Banche d’Affari Tedesche per il loro gentile invito.

Oggi vi presenterò il punto dii vista della BCE   sull’allargamento dell’Unione Europea e dei mercati dei capitali europei. In questo contesto, i mercati dei covered bonds   rappresentano un settore promettente per il futuro sviluppo dei mercati finanziari in Europa, sebbene con significative differenze per importanza da uno Stato all’altro.

Come indica il titolo del mio discorso, terrò presente in primo luogo l’allargamento dell’Unione Europea e farò in seguito alcuni commenti sul settore finanziario negli Stati entranti.

In questo stadio relativamente recente dello sviluppo dei mercati finanziari degli Stati entranti, sembra più appropriato riferirsi al comparto finanziario piuttosto che al mercato dei capitali, poichè quest’ultimo non è ancora molto ben sviluppato.

L’evento culminante della costituzione dell’Unione Europea Economica e Monetaria (EMU) è avvenuto il primo gennaio 2002, quando le euro-banconote e la moneta metallica sono entrate in circolazione. Ora, tutto ciò che resta è il completamento geografico o spaziale della nostra unione monetaria. Il processo di allargamento è la tappa più decisiva per la piena realizzazione di questo insieme geografico, senza dimenticare quegli Stati che sono già membri dell’Unione Europea ma che si trovano al di fuori dell’area euro.

L’allargamento beneficierà entrambi i versanti.L’integrazione economica non è un gioco a somma zero per il quale, poichè vi devono essere dei vincitori, vi devono essere anche dei perdenti. Come ha dimostrato la teoria economica, gli scambi economici e finanziari possono produrre dei plusvalori.

I consumatori, i risparmiatori, gli affaristi, i lavoratori, gli investitori…chiunque sia l’agente economico coinvolto può benefiare dal processo di integrazione. L’Unione Europea stessa (UE), le sue istituzioni e la sua valuta, l’euro, emergerà rafforzata in conseguenza dell’accoglimento dei nuovi Stati membri, nella misura in cui il processo di integrazione sia ben condotto e completato dal successo.

L’allargamento dell’Unione Europea e dell’Unione Monetaria ed Economica pone molte sfide alla Banca Centrale Europea (BCE) e all’ Eurosystem nel suo insieme. In pratica, ogni settore di impiego della BCE è coinvolto nei preparativi per l’allargamento, spaziando dalla futura produzione di euro-banconote alla realizzazione di statistiche monetarie sul comparto bancario e sui mercati finanziari, dalla messa a punto del sistema di pagamento Eurosystem alla politica monetaria comune. Mentre nel prossimo anno il totale del Prodotto Interno Lordo (PIL) dei dieci Stati che entreranno nell’EU non incrementerà in modo significativo il PIL complessivo dell’Unione Europea o quello dell’Unione Monetaria Europea, l’ingresso comporterà notevoli sfide e richiederà il pieno impegno di tutti coloro che tra di noi sono coinvolti in questo processo. Per farsi un’idea dei grandi sforzi che in proposito ci attendono basti pensare che al presente sono state avviate più di 1000 attività di cooperazione tecnica tra la BCE e le banche nazionali centrali degli Stati entranti (ACCBs), per aiutarli a preparare la loro funzione di Stati membri.

Data la premessa, dovrebbe esser chiaro che l’allargamento della UE è un processo politico. Si tratta infatti di un compito così vasto che ritengo sia difficile stimarne tutta la portata. Non disponiamo della necessaria prospettiva temporale, così come non possediamo ancora la distanza storica necessaria per comprendere tutte le implicazioni del fatto di avere più di 300 milioni di persone che usano l’euro per i loro conti e pagamenti.

Va da sé che l’economia e la tecnica siano al servizio della politica. E’ compito della BCE, insieme ad altre istituzioni economiche, per quanto sarà in suo potere, definire i criteri e assicurare le condizioni economiche e tecniche necessarie a garantire il successo di questo ampio processo politico.

Nonostante le difficoltà che comporta, vi sono buoni motivi per credere che l’allargamento sarà coronato dal successo. La creazione di un’unione monetaria, il lancio dell’euro e la definizione di una politica monetaria comune erano il compito in assoluto più arduo, e come tale l’abbiamo risolto. Per di più, è sempre più agevole allargare una istituzione piuttosto che crearne una dal nulla. L’Eurosystem ha già solide fondamenta dal momento che ha assunto i rilevanti impegni delle banche nazionali centrali (NCBs). Sono stati messi in opera e pienamente provati e testati criteri comuni di condotta, dalla strategia di politica monetaria agli standard IT. L’Eurosystem fu realizzato tenendo presente una strategia di creazione; il suo allargamento seguirà ora una strategia di adattamento. L’Eurosystem, e la BCE in particolare, devono agevolare questo adattamento, mentre per la strategia sarà necessario che le banche nazionali centrali degli Stati entranti compiano lo sforzo più gravoso.

Vi è una fondamentale ragione di ottimismo che non dove essere sottostimata, vale a dire l’elevato grado di interdipendenza già esistente tra l’Unione Europea e gli Stati entranti. Inoltre, l’allargamento formalizzerà o renderà istituzionale qualcosa che già esiste, qualcosa che rappresenta già un fatto nella vita economica. D’altra parte non intendo con ciò suggerire che il processo di ingresso sarà semplice. Al contrario, ribadisco che dovrà fronteggiare delle difficoltà, e queste dovranno essere risolte. Si progredirà per questa strada, ma vi saranno anche dei ritardi. La mia idea è che, nonostante tutto, i semi della partecipazione che si stanno gettando cadono su un terreno già fertile.

In ogni processo di integrazione monetaria e finanziaria vi sono tre aree chiave: quella legale e istituzionale, quella logistica e tecnica, quella economica. Lasciatemi soffermare su questi tre aspetti prima di concentrarmi sulla rilevanza del settore finanziario e sul mercato azionario degli Stati ientranti.

Non può darsi alcun allargamento dell’Unione Europea o dell’Unione Economica e Monetaria senza una prioritaria convergenza legislativa e istituzionale che conceda agli Stati entranti di adottare l’acquis comunitario. Per poter garantire un solido contesto legislativo, è essenziale che questo acquis sia applicato al settore finanziario in generale ed alle attività delle banche centrali in particolare. Dal canto suo, l’Eurosystem si è concentrato su quanto segue: una legislazione finanziaria degli Stati entranti ( con particolare riguardo per il libero movimento di capitali e pagamenti ); una regolazione dei mercati finanziari, con riferimento alla fornitura di servizi di sicurezza e di investimento; regole per gestire asset accettabili; una legislazione che spianasse la strada ai servizi interni di mercato.

E’ qui di notevole importanza l’indipendenza delle rispettive banche centrali. I loro statuti devono garantire la loro indipendenza istituzionale, personale, funzionale e finanziaria, facendo uso degli stessi criteri che furono precedentemente applicati nel momento in cui si prese in considerazione la convergenza legale degli statuti delle banche centrali nazionali della attuale area euro.

Nel mese di settembre del 2002 il Consiglio Generale delle Sistema Europeo delle Banche Centrali ( ESCB ) [14], composto dai presidenti e dai governatori di tutte le banche centrali nazionali dell’Unione Europea, invitò le controparti delle banche centrali nazionali a partecipare alle riunioni del Consiglio Generale in qualità di osservatori, dal momento che i loro trattati di adesione erano stati firmati. La cerimonia delle firme ebbe luogo ad Atene il 16 aprile 2003.

Conseguentemente, il passo storico decisivo fu compiuto il 26 giugno 2003 allorché l’insieme dei 25 governatori delle banche centrali nazionali si riunironno con il Presidente della BCE, con il Vice Presidente e con alcuni altri membri del Consiglio Direttivo.

La soluzione adottata per i governatori delle banche centrali nazionali degli Stati entranti è stata estesa ad includere gli esperti di queste banche, che possono ora presenziare le riunioni del comitato dell’ ESCB come osservatori. Questo processo consente alle banche centrali nazionali degli Stati entranti di impratichirsi con il funzionamento dell’ESCB e con le metodologie di lavoro adottate nei divesi settori. Si tratta di un requisito chiave per il successo della strategia di adattamento alla quale mi riferivo poc’anzi.

Lo sviluppo di una relazione sempre più stretta tra l’Eurosystem e le banche centrali nazionali degli Stati entranti ha portato alla sottoscrizione di un Accordo Confidenziale per garantire che gli Stati rispettino un set minimo di standard per la gestione delle informazioni a carattere confidenziale.

L’istituto di più alto grado decisionale dell’Eurosystem è il Consiglio di Governo, formato dai sei membri del Consiglio Direttivo della BCE più i governatori delle banche centrali i cui Stati hanno adottato l’euro. Il futuro allargamento dell’area euro e, di conseguenza, del Consiglio di Governo della BCE non deve rallentare l’andamento decisionale e l’efficienza di quest’ultimo. A questo scopo, il Trattato di Nizza [15] ha introdotto una “clausola di ingresso” che consente di emendare lo Statuto della BCE con riferimento al diritto di voto nel Consiglio di Governo. Dopo un lungo dibattito, nel dicembre 2002 il Consiglio di Governo ha approvato all’unanimità la revisione del sistema di voto ( Articolo 10.2 dello Statuto ), e la sua proposta è stata adottata dal Consiglio Europeo nel febbraio 2003.

Il nuovo sistema di voto si basa sul concetto di rotazione dei diritti di voto dei governatori delle banche centrali nazionali, rimanendo diritto permanente di voto quello di soltanto sei membri del Consiglio Direttivo. La frequenza della rotazione non sarà la stessa per tutti i governatori, con diversi gruppi stabiliti in base al PIL degli Stati coinvolti ( corretto da un indicatore finanziario ). Il sistema è tale che ad ogni avvicendamento, gli Stati i cui governatori detengono il diritto di voto saranno, presi assieme, rappresentativi dell’economia dell’area euro nel suo insieme. Comunque, ciò non altererà in alcun modo il fatto che i governatori con diritto di voto lo esprimano sulla base del principio “un membro, un voto” – essi non rappresentano i loro rispettivi Stati membri ma presenziano in base a capacità indipendenti e personali. Questo sistema sarà avviato con due gruppi non appena il numero degli Stati dell’area euro supererà il numero di 15. Quando supererà i 22, il sistema di rotazione sarà definito in base a tre gruppi.

Nel frattempo è bene ricordare che nel mese di ottobre 2002 il Consiglio dell’ECOFIN [16 ] ha raccomandato – in base al Trattato di Ingresso [17] – l’aggiunta di un un nuovo paragrafo nell’articolo 49 dello Statuto, laddove il capitale sottoscritto della BCE e il trasferimento iniziale di asset di riserva estera da parte delle banche centrali nazionali sarà incrementato nel momento in cui aderiscono dei nuovi Stati membri. Tali incrementi saranno automatici e proporzionati al peso dei nuovi Stati membri secondo il modificato parametro del capital key [18] che era stato calcolato sulla base del PIL e della popolazione di ciascuno Stato. Il capitale sottoscritto della BCE conta attualmente 5 miliardi di euro, interamente versati dagli Stati dell’area euro, ma versati soltanto per il 5% da quegli Stati membri della Unione Europea che non sono membri del gruppo euro. Con questa soluzione si evita di dover rifondere una parte del capitale versato a membri effettivi, cosa estremamente sconveniente in questo momento, tenuto conto del fatto che l’allargamento richiede più attività operative e di conseguenza maggiori costi da sostenere per la BCE. Questo significa anche che la BCE non deve rendere agli Stati membri parte degli asset di riserva estera che essi avevano precedentemente trasferito, asset che totalizzano 50 miliardi di euro e che sono assegnati sulla base del capital key.

In questa conferenza non intendo riferirmi alla situazione economica degli Stati entranti e al loro grado di convergenza nominale o reale. Lasciatemi solo dire che non basta raggruppare tutti questi Stati per trattarli come un insieme. Infatti, le diciture “Stati candidati” o “Stati entranti” celano dieci o 12 differenti realtà economiche. Cipro è assai diversa dall’Estonia, la Polonia ha poco in comune con Malta, e così via.

Al livello economico – con il quale non intendo la situazione economica in sé, ma quegli aspetti economici connessi ai progetti per l’associazione – si possono identificare quattro linee di azione: il conseguimento dei criteri di convergenza; la politica sui tassi di cambio; gli strumenti e i processi della politica monetaria; la statistica. La maggior parte di questi aspetti forniscono le basi per la comprensione del funzionamento del mercato dei capitali negli Stati entranti e la loro interazione con i mercati dei capitali dell’area euro.

L’aspetto economico più importante rispetto all’associazione degli Stati entranti all’Unione Monetaria è il conseguimento dei criteri di convergenza nominale di Maastricht. Come è accaduto per i 12 membri odierni, si tratta della chiave di accesso. A questo proposito dirò soltanto che il conseguimento dei criteri di convergenza da parte degli Stati entranti deve essere sostenibile, come è stato chiaramente delineato nell’articolo 109 J (1) del Trattato di Maastricht [19] e nell’articolo 1 del Protocollo no. 6.

L’idea della sostenibilità della convergenza nominale va di pari passo con il concetto di convergenza reale, nella misura in cui ogni eccessiva divergenza reale potrebbe compromettere la sostenibilità della convergenza nominale. Chiaramente, tutto dipende da che cosa si intende per “divergenza reale eccessiva”, poiché è chiaro che differenti livelli di entrate e di occupazione, etc. sono compatibili con l’unione monetaria. Ma il messaggio è chiaro: durante il periodo di adattamento, gli Stati entranti devono regolarsi in parallelo secondo la convergenza sia nominale che reale.

La grande diversità tra gli Stati entranti alla quale mi riferivo prima, parlando della situazione economica, si estende anche alle loro strategie sulla pratica dei tassi di cambio. Tra di essi, i dieci nuovi Stati posseggono una gran varietà di regimi per i tassi di cambio, che vanno dall’oscillazione indipendente ( Polonia e Repubblica Ceca ), all’ancoraggio a valute forti ( Estonia e Lituania ), dalla fluttuazione gestita, che usa in via informale l’euro come la divisa di riferimento ( Slovacchia e Slovenia), al riferimento a un paniere di valute di grado più elevato ( Malta ) o inferiore ( Lettonia ) di ponderazione dell’euro, e da ultimo il riferimento all’euro all’interno di fluttuazioni di banda di ±15% ( Cipro e Ungheria ), una pratica che ricorda quella adottata dall Meccanismo di Tasso di Cambio (ERM II) [20].

Nell’attuale stadio del processo di convergenza dell’ EMU, ogni strategia di tasso di cambio è valida in via di principio, ad eccezione dell’eurizzazione [21]. Questo perché l’euro deve essere lo scopo finale della integrazione monetaria dopo che siano stati compiuti i necessari aggiustamenti. Nnon dovrebbe essere il punto di partenza, cosa che renderebbe impossibili gli aggiustamenti addizionali.

Il quadro di riferimento monetario per gli Stati entranti che desiderano adottare l’euro è l’ERM II, così come definito nella “Risoluzione del Consiglio Europeo per la definizione di un meccanismo per il tasso di cambio nel terzo stadio dell’Unione Economica e Monetaria”. L’ERM II è un libero meccanismo che implica un tasso di cambio centrale dell’euro rispetto alla valuta di uno Stato entrante; una oscillazione di banda standard di ±15% sul tasso centrale; interventi a margine obbligatori, automatici e illimitati; la disponibilità di finanziamenti a breve termine.

La funzione principale dell’ERM è quella di agire come uno strumento per il consolidamento delle politiche economiche, designato per promuovere la stabilità e la convergenza, sia nominale che reale. L’adesione all’ERM II è essa stessa un criterio per l’appartenenza all’Unione Monetaria, e dovrebbe durare per almeno due anni. Vi è anche un requisito qualitativo: questo periodo minimo di adesione deve concludersi senza la crescita di tensioni eccessive e senza che la divisa in questione sia svalutata [durante questo periodo] dallo Stato contraente. Si dice spesso che l’ERM II svolge un duplice ruolo: come strumento di convergenza e come criterio di appartenenza a pieno titolo.

Nonostante le critiche che sono state indirizzate all’ERM del sistema monetario europeo e che senza dubbio saranno rivolte al suo successore, non esito a rivendicare il fatto che l’ERM è stato un un fattore chiave per il successo dell’unificazione monetaria europea: ha consentito di evitare l’eccessiva volatilità dei tassi di cambio e le svalutazioni competitive, al tempo stesso agendo da ammortizzatore per gli shock esterni. L’ERM II non deve essere considerato come una scomoda sala d’attesa di due anni per gli Stati entranti, piuttosto, come un meccanismo che combina il compromesso e la flessibilità e che agevola la stabilità e l’adattamento al nuovo ambiente. Vorrei sottolineare che uso il verbo “agevola” e non invece qualcosa come “garantisce” o “assicura”, perché la disciplina del tasso di cambio da sola, senza una adeguata politica economica, è incapace di generare stabilità e si dimostrerebbe da ultimo insostenibile.

Volgendomi alla specifica questione della rilevanza del settore finanziario nel processo di allargamento, focalizzerò la mia attenzione sugli Stati entranti nel loro insieme e mi asterrò dal fare valutazioni e dal tirare conclusioni su singoli Stati.

Nell’ultimo decennio, questi Stati hanno vissuto notevoli trasformazioni nei loro settori finanziari. Ciò è stato principalmente determinato dal processo di transizione nell’Europa centrale e orientale e dalla prospettiva di appartenenza all’UE. In particolare, sono stati compiuti notevoli progressi nella ristrutturazione e nel consolidamento del settore bancario, grazie alla privatizzazione su larga scala delle banche di proprietà statale, la liberalizzazione dei mercati e l’ampia apertura del settore bancario ad assetti proprietari esteri.

In parallelo, le economie degli Stati entranti si sono radicalmente trasformate dall’instaurazione di una stabilità macroeconomica e dalla privatizzazione degli asset Inoltre, sono state compiute riforme strutturali in molti settori, e le istituzioni pubbliche sono state riformate e migliorate.

Questo processo di ristrutturazione sia nell’ambito finanziario che in quello dell’economia reale è ben avanzato e in tutti gli Stati entranti è in atto una nuova fase di sviluppo finanziario ed economico. L’allargamento dell’UE insieme alla prospettiva dell’eventuale adozione dell’euro implica per gli Stati in questione la necessità di consolidare le pratiche economiche e di rafforzare le regolazioni finanziarie e le procedure operative nell’area euro. Ciò invoca la necessità di un’ulteriore limatura del concetto di “economia di mercato funzionante e l’abilità di far fronte alle pressioni competitive”, uno dei cosiddetti criteri economici di Copenhagen per l’ingresso nell’UE. L’odierno adeguamento a questo criterio richiede che gli Stati entranti rafforzino ulteriormente i propri settori finanziari per innescare una crescita economica bilanciata e sostenibile.

Il ruolo tradizionale del settore finanziario di fungere da rincalzo per gli investimenti e di realizzare la crescita potenziale attraverso la sua intermediazione e le sue funzioni direttive è ancora molto limitata nella maggior parte degli Stati entranti. Per esempio, con l’eccezione di Cipro e Malta, che evidenziano una condizione comparabile con quello dell’area euro, il livello dell’intermediazione finanziaria negli Stati dell’Europa centrale e orientale è relativamente basso e le risorse disponibili della finanza bancaria rappresentano una quota assai più piccola del PIL a confronto dell’area euro. Per fare qualche esempio, gli asset bancari nell’area euro ammontano a circa il 265% del PIL, mentre il grosso dei sistemi bancari degli Stati entranti hanno volumi di asset che si pongono tra il 30% e il 100% del PIL.

A causa del ruolo relativamente elevato dell’attività bancaria nei settori finanziari degli Stati entranti – o i corrispondenti limitati sviluppi dei mercati dei capitali – il basso livello di intermediazione finanziaria, gli istituti di credito trovano difficoltà nell’indirizzare i risparmi finanziari verso forme di investimento.

In alcuni Stati, particolari caratteristiche del settore corporate alleviano questa strettoia attraverso un estensivo ricorso al finanziamento internazionale garantito da multinazionali. Per converso, il ruolo dei mercati dei capitali come fonte di finanziamento non è sufficiente per compensare la fiacca attività del settore bancario. Per quanto riguarda le borse valori, la totale capitalizzazione di mercato degli Stati entranti sta intorno al 52% del PIL dell’area euro. Vogendomi ai mercati obbligazionari , diversamente dall’UE, il loro ruolo è stato tradizionalmente limitato dalle condizioni di finanziamento degli Stati entranti, principalmente a causa dei bassi livelli di appetibilità dei Titoli di Stato. Sebbene in alcuni Stati i livelli di deficit fiscale siano alti, la media del debito statale complessivo non pagato alla fine del 2002 ammontava a solo qualcosa come il 40% del PIL, raffrontato con la media del 70% nell’area euro.

Sebbene il comparto bancario negli Stati entranti sia ampiamente considerato stabile e sano, presenta delle debolezze e delle inefficienze strutturali – ad esempio, quelle rappresentate dalla continua divaricazione tra i tassi a prestito e a deposito o la proporzione relativamente alta di cattive condizioni di mutuo in alcuni Stati. Queste debolezze richiedono che sia compiuto uno sforzo extra per consolidare il comparto finanziario e per evitare futuri esiti negativi.

In questo contesto, un ruolo dominante potrebbe essere svolto dagli attuali membri dell’UE. La prevalenza di partecipazioni estere nel settore bancario, in particolare dall’UE, garantisce un effettivo controllo su più della metà delle circa 300 banche di affari nella regione ed è pesantemente connessa a più ampie istituzioni. Questa caratteristica è di solito reputata come un fattore positivo in termini di stabilità del settore finanziario, e tende a promuovere una forte corporate governance [22], l’adozione di elevati standard nelle pratiche gestionali, etc. e di facilitare al contempo l’accesso alle risorse finanziarie di banche affiliate.

Il miglioramento dell’efficienza del comparto finanziario negli Stati entranti è prioritario per poter conseguire la piena integrazione nel settore finanziario dell’area euro. Sono stati già compiuti importanti e evidenti passi verso questa integrazione. Nel settore bancario, per esempio, la forte presenza di banche estere ha già avuto significative implicazioni, accelerando la concentrazione, incrementando la competitività e migliorando l’efficienza.

Comunque, rimangono dei significativi aggiustamenti che devono ancora essere fatti per il settore finanziario degli Stati entrant,i affinché questi possano raggiungere gli standard dell’area euro. In questo contesto, i cambiamenti che avvengono nei settori finanziari dell’area euro implicano che gli Stati entranti devono fare i conti con un bersaglio mobile. Alcuni indici dell’area euro, come quelli sul grado di efficienza nella intermediazione finanziaria, sono effettivamente rilevanti per lo sviluppo finanziario degli Stati entranti, altri non rappresentano invece riferimenti realmente utili poiché l’area euro è altamente eterogenea ed i suoi mercati finanziari sono ancora soggetti a profonde trasformazioni.

Ciò significa che ulteriori integrazioni nell’area euro – che saranno principalmente orientate dal mercato – richiederanno anche di essere supportate attraverso una efficace azione da parte delle autorità. L’adozione della cornice giurisdizionale UE, una più ampia integrazione dell’infrastruttura finanziaria con quella dell’area euro ed una forte collaborazione transfrontaliera tra i supervisori sono i principali elementi di questo processo.

Per quanto riguarda il caso particolare della legislazione sui covered bonds, essa è entrata in vigore alcuni anni fa in alcuni Stati entranti, per esempio nella Repubblica Ceca (1995), nella Slovacchia (1996), nell’Ungheria (1997), nella Polonia e nella Lettonia (entrambe nel 1998), nella Romania (1999) e nella Bulgaria (2000).

Comunque, lo sviluppo di questo particolare segmento del mercato dei capitali si trova ancora ad uno stadio iniziale, e come tale riflette la discussione di cui sopra sul dominio esercitato dal sistema bancario sul sistema finanziario. Per illustrare la questione in cifre, vi sono dei dati che sono ben noti a molti di voi: alla fine del 2002, la considerevole quantità di covered bonds di matrice euro era di 1.947 miliardi di euro – circa il 20% del totale del mercato di euro-obbligazioni. Un dato che si confronta con i circa 3 miliardi euro negli Stati entranti.

Per di più, questo volume relativamente basso si concentra in solo due Stati, l’Ungheria e la Repubblica Ceca. Comunque, sebbene queste differenze siano significative, non dovrebbero essere troppo rimarcate. Infatti, nel resto dell’Europa, il mercato dei covered bond tedeschi è di gran lunga quello dominante, dal momento che ammonta al 73% del totale dei covered bond di matrice euro. Alla lucedelle rimanenti differenze sostanziali nella struttura dei sistemi finanziari nazionali europei, non dovremmo giudicare prematuramente lo stato attuale della convergenza dei mercati dei capitali negli Stati entranti, particolarmente durante questo stadio iniziale.

Infine, è essenziale che gli Stati entranti creino una moderna infrastruttura per il mercato finanziario. In questo campo il lavoro preparatorio richiede tempi di instradamento molto lunghi e pertanto deve essere implementato con anni di anticipo prima dell’dell’adozione dell’euro. Per di più, l’obiettivo di questo lavoro preparatorio è mobile, e può muoversi più velocemente di altri bersagli. Alcune componenti dell’infrastruttura finanziaria dell’area euro potrebbero dover essere adattate al volo prima che i nuovi Stati membri vengano integrati nell’area euro. Nel contesto dell’ingresso nell’UE, e considerata la taglia relativa dei settori finanziari degli Stati entranti, i piani per sviluppare l’infrastruttura del mercato finanziario richiederanno che siano prese in considerazione le specifiche condizioni che si applicano agli Stati entranti. In verità c’è il rischio che queste economie stiano facendo grossi investimenti in termini di sforzi e di risorse per sviluppare infrastrutture simili a quelle che alcuni Stati dell’area euro stanno tentando di razionalizzare.

In conclusione, sebbene negli Stati entranti sia in pieno rigoglio una nuova era di sviluppo finanziario, le sfide all’orizzonte sono ancora notevoli. Nonostante i considerevoli progressi compiuti nei recenti anni e l’aggiustamento in corso degli standard dell’area euro, i settori finanziari degli Stati entranti hanno per il futuro bisogno di intraprendere ulteriori significativi mutamenti.

Ad ogni modo, lo sviluppo dei sistemi finanziari in quegli Stati richiede che sia adeguato alla convergenza economica. A questo proposito, posso citare il caso del mercato obbligazionario a tasso fisso: senza una convergenza dell’inflazione orientata ai livelli dell’area euro, sarà difficile, se non impossibile, promuovere il mercato obbligazionario. Ciò vale anche in particolare per il mercato dei covered bond. L’importanza di un tale sviluppo dipende dal fatto che il settore finanziario svolge un ruolo chiave nel rafforzamento e nell’allargamento della crescita economica, così come nel promuovere la stabilità. Allo scopo di promuovere lo sviluppo finanziario, ma senza compromettere la duramente conquistata stabilità finanziaria, sembra cruciale a questo punto il compito di completare un certo numero di riforme strutturali. Per di più, un mercato dei capitali pienamente integrato in Europa, inclusi gli Stati entranti, può essere considerato una finalità in sé e un duro test definitivo per un reale allargamento coronato dal successo. Comunque, dovremmo consentire alle forze di mercato e ai politici un tempo adeguato per conseguire questo obiettivo a lungo termine. Conferenze come quella odierna rappresentano una eccellente opportunità per sviluppare tra i professionisti delle politiche di mercato una comune comprensione del promesso assetto dei mercati dei capitali europei.