Enti pubblici

Wednesday 30 June 2004

Secondo il TAR Brescia viola i diritti fondamentali della persona escludere dalla sanatoria lo straniero che abbia commesso uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p. ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 Febbraio 2004 – 12 Febbraio 2004, n. 548

Secondo il TAR Brescia viola i diritti fondamentali della persona escludere dalla sanatoria lo straniero che abbia commesso uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.

ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 Febbraio 2004 – 12 Febbraio 2004, n. 548

            Ordinanza emessa il 12 febbraio 2004 dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sez. staccata di Brescia sul ricorso proposto da Gueye Fatou Bintou contro Prefetto di Brescia Straniero e apolide – Lavoratore straniero in posizione irregolare – Regolarizzazione – Esclusione nell’ipotesi di denuncia per uno dei reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. – Violazione di diritto fondamentale della persona e del principio di uguaglianza – Lesione del diritto di difesa – Violazione dei principi di diritto al lavoro, di liberta’ personale, di liberta’ di circolazione, di presunzione di innocenza e di tutela del matrimonio. – Legge 30 luglio 2002, n. 189, art. 33, comma 7, lett. c), modificato dal d.l. 9 settembre 2002, n. 195, art. 2, convertito in legge 9 ottobre 2002, n. 222. – Costituzione, artt. 2, 3, 4, 13, 16, 27, comma secondo e 29. (GU n. 24 del 23-6-2004 )

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso n. 1539/2003,

proposto    da    Gueye   Fatou   Bintou   rappresentata   e   difesa

dall’avv. Sergio  Pezzucchi, con domicilio eletto in Brescia, Via Dei

Mille, n. 20.

    Contro    Prefetto   di   Brescia   costituitosi   in   giudizio,

rappresentato  e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, con

domicilio  eletto  presso  i  relativi  uffici,  in  Brescia,  Via S.

Caterina    n. 6,   per   l’annullamento,   previa   sospensiva   del

provvedimento  in  data 3 settembre 2003 cod. domanda n. 000003495084

di diniego regolarizzazione del rapporto di lavoro;

    Visto il ricorso con i relativi allegati;

    Visto  l’atto  di  costituzione  in giudizio dell’amministrazione

intimata;

    Visti tutti gli atti della causa;

    Designato  quale relatore alla camera di consiglio del 16 gennaio

2004, il dott. Gianluca Morri;

    Uditi i difensori delle parti;

    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    In esito all’istanza per la legalizzazione del rapporto di lavoro

irregolare dell’odierna ricorrente – cittadina senegalese – inoltrata

ai  sensi  dell’art. 33  della  legge  30  luglio  2002  n. 189, come

modificato  dall’art. 2  del  decreto  legge  9 settembre 2002 n. 195

convertito  in  legge  9  ottobre  2002  n. 222,  il  Prefetto  della

Provincia  di  Brescia  ha  opposto  diniego  alla  predetta domanda,

ravvisando   la  ricorrenza  dei  motivi  ostativi,  segnalati  dalla

questura,  riferiti  al  comma 7 lett. c) dell’articolo citato, nella

parte  in  cui  esclude  dalla  regolarizzazione  prestatori  d’opera

extracomunitari  che  risultino denunciati per uno dei reati previsti

negli  articoli 380 e 381 c.p.p., salvo che il procedimento penale si

sia concluso in senso favorevoli all’imputato o sia stato archiviato.

Nella  fattispecie  la  Questura di Brescia ha accertato che a carico

della  Sig.ra  Gueye Fatou Bintou pende, attualmente, un procedimento

penale  ascrivibile ai predetti articoli del c.p.p. avviato a seguito

di  denuncia  presentata  dai Carabinieri di Bagnolo Mella in data 25

aprile 2003.

    Contro  il  citato provvedimento la ricorrente proponeva ricorso,

avanti  questa Sezione, sostenuto da una serie di motivi volti, nella

sostanza,  a  censurare  la  normativa posta a base del diniego sotto

diversi profili di illegittimita’ per violazione degli artt. 2, 3, 4,

13, 16, 27 e 29 ss. della Costituzione, chiedendo a questo giudice di

sollevare la relativa questione di legittimita’ costituzionale.

                            D i r i t t o

    1. – Il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata

la  dedotta  questione  di  legittimita’  costituzionale dell’art. 33

comma  7  lett. c) della legge 30 luglio 2002 n. 189, come modificato

dall’art. 2  del  d.l.  9 settembre 2002 n. 195 convertito in legge 9

ottobre  2002 n. 222, nella parte in cui ricollega alla mera denuncia

per  uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381 c.p.p. la reiezione

della domanda di regolarizzazione, senza esigere che a detta denuncia

faccia seguito condanna sia pur non definitiva e senza imporre alcuna

verifica in ordine alla pericolosita’ sociale dell’individuo.

    2. – La rilevanza della questione deriva dalla circostanza che il

provvedimento  adottato  ha fatto automatica applicazione della norma

in esame, disponendo la reiezione dell’istanza di regolarizzazione in

forza  del  mero  accertamento dell’esistenza di una denuncia per uno

dei reati di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p. a carico della cittadina

extracomunitaria.

    L’art. 33  comma  7  lett.  c) della legge 30 luglio 2002 n. 189,

come   modificato  dall’art. 2  del  d.l.  9  settembre  2002  n. 195

convertito in legge 9 ottobre 2002 n. 222 stabilisce, infatti, che le

disposizioni  sulla regolarizzazione non si applichino ai rapporti di

lavoro  riguardanti prestatori d’opera extracomunitari ýche risultino

denunciati  per  uno  dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del

codice  di  procedura  penale  salvo che il procedimento penale si si

concluso  con  un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non

sussiste  o  non  costituisce  reato  o  che  l’interessato non lo ha

commesso  ovvero nei casi di archiviazione previsti dall’articolo 411

del codice di procedura penale….ý.

    3.  –  E’  necessario  premettere  che  questo  giudice  ha  gia’

sollevato,  con le ordinanze nn. 683 del 15 maggio 2003 e 1190 del 25

agosto  2003,  questione  di  legittimita’ costituzionale dell’art. 4

comma  3  d.lgs.  n. 286 del 1998, come sostituito dalla legge n. 189

del  2002, applicato in correlazione con i successivi artt. 5 comma 5

e  13  comma  2 lett. b), nella parte, fra l’altro, in cui pone quale

elemento  ostativo  all’ingresso  e  alla  permanenza in Italia dello

straniero la condanna per determinati reati senza imporre l’ulteriore

verifica di pericolosita’ sociale dello stesso.

    4. – La norma ora in esame (art. 33 comma 7 lett. c), della legge

30  luglio  2002  n. 189,  come  modificato  dall’art. 2  del  d.l. 9

settembre  2002  n. 195  convertito  in  legge 9 ottobre 2002 n. 222)

considera,   ancora   piu’   drasticamente,   la  sola  denuncia  per

determinati  reati  –  ossia  quelli  enumerati  agli artt. 380 e 381

c.p.p.  – quale elemento ostativo alla legalizzazione del rapporto di

lavoro.  In  altri  termini  il  raggiungimento  di  un obiettivo che

attiene  alle aspettative essenziali di una persona viene subordinato

dal  legislatore  alla  semplice  ricorrenza  o  meno  di una notizia

criminis  da  chiunque  provenga,  senza  alcuna preventiva verifica,

ancorche’   sommaria,   della   sua  fondatezza  sia  in  termini  di

applicazione  della  relativa  sanzione  penale che di prospettiva in

ordine alla pericolosita’ sociale del soggetto. L’enunciato normativo

sembra   dunque  porsi  in  contrasto  con  gli  artt. 2  e  3  della

Costituzione,  apparendo  irragionevole  e sproporzionato rispetto al

fine perseguito, poiche’ fa dipendere una vicenda fondamentale per la

vita  di un soggetto straniero, come la regolarizzazione del rapporto

di  lavoro e la possibilita’ di ottenere il permesso di soggiorno nel

nostro  paese,  da  un  mero  atto  unilaterale  – che potrebbe anche

rivelarsi  totalmente  infondato  –  da parte della sola autorita’ di

pubblica sicurezza o di un qualsiasi altro individuo.

    L’aspettativa  che viene, quindi, incisa, ma che pare al collegio

meritevole  di  tutela  e  salvaguardia,  coincide  direttamente  con

l’esercizio  del  diritto  di liberta’ e dignita’ della persona umana

che  la  Repubblica intende riconoscere e garantire, oltre che con le

previsioni  di  carattere generale di cui ai citati artt 2 e 3 Cost.,

con  la  possibilita’ della permanenza dello straniero nel territorio

italiano e con le opportunita’ che essa offre in termini di attivita’

lavorative  (art. 4  Cost.)  nonche’  di  esercizio di tutte le altre

garanzie  costituzionalmente protette quali espressioni di liberta’ e

di  sviluppo della personalita’ umana dell’individuo sia come singolo

sia  nelle formazioni sociali in cui essa si svolge (oltre al diritto

al  lavoro  di  cui all’art. 4, il diritto alla libera circolazione –

art. 16  – , all’unita’ familiare – artt. 2 e 29ss – ed alla liberta’

personale – art. 13).

    Ed e’ proprio dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che

si  rileva  il principio secondo cui, di fronte all’incisione di beni

di tal pregio, il controllo di costituzionalita’ delle norme di legge

contestate deve avvenire in modo da garantire che il sacrificio della

liberta’  sia  giustificato  dall’effettiva  realizzazione  di  altri

valori  costituzionali  o non vada incontro a ostacoli insormontabili

costituiti  dalla protezione di altri valori costituzionali (Sentenza

24  febbraio 1995 n. 58 che richiama anche le sentt. nn. 63 del 1994,

81 del 1993, 368 del 1992 e 366 del 1991).

    5.   –  Sotto  un  ulteriore  profilo,  appare  rilevante  e  non

manifestamente  infondata  la  dedotta questione di costituzionalita’

della  norma  in oggetto per la violazione dell’art. 27 comma 2 della

Costituzione.  A  fronte di una disposizione della Carta fondamentale

che   riconnette   la   qualificazione  in  termini  di  colpevolezza

all’esistenza  di una sentenza definitiva di condanna, il legislatore

ritiene  all’opposto  sufficiente la semplice iscrizione nel registro

delle  notizie  di  reato per precludere ad un soggetto – quanto meno

fino   all’archiviazione  o  all’assoluzione  –  la  possibilita’  di

ottenere  la regolarizzazione di un rapporto di lavoro dipendente: il

che  comporta,  tuttavia,  non  gia’ effetti meramente temporanei, ma

potenzialmente  definitivi  collegati  alla  perdita del lavoro ed al

conseguente e scontato allontanamento dal territorio nazionale.

                                        P. Q. M.

    Visto  l’art. 23  della  legge  11  marzo  1953  n. 87,  dichiara

rilevante  e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2,

3,  4,  13,  16,  27 comma 2 e 29 della Costituzione, la questione di

legittimita’  costituzionale  dell’art. 33,  comma  7  lett. c) della

legge  30  luglio 2002 n. 189, come modificato dall’art. 2 del d.l. 9

settembre  2002 n. 195 convertito in legge 9 ottobre 2002 n. 222, nei

sensi di cui in motivazione.

    Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli

atti  alla  Corte  costituzionale, nonche’ la notifica della presente

ordinanza  alle  parti  in  causa  ed al Presidente del Consiglio dei

ministri,  e  la  comunicazione  della medesima ai Presidenti dei due

rami del Parlamento.

    Cosi’ deciso in Brescia, il 16 gennaio 2004.

                       Il Presidente: Mariuzzo

              Il giudice relatore ed estensore: Morri