Assicurazione ed Infortunistica

Friday 25 April 2003

R.C. Auto il Garante della Concorrenza boccia la liberalizzazione del settore assicurativo.

R.C. Auto il Garante della Concorrenza boccia la liberalizzazione del settore assicurativo.

L’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO. IC19 – SETTORE RC AUTO. Provvedimento n. 11891

L’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO

NELLA SUA ADUNANZA del 17 aprile 2002;

SENTITO il Relatore Professor Carlo Santagata;

VISTA la legge 10 ottobre 1990, n. 287;

VISTO, in particolare, l’articolo 12, comma 2, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, ai sensi del quale l’Autorità può procedere a indagini conoscitive di natura generale nei settori economici nei quali l’evoluzione degli scambi, il comportamento dei prezzi od altre circostanze facciano presumere che la concorrenza sia impedita, ristretta o falsata;

VISTO il D.P.R. 30 aprile 1998, n. 217 e, in particolare, l’articolo 17, relativo alle indagini conoscitive di natura generale;

VISTO il proprio provvedimento del 29 luglio 1996, con il quale è stata avviata, ai sensi dell’articolo 12, comma 2, della legge n. 287/90, un’indagine conoscitiva sul settore dell’assicurazione autoveicoli [Cfr. il provvedimento n. 4129 Indagine conoscitiva nel settore dell’assicurazione autoveicoli, pubblicato sul Bollettino n. 31/96.];

VISTE le risultanze acquisite nel corso dell’indagine conoscitiva;

CONSIDERATO quanto segue:

I. I PROBLEMI EMERSI

Il processo di liberalizzazione del settore assicurativo e, in particolare, della RCA, avviato in Italia il 1° luglio 1994, aveva suscitato numerose aspettative relativamente all’impatto positivo che la deregolamentazione di tariffe e condizioni di contratto e una conseguente maggiore concorrenza tra le imprese assicurative avrebbero avuto sul livello dei prezzi, sulla qualità dei prodotti offerti e sulle modalità distributive. Il processo di liberalizzazione, tuttavia, già nelle prime fasi, aveva stentato a mostrare i suoi effetti benefici nei termini indicati, al punto che l’Autorità, nel 1996, ritenne opportuno l’avvio di un’indagine conoscitiva di natura generale ai sensi dell’articolo 12, comma 2, della legge n. 287/90, con l’obiettivo di verificare la situazione del mercato italiano in termini di effettiva apertura alla concorrenza, nonché di monitorare nel tempo il processo di liberalizzazione. In particolare, già nei due anni immediatamente successivi alla liberalizzazione si era verificato, anziché l’auspicata riduzione dei premi unita al miglioramento del servizio, un incremento assolutamente rilevante dei premi assicurativi, sulle cui cause era doveroso per l’Autorità effettuare un’analisi al fine di accertare se lo stesso fosse riconducibile a comportamenti collusivi delle imprese ovvero a problematiche dell’assetto economico e normativo del mercato che avrebbero potuto ostacolare il dispiegarsi di dinamiche competitive tra le imprese.

La decisione di dedicare al settore assicurativo RCA un’indagine conoscitiva si è dimostrata particolarmente opportuna anche alla luce della complessiva evoluzione del mercato, nella quale l’aumento dei premi ha finito con il rappresentare una caratteristica costante e non solo transitoria. Nel corso di questi anni, infatti, a fronte di una scarsa innovazione e di una invariata qualità dei prodotti, i premi sono sistematicamente aumentati in misura eccezionalmente elevata, anche a causa del fatto che le imprese hanno reagito in maniera inadeguata alla crescita dei costi, adottando soluzioni in comune che hanno contribuito ad accelerarla.

Al fine di avere una corretta conoscenza dell’aumento effettivo dei prezzi, da più parti lamentato, ma sulla cui entità si è molto discusso, sono state utilizzate diverse stime. L’incremento dei premi subito dall’intera collettività degli assicurati mostra un sostanziale raddoppio del loro livello nel periodo 1994-2001; lo stesso risultato emerge calcolando la variazione del premio medio su un portafoglio tipo di profili tariffari. Con riferimento ai singoli profili, per il periodo 1994-2003, si evidenziano incrementi ancora più elevati del livello dei premi, che è più che raddoppiato, spesso triplicato e quadruplicato, talvolta addirittura quintuplicato.

Nel complesso si può ritenere che, in questi anni, i premi siano più che raddoppiati; né, d’altro canto, gli ampliamenti nella garanzia offerta o i miglioramenti di tipo qualitativo sono stati tali da giustificare, almeno in parte, i prezzi più elevati pagati dai consumatori. Ancora, l’aumento dei premi ha interessato in misura rilevante tutte le classi di bonus-malus, anche le migliori, mentre sarebbe stato ragionevole attendersi che la selezione del rischio, in un contesto competitivo, spingesse le imprese a contenere i premi soprattutto per gli utenti caratterizzati da una rischiosità minore. Considerato che la maggior parte degli assicurati si colloca nelle prime cinque classi di bonus, il vigoroso aumento dei premi RCA ha interessato così anche la vasta platea di utenti che negli ultimi anni si sono resi responsabili di un numero esiguo di sinistri. Per altro verso, per gli individui che presentano caratteristiche tali da rientrare nella classe di ingresso del sistema bonus-malus o in quella successiva, i premi chiesti da talune imprese sono divenuti così elevati da rendere di fatto impossibile ottenere persino la stessa copertura RCA [A tale proposito si deve sottolineare che sono stati acquisiti agli atti dell’indagine conoscitiva documenti che sembrano dimostrare il rifiuto di alcune imprese a stipulare il contratto. Si tratta di fenomeni in violazione della legge sull’assicurazione RCA obbligatoria – inerenti quindi a profili di vigilanza -, che non hanno costituito oggetto di specifico esame nel corso della presente indagine.].

La misura degli aumenti è stata poi eccezionale con riguardo ai ciclomotori [Ad esempio, in provincia di Napoli, nel gennaio 2003 ad un neo-assicurato era richiesto, in media, un premio pari addirittura a 19 volte quello che avrebbe pagato 9 anni prima. Tra le province oggetto di analisi nel corso dell’indagine conoscitiva, l’incremento minore dei premi per i ciclomotori si è avuto a Padova, dove comunque un neo-assicurato paga un premio pari circa sei volte quello previsto fino al 1994.]: attualmente, in diverse province, ad un consumatore che intenda stipulare una polizza RCA per un ciclomotore viene richiesto un premio che può essere anche pari al valore del veicolo stesso. Le innovazioni regolamentari occorse (quali l’introduzione dell’obbligo di copertura nel 1993 e dell’obbligo di bonus-malus nel 2000) non possono essere invocate per giustificare premi sei volte superiori a quelli esistenti al momento della liberalizzazione tariffaria.

Il generale incremento dei premi si è verificato in un contesto caratterizzato da stabilità delle quote di mercato, che sono rimaste sostanzialmente inalterate dal 1994, nonché dal limitato ingresso di nuovi operatori, sia italiani che esteri. La mancata redistribuzione delle quote di mercato e il limitato ingresso di nuovi operatori, pur in presenza di aumenti dei prezzi così rilevanti, testimoniano l’esistenza di significative problematiche concorrenziali.

Come dettagliatamente dimostrato nell’indagine, la situazione descritta deriva sia da comportamenti anticoncorrenziali delle imprese, sia da alcune caratteristiche dell’organizzazione del mercato, che sono in parte retaggio del periodo precedente alla liberalizzazione e che ostacolano lo sviluppo di condizioni competitive.

Con riferimento al primo aspetto, l’indagine ha, tra l’altro, creato le premesse per un procedimento istruttorio per violazione delle regole della concorrenza da parte della maggioranza delle imprese attive nel mercato RCA. A conclusione di tale procedimento, è stata accertata, in particolare, l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, consistente in un intenso e prolungato scambio di informazioni strategiche atto a facilitare il raggiungimento di equilibri di mercato caratterizzati da livelli dei premi significativamente superiori a quelli che si sarebbero determinati in un contesto concorrenziale [Cfr. Provv. del 27 luglio 2000, Caso I377.].

Con riferimento al secondo aspetto, l’analisi svolta nell’indagine ha mostrato che la ridotta tensione concorrenziale che caratterizza il mercato italiano RCA può essere ricondotta ad almeno due fattori principali:

a) in primo luogo, le relazioni verticali di esclusiva tra produttori e distributori accrescono i costi dell’attività di ricerca per i consumatori, contribuendo ad irrigidire la domanda che si rivolge alle singole imprese, in un contesto in cui la domanda complessiva di mercato è rigida per effetto dell’obbligatorietà della polizza;

b) in secondo luogo, nella RCA, l’indennizzato non è il cliente dell’assicurazione, ma tipicamente è una terza parte senza vincoli contrattuali con la compagnia di assicurazione che deve effettuare il rimborso. Tale circostanza riduce, per le compagnie di assicurazione, la capacità di proporre contratti che incentivino comportamenti virtuosi da parte dei diversi soggetti coinvolti, evitando che ciascuno di costoro, per negligenza o per interesse economico, contribuisca ad elevare artificialmente l’ammontare del rimborso. In quest’ottica, gli strumenti (come gli accordi ANIA/carrozzieri, ANIA/periti, ecc.) che sono stati promossi dalle imprese attraverso l’associazione di categoria nel tentativo di controllare possibili comportamenti non virtuosi si sono rivelati inutili se non controproducenti, contribuendo essi stessi, in misura non indifferente, a far lievitare i costi di indennizzo. In una prospettiva più generale, una relazione economica che si instaura tipicamente “su tre lati”, cioè tra compagnia di assicurazione, assicurato che paga il premio e danneggiato che riceve l’indennizzo, compromette le stesse condizioni attraverso le quali il meccanismo concorrenziale potrebbe efficacemente operare per tenere bassi i costi. Infatti, l’assicurato che è chiamato ad esercitare la sua scelta tra compagnie di assicurazione in concorrenza è di fatto indifferente alla qualità del servizio nella fase di liquidazione; inoltre, le compagnie determinano i premi e la qualità del servizio, avendo come riferimento una prestazione economica differita nel tempo e rivolta a un soggetto – il danneggiato – diverso da quello che ha acquistato la polizza.

L’insieme dei due fattori descritti ha fatto sì che le imprese, da un lato, abbiano incontrato difficoltà a esercitare uno stringente controllo dei costi – circostanza di cui si sono avvantaggiate soprattutto categorie di operatori economici che intervengono nella fase della liquidazione – e, dall’altro, non ne abbiano avuto nemmeno l’incentivo in quanto, grazie alla rigidità della domanda di impresa, hanno potuto traslare agevolmente i maggiori costi sui prezzi. D’altro canto, il sistema di distribuzione esclusiva e il fatto che nuovi operatori abbiano, in ragione dei vincoli derivanti dall’assetto regolamentare del settore e dal rispetto degli accordi di categoria, incontrato difficoltà nell’introdurre tecniche più efficienti di liquidazione, quali la riparazione diretta, contribuiscono anche a spiegare il ridotto accesso al mercato da parte di nuove imprese.

II. LA DISTRIBUZIONE

L’indagine conoscitiva ha mostrato che le compagnie di assicurazione sono riuscite, nel tempo, a scaricare gli aumenti dei costi sulle tariffe senza perdere i clienti, a causa della elevata rigidità che caratterizza la domanda sia a livello di mercato che a livello di singola impresa. Tale caratteristica è in larga misura riconducibile all’assetto dell’industria nella fase distributiva.

L’elasticità della domanda misura le variazioni nelle quantità domandate di un bene a seguito di variazioni nel prezzo praticato da un’impresa (elasticità della domanda d’impresa) o dall’intero mercato (elasticità di mercato). Quando, a seguito di un aumento del prezzo di un bene, solo una piccola parte dei consumatori modifica le proprie scelte di consumo, si è in presenza di domanda rigida. Nel mercato RCA, l’obbligatorietà della copertura determina rigidità della domanda complessiva di mercato. Ciò però non implica che sia rigida anche la domanda della singola impresa. Infatti, anche se il consumatore è obbligato ad acquistare comunque la polizza, egli potrebbe reagire alle variazioni di prezzo praticate da una singola compagnia, ricercando un’altra compagnia che propone un’offerta migliore in termini di prezzo e qualità del servizio. Tale attività di ricerca viene svolta solo quando i vantaggi attesi dalla stessa risultano superiori ai costi che questa comporta. Quando i consumatori sperimentano elevati costi di ricerca, anche la domanda di impresa risulta rigida. A tale riguardo rileva considerare che, dal momento della liberalizzazione in poi, gli interventi sulla struttura tariffaria realizzati dalle imprese, con particolare riferimento alla personalizzazione delle polizze, hanno comportato un ampliamento della varietà dell’offerta del servizio assicurativo. Si è così venuta a determinare un’accentuata differenziazione del prodotto che, pur rappresentando di per sé un nuovo importante elemento del gioco concorrenziale, ha reso complessa per il consumatore, rispetto al passato, la scelta della migliore combinazione qualità/prezzo.

Tuttavia, a differenza di quanto si è verificato nei mercati esteri – che, come per esempio il Regno Unito, hanno sperimentato un positivo processo di liberalizzazione – la progressiva complessità dell’offerta non è stata accompagnata, in Italia, dallo sviluppo di adeguati canali distributivi in grado di facilitare, per il consumatore, il confronto tra prodotti diversi. L’unica novità che ha interessato il sistema italiano della distribuzione RCA dopo il 1994 è rappresentata dalle imprese specializzate nella vendita telefonica o telematica, le quali tuttavia, salvo rare eccezioni, costituiscono emanazione di gruppi assicurativi già presenti sul mercato italiano attraverso il tradizionale canale agenziale e detengono quote di mercato ancora poco significative. La soluzione organizzativa prevalente in Italia, nella distribuzione delle polizze RCA, resta quella incentrata sull’impiego di agenti monomandatari, adottata già prima della liberalizzazione. Si tratta di una soluzione che di fatto ha ostacolato l’accesso al mercato da parte di nuovi concorrenti; ad essa sono inoltre associati, soprattutto in un mercato liberalizzato, rilevanti problemi informativi dal lato della domanda, giacché la presenza di una fitta rete di rapporti di esclusiva rende difficile per il consumatore il confronto tra le diverse offerte. Considerata la dispersione dei prezzi che, anche in ragione dell’aumento della personalizzazione, attualmente caratterizza il mercato RCA [L’analisi condotta mostra che il tasso di dispersione dei prezzi delle polizze RCA è pari a circa il 10% per i profili di rischio migliori ed a circa il 20% per gli assicurati che presentano una rischiosità maggiore.], un consumatore in grado di confrontare agevolmente i prodotti offerti dalle diverse imprese potrebbe individuare quello che gli fornisce l’utilità più elevata e rivolgersi all’impresa che lo offre per acquistarlo. Viceversa, se i confronti sono difficili e non esistono soggetti idonei a coadiuvare il consumatore nel proprio processo di scelta, questi troverà difficoltà a spostarsi alla ricerca dell’offerta più soddisfacente, giacché i costi dell’attività di ricerca risulteranno superiori ai benefici che si potrebbero trarre in termini di minori prezzi e di maggiore qualità del servizio. Le condizioni di concorrenza nel mercato risulteranno significativamente compromesse: da un lato la rete di rapporti di distribuzione in esclusiva rende particolarmente difficoltoso l’ingresso di nuovi operatori in grado di esercitare una pressione competitiva sulle imprese preesistenti; da un altro lato essa obbliga i consumatori ad una costosa ricerca e determina dunque una scarsa mobilità, la quale, a sua volta, accrescendo la rigidità della domanda individuale delle imprese, riduce gli incentivi delle stesse a competere e contribuisce a consolidare la stabilità delle quote di mercato.

A ciò si aggiunga che l’assetto attuale del sistema distributivo non è idoneo ad incentivare gli intermediari a sviluppare servizi informativi evoluti a favore dei consumatori: la scarsa flessibilità tariffaria consentita agli agenti assicurativi – anche per effetto della circolare Isvap n. 260/95, secondo la quale le imprese sono tenute ad indicare alle agenzie l’importo massimo degli sconti praticabili ed il numero dei possibili beneficiari – impedisce infatti agli agenti di agire sulla leva del prezzo, anche rinunciando ad una parte dei loro compensi per acquisire nuovi clienti. Ciò riduce direttamente la possibilità di concorrenza intrabrand, con evidenti riflessi anche sulla concorrenza interbrand.

Condizioni di maggiore flessibilità tariffaria, oltre ad indurre gli stessi agenti a differenziarsi e migliorare la qualità del servizio offerto, sviluppando una serie di servizi di consulenza atti ad accrescere la qualità dell’informazione trasmessa al mercato, favorirebbero a loro volta lo sviluppo di intermediari multimarca e quindi di un sistema distributivo più idoneo a garantire trasparenza ai consumatori e a ridurre i costi di ricerca. Naturalmente, per consentire ai consumatori di beneficiare effettivamente dei vantaggi del nuovo sistema distributivo è necessaria una modifica del metodo di retribuzione dei distributori. Ciò al fine di evitare che questi ultimi siano incentivati a proporre al consumatore esclusivamente i prodotti delle compagnie che corrispondono loro il compenso più elevato. In questo senso le imprese potrebbero limitarsi a fissare il prezzo di cessione all’agente della polizza (una sorta di “prezzo all’ingrosso”) e non il premio finale per il consumatore, avvicinando così la figura dell’agente a quella di un normale distributore [Questo meccanismo consentirebbe agli agenti di praticare sconti senza incidere sulla stabilità delle imprese, preoccupazione che potrebbe aver ispirato la citata circolare dell’Isvap n. 260/95.].

Si consideri infine che la maggiore concorrenza indotta dalla presenza di tipologie alternative di rapporti verticali di distribuzione incentiverebbe le stesse compagnie di assicurazione a prestare maggiore attenzione al controllo dei propri costi e al miglioramento del servizio offerto, senza ripercussioni negative sulla stabilità.

In definitiva, la scarsa trasparenza e il sistema distributivo tuttora esistente nel mercato RCA hanno prodotto elevate barriere all’entrata e costi di ricerca elevati, che i consumatori hanno mostrato di ritenere superiori ai benefici attesi. Ciò ha prodotto poca attività di ricerca da parte dei consumatori e questo ha reso rigida la domanda di impresa per la copertura RCA. La domanda di impresa rigida ha potuto consentire alle imprese di assicurazione di scaricare gli aumenti dei costi sulle tariffe, senza compromettere la redditività.

III. IL MECCANISMO DI INDENNIZZO

L’assetto distributivo descritto spiega perché le imprese di assicurazione RCA hanno potuto agevolmente scaricare gli aumenti dei costi sui premi finali, ma non le ragioni alla base dell’incremento consistente del costo dei sinistri osservato nel mercato italiano RCA.

L’indagine ha messo in evidenza come, in un sistema di assicurazione di responsabilità civile quale quello RCA il ricorso a forme di indennizzo indiretto del danno – in base al quale la vittima di un sinistro è risarcita dalla compagnia che assicura il responsabile dello stesso – riduce gli incentivi delle imprese al controllo dei costi e può compromettere l’efficace operare del meccanismo concorrenziale.

La circostanza che l’indennizzato non è colui che stipula il contratto di assicurazione, ma un soggetto terzo privo di vincoli contrattuali con la compagnia di assicurazione che deve effettuare il rimborso, produce infatti almeno due effetti di rilievo sotto il profilo della concorrenza:

a) il contraente è scarsamente interessato alla qualità del servizio liquidativo, in quanto non ne beneficia;

b) la compagnia di assicurazione e il danneggiato entrano, di regola, in contatto per la prima volta in occasione del sinistro e instaurano un rapporto che si esaurisce quando il sinistro viene liquidato.

In ragione di questi due effetti viene ad essere eliminata una delle principali variabili (la qualità del servizio nella fase di indennizzo) sulla quale può esplicarsi la concorrenza tra le imprese. Infatti, poiché l’assicurato non è interessato alla qualità del servizio di liquidazione fornito dalla propria compagnia assicuratrice e non esiste un rapporto diretto di mercato tra impresa e danneggiato, la compagnia di assicurazione non ha interesse ad effettuare investimenti per migliorare il servizio di indennizzo del danno, in quanto eventuali miglioramenti non andrebbero a beneficio dei propri clienti. Peraltro, proprio l’assenza di tali incentivi crea i presupposti perché i danneggiati possano attendersi comportamenti opportunistici (moral hazard) da parte delle imprese, come, per esempio, ritardi nella liquidazione o, nell’ipotesi in cui la riparazione fosse offerta direttamente, la fornitura di riparazioni di scarsa qualità. Per proteggersi in particolare da comportamenti opportunistici di questo secondo tipo, i danneggiati tenderanno a rifiutare un intervento diretto dell’impresa nel risarcimento del danno, preferendo ottenere un indennizzo monetario. In tal modo risulta però impedita la possibilità per l’impresa di controllare direttamente i costi di risarcimento del danno. Si consideri, inoltre, che, con un sistema di indennizzo indiretto, l’ammontare del risarcimento, che l’impresa assicuratrice si attende di dover corrispondere e che influenzerà la determinazione dei premi, non è correlato con le caratteristiche e i comportamenti del proprio assicurato, ma con quelli del danneggiato, non noti all’impresa. Pertanto, l’impresa può influenzare solo in parte il costo atteso del risarcimento, stipulando polizze con guidatori più prudenti e quindi riducendo la probabilità di dover risarcire dei danni, ma non ha alcuna possibilità di agire sull’ammontare del risarcimento effettivo. Al fine di incidere su quest’ultimo, l’impresa di assicurazione dovrebbe poter influenzare le scelte del danneggiato, con il quale non ha alcun rapporto.

In secondo luogo, l’occasionalità del rapporto tra compagnia e danneggiato, accompagnandosi a uno svantaggio informativo della prima rispetto al secondo, incentiva comportamenti di moral hazard anche da parte del danneggiato che tenderà a sovrastimare l’entità dei danni subiti e, di conseguenza, del risarcimento [La riforma del settore RCA recentemente approvata, che prevede l’obbligo di comprovare l’avvenuta riparazione del veicolo entro tre mesi dall’indennizzo, incide solo marginalmente sul problema di moral hazard descritto.]. In particolare, nel caso di danni a cose, il danneggiato potrà far riparare danni preesistenti all’incidente o scegliere modalità di riparazione particolarmente costose. Analoghi problemi si verificano nel caso di danni a persone, per cui la vittima può essere incentivata a “gonfiare” le spese mediche, sovrastimare le capacità lavorative perse permanentemente ed esagerare i disagi temporanei (strappi muscolari ecc., nonché tutto ciò che ricade nella categoria del “danno biologico”).

Per un altro verso ancora, gli stessi soggetti a cui si rivolge il danneggiato per la riparazione del veicolo o per le cure, possono essere indotti a tenere comportamenti opportunistici, in quanto chi sostiene il costo della prestazione è un soggetto diverso da chi la richiede.

In sintesi, il sistema di indennizzo indiretto, determinando la separazione tra chi stipula il contratto e chi ne beneficia, ricevendo l’indennizzo, riduce la possibilità per le imprese di assicurazione di proporre contratti in grado di incentivare, da parte dei diversi soggetti economici coinvolti, comportamenti virtuosi atti a contenere le spese di risarcimento. Nell’industria italiana dell’assicurazione RCA ciò ha contribuito in misura rilevante alla crescita dei costi, generalizzata a tutte le imprese, le quali hanno potuto avvantaggiarsi delle condizioni di scarsa trasparenza del mercato e di rigidità della domanda individuale, per traslare sistematicamente sui premi i rilevanti incrementi subiti dal lato dei costi.

Stante il sistema di indennizzo indiretto, gli accordi che le imprese hanno promosso, almeno con riferimento ai danni a cose, nel tentativo collettivo di migliorare la propria capacità di controllo sui comportamenti degli utenti che incidono in misura rilevante sui costi, si sono rivelati inutili se non controproducenti e hanno contribuito essi stessi a far lievitare i costi di indennizzo.

Rileva, in particolare, in questa prospettiva, l’accordo stipulato tra l’Ania e numerose associazioni di carrozzieri nel marzo 1992, nell’intento dichiarato di calmierare i costi delle riparazioni. Tale accordo stabilisce parametri per la valutazione del danno che, come mostra l’indagine conoscitiva, hanno determinato effetti opposti a quelli auspicati. L’Ania e i rappresentanti delle associazioni di carrozzieri hanno infatti fissato congiuntamente le tariffe della manodopera, i tempi di riparazione, il costo dei materiali e delle parti di ricambio ai livelli massimi. L’accordo implica una omogeneizzazione verso l’alto di importanti voci di costo, nel senso che i carrozzieri conoscono il valore massimo che ogni impresa è disposta a rimborsare per ciascun sinistro e sono quindi indotti a convergere verso tali massimi per i servizi di carrozzeria offerti alle imprese, certi di ottenere da queste il corrispettivo richiesto.

Il meccanismo denominato Convenzione Indennizzo Diretto – CID -, pur in linea di principio introdotto con l’obiettivo di correggere alcune disfunzioni tipiche dell’indennizzo indiretto, non si è rivelato adeguato ad incentivare il controllo dei costi di risarcimento. Sebbene finalizzato a consentire alle compagnie di indennizzare direttamente il proprio assicurato danneggiato rivalendosi successivamente sulla compagnia del danneggiante, la Convenzione è infatti applicabile solo nel caso di danni a cose per i quali esista un accordo tra danneggiante e danneggiato in ordine alla responsabilità del sinistro attestato dalla compilazione del modulo di constatazione amichevole. Inoltre, la Convenzione prevede che il danneggiato possa ottenere un risarcimento direttamente dalla propria impresa solo in caso di sinistri avvenuti tra due veicoli – esclusi ciclomotori e veicoli agricoli. Per queste ragioni, al momento della stipula del contratto, le parti non sanno se la Convenzione sarà o meno applicabile ad un eventuale sinistro.

Il sistema non si è rivelato adeguato, oltre che per la limitata applicazione dovuta al ridotto insieme di sinistri interessato, anche per le seguenti ragioni.

In primo luogo, i costi dell’indennizzo non gravano sul soggetto che effettivamente li sostiene, la compagnia di assicurazione del danneggiato, bensì sulla compagnia del danneggiante, che è chiamata a compensare integralmente la prima. In secondo luogo, la Convenzione stabilisce che la compensazione tra imprese venga determinata ex post, sulla base dei costi effettivamente sostenuti dall’impresa e che sono determinati in base ai costi massimi dell’accordo Ania/carrozzieri. Ne consegue che l’impresa non ha sufficiente incentivo a contenere i costi del risarcimento al proprio assicurato, dal momento che otterrà comunque dalla compagnia del danneggiante l’importo corrisposto [La circostanza che la compensazione avvenga avendo a riferimento i costi contenuti in un accordo ampiamente condiviso riduce anche l’efficacia, in termini di contenimento dei costi, del sistema di conguagli recentemente introdotto, giacché di fatto tale nuovo sistema può esercitare un incentivo al contenimento dei costi solo con riferimento alle spese diverse da quelle di riparazione, più specificamente le spese di liquidazione, che sono di ammontare più contenuto.].

Le condizioni descritte precludono alle imprese sia la convenienza economica, sia la stessa possibilità di proporre agli assicurati contratti che li incentivino a rivolgersi a carrozzerie fiduciarie delle imprese, circostanza che accrescerebbe invece significativamente la capacità delle compagnie di assicurazione di controllare i costi dell’indennizzo. Per poter traslare tali minori costi in premi più bassi e, pertanto, più competitivi, per esempio concedendo sconti o agevolazioni ai clienti che accettano il risarcimento in forma specifica con auto-riparatori convenzionati con l’impresa, l’impresa di assicurazione deve infatti essere certa di poter garantire sempre tali servizi ai propri assicurati e di riuscire ad appropriarsi dei risparmi di costo connessi con l’utilizzo delle carrozzerie fiduciarie. Viceversa, nelle forme in cui trova attuazione oggi in Italia la Convenzione CID, l’impresa è in grado di stabilire se potrà far fronte al risarcimento diretto solo successivamente al verificarsi del sinistro e, in ogni caso, eventuali risparmi di costo andrebbero a beneficio di un soggetto diverso (l’impresa di assicurazione del responsabile del sinistro) [L’indagine ha mostrato che, così come è stata disegnata, la Convenzione CID si è rivelata inefficace a garantire il contenimento dei costi: il costo medio dei sinistri CID negli ultimi anni mostra infatti tassi di crescita elevati, pari a circa il 7% annuo nel periodo 2000-2001, in linea con quelli medi registrati da tutti i sinistri con danni a cose.].

Deve infine rilevarsi che la Convenzione CID richiede un intenso coordinamento tra le imprese, nella forma di uno scambio di informazioni su numero e costo dei sinistri, suscettibile di per sé di ostacolare le condizioni concorrenziali del mercato.

Per superare tali anomalie appare opportuno introdurre strumenti che, favorendo il determinarsi di un più appropriato contesto concorrenziale tra le imprese, possano fornire a queste ultime maggiori incentivi per il controllo dei costi. Sotto questo profilo, una soluzione radicale potrebbe consistere – specie nel caso di sinistri con danni a cose, che già da soli rappresentano la maggior parte del numero dei sinistri complessivi ed una quota rilevante degli importi liquidati – nel passaggio da una copertura di responsabilità civile verso terzi a contratti nei quali viene assicurato il danno (cosiddetta assicurazione diretta, quale quella oggi rinvenibile nella polizza incendio e furto auto) [L’indennizzo diretto per sinistri con danni alla persona presenta diverse difficoltà operative connesse sostanzialmente alla diversa natura del danno: 1) il risarcimento dovuto può essere anche di importo molto elevato; 2) la valutazione del danno richiede normalmente tempi lunghi ed è soggetta ad un notevole grado di discrezionalità, soprattutto per quanto riguarda i danni non patrimoniali. Inoltre, se è presente un’assicurazione diretta, in luogo della RCA, vi è il rischio concreto che il responsabile di un sinistro ottenga un risarcimento per i danni superiore a quello ottenuto dalle stesse vittime, le quali, peraltro, potrebbero anche subire l’imposizione di un premio più elevato (o di una franchigia). L’esperienza internazionale mostra che, proprio a causa delle difficoltà suddette, sono pochi i Paesi che hanno adottato forme alternative alla tradizionale assicurazione RCA per i danni a persone. ]. L’assicurato riceverebbe l’indennizzo dalla stessa compagnia con la quale ha stipulato il contratto, realizzandosi in tal modo, fin dalla stipula delle polizze, un rapporto diretto e fiduciario tra assicurato e assicuratore. Poiché la compagnia di assicurazione che ha stipulato il contratto è la stessa che dovrà corrispondere l’indennizzo, essa è incentivata a un serrato controllo dei costi. In particolare, risparmi di costi possono derivare dalla predisposizione di contratti incentivanti che inducano l’assicurato a scegliere il risarcimento in forma specifica, piuttosto che per equivalente, presso una carrozzeria indicata dalla compagnia di assicurazione.

Inoltre, potendo conoscere, in ogni momento, la storia pregressa del veicolo, l’impresa assicuratrice può evitare l’inconveniente che un danno sia indennizzato più volte, circostanza che si verifica quando l’assicurato pretende l’indennizzo per equivalente, senza procedere poi alla riparazione del proprio autoveicolo.

Infine, una soluzione simile appare idonea a ridurre in modo sensibile i costi del contenzioso legato all’accertamento della responsabilità, delle spese di resistenza e di perizia, con effetti benefici per le imprese e per gli assicurati. Al riguardo si deve richiamare quanto dichiarato dal Presidente dell’Isvap nel corso della Relazione sull’attività dell’Istituto del 1999, in merito all’incidenza elevata di tali voci di costo sulla spesa complessiva per indennizzi delle imprese di assicurazione [“…di fatto, su £ 100 di premio, solo poco più della metà restano destinate al risarcimento dei danni, la parte residua dovendosi attribuire mediamente per un 15% ai costi di gestione ed intermediazione e, per un altro 12%, agli oneri fiscali e parafiscali; il resto – seppure con forti variazioni da impresa ad impresa – ai costi del contenzioso, delle spese di resistenza, delle perizie e delle valutazioni medico-legali di un troppo ridondante mondo che vive e, spesso, prospera, intorno all’industria del sinistro”.].

Vantaggi analoghi a quelli appena descritti potrebbero prefigurarsi, con riferimento anche al contenimento delle spese mediche, nell’ipotesi in cui il sistema di assicurazione diretta si estendesse a coprire i danni alla persona. Per quanto concerne i danni alla persona è, d’altra parte, opportuno considerare che la principale voce di costo è rappresentata dalle spese relative al danno biologico, il cui contenimento, in tutti i sistemi assicurativi, è generalmente ottenuto per via normativa (lo Stato definisce direttamente l’entità dei risarcimenti o impone l’istituzione di archivi che consentano di arrivare alla definizione di parametri omogenei) o per via giurisprudenziale.

Il passaggio da un’assicurazione di responsabilità civile ad un’assicurazione diretta pone tuttavia numerosi e difficili problemi, alcuni di natura giuridica – connessi con l’abbandono del tradizionale schema dell’assicurazione della responsabilità civile, impostata sul principio, che trova sanzione negli artt. 2043, 2052 e 1917 c.c., per cui del pregiudizio causato da altri deve rispondere l’autore del fatto lesivo che deve, attesa la sua colpa, risarcirlo integralmente al danneggiato, ovvero assicurarsi a tal fine per tale eventualità – altri di natura economica.

In particolare, un’assicurazione diretta dovrebbe per definizione coprire qualsiasi sinistro subito dal contraente la polizza, a prescindere dalla responsabilità. Trattandosi di una polizza destinata a coprire una gamma di rischi più ampia rispetto a quelli RCA, l’utente potrebbe trovarsi a dover pagare un premio più elevato. Inoltre, laddove le imprese prevedessero meccanismi di experience rating nei contratti (come il bonus-malus), il contraente si troverebbe a pagare un premio più elevato qualora dovesse subire un sinistro senza esserne responsabile: il passaggio dalla responsabilità civile verso terzi all’assicurazione diretta sposterebbe così l’onere connesso all’aumento del premio in conseguenza di un sinistro dal responsabile al danneggiato e contemporaneamente farebbe venir meno la responsabilità di colui che ha causato il danno.

Più in generale, l’indagine conoscitiva ha chiarito come, nell’esperienza internazionale, si evidenzino forti resistenze all’applicazione di un principio di assicurazione diretta e che anche i Paesi che, in via esclusiva o come opzione alternativa, lo accolgono, come alcuni degli Stati USA, hanno introdotto vaste e significative limitazioni e modifiche al suo operare.

La stessa esperienza internazionale, soprattutto con riferimento a Paesi in cui i mercati assicurativi presentano un significativo grado di concorrenza, mostra tuttavia che possono esistere vie intermedie efficaci fra l’attuale modello di responsabilità civile con indennizzo indiretto e l’adozione di forme di assicurazione diretta. Si tratta di sistemi che, pur mantenendo il principio della responsabilità civile verso terzi, in virtù di un’applicazione effettivamente generalizzata di meccanismi di indennizzo diretto, riescono ad ottenere gli stessi effetti, in termini di incentivi all’efficienza, dei sistemi di assicurazione diretta. Risulta particolarmente interessante l’esperienza della Francia, dove negli ultimi dieci anni il prezzo medio pagato dagli assicurati è rimasto invariato nonostante un tasso di inflazione del 14% nello stesso periodo. Analizzando il sistema francese, è emerso che, pur essendosi mantenuta la responsabilità civile verso terzi, è stato previsto il ricorso all’indennizzo diretto, accompagnato, tuttavia, da un efficace meccanismo di compensazione tra le imprese. A differenza di quanto oggi avviene in Italia con la Convenzione CID, il ricorso all’indennizzo diretto si estende in Francia alla quasi totalità dei danni a cose e ai danni alle persone al di sotto di una certa soglia di invalidità permanente; ma, soprattutto, la compensazione tra l’impresa del danneggiato che risarcisce il danno subito dal proprio assicurato e l’impresa che assicura il responsabile non avviene, come si verifica con la Convenzione CID, ex post sulla base di quanto effettivamente pagato, bensì prevedendo un importo fisso, determinato ex ante e commisurato al valore medio storico dei risarcimenti pagati in un appropriato periodo di riferimento [Questo meccanismo di compensazione, che sembra aver contribuito, in Francia, ad una seria riduzione dei costi a beneficio dei prezzi finali corrisposti dai consumatori, evita tra l’altro che tra le imprese si realizzi un pervasivo scambio di informazioni sui singoli sinistri.].

Traendo ispirazione dal modello francese, che è quello la cui adozione comporterebbe minori modifiche rispetto al sistema oggi esistente in Italia, si potrebbe in particolare prevedere, in luogo dell’attuale Convenzione CID, una nuova e diversa convenzione tra le imprese, basata su due criteri fondamentali: (i) che gli assicurati debbano essere sempre indennizzati dalla propria compagnia, almeno per i danni a cose subiti; (ii) che quest’ultima riceva sempre una compensazione forfetaria predeterminata da parte della compagnia del danneggiante.

La definizione di un meccanismo di compensazione, tra l’assicurazione del danneggiante e quella del danneggiato – a condizione che non presenti i limiti che caratterizzano i meccanismi attualmente previsti dalla Convenzione CID e al quale, soprattutto, sia estraneo ogni riferimento a un accordo collettivo tra Ania e carrozzieri – ha una rilevanza cruciale affinché tale sistema sia effettivamente idoneo a fornire agli operatori gli incentivi appropriati ad un efficiente contenimento dei costi. In particolare, come nel sistema francese, è necessario che la compensazione sia determinata ex ante e abbia carattere forfetario – sia per esempio commisurata a un valore medio dei risarcimenti pagati in un precedente periodo di riferimento – in modo da essere indipendente dalla effettiva onerosità del singolo sinistro. In tal modo, infatti, l’impresa di assicurazione del danneggiato avrebbe un forte interesse a contenere l’effettivo costo del risarcimento del sinistro, giacché gli eventuali risparmi di costo, rispetto alla compensazione forfetaria, andrebbero a suo beneficio. In questa prospettiva, le compagnie di assicurazione potrebbero anche trovare convenienza ad incentivare i propri assicurati, ad esempio mediante una appropriata politica di sconti sui premi, a servirsi di auto-officine autorizzate da parte della compagnia di assicurazione, in alternativa all’indennizzo in denaro.

Più in generale, almeno con riferimento ai danni a cose, un meccanismo di indennizzo diretto con compensazione forfetaria, mantenendo inalterata la responsabilità civile verso terzi, appare in grado di introdurre incentivi adeguati ad indurre comportamenti virtuosi, con riguardo al contenimento dei costi, da parte di tutti i soggetti coinvolti, stimolando significativamente il confronto competitivo tra le compagnie. In primo luogo, come già richiamato, la natura forfetaria della compensazione incentiva la compagnia di assicurazione del danneggiato, la quale effettivamente sostiene il costo della riparazione, ad effettuare un controllo stringente su tale voce, affinché resti sistematicamente al di sotto dell’ammontare previsto per la compensazione. In particolare, la compagnia sarebbe stimolata a controllare gli auto-riparatori, prevenendone comportamenti opportunistici. In questa stessa prospettiva, le imprese di assicurazione potrebbero trovare convenienza a incentivare i propri assicurati a ricorrere alla riparazione presso auto-officine convenzionate, limitando le richieste di indennizzi in denaro, alle quali possono più facilmente associarsi comportamenti fraudolenti. In secondo luogo, dovendo provvedere direttamente a indennizzare il proprio cliente, con il quale ha interesse a stabilire una relazione economica di lungo periodo, l’impresa avrà anche interesse a contenere le spese di riparazione con modalità che siano al contempo apprezzate dal danneggiato. Per le stesse ragioni, l’assicurato, posto dalla propria compagnia di fronte all’alternativa di rinunciare all’indennizzo monetario, avrebbe ragione di attendersi una soddisfacente qualità del servizio di riparazione, sul quale le imprese di assicurazione sarebbero stimolate a farsi concorrenza [Si osservi che gli incentivi opererebbero invece in maniera perversa se, secondo una recente proposta, i servizi di riparazione fossero offerti dall’assicurazione del danneggiante, cioè nell’ambito del sistema attuale di indennizzo indiretto.].

Dal punto di vista dell’intero sistema, inoltre, in luogo di un’unica convenzione tra l’associazione di categoria e tutte le carrozzerie che omogeneizza verso il massimo i costi di tutte le compagnie, vi sarebbe un incentivo, per ciascuna impresa di assicurazione, a ricercare soluzioni individuali che contemperino l’esigenza di contenere i costi di riparazione con quella di fornire un servizio di qualità elevata per i propri assicurati. Ciò eviterebbe quegli scambi di informazioni cui le imprese fanno ricorso per coordinarsi sul funzionamento di un sistema di compensazione complesso quale quello esistente oggi in Italia. Ulteriori vantaggi sono infine rappresentati dal miglior controllo che le imprese potrebbero esercitare sulla qualità del parco auto relativo al proprio portafoglio e quindi dalla possibilità di prevedere con maggiore precisione l’effettiva esposizione al rischio, con evidenti effetti benefici sul processo di tariffazione.

Gli argomenti che precedono sono stati compiutamente svolti facendo riferimento, anche per ragioni esemplificative, al risarcimento di danni a cose. Gli stessi argomenti possono, in linea di principio, ugualmente applicarsi al caso di danni alle persone, almeno per quanto riguarda il maggior incentivo concorrenziale che da un regime di risarcimento diretto, mantenendo il principio della responsabilità civile verso terzi, può derivare al contenimento delle spese mediche.

Occorre tuttavia considerare con adeguata ponderazione il diverso bene tutelato nel caso di danni alle persone: la salute e l’integrità fisica. Per i danni alle persone il risarcimento dovuto può dunque essere anche di importo molto elevato e la relativa valutazione richiede normalmente tempi lunghi ed è soggetta ad un notevole grado di discrezionalità. Tali difficoltà inoltre si accrescono quando si considerano più specificamente i danni non patrimoniali. Con riferimento a questa ultima tipologia di danni, è opportuno tenere conto dell’esperienza di altri Paesi, che mostra come sia possibile adottare alcuni accorgimenti atti a contenere l’impatto incontrollato sui costi delle imprese di assicurazioni. In particolare, così come avvenuto nella generalità degli altri Paesi, è necessario procedere in tempi rapidi alla predisposizione di una tabella unica nazionale, quantomeno per il danno biologico. Questo tipo di soluzione, riducendo l’incertezza sull’ammontare dei risarcimento, avrebbe effetti benefici sui tempi e sui costi di liquidazione e contribuirebbe a ridurre in modo rilevante il contenzioso, che rappresenta uno degli elementi che influiscono maggiormente sul costo dei risarcimenti per i danni a persone.

IV. CONSIDERAZIONI FINALI

In definitiva, l’indagine ha consentito di verificare che, accanto a comportamenti collusivi delle imprese già accertati dall’Autorità nel 2000 con un apposito procedimento istruttorio, il mercato assicurativo RCA presenta delle anomalie che sicuramente non hanno incentivato le imprese a competere, ma a cui dal canto loro le imprese non hanno saputo reagire efficacemente, come invece avvenuto in altri Paesi che hanno sperimentato un’analoga liberalizzazione.

A conclusione dell’indagine, l’Autorità ritiene che una rivisitazione dell’assetto distributivo ed una radicale innovazione del meccanismo di indennizzo indiretto, almeno con riferimento ai danni a cose, possano contribuire al raggiungimento di un corretto assetto concorrenziale. Soluzioni diverse rispetto all’attuale sistema di distribuzione monomarca, accompagnate da adeguati incentivi, anche connessi con un diverso sistema di remunerazione degli agenti, faciliterebbero il confronto del consumatore tra prodotti concorrenti e dunque una maggiore mobilità della domanda a vantaggio della concorrenza tra imprese. Il passaggio a forme di indennizzo diretto nell’ambito della responsabilità civile, a sua volta, dovrebbe comportare la ricerca individuale di soluzioni efficienti, essendo in questo caso rinvenibile un interesse effettivo dell’impresa a fornire un servizio di qualità elevata a prezzi contenuti al fine di non perdere i propri clienti.

L’adozione di siffatte soluzioni è in grado di stimolare la concorrenza a livello distributivo, di incentivare le imprese a competere sulla qualità del servizio e di eliminare numerose inefficienze riscontrate nel sistema attuale. Ciò dovrebbe tradursi in una riduzione dei costi, in un contesto che ne faciliterebbe la traslazione sui prezzi finali a beneficio dei consumatori.

Sulla base delle suesposte considerazioni;

DELIBERA

la chiusura dell’indagine conoscitiva.

IL SEGRETARIO GENERALE

Rita Ciccone IL PRESIDENTE

Giuseppe Tesauro