Enti pubblici

Wednesday 25 February 2004

Quando la P.A. può essere condannata al risarcimento del danno. Tar per la Basilicata sentenza 18 dicembre 2003-7 febbraio 2004, n. 55

Quando la P.A. può essere condannata al risarcimento del danno

Tar per la Basilicata – sentenza 18 dicembre 2003-7 febbraio 2004, n. 55

Presidente Camozzi – estensore Ferrari

Ricorrente Araneo A. ed altri

Fatto

1. Con ricorso notificato in data 12 e 13 giugno 2001 i sig.ri Antonio Araneo, Caterina Araneo e Cristina Araneo impugnano gli atti in epigrafe indicati e ne chiedono l’annullamento.

Espongono, in fatto, di essere quasi tutti residenti fuori del Comune di Melfi e di aver avuto notizia che gran parte dei terreni di loro proprietà siti nel Comune di Melfi è interessata ai lavori edili eseguiti per la realizzazione di un parcheggio di interscambio dalla ditta Socomer Grandi Lavori per conto dello stesso Comune. In particolare sono state occupate le particelle 491, 493, 596, 995 (ex 35 a) e buona parte della 996 (ex 35 b) per una superficie pari ad oltre 10.000 mq., ma l’occupazione è stata estesa giorno dopo giorno ad altri terreni limitrofi sempre di loro proprietà. Inoltre, in ragione di tale occupazione, risultano intercluse e non più raggiungibili ulteriori loro proprietà (particelle 996, ex 35 b, nella parte non ancora occupata, 211, 57, 67, 68, 69, 70, 71, 73, 74, 75).

Constatata la precitata occupazione i ricorrenti hanno accertato che con delibera n. 158 del 21 dicembre 1999 il Consiglio comunale di Melfi ha approvato un progetto di costruzione e gestione di un parcheggio di interscambio, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1 legge 10/1977, e che in data 22 febbraio 2000 il responsabile dell’Ufficio tecnico comunale ha adottato il decreto n. 2 di autorizzazione all’occupazione d’urgenza, tra l’altro, anche delle particelle nn. 35 (in parte), 493, 491 per 4/8 folio 84, partita 46094 di proprietà dei ricorrenti, con autorizzazione all’accesso per la redazione dei verbali di stato di consistenza ed immissione in possesso. In data 23 marzo 2000, alla sola presenza del comproprietario Ferdinando Araneo, i tecnici incaricati hanno proceduto all’immissione in possesso. Peraltro, a fronte della prevista occupazione di mq. 4144 il Comune di Melfi ha di fatto occupato una superficie di oltre 10.000 mq., che è andata incrementandosi giorno dopo giorno.

Illegittimamente non sono mai stati comunicati né notificati ai ricorrenti sia la delibera del Consiglio comunale n. 158 del 21 dicembre 1999 sia il decreto del responsabile dell’Ufficio tecnico n. 2 del 22 febbraio 2000 sia l’avviso delle operazioni di stato di consistenza e di immissione in possesso.

2. Detti provvedimenti sono, ad avviso dei ricorrenti, illegittimi per violazione e falsa applicazione di legge (articoli 1, 3 e 23 legge 1/1978; articoli 10, 11 e 20 legge 865/71; articolo 7 legge 241/90), eccesso di potere per occupazione sine titulo, per omessa o carente motivazione, per difetto di istruttoria, per falsa ed errata rappresentazione della realtà, per incongruità ed ingiustizia manifesta, per violazione dei principi del giusto procedimento e della trasparenza e per carenza di contraddittorio.

In primo luogo, in palese violazione dell’articolo 7 legge 241/90 e dei principi che regolano il procedimento espropriativo, la dichiarazione di pubblica utilità (delibera del Consiglio comunale n. 158 del 21 dicembre 1999), il decreto di occupazione d’urgenza (n. 2 del 22 febbraio 2000) e l’avviso delle operazioni di stato di consistenza e di immissione in possesso sono illegittimi perché non sono mai stati notificati ai ricorrenti. Non rileva, in senso contrario, che tali avvisi siano stati fatti al sig. Ferdinando Araneo, germano dei ricorrenti, in quanto ciò non ha consentito che anche questi ultimi ne fossero resi edotti.

Illegittimamente, inoltre, l’Amministrazione non ha occupato solo la superficie di 4144 mq. oggetto del decreto di occupazione ma, sine titulo, anche le particelle 596 (per una superficie di mq. 2854) e 996 per alcune migliaia di mq., per un totale di oltre 10.000 mq., a fronte dei 4220 mq. circa autorizzati. Inoltre, a seguito della effettuata immissione in possesso i ricorrenti non hanno più alcuna possibilità di accedere ad altri terreni contigui, non oggetto della procedura espropriativa, con la conseguenza che, di fatto, non possono utilizzare svariati ettari di proprietà.

3. Con l’atto introduttivo del gravame i ricorrenti chiedono altresì la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illegittima occupazione dei terreni di loro proprietà, quantificato tenendo conto del notevole valore delle aree, localizzate in zona residenziale, lungo l’arteria urbana di Melfi (Viale D’Annunzio) che collega la stazione ferroviaria con il centro della città.

4. Con i motivi aggiunti, notificati in data 12 settembre 2001, i ricorrenti impugnano il decreto di occupazione d’urgenza n. 1 del 27 luglio 2001 del responsabile dell’Ufficio tecnico comunale – notificato a ciascuno di essi – con il quale è stato integrato e modificato il precedente decreto di occupazione 2/2000 ed è stato disposta l’occupazione anche della particella 596 (per una superficie di mq. 2853), precedentemente occupata sine titulo, così come denunciato nell’atto introduttivo del ricorso. Il decreto 1/2001 è illegittimo perché tardivo ed emesso in violazione della legge 1/1978 e della delibera n. 158 del 21 dicembre 1999 con la quale il Consiglio comunale, nell’approvare il progetto esecutivo per la realizzazione di un parcheggio di interscambio, aveva fissato in un anno il termine per l’inizio sia del procedimento espropriativo che delle occupazioni.

5. Con successivi motivi aggiunti, notificati in data 11 luglio 2003, i ricorrenti impugnano il decreto di esproprio in favore del Comune di Melfi, reso in data 30 maggio 2003 dal responsabile dell’Area Infrastrutturale e Mobilità dell’Utc di Melfi, delle, aree necessarie alla realizzazione dei lavori di costruzione e gestione di un parcheggio di interscambio (articolo 13 legge 865/71).

Avverso detto provvedimento i ricorrenti propongono censure di illegittimità derivata e vizi propri sub specie di violazione di legge e di eccesso di potere.

5. Si è costituita in giudizio l’Amministrazione, che ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

6. Si è costituita in giudizio la controinteressata soc. Socomer Grandi Lavori, che ha preliminarmente eccepito l’irricevibilità e l’inammissibilità del ricorso, mentre nel merito ne ha sostenuto l’infondatezza.

7. Con ordinanza 268/01 è stata accolta l’istanza cautelare di sospensiva.

8. Con ordinanza 20/2002 sono stati disposti incombenti istruttori, reiterati con successive ordinanze 48/2002, 59/2002 e 43/2003.

9. All’udienza del 9 ottobre 2003 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Diritto

1. Come si è detto in narrativa, con l’atto introduttivo del giudizio i ricorrenti hanno impugnato tre distinti provvedimenti succedutisi nel tempo, e cioè: a) la delibera consiliare 21 dicembre 1999 n. 158, con la quale è stato approvato il progetto di costruzione e gestione di un parcheggio che per buona parte interessa terreni di proprietà degli stessi ricorrenti, peraltro sin dal 1989 gravati da vincolo preordinato all’esproprio; b) il decreto di occupazione d’urgenza dei suddetti terreni n. 2 del 22 febbraio 2000, adottato dal responsabile dell’Utc, che individua i terreni stessi con inequivoco richiamo alle relative particelle catastali (nn. 36, 493 e 491) e alle superfici oggetto della procedura ablatoria (rispettivamente mq.1015, 3053 e 152); c) il verbale relativo allo stato di consistenza e all’immissione in possesso, redatto in data 23 marzo 2000 e sempre inequivocabilmente riferito alle suddette particelle e superfici occupande.

Doglianza comune ai provvedimenti in questione è che gli stessi non sarebbero stati notificati ai ricorrenti, comproprietari dei suddetti terreni, ma solo al germano Ferdinando Giulio, l’unico residente nel Comune di Melfi, che però è rimasto estraneo al giudizio.

2. Nel costituirsi in giudizio la controinteressata soc. Socomer Grandi Lavori ha eccepito la tardività dei ricorsi in quanto proposti a distanza di circa due anni (12 e 13 giugno 2001) dalla data di adozione della delibera consiliare di approvazione del progetto (21 dicembre 1999) e di oltre un anno dalla data del decreto autorizzante l’occupazione di urgenza (22 febbraio 2000).

L’eccezione deve essere disattesa, in conformità al principio ormai acquisito nella giurisprudenza del giudice amministrativo (Csi 274/90; Tar Bologna, sezione prima, 221/99; Tar Catanzaro 596/92; Tar Latina 835/87), secondo cui la circostanza che gli atti relativi all’occupazione d’urgenza di un immobile possono essere legittimamente notificati ad uno solo dei comproprietari non comporta che detta notifica postuli comunque la piena conoscenza degli atti stessi anche da parte degli altri comproprietari, a meno che non ricorrano elementi univoci che autorizzino a concludere in questo senso.

Né il dies a quo per l’impugnazione del decreto di occupazione può farsi decorrere dalla sua pubblicazione sul Foglio annunci legali, avendo i germani Araneo diritto, in quanto direttamente incisi dal provvedimento, alla notifica individuale.

3. Deve essere parimenti disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del decreto di localizzazione, atteso che la delibera di approvazione del progetto ed il decreto di occupazione d’urgenza sono censurati per vizi propri (omessa notifica e comunicazione di avvio del procedimento), e non derivati dalla scelta della localizzazione dell’opera.

4. Passando al merito, con una prima censura dell’unico motivo di ricorso è dedotta la mancata notifica ai ricorrenti – comproprietari dei tre provvedimenti oggetto dell’atto introduttivo del giudizio. La censura è priva di pregio giacché, almeno per i primi due provvedimenti (delibera di approvazione del progetto e decreto di autorizzazione all’occupazione), la mancata notifica ha il solo effetto della remissione in termini per l’impugnazione. Qualche dubbio potrebbe aversi per il verbale di consistenza, in quanto adottato inaudita altera parte, ma esso va risolto nel senso dell’ininfluenza al fine del decidere di tale circostanza, atteso che i ricorrenti non hanno mosso alcuna contestazione sulle risultanze dell’accesso in loco congiuntamente effettuato dai tecnici dell’Amministrazione e dal loro congiunto e, soprattutto, che l’immissione in possesso è stata effettuata con riferimento alle sole particelle in esso parimenti indicate (mq.1015, 3053 e 152), con la conseguenza che ulteriori occupazioni effettuate dopo la data di redazione del verbale di consistenza non hanno formato oggetto della disposta immissione in possesso.

5. È invece fondata la censura con la quale è dedotto che i provvedimenti impugnati non sono stati preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (14/1999), intervenendo sul punto, ha chiarito che deve essere data la previa comunicazione dell’inizio del procedimento, volto all’approvazione di un progetto di opera pubblica, ai proprietari delle aree destinate ad essere espropriate per la sua realizzazione. Ha aggiunto che gli adempimenti garantistici di cui alla legge 241/90 trovano applicazione sia nella fase di approvazione del progetto sia nel subprocedimento di occupazione d’urgenza, al fine di consentire all’interessato di far conoscere circostanze ed elementi idonei ad un’esatta valutazione sulla rilevanza del provvedimento restrittivo ed, eventualmente, a far recedere la Pa da un’erronea decisione (Consiglio di Stato, sezione quarta, 1016/00; Tar Liguria, sezione prima, 498/99).

Nel caso in esame i decreti di approvazione del progetto e di occupazione d’urgenza non sono stati preceduti dall’avviso dell’inizio del procedimento, con conseguente illegittimità dell’intero iter procedimentale, senza che possa rilevare, in senso contrario, l’urgenza, dedotta dall’Amministrazione resistente nella memoria di costituzione, di realizzare la strada in questione. Ed infatti, l’Amministrazione, che ritenga sussistenti i presupposti di celerità che legittimano l’omissione della comunicazione dell’avvio del procedimento, deve dare contezza, nel provvedimento finale, dell’urgenza e ciò in quanto le ragioni della speditezza devono essere poste a raffronto con le esigenze di tutela del contraddittorio (Tar Sardegna 1068/95). Nell’impugnato progetto manca il richiamo ad una situazione di particolare urgenza “qualificata” che non avrebbe reso possibile comunicare alla ricorrente l’avvio del procedimento, essendo del resto difficile ipotizzare che il rinvio di qualche giorno nell’adozione della deliberazione finale avrebbe potuto pregiudicare irrimediabilmente una situazione in atto da tempo.

6. Con i motivi aggiunti, notificati in data 12 settembre 2001, i ricorrenti impugnano il decreto di occupazione d’urgenza 1/2001 del responsabile dell’Ufficio tecnico comunale – notificato a ciascuno di essi – con il quale è stato integrato e modificato il precedente decreto di occupazione 2/2000 ed è stata disposta l’occupazione anche della particella 596 del foglio 84 (per una superficie di mq. 2853), non menzionata nell’originario decreto che, come già si è detto, faceva inequivoco riferimento alle sole particelle 36 (pro parte), 493 e 491, ma occupata sine titulo, così come denunciato nell’atto introduttivo del ricorso.

Avverso detto provvedimento deducono vizi propri e vizi di illegittimità derivata.

Va preliminarmente precisato che non può essere seguito il Comune allorché sostiene che il nuovo provvedimento ha il solo scopo di “rettificare ed integrare” l’originario provvedimento, emendandolo dell’“errore grafico” in esso contenuto. Non è infatti rilevante verificare se la mancata menzione della particella catastale 596 è conseguenza di una scelta consapevole ovvero di un errore, ipotesi quest’ultima che assume rilevanza solo nei rapporti interni fra l’Amministrazione comunale e il funzionario responsabile dell’omissione. Non è in grado di contrastare validamente questa conclusione l’affermazione che si legge nel preambolo del decreto impugnato, e cioè che l’area relativa alla particella 596 era stata “erroneamente accorpata alla particella 493”, con essa confinante. È infatti sufficiente opporre che il decreto originario non si limitava ad indicare la particella 493, ma quantificava anche la complessiva superficie esproprianda (mq. 3053), che avrebbe dovuto essere invece di mq. 5906 se le superfici relative alle due particelle (mq. 3053 della particella 493 e mq. 2853 della particella 596) fossero state erroneamente accorpate alla particella 493, come si assume da parte dell’Amministrazione.

Il provvedimento configura dunque una nuova occupazione, aggiuntiva a quella autorizzata. Detta occupazione è illegittima essendo stato annullato il decreto di approvazione del progetto, che recava anche la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

I motivi aggiunti, notificati in data 12 settembre 2001, devono dunque essere accolti.

7. Sono parimenti fondati i motivi aggiunti, notificati in data 11 luglio 2003, avverso il decreto di esproprio del 30 maggio 2003, anche in questo caso per essere stato annullato il decreto di approvazione del progetto, che recava anche la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

8. Passando alla domanda risarcitoria, i ricorrenti hanno chiesto in via principale il risarcimento in forma specifica ed in via gradata, ove non fosse possibile la restituzione delle aree per la loro irreversibile trasformazione, il risarcimento per equivalente.

Preliminarmente il Collegio dà atto dell’esistenza dei presupposti per poter procedere all’esame della pretesa risarcitoria.

Il risarcimento del danno non è, come è noto, una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale, seppur da questo non possa prescindere (Consiglio diStato, Ap, 4/2003), ma richiede la positiva verifica della sussistenza di tutti i presupposti previsti dalla legge: oltre alla lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall’ordinamento (« danno ingiusto »), è necessario che siano accertati (quanto meno) la colpa dell’Amministrazione, l’esistenza di un danno recato al patrimonio ed il nesso di causalità tra illecito e danno.

Nel caso di specie, la colpa è positivamente accertabile, essendo riconducibile alla violazione da parte dell’Amministrazione di una norma di ordine generale, posta a presidio essenziale delle garanzie partecipative ed il cui rispetto peraltro avrebbe richiesto all’Amministrazione medesima uno sforzo non particolarmente rilevante. Né l’Amministrazione, venuta a conoscenza della censura procedimentale di cui si discute, si è adoperata per arrestare il procedimento o rinnovarlo in tempo utile ma si è anzi attivata per portare a compimento l’esecuzione dell’opera.

In relazione al requisito dell’ingiustizia del danno ed ai dubbi connessi alla circostanza che la violazione dell’articolo 7 legge 241/90 sembra integrare un’illegittimità di carattere solo procedimentale, con una tutela priva di rilievo sostanziale e che non assume ad oggetto il « bene della vita », costituente il principale riferimento del giudizio risarcitorio, è sufficiente rilevare, richiamando una recente decisione del Consiglio di Stato (sezione quinta, 1562/02), che se per costante orientamento la violazione della prescrizione di garanzia dell’avviso dell’inizio del procedimento inficia la legittimità del procedimento e del provvedimento finale, costituendone motivo di invalidazione, è anche perché la pretesa basata sul cit. articolo 7 è, per diritto vivente, di portata « sostanziale », nel senso che può avere ingresso nel processo e condurre all’accoglimento della domanda.

Né si potrebbe obiettare che non è sicuro che tale ingente danno sia effettivo e causalmente riconducibile ad un illecito accertato, poiché non è escluso che il procedimento, qualora fosse stato effettuato l’avviso di avvio, avrebbe avuto esito positivo per l’Amministrazione. Ciò in quanto, se l’Amministrazione avesse la possibilità di rinnovare comunque il procedimento, anche dopo l’ultimazione dell’opera, il danno sofferto non sarebbe più commisurabile al valore del fondo occupato.

Il Collegio esclude infatti che ci sia la possibilità di rinnovazione, perché un procedimento espropriativo che fosse avviato per l’esecuzione di un’opera pubblica che già esiste e che non può essere rimossa sarebbe sostanzialmente privo di oggetto ed impossibile. Né le garanzie partecipative avrebbero, in un caso di questo tipo, alcuna possibilità di successo né utili spazi di svolgimento: esse si risolverebbero in vuoti formalismi (Consiglio di Stato, sezione quarta, 3169/01; sezione sesta, 4158/00).

Dunque, nel caso in cui, come nella specie, l’annullamento travolge la dichiarazione di pubblica utilità, viene a mancare – alla stregua della giurisprudenza sia del giudice amministrativo che di quello ordinario (Cassazione civile, sezione prima, 1814/00; Consiglio di Stato, sezione quarta, 3177/00) – il presupposto giuridico per l’occupazione appropriativa in ragione di quanto successivamente realizzato dall’Amministrazione, non essendo apprezzabile il collegamento teleologico tra l’opera costruita ed il pubblico interesse e residuando solo un fatto illecito permanente, generatore di danno.

9. Accertata l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto al risarcimento, e con precipuo riferimento alle particelle oggetto dei decreti di occupazione d’urgenza 2/2000 e 1/2001 (491, 493, 995 e 596), non essendone più possibile la restituzione a causa dello loro irreversibile trasformazione, il Collegio dispone il risarcimento per equivalente, chiesto in via subordinata dai ricorrenti, e detta i criteri per la sua quantificazione, utilizzando lo strumento di semplificazione di cui all’articolo 35, secondo comma, D.Lgs 80/1998, sostituito dall’articolo 7 legge 205/00, che consente al giudice amministrativo di stabilire i criteri in base ai quali l’Amministrazione deve proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. In mancanza di accordo, da stipularsi entro centoventi giorni dalla notifica della presente decisione o dalla sua comunicazione in via amministrativa, la determinazione della somma dovuta potrà essere richiesta con il ricorso previsto dall’articolo 27, primo comma, n. 4, Tu 1054/24, nelle forme del giudizio di ottemperanza (Tar Lecce 4969/03).

I soggetti obbligati dovranno, ciascuno per la parte di competenza che verrà di seguito delineata, elaborare una proposta risarcitoria, rapportata al totale dei metri quadrati delle particelle, da sottoporre agli aventi titolo entro il predetto termine di centoventi giorni, tenendo conto del valore venale dei terreni, alla data della loro effettiva occupazione, determinato in considerazione della loro destinazione urbanistica ed a prescindere da eventuale aumento di valore conseguente alla realizzazione dell’opera pubblica. In particolare, la stima dei valori di mercato del suolo andrà stabilita dal Comune, in contraddittorio con le parti in causa, sulla base degli elementi in possesso della stessa Amministrazione e di quelli che verranno forniti dalle controparti, nonché delle informazioni che potranno essere acquisite preso uffici pubblici in ordine ai prezzi ed alle valutazioni dei beni (avuto riguardo, in particolare, ad atti di cessione, a procedimenti relativi all’applicazione di imposte e tributi per beni ubicati nella zona ed aventi analoghe caratteristiche di destinazione urbanistica, di utilizzazione, di stato e conformazione dei luoghi, in un arco temporale quanto più prossimo al periodo di occupazione) (Tar Catanzaro 301/03; Tar Napoli 387/03).

Trattandosi inoltre di debito di valore, le somme sopra calcolate dovranno essere rivalutate, secondo gli indici Istat, dalla data di effettiva occupazione fino al deposito della presente sentenza, momento in cui, per effetto della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta (Cassazione civile, sezione prima, 10696/00); gli interessi legali devono essere calcolati non sul suddetto importo rivalutato ma, anno per anno, sul valore della somma via via rivalutata, sulla base degli indici annuali medi di svalutazione (Cassazione civile, sezione prima, 5278/02 e 7182/97), nell’arco di tempo compreso tra l’evento dannoso e la liquidazione (Cassazione civile, sezione terza, 883/02; sezione prima, 13/1998; Consiglio di Stato, sezione sesta, 1768/03; Tar Lecce 5014/03; Tar Catanzaro 1283/03).

10. In relazione alle particelle oggetto del primo decreto di esproprio n. 2 del 22 febbraio 2000 (nn. 491, 493 e 995) gli oneri del predetto risarcimento ricadono tutti sull’Amministrazione comunale, alla quale sola vanno imputati gli atti illegittimi. Con riferimento, invece, alla particella n. 596, gli oneri risarcitori ricadono sulla ditta Socomer per il periodo di occupazione sine titulo e sull’Amministrazione per il restante periodo di occupazione illegittima.

11. Dalle perizie del consulente tecnico d’ufficio è emerso che la particella 996, anch’essa occupata sine titulo, non ha subito un’irreversibile trasformazione, con la conseguenza che la stessa potrebbe essere restituita ai ricorrenti ma previa realizzazione di alcune opere, indispensabili per la sua remissione in pristino.

Si pone quindi al Collegio il problema dell’applicabilità, al caso in esame, del limite alla reintegrazione in forma specifica posto dall’articolo 2058 Cc.

Detta norma, al primo comma, stabilisce che il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica «qualora sia in tutto o in parte possibile » ed, al secondo comma, che il giudice può d’ufficio imporre il risarcimento per equivalente «se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore». Esiste, dunque, un duplice limite all’attuazione di quella che, nel corpo dell’articolo, viene definita “reintegrazione in forma specifica”, che coincide: a) con la concreta impossibilità di disporla; b) con l’eccessiva onerosità per il debitore.

L’articolo 2933 Cc disciplina l’esecuzione forzata degli obblighi di non fare e pone un limite al processo esecutivo, prevedendo che «non può essere ordinata la distruzione della cosa e l’avente diritto può conseguire solo il risarcimento danni se la distruzione della cosa è di pregiudizio all’economia nazionale». L’interesse alla conservazione di un bene che sia utile all’economia nazionale è di ostacolo al soddisfacimento in executivis della pretesa e provoca la sostituzione del risarcimento per equivalente.

È stato di recente chiarito (Consiglio di Stato, sezione quarta, 3169/01) che detta disposizione sovrappone l’interesse pubblico all’interesse privato. La reintegrazione in forma specifica non è dunque uno strumento che il giudice può utilizzare senza limiti. Se un limite è dato apprezzare nei sistemi di tutela risarcitoria in ambito civile, a fortiori devono ammettersi forme corrispondenti nel processo amministrativo. La reintegrazione in forma specifica deve essere infatti intesa come istituto speciale del diritto processuale amministrativo e i suoi limiti di applicazione coincidono con quelli di speciale rilevanza dell’interesse pubblico. Ciò perlomeno in casi nei quali l’accoglimento della domanda di reintegrazione comporterebbe la distruzione di un’opera pubblica di rilevante importanza e di ingente valore economico o la realizzazione di altre opere di rilevanti costi a servizio esclusivo del ricorrente. L’eccessiva onerosità per il debitore considerata dall’articolo 2058 Cc, nell’applicazione dell’articolo 35 D.Lgs 80/1998, sostituito dall’articolo 7 legge 205/00, muta veste e deve valutarsi come eccessiva onerosità per il pubblico interesse e per la collettività, senza trascurare che è proprio la collettività che sopporta gli oneri dell’azione amministrativa.

Del resto, che la reintegrazione in forma specifica sia uno strumento subordinato a limiti e condizioni attuative è dimostrato dal fatto che ai sensi del cit. articolo 35 il giudice « dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto ». La reintegrazione, dunque, è solo una delle possibili forme di risarcimento che, nell’ipotesi in cui, come nella specie, è troppo gravosa, lascia il posto al risarcimento per equivalente.

L’onere di questo risarcimento ricade sulla società Socomer che, in qualità di esecutrice dei lavori, ha occupato abusivamente aree non oggetto del decreto di occupazione.

12. Non può accogliersi la domanda risarcitoria, invece, in relazione alle particelle 71, 73, 74, 211, che non sono oggetto di occupazione ma solo di asserita intervenuta interclusione, la quale è peraltro allo stato solo affermata, non risultando sufficientemente provato che a dette aree è reso praticamente impossibile, e non piuttosto solo meno agevole l’accesso da altre particelle di proprietà degli stessi sig.ri Araneo o da strade o altre proprietà pubbliche.

13. Ai ricorrenti non spetta neanche il risarcimento conseguente ad eventuali mancati guadagni derivanti da perdite di raccolto, in quanto già ricomprese nel risarcimento calcolato sub 9.

14. Parimenti deve essere escluso qualsiasi altra lesione subita dai ricorrenti per effetto indiretto degli atti annullati. Ciò in quanto, ai sensi dell’articolo 1223 Cc, richiamato dall’articolo 2056 Cc, il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta del fatto illecito (Cassazione civile, sezione seconda, 3999/03; Su 762/98; Consiglio di Stato, sezione quinta, 227/02; Tar Bologna, sezione prima, 536/01). In altri termini, perché il pregiudizio che la vittima dell’illecito allega possa essere addebitato a titolo risarcitorio al suo autore è necessario che, secondo il principio della regolarità causale, esso rientri nelle conseguenze normali del fatto.

15. Il Collegio, rilevato che l’accoglimento della domanda risarcitoria potrebbe configurare un danno erariale, dispone la trasmissione della presente sentenza alla Procura della Corte dei Conti presso la sezione giurisdizionale per la Regione Basilicata, per gli eventuali provvedimenti di competenza.

16. In ragione dell’accoglimento del ricorso, le spese della consulenza tecnica d’ufficio devono essere poste in via solidale a carico dell’Amministrazione comunale e della società Socomer. Si manda quindi alla Segreteria del Tribunale di svincolare le cauzioni già depositate dai ricorrenti.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.

PQM

Il Tar per la Basilicata definitivamente pronunciando sul ricorso proposto, come in epigrafe, dai sig.ri Antonio Araneo, Caterina Araneo e Cristina Araneo: a) accoglie il ricorso e, per l’effetto annulla gli atti impugnati, anche nella via dei motivi aggiunti notificati in data 12 settembre 2001 e 11 luglio 2003; b) accoglie, nei limiti di cui in motivazione, la domanda di risarcimento danni; c) pone, in solido, a carico dell’Amministrazione e della ditta Socomer Grandi Lavori srl le spese della consulenza tecnica d’ufficio.

Ordina alla Segreteria di svincolare le cauzioni depositate dai ricorrenti.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Manda alla Segreteria di trasmettere copia della presente sentenza e del fascicolo di causa alla Procura presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Regione Basilicata.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.