Penale

Tuesday 23 September 2003

Processo Previti: l’ inimicizia grave rilevante per la ricusazione deve essere dimostrata e provata. Cassazione – Sezione sesta penale (cc) – sentenza 8 luglio-22 settembre 2003, n. 36340

Processo Previti: linimicizia grave rilevante per la ricusazione deve essere dimostrata e provata.

Cassazione Sezione sesta penale (cc) sentenza 8 luglio-22 settembre 2003, n. 36340

Presidente Fulgenzi relatore Milo

Pm Passacantando ricorrente Previti ed altri

Fatto e diritto

1. La Corte dappello di Milano, con ordinanza 15-17 aprile 2003, rigettava la dichiarazione di ricusazione, per inimicizia grave (articolo 37/1° lettera a) in relazione allarticolo 36/1° lettera d) Cpp), proposta da Cesare Previti, imputato nel procedimento 1600/00 pendente dinanzi alla sezione quarta penale del Tribunale di Milano, nei confronti dei membri del Collegio giudicante (presidente Carfi; giudici a latere Consolandi e Balzarotti).

Il Giudice i distrettuale dopo la preliminare delibazione sullammissibilità della dichiarazione, la riteneva infondata nel merito, non essendo emersi elementi sintomatici della dedotta inimicizia grave, quale causa di pregiudizio della terzietà dei giudici ricusati. Sottolineava che anche i comportamenti endoprocessuali di costoro non avevano rivelato malafede e quel calcolato pregiudizio ai quali listante aveva fatto riferimento. Aggiungeva, in particolare, che la scelta adottata dal Collegio giudicante in tema di competenza territoriale, questione espressamente riproposta dalla difesa dellimputato dopo lintervento delle Sezioni unite di questa Corte sulla rimessione del processo, era frutto di una motivata valutazione fattuale e giuridica, che poteva ‑ in tesi ‑ essere rivista dagli stessi giudici in sede di decisione finale o essere eventualmente sottoposta a verifica in sede di gravame, ma che sicuramente non era indice di parzialità del giudice, quale riflesso dellallegata inimicizia grave.

Va precisato che non erano stati ammessi ad intervenire, nel procedimento incidentale di ricusazione, gli altri coimputati non ricusanti, nonostante alcuni di essi (Felice Rovelli, Primarosa Battistella, Vittorio Metta) ne avessero fatto espressa richiesta.

Su tale richiesta, la Corte dappello di Milano, con ordinanza 15 aprile 2003, dichiarava non luogo a provvedere, ritenendo che il contraddittorio andava assicurato soltanto nei confronti della parte ricusante e che le altre parti private avrebbero potuto eventualmente impugnare, se ritenutesi lese nel loro diritti, il provvedimento conclusivo della procedura incidentale.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori, Cesare Previti e i coimputati Vittorio Metta e Giovanni Acampora.

Il primo ha censurato la decisione di rigetto della Corte territoriale per violazione della legge processuale, vizio di motivazione e mancata assunzione di prova decisiva: non si erano individuati gli esatti confini del thema decidendum, ben più ampio del ristretto campo analizzato dalla Corte milanese, che si era limitata a portare la sua attenzione sulla sola ordinanza 26 marzo 2003 relativa alla questione della competenza territoriale, senza considerare il complessivo comportamento tenuto dai giudici durante tutto il corso del lungo iter processuale, costellato «di una pluralità di anomalie, distribuite nel tempo … comprovanti … la preordinata scorrettezza ed i continui abusi del giudice ricusato»; non si erano esaminati gli altri provvedimenti adottati dal Tribunale in materia di competenza, caratterizzati da forzature interpretative speciose, elusive del costante orientamento giurisprudenziale, sorde a qualunque diversa sollecitazione della difesa; la decisione da ultimo emessa sul punto (ordinanza 26 marzo 2003) costituiva la conferma della persecuzione giudiziaria subita perché esplicitava «in termini di oggettiva evidenza … quel calcolato pregiudizio che, in forma meno eclatante, si era già intravisto in altre, precedenti decisioni del Collegio giudicante, così da costituire tutto … ragione sufficiente per ritenere integrato il presupposto della ricusazione noto come inimicizia grave non si era data la giusta valenza alla circostanza che il Tribunale non aveva inteso neppure raccogliere linvito della Corte di cassazione di esaminare, nel verificare la propria competenza per territorio, tutta la documentazione indicata dalla difesa e che la conseguente pronuncia, soltanto in apparenza corretta, era in realtà strumentale allobiettivo precostituito di negargli il diritto al giudice naturale precostituito per legge, che non si identificava certamente nel Tribunale di Milano; la Corte dappello aveva omesso di acquisire la documentazione di cui innanzi, che avrebbe offerto la dimostrazione della fondatezza della tesi difensiva sulla competenza e, quindi, la chiara malafede del giudice; evidente contraddizione tra laffermazione che linimicizia grave del giudice nei confronti dellimputato può essere desunta da comportamenti endoprocessuali e il successivo rilievo della mancata allegazione di fatti extraprocessuali indicativi dellinimicizia; non poteva avallarsi una presunzione dimparzialità del giudice.

Il Metta ha censurato la sola ordinanza 15 aprile 2003 di non luogo a provvedere, qualificandola provvedimento abnorme e deducendo la violazione della legge processuale (articoli 41/3°, 127/1°-5°, 178 lettera c) e 179 Cpp), per non essere stato ammesso a partecipare alla procedura di ricusazione attivata dal Previti, pur sussistendo un suo interesse alla medesima per i riflessi sul mutamento o sullintangibilità del giudice.

LAcampora ha censurato sia lordinanza interlocutoria che quella conclusiva della Corte milanese, denunciando labnormità della prima e lillegittimità della seconda per violazione delle regole sul contraddittorio: egli aveva interesse ad intervenite nella procedura, essendo in discussione la delicata questione della competenza per territorio.

La difesa del Previti ha depositato memoria difensiva, datata 1 luglio 2003, con allegato parere pro veritate dei proff. Dalia e Ferraioli, aderendo alleccezione in rito formulata dai coimputati, esplicitando diffusamente le ragioni a sostegno della medesima e confutando le conclusioni sopra trascritte del Pg.

Anche la difesa del Metta ha prodotto memoria di replica 1 luglio 2003 alle conclusioni rassegnate dal Pg, ribadendo gli argomenti già sviluppati nellatto di gravame.

3. I ricorsi del Metta e dellAcampora sono inammissibili, mentre quello del Previti è infondato.

3a- Preliminare, sul piano logico-giuridico, è lesame della prospettata questione in rito. Va, innanzitutto, rilevato che lordinanza 15 aprile 2003 di non luogo a provvedere non può essere qualificata come provvedimento abnorme, dovendosi per tale intendere soltanto quello che, per la singolarità e stranezza del suo contenuto risulti avulso dallintero ordinamento processuale ovvero quello che, pur essendo mi astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. Labnormità dellatto processuale deve riguardare cioè il profilo strutturale, che rimane completamente estraneo al sistema organico,della legge processuale, o quello funzionale, che, pur formalmente compatibile col sistema normativo, determina la stasi del processo e limpossibilità di proseguirlo.

Tali connotati non sono certamente rinvenibili nellordinanza in contestazione della Corte dappello, limitatasi ad escludere la partecipazione degli imputati non ricusanti alla procedura incidentale di ricusazione promossa dal solo imputato Previti. Può, in astratto, trattarsi di provvedimento non condivisibile, ma certamente rientrante nei poteri del giudice e non idoneo, di per sé, a determinare la stasi del procedimento.

La detta ordinanza, per il suo carattere interlocutorio ed in quanto priva di contenuto decisorio, non è impugnabile.

3b- Avendo, tuttavia, il solo Acampora impugnato anche lordinanza conclusiva del procedimento di ricusazione, questa sì avente carattere decisorio e ‑ in tesi ‑ idonea ad incidere su posizioni soggettive delle parti e, in particolare, di quelle che sarebbero state illegittimamente escluse dal contraddittorio, e avendo alla stessa problematica fatto riferimento, con articolata memoria, anche la difesa del Previti, va comunque sottoposta

a verifica la scelta del giudice a quo di non integrare il contraddittorio nei confronti dei coimputati non ricusanti.

Tale scelta deve ritenersi corretta, considerato che, nel caso concreto, non era ravvisabile alcun interesse, in capo ai coimputati non ricusanti, ad intervenire nella procedura incidentale, che riguardava la posizione personale del Previti e il cui esito, quale che fosse stato, non avrebbe comunque avuto riflessi sulla loro posizione.

Non ritiene la Corte di discostarsi, almeno nel caso di specie, dallorientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo cui, essendo la ricusazione atto personalissimo della parte, che deve proporla direttamente o per mezzo di procuratore speciale, è soltanto questa legittimata a partecipare al conseguente procedimento incidentale, al quale devono invece rimanere estranee le altre partì private, la cui posizione non ha interferenze processuali con quella del ricusante (cfr. Cassazione sezione prima, 6 ottobre 1992, Rossi; sezione sesta, 17 marzo 1997, Ferretti; sezione sesta, 1 luglio 1997, Pm/Aquino; sezione sesta, 6 aprile, Rapisarda).

La ricusazione è istituto di carattere eccezionale che consente, per garantire limparzialità del giudice, lingerenza delle parti in materia di ordinamento giudiziario, attinente al rapporto di diritto pubblico tra Stato e giudice, e che attiva un procedimento incidentale che sinnesta nel procedimento principale al fine di evitare che questo sia trattato e sia deciso da un soggetto che si trova in una delle situazioni tipicizzate dalla legge processuale come cause di pregiudizio della terzietà del giudice. La relativa disciplina accentua il carattere giurisdizionale del procedimento conseguente alla ricusazione, in quanto strumento finalizzato alla salvaguardia di un principio coessenziale alla funzione dello ius dicere, rispondente, in via primaria, alla tutela di un intuibile interesse pubblico, ma anche alla garanzia dellinteresse della parte, la quale, mediante la dichiarazione di ricusazione, mira ad ottenere un giusto processo affidato ad un giudice imparziale.

La ricusazione è rimedio affidato alliniziativa delle parti processuali e diretto a conseguire lestromissione dal processo del giudice inteso come determinata persona fisica, che viene a trovarsi in una di quelle particolari relazioni con la regiudicanda, espressamente previste dalla legge, da cui potrebbe derivare il pericolo di turbativa dellimparzialità del giudizio.

Considerato che listituto della ricusazione, come anche quello dellastensione, non attengono alle condizioni di capacità del giudice, la cui eventuale decisione, in difetto della dichiarazione ex articolo 38 Cpp e in violazione dellobbligo di astensione, non è affetta da nullità, è evidente che soltanto la parte che esercita la facoltà dì ricusare ed eventualmente quelle sulla cui posizione processuale lesercizio di tale facoltà si riverbera direttamente hanno diritto dintervenire nella procedura incidentale, alla quale invece devono rimanere estranee le altre parti per carenza dinteresse.

Con specifico riferimento al caso in esame, avuto riguardo alla natura personale del motivo di ricusazione dedotto (inimicizia grave tra i giudici e limputato Previti), non è dato vedere alcun interesse degli altri coimputati non ricusanti ad intervenire nel relativo procedimento, per sostenere o contrastare le ragioni del Previti ai fini del mutamento o dellintangibilità del giudice, posto che la decisione sulla ricusazione non poteva che essere riferita alla prospettata causa nei suoi limiti oggettivo e soggettivo, senza la possibilità di prendere in esame situazioni diverse da quella denunciata, e non poteva che incidere, ove fosse stata favorevole, sulla sola posizione processuale del ricusante, con conseguente adozione del provvedimento di separazione ex articolo 18/1° lettera e) Cpp (istruttoria dibattimentale conclusa per gli imputati non ricusanti). In questultima ipotesi, i coimputati non ricusanti non sarebbero stati coinvolti dalla decisione di accoglimento della ricusazione.

Insussistente, quindi, qualunque interesse dellAcampora ad intervenire nella procedura, nella quale la questione della competenza, su cui il ricorrente ha fatto leva, veniva evocata indirettamente, soltanto al fine di dimostrare lasserita parzialità del giudice e la conseguente fondatezza del motivo di ricusazione, e non certo per essere decisa con effetti diretti sul processo.

Né può, per gli argomenti esposti, fondatamente sostenersi che, nel caso in esame, la mancata integrazione del contraddittorio avrebbe compresso il diritto di difesa dello stesso ricusante, «privato del prezioso apporto dialettico di soggetti portatori del medesimo interesse ad interloquire su un tema afferente alla imparzialità del giudice».

La bontà della tesi esposta trova conferma indiretta nella chiara disciplina dettata in materia di rimessione del processo e di conflitto di competenza. In tali casi, poiché leventuale mutamento o lindividuazione del giudice interessa oggettivamente e sempre lintero processo e non la posizione processuale del singolo imputato o della singola parte cointeressata (come nella ricusazione), il contraddittorio deve essere assicurato a tutte le parti processuali (articoli 32, 46, 48 Cpp).

Si è fatto richiamo, per supportare la censura alla scelta fatta dalla Corte territoriale, alla sentenza Priebke (Cassazione sezione prima, 15 ottobre 1996) e alla sentenza Lignola (Cassazione sezione quinta, 11 giugno 1996).

Il principio affermato da tali decisioni, la prima delle quali diffusamente argomentata, è che «proposta da una parte processuale la dichiarazione di ricusazione, il procedimento conseguente coinvolge anche tutte le altre parti, che hanno interesse a fare valere il proprio punto di vista per conseguire il mutamento o lintangibilità del giudice, secondo che condividano o no i motivi addotti dal ricusante».

A tale principio, tuttavia, non può essere allegata valenza assoluta, enucleandolo dal casi specifici esaminati dalle citate sentenze.

In tali casi, la dichiarazione di ricusazione era stata proposta o dalla parte civile o dal Pm e non poteva non ritenersi la necessità di garantire il contraddittorio, sulla questione sollevata, anche agli imputati, la cui posizione processuale interferiva direttamente con quella delle parti ricusanti, e ciò perché è fuori del sistema, contrario alla tutela del diritto di difesa e del principio del giudice naturale precostituito per legge lipotesi che limputato possa subire passivamente, senza esporre le sue ragioni, gli effetti di una dichiarazione di ricusazione proposta dalla controparte processuale, i quali si riverberano inevitabilmente sulla sua posizione personale.

LAcampora, quindi, con riferimento al gravame proposto avverso lordinanza 15-17 aprile 2003, difetta dinteresse.

3c- Quanto al merito della ricusazione, osserva la Corte che il ricorso del Previti è sostanzialmente incentrato sulla doglianza di fondo che la inimicizia grave, dedotta quale motivo di ricusazione, emergerebbe, in maniera evidente ed eclatante, dal ripetuto e costante comportamento tenuto dai giudici, nel corso del processo, ed indicativo di una posizione preconcetta e di una deliberata scelta persecutoria che i medesimi avrebbero operato nei suoi confronti, abdicando così al primario dovere di equidistanza e serenità di valutazione.

La censura non ha pregio, perché priva di elementi dimostrativi della stessa sussistenza del dedotto presupposto dalla dichiarazione di ricusazione (inimicizia grave) e perché richiama impropriamente il precedente di questa Corte (sezione sesta, 19 gennaio, Previti), alterando il senso del principio in esso affermato.

Deve, pertanto, ribadirsi che linimicizia grave di cui alla lettera d) dellarticolo 36 Cpp non può che riferirsi a rapporti interpersonali derivanti da vicende della vita estranee alle funzioni del giudicante e al rapporto processuale tra costui e la parte. Non rilevano, quindi, lasserita animosità dimostrata dal primo nel corso del processo o le eventuali violazioni di legge poste in essere, aspetti questi interni al processo e non indicativi, di per sé, della inimicizia grave, la quale deve fondarsi, invece, su fatti e circostanze obiettivi e non su mere supposizioni del ricusante.

La condotta endoprocessuale del giudice non impedisce, certo, in via assoluta, il ricorso allo strumento della ricusazione, nellipotesi in cui sia indice di malafede, di dolosa scorrettezza. di vero e proprio abuso della funzione da parte del giudice, che rinuncia al proprio ruolo istituzionale di essere terzo ed imparziale. La condotta del giudice nel processo cioè non è indifferente, ai fini di cui si discute, laddove presenti aspetti talmente anomali e settari da doverla considerare necessariamente, sul piano logico, manifestazione, nella sede giudiziaria, di una grave inimicizia verso limputato, la quale finisce, in questo caso, con lassumere un autonomo rilievo, che trascende le ragioni connesse alla fisiologia del processo. Tutto ciò deve essere ovviamente confortato non da mere impressioni o supposizioni della parte, delusa dal tenore di provvedimenti non condivisi, ma da precisi ed inequivoci fatti, indicativi della malafede e del calcolato pregiudizio del giudice.

Nel caso concreto, le scelte, di volta in volta, operate dal Tribunale di Milano, per la soluzione di questioni attinenti alla posizione del Previti, anche a volerle, in ipotesi, ritenere non corrette (non è questa la sede per una verifica sul punto), non rivelano malafede o calcolato pregiudizio e non sono quindi indice di inimicizia grave, dovendo questa ‑ come si è detto ‑ trovare la sua genesi in dati dì fatto concreti e ben precisi, estranei alla realtà processuale, autonomi rispetto a questa, la quale deve soltanto costituire un sintomatico momento dimostrativo della sussistenza del citato presupposto rilevante per la ricusazione. Nessuna prova risulta essere stata offerta e non sono stati allegati neppure seri elementi, nel caso in esame, in ordine alla sussistenza della dedotta inimicizia grave, intesa concettualmente nel senso precisato.

Tutti i provvedimenti giurisdizionali emessi nei confronti dellimputato e, da ultimo, lordinanza 26 marzo 2003 in tema di competenza per territorio non appaiono contraddistinti da macroscopiche anomalie e da evidenti scelte settarie, ma costituiscono la risultante di una valutazione sorretta da argomenti in fatto e in diritto, che non possono certo essere posti in discussione in questa sede, per inferirne la prova dellinimicizia grave, di cui non si sono neppure prospettate le ragioni genetiche, ma vanno verificati nella sede propria del giudizio dimpugnazione relativo al procedimento principale.

È il caso di sottolineare che il non avere il Tribunale acquisito, per la verifica della propria competenza, la documentazione sollecitata dalla parte non è «indice rivelatore della preconcetta determinazione… di non affrontare, a qualsiasi costo, il problema della competenza», ma precisa scelta valutativa circa la irrilevanza o comunque la non decisività dei detti documenti. Né da ciò può insinuarsi, con ulteriori interferenze ai fini della ricusazione, una sorta di ribellione del Tribunale al dictum delle Sezioni unite che, decidendo in tema di rimessione del processo, avrebbero imposto lacquisizione della documentazione medesima; in, realtà, il richiamato passaggio motivazionale della sentenza delle Sezioni unite è soltanto un obiter, non vincolante per il Tribunale, e non poteva essere altrimenti, posto che il Tribunale non è stato designato, e nellambito di quella procedura non poteva esserlo, come giudice di rinvio.

4. Al Metta e allAcampora, i cui ricorsi sono inammissibili, va imposto lobbligo di versare alla Cassa delle ammende la somma, che stimasi equa, di euro 1.000,00 ciascuno.

Tutti i ricorrenti vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

Dichiara inammissibili i ricorsi di Metta Vittorio e Acampora Giovanni. Rigetta il ricorso di Previti Cesare. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali. Condanna Acampora e Metta a versare euro 1.000,00 ciascuno alla Cassa delle ammende.