Penale

Thursday 20 May 2004

Per le Sezioni Unite della Cassazione il sistema italiano in tema di scommesse clandestine non viola i principi imposti dalla legge comunitaria. Cassazione Su penali (cc) sentenza 26 aprile-18 maggio 2004, n. 23272

Per le Sezioni Unite della Cassazione il sistema italiano in tema di scommesse clandestine non viola i principi imposti dalla legge comunitaria

Cassazione – Su penali (cc) – sentenza 26 aprile-18 maggio 2004, n. 23272

Presidente Marvulli – Relatore Onorato

Pm Palombarini – ricorrente Pg in prof. Poce

Svolgimento del processo

1. Il Pm presso il Tribunale di Frosinone svolgeva indagini preliminari a carico di Tiziana Poce, quale titolare del Centro Stanleybet di Ceccano, per violazione degli articoli 88 del Rd 773/31 (Tulps), come sostituito dall’articolo 37, comma 4, della legge 388/00, e 4 della legge 401/89 (come modificato dall’articolo 11, comma 35 della legge 537/93, dall’articolo 11, comma 4, del Dl 557/93, convertito, con modificazioni, nella legge 133/94, e dall’articolo 37, comma 5, della legge 388/00), in particolare del comma 4bis, per avere, in assenza di licenza, esercitato in forma organizzata attività di raccolta di scommesse su eventi sportivi per conto di un bookmaker inglese, la Stanley International Betting Limited di Liverpool (Uk).

In data 30 aprile 2003, su conforme richiesta del Pm, il Gip disponeva il sequestro preventivo delle strutture del Centro.

2. Il difensore della Poce proponeva istanza di riesame, e il Tribunale di Frosinone, con ordinanza del 13 maggio 2003, annullava il sequestro, osservando che l’attività svolta dall’indagata per conto della società estera costituiva una mera intermediazione nella raccolta delle scommesse e non anche un’organizzazione delle stesse, sicché doveva essere inquadrata non nella contestata ipotesi di cui all’articolo 4, comma 4bis, della citata legge 401/89, ma in quella di cui all’articolo 4ter della stessa legge, che punisce chiunque effettui la raccolta o la prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o telematica sprovvisto dell’apposita autorizzazione all’uso di tali mezzi. Preso atto che l’indagata risultava in possesso dell’autorizzazione rilasciata dal ministero delle Comunicazioni, e che pertanto neppure tale ipotesi di reato risultava configurabile, il Tribunale annullava il sequestro per mancanza del fumus delicti.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Pm ai sensi dell’articolo 606, comma i lettera e) Cpp deducendo:

‑ la compatibilità della normativa nazionale con i principi comunitari;

‑ la non alternatività delle fattispecie contenute nei commi 4bis e 4ter dell’articolo 4 della legge 401/89.

In ordine al primo punto il Pm ricorrente, dopo avere richiamato la giurisprudenza della suprema Corte, che ha sempre ritenuto tale compatibilità, si riporta alta giurisprudenza detta Corte di Giustizia europea che ha affermato la possibilità per il legislatore nazionale di porre limiti e deroghe alla libertà di stabilimento e di preStazione di servizi purché i mezzi adottati non eccedano il fine di tutela dell’ordine pubblico interno.

Quanto al secondo punto il ricorrente precisa in lima di fatto come il Centro gestito dalla Poce integrasse un vero e proprio esercizio (denominato Stanleybet) nel quale avveniva sia la raccolta e la trasmissione delle scommesse per via telematica alla Stanley Intenationale Betting, sia il pagamento delle vincite relative, sicché risultava integrata quella attività di organizzazione nel territorio nazionale che aveva fatto ritenere alla giurisprudenza di legittimità l’applicabilità in fattispecie analoghe del principio cosiddetto di ubiquità di cui all’articolo 6, comma secondo, Cp, con la conseguente necessità della licenza di polizia prevista dall’articolo 88 del Tulps. Così ritenuta la applicabilità delle disposizioni di cui al citato articolo 88 Tulps e all’articolo 4 legge 401/89, il ricorrente contesta l’ordinanza impugnata laddove ha implicitamente ritenuto la alternatività fra le due ipotesi contenute nei commi 4bis e 4ter dello stesso articolo 4, osservando in contrario che il comma 4ter sanziona penalmente la condotta di colui che, già legalmente abilitato alla raccolta delle scommesse (avendo ottenuto la prevista licenza), svolga tale attività per via telefonica o telematica senza la specifica autorizzazione ministeriale.

4. Il difensore della Poce, avv. Daniela Agnello, ha presentato memoria in data 10 novembre 2003, chiedendo il rigetto del ricorso.

Richiama la decisione della Corte di Giustizia, Gambelli, C-243/01, emessa il 6 novembre 2003 per un caso analogo ai sensi dell’articolo 234 Trattato Ce, ed in particolare il dictum secondo il quale «una normativa nazionale contenente divieti ‑ penalmente sanzionati ‑ di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli arti. 43 Ce e 49 Ce. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi».

Il difensore ricorda altresì che, secondo la Corte costituzionale, il diritto comunitario ‑ così come interpretato dalla Corte di Giustizia europea ‑ è immediatamente applicabile nell’ordinamento italiano, anche se confliggente con leggi nazionali anteriori o posteriori; e ribadisce che la legislazione restrittiva italiana è ispirata da obiettivi che non sono idonei a giustificare gli ostacoli alte libertà tutelate dalla comunità europea.

In linea di fatto il contributo difensivo evidenzia come la “società madre”, ovvero la Stanley International Betting Limited, oltre ad essere in possesso dell’autorizzazione all’attività di bookmaker, per la quale corrisponde la tassa sulle scommesse (General Betting Duty), viene sottoposta ai controlli previsti dal Fisco inglese (Inland Revenues e Custom & Excise), da società private di Auditors (controllori), e dagli organi di vigilanza per le società quotate in borsa.

Per quanto attiene alla posizione specifica della Poce, precisa che è titolare di un «centro trasmissione dati» (Ctd), regolarmente iscritto alla camera di commercio, attraverso il quale trasmette le puntate degli scommettitori, sulla base dei dati forniti dalla,sede britannica, che provvedere direttamente al pagamento delle vincite, riconoscendo al titolare del centro una provvigione in percentuale sul volume degli importi scommessi.

Nella stessa memoria viene, inoltre, contestata la legittimità della discriminazione operata dalla legislazione italiana nei confronti di operatori stranieri, regolarmente autorizzati nello Stato membro di appartenenza, e quindi ampiamente garantiti sotto il profilo della sicurezza pubblica e della prevenzione dei reati.

5. Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione penale di questa Corte, la quale ha ravvisato accenti di novità nella citata decisione Gambelli del 6 novembre 2003, rispetto alle precedenti sentenze della Corte di Giustizia europea, in base alle quali questa Corte di cassazione aveva costantemente ritenuto la compatibilità della legislazione italiana rispetto ai principi tutelati dal diritto comunitario. Ha ritenuto pertanto opportuno, anche per la rilevanza degli interessi coinvolti, che il massimo organo nomofilattico rivalutasse sul punto la precedente giurisprudenza di legittimità. Per conseguenza, con ordinanza del 19 novembre 2003, ha rimesso il ricorso alle Su.

Il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Su, fissando per la trattazione l’udienza del 31 marzo 2004.

6. Prima della udienza fissata, l’avv. Agnello ha depositato ulteriore articolata memoria, in cui sviluppa più a fondo le tesi precedenti.

Con atto depositato in cancelleria il 25 marzo 2004 il Coni – Comitato Olimpico Nazionale Italiano ‑ nella sua qualità di ente concessionario per le scommesse sportive, legate destinatario di prelievi sulle somme versate dagli scommettitori, si è costituito parte civile contro l’indagata per mezzo degli avvocati Guido Valori e Massimo Ranieri, nominati procuratori speciali. Ha chiesto l’accoglimento del ricorso proposto dal procuratore della Repubblica di Frosinone.

7. Alla udienza camerate del 31 marzo 2004 il difensore dell’indagata ha aderito alla astensione collettiva dalle udienze proclamata dagli organi forensi, e la Corte ha rinviato il procedimento a nuovo ruolo.

È stata quindi fissata nuova udienza per il 26 aprile 2004.

In data 21 aprile 2004 il Coni ha presentato nuova memoria, ulteriormente argomentando sulla sua legittimazione a partecipare al procedimento quale persona offesa.

Motivi della decisione

8. Va preliminarmente affermata d’ufficio l’ammissibilità del ricorso, nonostante che il Pm formalmente deduca (in apertura delle sue considerazioni in diritto) solo vizi di “carenza e illogicità di motivazione ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e) Cpp”, che a mente dell’articolo 325.1 Cpp non sono ammessi per i ricorsi in materia di sequestri (essendo i ricorsi consentiti solo per violazione di legge).

Infatti, nelle suo conclusioni il ricorrente chiede l’annullamento del provvedimento impugnato “in quanto illegittimo per violazione di legge” e ‑ quel che più conta ‑ nella sua impugnazione formula soprattutto censure di diritto in ordine all’applicabilità dell’articolo 4, comma 4bis, legge 401/89 e alla compatibilità della norma con il diritto comunitario. Quindi, nonostante il richiamo iniziate, si tratta di impugnazione per violazione di legge ai sensi dell’articolo 606 lettera b) Cpp

9. Va inoltre ribadita l’esclusione dal procedimento del Coni (Comitato Olimpico Nazionale italiano), già disposta con ordinanza letta all’udienza camerate del 26 aprile 2004.

9.1. Il Coni ha giustificato la sua pretesa legittimazione al procedimento sia come parte civile costituita, sia in base all’articolo 90 Cpp

Questa norma attribuisce alle persone offese, cioè ai titolari particolari dell’interesse tutelato dalla norma penale, la facoltà di presentare memorie in ogni stato e grado del procedimento. Diversa è la facoltà dei danneggiati, cioè dei soggetti che subiscono una diminuzione patrimoniale in conseguenza del reato, i quali possono solo costituirsi parti civili ed esercitare i relativi diritti che l’ordinamento processuale riconosce a chi esercita l’azione civile nell’ambito del processo penale. Orbene, posto che la legge 401/89, rispetto al precedente D.Lgs 496/48 sulla disciplina dell’attività di gioco, ha indubbiamente ampliato lo spettro dell’oggettività giuridica, che, se prima era limitata alla tutela degli interessi finanziari, ora si estende anche alla protezione dell’ordine pubblico e sociale al fine di prevenire determinate forme di criminalità che possono infiltrarsi nella gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici (v. ex multis Cassazione Sez. terza, del 29 luglio 1999, Barbati, rv. 214169; Cassazione Sez. seconda, 26145/03, Pm in proc. Uttanzi, rv 225743), resta da accertare quali soggetti possono qualificarsi come titolari particolari del plurimo interesse pubblico tutelato dalla norma.

Ma, a prescindere da tale questione, che incide sulla incerta materia dei reati plurioffensivi, la costante giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che le persone offese dal reato non sono legittimate a partecipare al procedimento di riesame del sequestro preventivo, e quindi neppure al giudizio di cassazione contro l’ordinanza che ha deciso sul riesame, a meno che non rivestano anche la qualità di persone che potrebbero avere diritto alla restituzione delle cose sequestrate (cfr. da ultimo Cassazione Sez. prima, 3123/00, Civiero, rv 216199). Ciò perché a norma dell’articolo 322, comma 1, Cpp possono presentare istanza di riesame solo l’imputato o indagato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.

Se ne deve concludere che lo ius postulandi che l’articolo 90 Cpp attribuisce alla persona offesa dal reato presuppone pur sempre la legittimazione di questa a partecipare al procedimento. In altri termini la norma non costituisce una legittimatio ad processum – derivante invece dall’articolo 322 Cpp – ma definisce soltanto il contenuto delle facoltà che la persona offesa può esercitare nell’ambito del procedimento per il quale è legittimata.

Sotto questo profilo, inoltre, si deve osservare che non può ritenersi legittimato a partecipare al giudizio di cassazione il soggetto che, come il Coni, sia rimasto estraneo al precedente grado di giudizio. Questa Corte ha già correttamente chiarito che dal combinato disposto degli articoli 325, primo comma, e 322 Cpp si desume che sono legittimati a proporre ricorso per cassazione avverso le ordinanze rese a norma dell’articolo 324 Cpp (riesame in tema di sequestro preventivo) solo i soggetti che hanno partecipato al relativo procedimento di riesame (Cassazione Sez. terza, 1318/94, Min. Marina mercantile e Min. Finanze in proc. Franconeri, rv 198865). La massima vale per escludere non solo il potere di impugnazione ma anche quello di partecipazione al giudizio di legittimità, essendo principio immanente all’ordinamento processuale penale che possono partecipare ai gradi superiori del giudizio ,«o i soggetti che hanno partecipato ai gradi inferiori, non potendo il rapporto processuale includere soggetti nuovi nella sua evoluzione da un grado all’altro.

9.2. Diverso è invece il discorso da farsi in ordine alla costituzione di parte civile.

Al Coni, come ente al quale lo Stato ha concesso il monopolio delle scommesse sportive (diverse da quelle sulle gare di cavalli affidate all’Unione per l’incremento delle razze equine ‑ Unire) nonché la gestione dei prelievi sulle somme versate dagli scommettitori, non può negarsi la qualità di danneggiato dal reato di organizzazione abusiva di scommesse o pronostici su attività sportive, e quindi la possibilità di costituirsi parte civile nel processo penale relativo a questo reato.

Tuttavia ‑ com’è noto ‑ l’azione civile nel processo penale può essere esercitata solo dal momento in cui il Pm promuove l’azione penale formulando l’imputazione ex articolo 405 Cpp, atteso che presupposto essenziale dell’azione civile in sede penale è che sia individuato definitivamente un imputato nei cui confronti possa esercitarsi la pretesa risarcitoria o restitutoria. Nella presente fattispecie, però, ancora ferma alla fase delle indagini preliminari, l’azione penale non è stata ancora esercitata: sicché la costituzione di parte civile del Coni non può essere ammessa.

10. A questo punto, prima di affrontare la questione rimessa a queste Su, sembra opportuno accennare per sommi capi allo stato della normativa italiana in materia di scommesse e concorsi pronostici, sottolineando i profili più rilevanti per il thema decidendum.

In linea di principio vigeva in questa materia un monopolio statale pressoché assoluto. Infatti l’articolo 88 del Tulps (Rd 773/31) stabiliva che non potesse essere concessa licenza per l’esercizio di scommesse, fatta eccezione solo per le scommesse nelle corse, nelle regate, nei giuochi di palla o pallone o in altre simili gare, quando l’esercizio delle scommesse costituisse una condizione necessaria per l’utile svolgimento della gara.

Successivamente è stato emanato il fondamentale D.Lgs 496/48, che comincia ad allentare la rigidità del monopolio e ad allargare la possibilità di ricorrere a terzi concessionari. Infatti l’organizzazione e l’esercizio di giochi di abilità e di concorsi pronostici, per i quali si corrisponda una ricompensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione sia richiesto il pagamento di una posta in denaro, sono sempre riservati allo Stato (ministero delle Finanze), il quale però può gestire l’attività o direttamente o indirettamente attraverso persone fisiche o giuridiche che diano adeguate garanzia di idoneità. Inoltre la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici è direttamente riservata al Coni o all’Unire qualora siano connessi con manifestazioni sportive organizzate o svolte sotto il controllo di questi enti, i quali devono corrispondere una tassa (ora imposta unica) sull’ammontare degli introiti lordi.

In seguito, per contrastare il preoccupante aumento delle frodi nello svolgimento delle competizioni agonistiche e il dilagare delle scommesse clandestine, viene emanata la legge 401/89, la quale, con l’articolo 4, sancisce penalmente varie ipotesi di esercizio abusivo delle scommesse.

In particolare questa norma punisce, ora con la reclusione ora con l’arresto e l’ammenda: a) l’esercizio abusivo del gioco del lotto, di scommesse e concorsi pronostici riservati allo Stato o ad altro ente concessionario; b) l’esercizio abusivo di scommesse o pronostici su attività sportive gestite dal Coni e dall’Unire; c) l’esercizio abusivo di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali o giochi di abilità; d) la vendita sul territorio nazionale, non autorizzata dall’Aams, di biglietti di lotterie o di analoghe manifestazioni di sorte di stati esteri; e) la partecipazione alle operazioni di cui alla lettera d) mediante la raccolta di prenotazione di giocate e l’accreditamento delle relative vincite e la prenotazione e la pubblicità effettuata con qualunque mezzo di diffusione [queste due ultime ipotesi sono state introdotte con le leggi 537/93 e 133/94]; f) la pubblicità data in qualsiasi modo all’esercizio delle scommesse, dei giochi, dei concorsi pronostici abusivi; g) la mera partecipazione alle scommesse, ai giochi e ai concorsi pronostici abusivamente gestiti.

Giova sottolineare a questo punto che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, già in base alta normativa testé citata l’esercizio di pubbliche scommesse su competizioni sportive è sempre soggetto all’autorizzazione di polizia di cui all’articolo 88 Tulps, sicché è punito come abusivo dall’articolo 4 legge 401/89 l’esercizio non autorizzato di scommesse su competizioni sportive, anche se detto esercizio si svolge solo in parte in territorio italiano per conto di operatori stranieri (cfr., fra le altre, Sez. terza, 2947/95, Santangelo, rv 202786; Sez. terza, 519/97, Pm in proc. Scalfari, rv 207288; Sez. terza, 2530/97, Cacace, rv 209626; Sez. terza, 1999/99, De Giulio, rv 214220, Sez. terza 1963/99, Barbati, rv 214/69; Sez. terza, 124/00, Foglia, rv 216223; Sez. terza, 7764/00, Vicentini, rv 216986, che fanno applicazione più o meno motivatamente dell’articolo 6 Cp).

In seguito la normativa si evolve e perfeziona ulteriormente. Con legge 549/95 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica) si stabilisce che la raccolta delle giocate del lotto e dei concorsi pronostici deve essere effettuata direttamente presso le ricevitorie a ciò espressamente autorizzate, non essendo ammessa alcuna forma di intermediazione (articolo 3, comma 228). Con una importante innovazione si attribuisce al Coni la facoltà di affidare la gestione delle scommesse ad esso riservate a persone fisiche, società o altri enti che offrano adeguate garanzie (articolo 3, comma 229). Al Coni sono destinate determinate quote di prelievo

sull’introito lordo delle scommesse, al netto dell’imposta unica e delle spese, stabilendo che l’ente

pubblico deve destinare una quota di questi proventi netti allo scopo di favorire la diffusione delle

attività sportive, attraverso interventi destinati a infrastrutture sportive, anche scolastiche, nonché

di sviluppo delle attività dei settori giovanili e dei vivai per le attività agonistiche federali (articolo

3, comma 231).

Il regolamento del ministero delle Finanze emanato in base a quest’ultima legge (Dm 174/98) prevede appunto che il Coni possa attribuire, con gara da espletare secondo la normativa nazionale e comunitaria, le concessioni per l’esercizio delle scommesse sportive a totalizzatore nazionale e a quota fissa a persone fisiche, società ed altri enti con idonei requisiti anche finanziari, preoccupandosi della trasparenza dell’assetto proprietario dei soggetti concessionari e di una razionale distribuzione sul territorio dei punti di raccolta e accettazione delle scommesse (articolo 2, comma 1).

Al fine di garantire la trasparenza dell’assetto proprietario, se il concessionario è istituito in forma di società di capitali, si stabilisce che le azioni aventi diritto di voto o le quote vanno intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice e non possono essere trasferite per semplice girata (articolo 2 comma 6). Inoltre, è vietata ogni forma di intermediazione e le scommesse devono essere effettuate esclusivamente presso i punti di accettazione espressamente autorizzati dal Coni e dall’autorità di pubblica sicurezza (articolo 7).

Analogo sistema è previsto dall’articolo 3, comma 79 della legge 662/96 (misure di razionalizzazione della finanza pubblica) per la gestione delle scommesse relative alle corse dei cavalli, che si preoccupa tra l’altro di assicurare un costante monitoraggio del benessere degli animali e la prevenzione delle pratiche di doping.

li regolamento emanato in base a questa legge (Dpr 169/98) prevede la possibilità che il ministero delle Finanze, d’intesa con il ministero per le Politiche agricole, attribuisca la concessione dell’esercizio delle scommesse sulle corse dei cavalli a persone fisiche e società con idonei requisiti anche in ordine alla solidità finanziaria, assicurando tra l’altro la trasparenza dell’assetto proprietario degli enti concessionari e la razionale e bilanciata distribuzione sul territorio nazionale della rete di raccolta e accettazione delle scommesse. Anche in questo settore. se il concessionario è una società di capitali, le azioni con diritto di voto e le quote sociali devono essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice e non possono essere trasferite per girata.

Ancora più direttamente importanti per lo specifico oggetto del presente procedimento sono le innovazioni introdotte con la legge finanziaria 2001 (388/00). L’articolo 37 di questa legge, infatti, modifica l’articolo 88 Tulps e introduce due nuovi commi al citato articolo 4 legge 401/89.

Il nuovo testo dell’articolo 88 prende atto ‑ per così dire ‑ che nei sistema delle scommesse la concessione a soggetti privati non è più una eccezione e riformula per conseguenza la necessità della licenza di polizia come regola generale, invece che come deroga a un divieto, collegandola strettamente al sistema delle concessioni. Infatti «la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte del Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione». Diventa così più esplicito quello che anche prima era comunque indubitabile, il privato che voglia esercitare un’attività di scommesse pubbliche deve essere munito sia dell’autorizzazione di pubblica sicurezza sia della concessione.

Coerentemente l’articolo 37 della legge 388/00 introduce nel succitato articolo 4 legge 401/89 il comma 4bis, secondo cui le sanzioni penali previste nei commi precedenti sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza di p.s. ai sensi dell’articolo 88 Tulps, svolga un’attività organizzata diretta ad accettare o raccogliere, anche per via telefonica o telematica, scommesse di qualsiasi genere da chiunque gestite in Italia o all’estero.

Contestualmente si introduce anche il comma 4ter, che applica le stesse sanzioni a chiunque effettui la raccolta o la prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all’uso di tali mezzi. Si precisa così che per la gestione di scommesse pubbliche per via telefonica o telematica è necessaria, oltre alla concessione e all’autorizzazione di polizia, anche una specifica autorizzazione del ministero delle Comunicazioni in relazione al mezzo impiegato.

Nel frattempo il Dl 138/02, convertito in legge 178/02, ha stabilito l’unificazione delle competenze in capo all’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (Aams), alla quale sono affidate in concessione tutte le funzioni in materia di organizzazione ed esercizio dei giochi, scommesse e concorsi pronostici, ferma restando la riserva a favore del Coni prevista dall’articolo 6 della succitata legge 496/48.

Da ultimo è intervenuta anche la legge finanziaria 2003 (289/02), la quale con l’articolo 22, commi 8 e segg., disciplina il trasferimento delle concessioni, preoccupandosi della idoneità dei locali e della razionate distribuzione degli stessi nel territorio, e stabilisce espressamente che alle procedure concorrenziali di affidamento delle concessioni possono partecipare anche le società di capitali (sull’origine e il significato di quest’ultima norma si dirà in appresso).

11. Analoga a quella italiana è la legislazione vigente nel Regno Unito, che risulta pacificamente applicata per la Stanley International Betting Lmt..

Ai sensi del Betting Gaming and Lotteries Act del 1963 per operare come bookmaker è necessaria un’autorizzazione rilasciata dal Betting Licensing Committee territorialmente competente, così come è necessaria una licenza per aprire agenzie di scommesse, il controllo pubblico che si esercita attraverso il rilascio di queste autorizzazioni riguarda sia i soggetti, di cui si verifica l’idoneità professionale e morale, sia i locali e in genere la dimensione territoriale, dovendosi verificare l’idoneità dei locali stessi sotto il profilo dell’ordine pubblico, nonché la congruenza dei punti di accettazione con la domanda diffusa nel territorio. In coerenza con questa impostazione, l’autorizzazione è richiesta anche per gli agenti di un committente già autorizzato.

A differenza di quanto prevede la legislazione italiana, però, non possono essere autorizzate le persone che non siano residenti da almeno sei mesi nel territorio del Regno Unito e le società che non risultino stabilite da almeno sei mesi nello stesso territorio.

Sono previste sanzioni penali (pecuniarie, e in certi casi anche detentive sino a sei mesi) per chi organizza scommesse senza autorizzazione o in locali senza licenza.

12. Tanto premesso, si può affrontare la questione rimessa a queste Su, che così suona:

«Se a seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee 6 novembre 2003 in causa Gambelli, l’articolo 4, comma 4bis, della legge 401/89, introdotto dall’articolo 37, comma 5, della legge 388/00, che sanziona penalmente l’attività di chi svolga in Italia attività organizzata di accettazione, raccolta, prenotazione, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere, da chiunque accettate in Italia o all’estero, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza, debba essere disapplicato dal giudice italiano, in quanto in contrasto con la normativa comunitaria sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazione dei servizi all’interno del territorio dell’Unione Europea».

12.1. La giurisprudenza della Cg europea si era già espressa in casi analoghi in modo uniforme, anche se progressivamente più incisivo.

Così nella sentenza 24 marzo 1994, Schindler, Causa C-275/92, aveva statuito che una normativa nazionale che vieti agli organizzatori di lotterie di altri Stati membri di promuovere le loro lotterie e di venderne i biglietti (sia direttamente sia per il tramite di agenti locali) nel territorio dello Stato membro che ha emanato detta normativa costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di cui all’articolo 59 (ora 49) del Trattato Ce; tuttavia questa normativa, qualora non comporti alcuna discriminazione in base alla nazionalità, può risultare giustificata per il fatto che persegua scopi legati alla tutela dei consumatori e alla protezione dell’ordine sociale, la quale si preoccupa sia delle modalità di organizzazione delle lotterie sia della destinazione dei proventi a scopi socialmente rilevanti (di cultura, sport, beneficenza e simili).

La sentenza Laara del 21 settembre 1999, Causa C-124/97, stabiliva che una normativa nazionale che impedisca a operatori di altri Stati membri di mettere in circolazione apparecchi automatici per giochi d’azzardo costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi di cui all’articolo 49 del Trattato. ma può essere giustificata, se non implica alcuna discriminazione in base alla nazionalità, per motivi connessi alla tutela dei consumatori e alla protezione dell’ordine sociale.

Ancora più attinente al presente caso di specie è la sentenza del 21 ottobre 1999, Zenatti, Causa C-67/98, la quale ha stabilito che una normativa nazionale che riserva a taluni enti il diritto di esercitare scommesse sugli avvenimenti sportivi, e che impedisca così agli operatori degli altri Stati membri, direttamente o indirettamente, di procedere essi stessi all’esercizio di scommesse, costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi. Tuttavia questa normativa restrittiva può essere giustificata, qualora non comporti alcuna discriminazione in base alla nazionalità, da esigenze imperative di interesse generale, quali la tutela del giocatore, la lotta alle frodi e alle infiltrazioni criminali, sempre che le restrizioni imposte dalla normativa non siano sproporzionate rispetto a tali esigenze. Precisa la sentenza che rientra nel potere discrezionale dello Stato membro valutare se, per l’obiettivo perseguito, sia necessario vietare totalmente o parzialmente l’esercizio delle scommesse o soltanto limitarlo, prevedendo a tale scopo modalità di controllo più o meno rigide.

Anche la recente pronuncia dell’11 settembre 2003, causa C-6/01, Anomar, offre spunti interessanti nella soggetta materia. Con essa la Corte (terza Sezione) afferma che una legislazione che autorizza l’esercizio commerciale e la pratica dei giochi di sorte o d’azzardo soltanto nelle sale del casinò esistenti nelle aree di gioco istituite con decreto legge, e che si applica indistintamente ai cittadini nazionali e ai cittadini di altri Stati membri, costituisce un ostacolo alla libera prestazione dei servizi. Tuttavia gli articoli 49 e segg. del Trattato Ce non ostano a una siffatta legislazione nazionale, tenuto conto delle finalità di politica sociale e di prevenzione delle frodi che ne costituiscono il fondamento. Ribadisce la sentenza che spetta alle autorità nazionali valutare se per lo scopo perseguito sia necessario vietare l’attività de qua o sottoporla a controlli più o meno rigidi.

Alla luce di queste pronunce, la giurisprudenza di legittimità aveva sempre ritenuto che l’articolo 4 della legge 401/89 fosse compatibile con il diritto comunitario perché dettato da esigenze imperative di interesse generale (cfr. in particolare le citate sentenze Foglia e Vicentini, nonché Cassazione Sez. terza, 36206 del 6 ottobre 2001, Pugliese, rv 220112).

12.2. La sentenza Gambelli si iscrive in questo costante filone giurisprudenziale, anche se contiene considerazioni innovative che hanno suggerito alla sezione remittente la necessità di ripensare il suo precedente orientamento. che non aveva mai dubitato della compatibilità comunitaria della legislazione italiana.

Con questa sentenza la Corte di Giustizia, adita ai sensi dell’articolo 234 Trattato Ce da un giudice italiano per un caso (perfettamente coincidente con quello presente) di sequestro preventivo di aziende italiane collegate alla Stanley, stabilisce nel dispositivo che una normativa nazionale contenente divieti ‑ penalmente sanzionati ‑ di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli articoli 43 e 49 Ce. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale normativa, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa propone non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi”.

12.2.1. Occorre a questo punto precisare che l’interpretazione pregiudiziale dettata dalla Corte europea ai sensi dell’articolo 234 del Trattato è rilevante e vincolante per il giudice italiano anche se ‑ come nel caso di specie ‑ l’allibratore straniero non è sottoposto ad indagini nel presente procedimento.

Infatti l’articolo 234, realizzando una forma di cooperazione tra giudici nazionali e Corte di Giustizia, configura un meccanismo centralizzato di interpretazione del diritto comunitario teso a garantire la certezza del diritto in tutti i casi in cui si deve fare applicazione della norma sottoposta a interpretazione pregiudiziale.

Il giudice comunitario ha quindi un monopolio interpretativo del diritto comunitario, ma non ha competenza sul diritto nazionale (Cg 1 dicembre 1965, Causa C-33/65). Non può quindi procedere alla valutazione o alla qualificazione della fattispecie concreta e delle relative norme di diritto interno (Cg 3 febbraio 1977, Causa C-52176, Benedetti; Cg 29 aprile 1982, Causa C-17/81 Pabst).

Inoltre gli rimane preclusa t’applicazione al caso concreto delle norme comunitarie da essa interpretate (Cg 11 luglio 1985, Mutsch, Causa C-137/84; da ultimo Cg 11 settembre 2003, Anomar, Causa C-6/01).

Spetta invece al giudice nazionale valutare la pertinenza delle questioni di diritto poste dalla controversia di cui è investito e la necessità di una pronuncia pregiudiziale ex articolo 234 (Cg 27 ottobre 1993, Enderby, Causa C-172192; Cg 2 giugno 1994, Causa C-30/93).

12.2.2. Ritornando alla sentenza Gambelli, il primo elemento di novità immediatamente percepibile sta nel fatto che la compatibilità comunitaria della normativa nazionale è qui valutata con riferimento non solo alla libera prestazione di servizi ma anche alla libertà di stabilimento, la quale ai sensi dell’articolo 43 Trattato Ce esprime il diritto delle persone fisiche o giuridiche di uno Stato membro di trasferirsi nel territorio di altro Stato membro per accedere alle attività non salariate, per costituirvi e gestirvi imprese, o per aprire agenzie, succursali o filiali.

La libertà di stabilimento si distingue dalla libera prestazione dei servizi per il carattere non episodico e non occasionale dell’attività esercitata nello Stato ospitante, e dalla libera circolazione dei lavoratori per il carattere non salariato della stessa attività.

Il parametro di riferimento di cui all’articolo 43, quindi, si attaglia perfettamente all’attività di gestione delle scommesse che la società britannica Stanley esercita nel territorio italiano attraverso i suoi agenti, incaricati della prenotazione, della raccolta, dell’accettazione e del pagamento delle scommesse stesse.

Un secondo elemento di novità, peraltro molto relativo, sta in alcuni passaggi argomentativi della motivazione. Sono perfettamente in linea con la pregressa giurisprudenza comunitaria le affermazioni secondo cui costituisce una violazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi la disciplina dell’articolo 4 della legge italiana 401/89 (punto 59 della motivazione), laddove impone: a) restrizioni alla Stanley per l’esercizio di scommesse nel territorio italiano attraverso una rete di agenzie M stabilite (punto 46); b) restrizioni alla Stanley per la prestazione via Internet di servizi di scommesse a destinatari italiani (punto 54); c) il divieto penalmente sanzionato per i giocatori italiani di connettersi on fine con il bookmaker stabilito in Gran Bretagna per partecipare a scommesse da questo organizzate (punti 56 e 57).

Altrettanto in linea con la pregressa giurisprudenza è l’affermazione secondo cui le suddette restrizioni possono essere giustificate solo se sono: a) dettate da motivi imperativi di interesse generale, b) idonee a garantire il perseguimento dello scopo, c) necessarie per il raggiungimento dello scopo, d) applicate in modo non discriminatorio (punti 60 e 65).

12.2.3. Alcune relative novità sono invece ravvisabili laddove la sentenza Gabelli prende in esame alcuni di questi motivi di cui il giudice nazionale deve valutare la portata giustificativa.

A tale riguardo il giudice nazionale deve anzitutto escludere la portata giustificativa delle finalità fiscali, che sono esplicitamente addotte in moltissimi interventi legislativi e regolamentari dello Stato italiano nella soggetta materia. Non può assurgere a un ruolo giustificativo neppure l’esigenza di finanziare attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dalle gestione delle scommesse, giacché questa è una conseguenza accessoria, m non una idonea giustificazione della politica restrittiva (punto 62 della s. Gabelli, nonché punto 36 della s. Zambelli).

Al contrario, possono giustificare restrizioni ai principi comunitari esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della propensione al gioco (c.d. ludopatia), ma solo se idonee allo scopo e perseguite in modo coerente e sistematico (punto 67). E poiché a tale riguardo il giudice remittente del processo Gambelli aveva sottolineato che lo Stato italiano persegue «una politica di forte espansione del gioco e delle scommesse allo scopo di raccoglier fondi, tutelando i concessionari del Coni» (punto 68), la Corte lussemburghese aggiunge che «laddove le autorità di uno Stato membro incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d’azzardo o alle scommesse affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alle necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti come quello oggetto della causa principale» (punto 69).

Sembra questa l’argomentazione più suggestiva per indurre a rivisitare la giurisprudenza di legittimità che, prima della sentenza Gambelli, ha sempre sostenuto la compatibilità comunitaria della legislazione italiana. E invero non si può negare che il legislatore italiano da vari anni, evidentemente per incrementare il gettito fiscale, ha perseguito una politica chiaramente espansiva in questo settore. basti pensare alle lotterie “Gratta e vinci” introdotta nel 1994 dall’Aams, al Totogol lanciato dal Coni nel settembre 1994, al Superenalotto concesso alla Sisal nell’ottobre 1997, al Totosei, pure lanciato dal Coni nel 1998, alla Formula 101, istituita con decreto ministeriale dell’agosto 1999 e lanciata dal ministero dell’Economia nell’aprite 2000, al Totobingol, altro gioco sportivo lanciato dal Coni nel gennaio 2001, al Bingo, autorizzato dal ministero dell’Economia nel 2000.

Si deve osservare tuttavia che questa politica espansiva delle scommesse e dei giochi pronostici, secondo la stessa indicazione della Corte lussemburghese, contraddice lo scopo sociale di limitare la propensione al gioco, ma non quello di evitare infiltrazioni criminali: non è cioè incompatibile con i motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza, che a norma degli articoli 46 e 55 del Trattato Ce sono altrettanto (se non più) idonei a giustificare restrizioni ai principi di libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi.

Invero, la legislazione italiana, volta com’è a sottoporre a controllo preventivo e successivo la gestione delle lotterie, delle scommesse e dei giochi d’azzardo, si propone non già di contenere la domanda e l’offerta del gioco, ma di canalizzarla in circuiti controllabili al fine di prevenirne la possibile degenerazione criminale, sicché tale legislazione risulta compatibile coi diritto comunitario. Questa finalità è ben individuata nella relazione conclusiva della Commissione parlamentare di indagine conoscitiva sul settore dei giochi e delle scommesse, recentemente approvata il 26 marzo 2003, laddove sottolinea che 1e esigenze di bilancio [che ispirano la politica espansiva: n.d.r.] devono trovare un rigoroso limite nella conferma dei compiti di tutela dell’ordine pubblico e della salute dei cittadini, che potrebbero essere messi in pericolo da una diffusione incontrollata, indiscriminata e senza regole di tipologie di giochi e scommesse” (Senato, XIV Legislatura, Doc. XVII a. 10, pag. 3).

Al riguardo la sentenza Zenatti al punto 35 stabilisce che «un’autorizzazione limitata dei giochi d’azzardo nell’ambito di diritti speciali o esclusivi riconosciuti o concessi a determinati enti, che presenta il vantaggio di incanalare il desiderio di giocare e la gestione dei giochi in un circuito controllato. di prevenire il rischio che tale gestione sia diretta a scopi fraudolenti e criminosi e di impiegare gli utili che ne derivano per fini di pubblica utilità, serve anch’essa al perseguimento di detti obiettivi» cioè degli “obiettivi di interesse generale (..) che devono essere considerati nel loro insieme”. In altri termini. anche uno stato come quello italiano che pratica una politica espansiva può sottoporre a controllo e vigilanza per motivi di ordine pubblico e di prevenzione della criminalità i soggetti e i luoghi in cui si esercita la gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici, stabilendo così restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi che sono espressamente ammesse dagli articoli 46 e 55 Trattato Ce.

12.2.4. Su questo punto è usuale un’obiezione secondo cui si contesta non tanto la legittimità di un controllo sugli agenti italiani ai fini di ordine pubblico ammessi dalla normativa comunitaria,

quanto piuttosto la legittimità di una normativa che richieda l’autorizzazione per l’allibratore comunitario, committente di quegli agenti, posto che tale allibratore è regolarmente abilitato dallo Stato di appartenenza.

Tale argomentazione però porterebbe a disapplicare (rectius non applicare) la normativa italiana solo nei confronti dei soggetti stabiliti e regolarmente autorizzati in altri Stati membri, ma ad applicarla nei confronti dei loro agenti italiani. E poiché, nella fattispecie de qua, indagato e partecipante al procedimento è solo un agente italiano, ne conseguirebbe la conferma del sequestro preventivo della sua azienda.

Ma, a parte ciò, l’argomentazione è infondata per due ordini di ragioni. Anzitutto non tiene conto che l’autorizzazione di polizia ottenuta dall’allibratore britannico nel suo Stato di appartenenza ha ‑ come già si è osservato ‑ una connotazione per così dire territoriale, nel senso che tende a garantire un controllo di ordine pubblico sui soggetti e sui luoghi dell’ambito nazionale di stabilimento, sicché non esclude, ma anzi comporta. l’esigenza di rinnovare il controllo nel caso in cui la gestione delle scommesse si espanda nell’ambito territoriale di un altro Stato membro. Opinando diversamente si perverrebbe all’assurda conclusione che le scommesse gestite direttamente o indirettamente da un operatore estero che si perfezionano nel territorio italiano (e quelle gestite dalla Stanley si perfezionano in Italia in virtù della regola generale dell’articolo 1326 Cc, secondo cui il contratto si conclude nel momento e nel luogo in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte) sarebbero esenti da qualsiasi controllo, a differenza di quelle perfezionate nel territorio dello Stato straniero, che sono sottoposte al controllo vigente in quest’ultimo Stato.

In secondo luogo la tesi omette di considerare che la stessa giurisprudenza comunitaria, così come la Commissione di Bruxelles, non hanno mai delegittimato per se stesso il sistema concessorio vigente nei singoli Stati membri in materia di scommesse e di concorsi pronostici. In particolare la sentenza Gambelli chiarisce che l’articolato sistema italiano, basato sul monopolio statale e sulle concessioni a soggetti pubblici e privati. costituisce si una limitazione alla libertà di soggetti stabiliti in altri Stati membri di stabilirsi e di prestare servizi nel territorio italiano, ma può essere giustificato da motivi imperativi di interesse generale (punti 44 e ss.). Thema decidendum, quindi, è solo la valutazione dei motivi che possono giustificare il sistema restrittivo.

12.2.5. Sotto questo profilo, non può sostenersi ‑ come talvolta si sostiene ‑ che i motivi di ordine pubblico siano solo apparenti, perché il controllo dello Stato italiano asseritamente prescinde da ogni verifica su requisiti soggettivi rilevanti per l’ordine e la sicurezza pubblica di coloro che partecipano alle gare per la concessione. Ciò è vero, ma solo relativamente, in sede di concessione per l’esercizio delle scommesse, dove prevale il controllo sui requisiti di solidità finanziaria degli aspiranti, anche se non è estranea la preoccupazione di ordine pubblico che l’accettazione delle scommesse avvenga solo in locali destinati esclusivamente a tale scopo (v. articolo 2 dei succitati regolamenti 169/98 e 174/98). Ma non è affatto vero per il rilascio dell’autorizzazione o licenza di polizia, che ‑ come s’è visto sopra ‑ è altrettanto necessario quanto il rilascio della concessione (che ne è soltanto il presupposto).

Infatti, ai sensi del combinato disposto degli articoli 11 e 14 Tulps, la licenza di polizia richiesta dall’articolo 88 Tulps non può essere rilasciata a chi ha determinati precedenti penali e può essere negata a chi a riportato condanne per particolari delitti; inoltre non può essere data a chi sia stato condannato per reati contro la moralità pubblica o il buon costume o per giochi d’azzardo, per delitti commessi in stato di ubriachezza, per contravvenzioni concernenti la prevenzione dell’alcoolismo, o per abuso di sostanze stupefacenti (articolo 92); infine non può essere concessa a chi è incapace di obbligarsi (articolo 131). Ma ancora più importante è che proprio la soggezione alla licenza di polizia consente agli ufficiali e agli agenti di pubblica sicurezza, a mente dell’articolo 16 Tulps, di accedere in qualunque momento nei locali destinati all’esercizio delle scommesse e dei concorsi pronostici e di assicurarsi degli adempimenti prescritti dalla legge, dai regolamenti o dall’autorità. Si configura così un sistema integrato di controllo preventivo e di vigilanza continua, che, anche se indubbiamente perfettibile, appare idoneo a soddisfare quella imperativa esigenza di ordine pubblico che tende a contrastare le possibili degenerazioni criminali del settore, quali frodi, riciclaggio del denaro sporco, usura e simili.

Su questo punto si può quindi concludere affermando il principio che la normativa italiana in materia di gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici, anche se caratterizzata da innegabile espansione dell’offerta, persegue finalità di controllo per motivi di ordine pubblico che, come tali, possono giustificare le restrizioni che essa pone ai principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi.

13. Si deve a questo punto valutare, conformemente al dictum della sentenza Gambelli, se le misure restrittive vigenti nell’ordinamento italiano siano idonee e proporzionali rispetto allo scopo di tutela dell’ordine pubblico e siano inoltre applicate in modo non discriminatorio.

Sotto il primo profilo bisogna anzitutto distinguere le disposizioni restrittive e le sanzioni penali da cui sono assistite. Nessun dubbio sulla adeguatezza e proporzionalità delle prime, cioè di un sistema articolato essenzialmente basato sulla riserva pubblica e la possibilità di concessione ad altri soggetti, nonché sulla soggezione dei concessionari ad autorizzazione di polizia: infatti la stessa giurisprudenza comunitaria ha più volte riconosciuto il potere discrezionale di ogni Stato membro di scegliere per il perseguimento del suo scopo o la strada del divieto delle scommesse e dei concorsi pronostici o quella della concessione della relatività gestione a soggetti più o meno rigidamente controllati (s. Laara, punto 36, s. Zenatti, punto 34, s. Anomar, punto 79).

Qualche dubbio può sorgere per le sanzioni penali, che per la prima volta (ecco un ultimo elemento di innovazione) sono prese direttamente in considerazione nella sentenza Gabelli. Non è inutile notare, peraltro, che questa nuova attenzione al profilo penalistico nasce su un presupposto di diritto nazionale non del tutto esatto, prospettato alla Corte lussemburghese dal giudice italiano remittente (punti 18, 20 e 73): cioè che solo le ratifiche introdotte all’articolo 4 legge 401/89 dalla legge 388/00 avrebbero penalizzato l’attività dei soggetti che partecipino nel territorio italiano alla gestione di scommesse per conto di un allibratore estero. Al contrario. come sopra osservato, questa attività, secondo la unanime giurisprudenza di legittimità, era già penalmente sanzionata per effetto dell’articolo 6 Cp e dei primi tre commi dell’articolo 4, non toccati dalla novella 388/00. (Il che – sia detto tra parentesi ‑ coincide con le osservazioni presentate alla Corte di giustizia dalla Commissione delle Comunità europee intervenuta nella causa Gambelli: v. punto 41, primo periodo, della relativa sentenza).

Comunque si tratta di sanzioni variegate, in relazione alla esasperata casistica prevista dai primi tre commi dell’articolo 4, ai quali rinviano le nuove disposizioni di cui ai commi 4bis e 4ter, sanzioni che oscillano dall’ammenda o dall’arresto massimo di tre mesi sino alla reclusione da sei mesi a tre anni, in rapporto alle modalità e alla intensità dell’aggressione al bene tutelato.

Orbene, secondo dottrina e giurisprudenza costanti, il giudizio di congruità della sanzione penale è lasciato alla discrezionatità politica del legislatore e sottratto alla valutazione del giudice. Anche il giudice delle leggi, che pure ha titolo specifico per intervenire in questa materia alla luce del principio di ragionevolezza di cui all’articolo 3 Costituzione, rispetta prudentemente questa discrezionalità legislativa, salvo casi eccezionali, come quello del delitto (ormai abrogato) di oltraggio (Corte costituzionale 341/94).

Tanto premesso, il giudice ordinario, quando sia chiamato ‑ come nel caso ‑ a compiere questa valutazione di congruità dalla Corte di giustizia europea, non può fare a meno di osservare da una parte che il diritto comunitario lascia in genere al legislatore nazionale il potere di ricorrere alla sanzione penale per rafforzare precetti imposti o consentiti dallo stesso diritto comunitario, e dall’altra che il bilanciamento degli interessi in gioco nella soggetta materia si presenta talmente delicato da giustificare il ricorso a strumenti più o meno intensi di deterrenza penale.

Già la Corte costituzionale in materia strettamente contigua a quella in oggetto ha giustificato la previsione del reato di partecipazione a giochi d’azzardo di cui all’articolo 720 Cp per tutelare la finalità di impedire danni alla sicurezza, alla libertà e dignità umana (237/75). E questa stessa Corte ha recentemente affermato la legittimità costituzionale proprio del reato di cui all’articolo 4, comma 4bis, legge 401/89 nella considerazione che il principio di libera iniziativa economica deve coesistere con la tutela di altri beni di rilievo costituzionale (Cassazione Sez. seconda, 26145/03, Pm in proc. Lattanzi, rv. 225743). Invero, la restrizione di cui trattasi alla libertà costituzionale di iniziativa economica e alle libertà comunitarie di stabilimento e di prestazione di servizi appare assistita da sanzione penale perché, nella intenzione del legislatore, questa serve ad assicurare una protezione più incisiva al valore della sicurezza, che sia la Costituzione italiana (articolo 41, comma 2) sia il Trattato europeo (articoli 46 e 55) ritengono socialmente così importanti da giustificare limiti e deroghe a quelle libertà.

Sicché, in conclusione, il giudice ordinario non può, senza esorbitare dai suoi limiti istituzionali, ritenere incongruo il ricorso alla sanzione penale che sia dettato dalla preoccupazione di contrastare l’infiltrazione criminale, anche organizzata, nella gestione dei giochi, delle scommesse e dei concorsi pronostici.

14. Quanto al carattere discriminatorio delle normative restrittive, esso non è ravvisabile.

A questo proposito la sentenza Gambelli avverte che le restrizioni imposte dalla normativa italiana sui bandi di concorso per le concessioni devono essere indistintamente applicabili sia agli operatori nazionali che agli altri operatori comunitari (punto 70); e precisa che i requisiti di partecipazione ai bandi, per rispettare il principio di non discriminazione, non devono essere tali da poter essere praticamente soddisfatti più facilmente dagli operatori nazionali rispetto a quelli stranieri (punto 71).

Queste considerazioni della Corte lussemburghese nascono dalla procedura di infrazione che la Commissione ha dichiarato di aver promosso contro lo Stato italiano (punto 43) per un bando di gara dell’11 dicembre 1998, poi modificato il 22 aprile 1999, emanato per l’attribuzione di mille concessioni relative alla gestione di scommesse su competizioni sportive.

Come già messo in evidenza più sopra, l’articolo 2, comma 6, Dm 174/98, e l’articolo 2, comma 8, Dpr 169/98, disciplinando il rilascio delle concessioni per l’esercizio delle scommesse, stabiliscono che «se il concessionario è costituito in forma di società per azioni o a responsabilità limitata, le azioni aventi diritto di voto o le quote devono essere intestate a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice. È escluso il trasferimento per semplice girata di dette azioni o quote».

Orbene, nel parere motivato rilasciato nell’ambito della procedura di infrazione ex articolo 226 del Trattato, la Commissione Ue ha ritenuto che «la limitazione derivante da questi requisiti restrittivi ha impedito ai più importanti operatori comunitari del settore con azioni quotate nei mercati regolamentati di partecipare» al bando di gara. Al riguardo la Commissione ha osservato che lo scopo addotto dal Governo italiano per giustificare questi requisiti, cioè quello di evitare che i fisiologici cambiamenti nella compagine azionaria delle società di capitale impediscano un rigoroso monitoraggio sulla moralità dei soggetti che operano nel settore delle scommesse, particolarmente esposto alla interposizione di attività illecite (v. n. 18 del succitato parere), può essere ugualmente raggiunto attraverso un sistema amministrativo di richiesta di informazioni relative alla onorabilità degli amministratori aziendali, dei soci di controllo e di quelli che detengano una partecipazione superiore a una soglia idonea a condizionare comunque l’attività della azienda stessa (n. 23 del parere).

Ma è evidente che il sistema adottato dai regolamenti italiani, seppure sostituibile con altro praticamente più complicato ma ugualmente adeguato allo scopo, non fa distinzione tra società italiane e società estere interessate alla gara per le concessioni. Né è dato capire come questo sistema possa per se stesso ostacolare praticamente il concorso di società estere quotate in mercati regolamentati rispetto a società italiane cosiddette aperte, che ugualmente fanno ricorso al mercato del capitale di rischio e come tali adottano un libero regime di circolazione azionaria che non consente di intestare le azioni a persone fisiche, società in nome collettivo o in accomandita semplice. Il sistema, quindi, non riveste carattere discriminatorio.

Peraltro, dopo il parere motivato della Commissione, emanato il 16 ottobre 2002, lo Stato italiano, con l’articolo 22, comma 11, della legge finanziaria 2003 (289/02) ha innovato nella soggetta materia, stabilendo che alle procedure concorrenziali di affidamento delle concessioni di cui ai succitati regolamenti del 1998 “possono partecipare anche le società di capitali”. Vero è che questa norma non sembra avere effetto abrogativo rispetto alle disposizioni regolamentari di cui trattasi; ma è altrettanto vero che a partire dal 1° gennaio 2004 la riforma del diritto societario italiano ha perfezionato la parificazione giuridica del regime delle società italiane a quello delle altre società europee aperte, che fanno appello al mercato del capitale di rischio (articolo 2325bis Cc), sicché in nessun senso può dirsi che queste ultime siano svantaggiate rispetto alle prime nel concorso alle concessioni per la gestione di scommesse.

In conclusione, non può dirsi che la normativa italiana operi una discriminazione in danno delle società estere, neppure in forma indiretta o dissimulata.

15. Da ultimo non è pertinente l’applicazione nella soggetta materia del principio comunitario del reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati e altri titoli, stabilito dall’articolo 47 Trattato Ce per agevolare l’accesso alle attività non salariate, invocato esplicitamente dal difensore.

Com’è noto, infatti, questo principio non è di immediata applicazione, ma necessita di apposite direttive comunitarie (articolo 47, comma 1). Sino ad oggi, però, non sono state emanate direttive specifiche in relazione all’esercizio delle lotterie, delle scommesse e dei giochi d’azzardo.

È possibile per il Consiglio ricorrere anche a un sistema di riconoscimento generalizzato. Ma quelli adottati con la direttiva 89/48 e con la direttiva 92/51 riguardano solo il riconoscimento di titoli, diplomi e certificati rilasciati da uno Stato membro a compimento di studi di formazione professionale di durata minima. E chiaramente non è questo il caso. Quello adottato da Parlamento europeo e Consiglio con la direttiva 1999/42/Ce riguarda le qualifiche professionali per l’esercizio di attività minuziosamente elencate nell’allegato A, che non comprende in nessun modo la gestione di lotto, concorsi pronostici o scommesse.

In assenza di direttive comunitarie, le finalità sottese al principio possono essere soddisfatte solo mediante provvedimenti adottati dallo Stato membro ai sensi dell’articolo 10 Trattato Ce. Ma lo Stato italiano non ha adottato provvedimenti simili nella materia de qua.

Va peraltro aggiunto, che, comunque, il principio del mutuo riconoscimento, per sua stessa natura, riguarda solo l’abilitazione professionale di cittadini o società appartenenti a uno Stato membro diverso da quello di riferimento, e non già l’abilitazione di cittadini o società appartenenti a quest’ultimo Stato: pertanto si applicherebbe soltanto nei confronti della Stanley, e non verso il soggetto indagato nel presente procedimento.

In conclusione, in base ai parametri suggeriti dalla sentenza della Corte di Giustizia europea, le disposizioni dell’articolo 4 della legge 401/89, e in particolare quella di cui ai comma 4bis, in riferimento all’articolo 88 Tulps non sono in contrasto con i principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera produzione di servizi all’interno della Unione europea.

16. Resta quindi da esaminare la tesi sostenuta nella ordinanza impugnata secondo cui la presente fattispecie integra il reato previsto dall’articolo 4, comma ter, e non quello contestato di cui all’articolo 4, comma 4bis, della legge 401/89, atteso che l’attività esercitata dal Centro Stanleybet gestito dalla Poce consisteva in una mera intermediazione a favore della Stanley di Liverpool e non una autonoma organizzazione di scommesse.

Ma la tesi è chiaramente infondata.

Il comma 4bis punisce chiunque, privo di concessione e di autorizzazione di polizia, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere, o comunque favorire l’accettazione o la raccolta ‑ anche per via telefonica o telematica ‑ di scommesse da chiunque gestite in Italia o all’estero. Il reato è quindi integrato da qualsiasi condotta minimamente organizzata con cui ‑ contro il divieto di intermediazione previsto dalla normativa vigente ‑ si eserciti una funzione intermediatrice a favore di un gestore di scommesse (abilitato o meno). Oggetto giuridico del reato è la tutela dell’interesse pubblico al controllo sulla gestione delle scommesse e la connessa protezione dell’ordine pubblico.

Il comma 4ter, invece, punisce chiunque effettui per via telefonica o telematica la raccolta o la prenotazione di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse, senza essere provvisto di apposita autorizzazione all’uso di tali mezzi per la specifica attività. Il reato è quindi integrato da qualsiasi condotta di gestione (anche parziale) di scommesse, lotto o concorsi pronostici attuata per via telefonica o telematica senza la specifica autorizzazione prescritta in relazione al mezzo adottato. Oggetto giuridico è la tutela della sicurezza delle telecomunicazioni (cfr. Cassazione Sez. seconda, 26145/03, Pm in proc. Lattanzi, rv 225743).

Com’è evidente, si tratta di due reati che hanno diversa materialità e diversa oggettività giuridica, ma che possono formalmente concorrere nel caso in cui con la stessa condotta vengano violate entrambe le disposizioni normative (cioè nel caso di chi gestisca pubblicamente, in proprio o come intermediario, scommesse per via telefonica o telematica senza essere provvisto di concessione, di licenza di polizia e di specifica autorizzazione per l’uso del mezzo telematico). Parimenti non si può escludere che colui che invece sia munito di autorizzazione del ministero delle Comunicazioni per l’uso del mezzo telematico possa incorrere nel reato di cui al comma 4bis se gestisce scommesse senza essere munito di concessione e di licenza di polizia.

Nel caso di specie è pacifico che la Poce, coi suo Centro Stanleybet italiano, fungeva da intermediaria per la gestione delle scommesse esercitata dalla Stanley International Betting Lmt. di Liverpool; e pertanto, pur essendo munita della generale autorizzazione del ministero delle Comunicazioni per l’uso dei mezzi telefonici e telematici, poteva incorreva nel reato di cui all’articolo 4, comma 4bis, legge 401/89 se non era provvista (come sembra) anche della concessione e della licenza di polizia per l’esercizio delle scommesse.

Per conseguenza, ha errato il Tribunale del riesame laddove ha escluso a priori (senza prima aver verificato l’esistenza della richiesta abilitazione) la ricorrenza del fumus del contestato reato di cui al ripetuto comma 4bis. L’ordinanza va quindi annullata con rinvio allo stesso Tribunale di Frosinone ex articolo 623 lettera a) Cpp, il quale è procederà al riesame del sequestro preventivo disposto dal Gip, sotto il profilo del fumus delicti e del periculum in mora, conformandosi ai principi sopra enunciati.

PQM

La Corte suprema di Cassazione, a Su, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di