Penale

Wednesday 14 January 2004

Per la Cassazione il 41 bis non viola i diritti fondamentali della persona. Cassazione Sezione prima penale (cc) sentenza 14 novembre 2003-9 gennaio 2004, n. 449

Per la Cassazione il 41 bis non viola i diritti fondamentali della persona

Cassazione – Sezione prima penale (cc) – sentenza 14 novembre 2003-9 gennaio 2004, n. 449

Presidente Fulgenzi – relatore Silvestri – Pg Di Zenzo – ricorrente Ganci

Osserva

1. Con ordinanza del 28 marzo 2003, il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, in parziale accoglimento del reclamo proposto dal detenuto Ganci Domenico avverso il decreto del ministro della Giustizia in data 28 dicembre 2002 con cui era stata sospesa l’applicazione delle regole del trattamento penitenziario ai sensi dell’articolo 41bis, comma 2, dell’ordinamento penitenziario, dichiarava inefficace la sola limitazione relativa alla ricezione di pacchi perché ritenuta non strumentale alle esigenze di ordine e di sicurezza.

Il condannato proponeva ricorso per Cassazione denunciando mancanza di motivazione della decisione che aveva confermato il regime detentivo differenziato, sull’assunto che il provvedimento in data 28 dicembre 2002 doveva essere giustificato dalla sopravvenienza di nuove esigenze di ordine e di sicurezza pubblica e che, comunque, doveva essere dimostrata l’attualità della pericolosità; che, in violazione delle prescrizioni della legge 279/02, non era stato sentito il Pm; che il Tribunale di sorveglianza non aveva affatto motivato sulla richiesta di cessazione dell’esercizio del visto di controllo sulla corrispondenza.

2. Deve premettersi che la Corte costituzionale è più volte intervenuta in materia di regime carcerario differenziato affermando che i diritti fondamentali della persona, costituzionalmente protetti, costituiscono un limite al potere discrezionale dell’Amministrazione penitenziaria di limitare il normale regime carcerario e che eventuali deviazioni dal corretto uso di tale potere legittima il detenuto a proporre il rimedio del reclamo ex articolo 14ter dell’ordinamento penitenziario al fine di provocare il sindacato giurisdizionale sulla legittimità delle misure restrittive adottate (Corte costituzionale, 351/96; 332/94; 410/93; 349/93). Sulla scia di linea interpretativa, nella giurisprudenza di questa Corte sono stati definiti i confini del controllo giurisdizionale sul corretto esercizio del potere attribuito all’Amministrazione dall’articolo 41bis, comma 2, dell’ordinamento penitenziario e i limiti del sindacato del giudice sui provvedimenti dell’Amministrazione e sul contenuto delle misure con essi disposte (cfr., per tutte, Cassazione, sezione prima, 6873/95, Pg in proc. Furnari).

Le posizioni espresse dalla giurisprudenza hanno trovato completa ed organica disciplina nella legge 278/02, il cui articolo 2 ha sostituito i commi 2 e 2bis e ha aggiunto quattro nuovi commi, ridefinendo i presupposti e le finalità dello speciale regime (comma 2), il procedimento, la durata e la prorogabilità delle misure (comma 2bis), la revoca del provvedimento conseguente al venire meno delle esigenze che l’hanno giustificato (comma 2ter), l’indicazione delle limitazioni adottabili con la sospensione delle regole del trattamento (comma 2quater), la possibilità di presentare reclamo al Tribunale di sorveglianza, il termine per proporlo e l’individuazione, del Tribunale competente (comma 2quinquies), le forme del procedimento e la ricorribilità in Cassazione contro l’ordinanza che ha deciso il reclamo (comma 2sexies).

Ciò posto, nel caso di specie devono essere applicate le disposizioni della legge 279/02, dato che esse sono entrate in vigore il 24 dicembre 2002 e la sospensione delle regole del trattamento penitenziario è stata disposta con decreto del ministro della Giustizia del 28 dicembre 2002.

3. L’ambito del suindicato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal comma 2sexies del novellato articolo 41bis, a norma del quale «il Pg presso la Corte d’appello, il detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni dalla sua comunicazione, ricorso per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale per violazione di legge».

La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge comporta che il controllo affidato al Giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dato che tale vizio scaturisce, prima che dalla violazione della regola generale prescritta dall’articolo 125 Cpp, dalla trasgressione della specifica norma di cui al comma 2sexies dell’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, secondo cui il Tribunale di sorveglianza «decide in camera di consiglio, nelle forme previste dagli articoli 666 e 678 Cpp, sulla sussistenza. dei presupposti per l’adozione del provvedimento e sulla congruità del contenuto dello stesso rispetto alle esigenze di cui al comma 2». Deve trarsene la conseguenza che col ricorso per Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza è denunciabile il vizio di mancanza della motivazione, nel quale devono essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione. In questa stessa prospettiva, le Sezioni unite di questa Corte, nella diversa materia della liquidazione dei compensi spettanti ai difensori di persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato, hanno recentemente chiarito che allorché il ricorso in Cassazione è esperibile solo per violazione di legge, non è deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa sia mancante o meramente apparente (Cassazione, Sezioni unite, 25080/03, Pellegrino).

Dai precedenti rilievi deve conclusivamente inferirsi che, nel giudizio di legittimità, deve essere controllata l’esistenza della motivazione dell’ordinanza con cui il Tribunale di sorveglianza ha accertato le condizioni richieste per la sospensione delle regole del trattamento penitenziario e Il collegamento strumentale tra le limitazioni imposte al detenuto e la salvaguardia delle esigenze di ordine e di sicurezza.

4. Alla luce dei principi precedentemente esposti, il ricorso deve essere rigettato perché destituito di fondamento, risultando la struttura della motivazione dell’ordinanza impugnata immune dai vizi denunciati dal ricorrente.

Invero, a fronte delle censure di mancanza di motivazione, va rilevato che il Tribunale di sorveglianza ha dato pienamente conto dell’attualità della pericolosità sociale del detenuto e della persistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, accertando l’inserimento del condannato, ai massimi livelli di responsabilità, come uomo d’onore della cosca mafiosa “Noce” di Palermo, figlio del capo cosca, appartenente al gruppo di fuoco dei corleonesi di Salvatore Riina e coinvolto nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio: sulla base di tali elementi, tratti dalla documentazione in atti, il Tribunale di sorveglianza ha ritenuto persistenti i collegamenti con l’associazione mafiosa, come è stato confermato dalle dichiarazioni rese da vari collaboratori di giustizia in numerosi processi.

Sono inconsistenti, dunque, le doglianze di mancanza della motivazione, che non colgono nel segno neppure nell’ottica della congruenza del contenuto del decreto ministeriale, per la ragione che le limitazioni imposte appaiono dettate dalla necessità di preservare le finalità di ordine e di sicurezza e, nello stesso tempo, non risultano contrastanti con il principio di umanità del trattamento e di dignità del detenuto.

5. Non possono essere condivise neppure le censure riguardanti l’assenza del parere del Pm e l’illiceità del visto di censura della corrispondenza.

Riguardo al primo punto, deve sottolinearsi che il comma 2bis dell’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario, sostituito dall’articolo 2 della legge 279/02, prescrive che deve essere «sentito l’ufficio del Pm che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice che procede», di talché la disposizione è riferibile alla sospensione delle regole del trattamento applicata al detenuti in custodia cautelare e non anche a quelli che, come il ricorrente, si trovano in espiazione di pena in esecuzione di condanne irrevocabili.

Con riferimento all’imposizione del visto di censura, il ricorrente ha richiamato la decisione

ella Corte europea dei diritti dell’uomo con cui è stato stabilito che «il visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare costituisce “un’ingerenza di una autorità pubblica” nell’esercizio del diritto al rispetto della corrispondenza, e viola l’articolo 8, par. 2 della convenzione perché non è “prevista dalla legge”; infatti l’articolo 18 legge 354/75 non disciplina né la durata delle misure di controllo della corrispondenza dei detenuti, né i motivi che possono giustificarle e non indica con sufficiente chiarezza l’estensione e le modalità di esercizio del potere discrezionale delle autorità competenti nell’ambito considerato» (Corte europea diritti uomo, 28 settembre 2000, Messina c. Governo Italia).

In proposito deve osservarsi che la decisione testé indicata è precedente alle modifiche introdotte all’articolo 41bis dalla legge 279/02 e che la nuova disciplina prevede che la sospensione delle regole del trattamento può comportare «la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali in materia di giustizia» (comma 2quater lettera e)). Ne consegue che le censure rivolte dalla Corte europea alla normativa anteriore, nella quale mancava una previsione dei controllo della corrispondenza dei detenuti sottoposti al regime ex articolo 41bis, devono considerarsi superate alla luce della nuova disciplina, nella quale il visto di censura è oggetto di una esplicita previsione di legge e il potere di controllo della corrispondenza risulta funzionalmente circoscritto nei presupposti, nella durata e nella finalità di tutela delle esigenze di ordine e di sicurezza.

In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

PQM

La Corte suprema di Cassazione, prima sezione penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.