Civile

Friday 24 March 2006

Per il pagamento di assegni non trasferibili a soggetto non intestatario risponde la banca.

Per il pagamento di assegni non trasferibili a soggetto non intestatario
risponde la banca.

Cassazione – Sezione terza civile
– sentenza 1 dicembre 2005-15 marzo 2006, n. 5677

Presidente Duva – Relatore Frasca

Pm Russo – difforme – Ricorrente
Spe Società Pubblicità Editoriale Spa – Controricorrente Unicredito Italiano Spa

Svolgimento del processo

1. Con atto di citazione
notificato l’11 ottobre 1995 la Spa Spe – Società Pubblicità Editoriale
conveniva avanti al Tribunale di Milano la Spa Credito italiano, il Monte dei
Paschi di Siena e la Spa Piatti esponendo: di avere effettuato,
su richiesta della Poiatti, inserzioni pubblicitarie per lire 62.221.428; di
averne richiesto il pagamento apprendendo che nel maggio 1994 la Poiatti aveva
consegnato in pagamento due assegni intestati ad essa attrice e non
trasferibili, tratti sul Monte dei Panchi di Siena, a Claudio Sturiano, suo
agente senza rappresentanza, che li aveva incassati presso il Credito Italiano,
nonostante la presenza della clausola di intrasferibilità ed ancorché lo
Sturiano non avesse titolo per l’incasso.

Tanto premesso in fatto,
l’attrice adduceva che nei comportamenti dei convenuti era ravvisabile un
illecito e chiedeva la condanna del Credito Italiano e del Monte dei Paschi in
solido al pagamento della somma recata dagli assegni, oltre gli interessi
legali, nonché subordinatamente la condanna della
Poiatti alla ripetizione del pagamento di detta somma, oltre interessi.

Le convenute si costituivano
contestando l’avversa domanda e la Poiatti svolgeva anche domanda
risarcitoria nei confronti delle due banche. Il Credito Italiano,
opportunamente autorizzato, chiamava in causa in manleva lo Sturiano, che
rimaneva contumace.

L’adito Tribunale con sentenza
del 26 luglio 1999 condannava il Credito Italiano a pagare la somma richiesta
all’attrice con gli accessori, mentre rigettava la domanda risarcitoria della
Poiatti, poneva le spese sopportate da tutte le parti costituite a carico del
Credito Italiano, e condannava lo Sturiano a rifondere a detto istituto tutto
quanto esso avrebbe dovuto pagare per capitale, interessi e spese.

Contro la sentenza proponeva
appello la Spa Unicredito Italiano, già Credito Italiano Spa, chiedendone in
principalità l’integrale riforma ed in subordine la riforma parziale, il
rigetto di ogni avversa pretesa e la condanna della
Spe, del Monte dei Paschi e della Poiatti alla restituzione di quanto pagato in
forza della provvisoria esecuzione della sentenza stessa, oltre, occorrendo, la
conferma della statuizione emessa nei confronti dello Sturiano. Nel giudizio si
costituivano la Spa Spe, la Spa Poiatti ed il Monte dei Paschi di Siena,
resistendo al gravame. Il Monte dei Paschi proponeva anche appello incidentale
subordinato all’accoglimento dell’appello principale
in punto di spese. Lo Sturiano restava contumace.

Con sentenza del 9 marzo 2001 la
Corte d’appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello principale
riduceva la condanna dell’Unicredito alla metà della somma capitale oggetto dei
due assegni, oltre interessi per come liquidati dal primo giudice. Compensava,
inoltre, le spese dei due gradi tra, l’Unicredito e la

Spe. Inoltre, condannava
l’Unicredito e la S.P.E. al rimborso, nella misura del cinquanta per cento
ciascuno, all’appellata Poiatti e al Monte dei Paschi di Siena, delle spese del
giudizio di primo grado, condannava la S.P.E. alla restituzione all’Unicredito
della maggior somma percepita per effetto della esecutività
della sentenza impugnata e condannava infine la Poiatti ed il Monte dei Paschi
alla restituzione alla Unicredito della maggior somma percepita per effetto di
quella esecutività.

2. La sentenza, per quanto ancora
in questa sede interessa si fonda sulle seguenti ragioni: i due assegni, emessi
con clausola di non trasferibilità dalla Poiatti all’ordine
della S.P.E., sul cui illegittimo incasso si fondava l’azione proposta
dalla S.P.E. ‑
da ritenersi di natura extracontrattuale nei confronti delle due banche e
contrattuale verso la Poiatti ‑recavano oltre al timbro per il pagamento in stanza
di compensazione una sola girata per l’incasso con timbro “Società Pubblicità
Editoriale Spa” e una sottoscrizione “Claudio Sturiano”, che risultava
sostanzialmente uguale a quella apposta sulle quietanze rilasciate sulle
fatture prodotte dalla Poiatti; risultava allegato dalla Poiatti ed
incontestato dalla S.P.E. che la Poiatti, nel corso del pluriennale rapporto
corrente dal 1992 aveva pagato i corrispettivi dovuti mediante la materiale
consegna allo Sturiano di assegni tratti a favore della S.P.E. senza che
quest’ultima si fosse mia lamentata di tale modalità di pagamento prima della
vicenda oggetto di lite, onde la Poiatti aveva legittimamene ritenuto che lo
Sturiano fosse delegato a ricevere i pagamenti; la Unicredito aveva prodotto
fotocopie di otto assegni bancari tratti dallo Sturiano su se stesso e, quindi,
girati alla S.P.E. e dalla stessa incassati, nonché di tre assegni emessi
direttamente dallo Sturiano a favore della S.P.E. e pure da quest’ultima
incassati, nel periodo dal maggio 1993 fino al luglio 1994, ed infine di altri
tredici assegni, molti dei quali non trasferibM, di vari traenti e tutti
all’ordine della S.P.E., recanti girata per l’incasso sottoscritta dallo
Sturaino sotto un timbro riferito alla S.P.E.; tanto documentava, senza che
occorresse l’assunzione delle prove dedotte dalla Unicredito, che, pertanto
dovevano ritenersi irrilevanti, la verità della sua affermazione che lo
Sturiano incassava in proprio gli assegni dei clienti e ne trasferiva poi con
proprio assegno il controvalore alla S.P.E.; tale sistema non poteva essere
ignoto alla S.P.E., perché di fatto accettava di ricevere, a pagamento dei
debiti dei clienti, assegni ‑ anche cumulativi,dell’importo di varie fatture ‑
emessi dal suo agente, con ciò implicitamente accettando anche che gli assegni
emessi dai clienti fossero incassati dallo Sturiano, non potendosi supporre che
i clienti pagassero importi di vari milioni in contanti e nemmeno che pagassero
con assegni emessi al portatore o privi di beneficiario, essendo nozione comune
nella prassi commerciale l’indicazione del prenditore; da tanto si evinceva
che, se anche la S.P.E. non aveva autorizzato il suo agente ad incassare a nome
della società, tuttavia di fatto aveva tollerato una prassi che,
necessariamente implicava che il medesimo incassasse in sua vece gli assegni
consegnatigli dai clienti; tale tolleranza, non avendo la S.P.E. nemmeno
allegato di avere chiesto chiarimenti al suo agente o alla banca, aveva
“sostanzialmente creato una apparenza” che, se assolveva totalmente la Poiatti,
riguardo alla Unicredito doveva essere valutata in termini di concorso causale
ex articolo 1227 Cc nella verificazione del danno di cui la S.P.E.. chiedeva il
ristoro; sussisteva, infatti, una colpa della S.P.E. «per aver permesso
l’instaurarsi di una prassi contraria agli effettivi poteri da lei formalmente
attribuiti all’agente, e quindi contraria alla correttezza e buona fede che
deve presiedere i rapporti commerciali»; tale prassi rilevava» anche nei
confronti dell’Unicredito, pur non avendo la S.P.E. “intrattenuto alcun
rapporto negoziale diretto”, poiché «nella sua sfera giuridico tale apparenza
aveva avuto concreti riflessi»; pur essendo stata «la violazione, da parte
dell’Unicredito, delle espresse norme che disciplinano l’attività bancaria ed
in particolare il pagamento degli assegni non trasferibili […] causa prima della distrazione compiuta dallo Sturiano» e pur
non valendo la tolleranza della S.P.E. a scagionare la banca, perché essa
«avrebbe dovuto comunque controllare la sussistenza dei poteri di Sturiano e
pretenderne la formalizzazione», tale «comportamento colposo della banca [era)
stato agevolato proprio dall’apparenza che la S.P.E. aveva –anch’essa
colposamente ‑
creato non reagendo, ed anzi positivamente accettando, la prassi irregolare che
Sturiano aveva impostato»; l’incidenza eziologia delle due condotte colpose
doveva essere valutata di pari grado, onde la condanna risarcitoria
dell’Unicredito andava ridotta della metà.

3. Contro la sentenza ha proposto
ricorso per cassazione affidato a tre motivi la S.P.E. nei confronti della Unicredito, del Monte dei Paschi e della Poiatti Spa.

Ha resistito con controricorso
soltanto la Unicredito, che ha notificato l’atto anche
a Claudio Sturiano.

La ricorrente, nell’imminenza
dell’udienza del 10 maggio 2005, nella quale era stata fissata la trattazione
del ricorso, ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 Cpc, indicando
questa volta come controparte non costituita Claudio Sturiano.

La Corte, con ordinanza
pronunciata in detta udienza, in applicazione dell’articolo 331 Cpc, ordinava
alle parti di provvedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti dello Sturiano, concedendo termine ai sensi dell’articolo
371bis Cpc.

La società ricorrente provvedeva
alla disposta integrazione del contraddittorio e veniva,
quindi, fissata la nuova udienza di trattazione.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente va rilevato, a
giustificazione della disposta integrazione del contraddittorio, che vi era un
problema di integrità del contraddittorio, in quanto
il ricorso non era stato notificato dalla ricorrente a Claudio Sturiano, nei
riguardi del quale è oggetto del giudizio una causa di garanzia introdotta dal
Credito Italiano (ora Unicredito), la quale, in dipendenza degli esiti delle
fasi di merito del giudizio stesso, assume carattere di causa dipendente da
quella principale introdotta dalla Spa Società Pubblicità Editoriale nei
confronti della Unicredito. Infatti: nel giudizio di primo
grado la domanda di garanzia del Credito italiano venne accolta con la
statuizione dell’obbligo dello Sturiano di rifondere a detto istituto tutto
quanto esso avrebbe dovuto pagare per capitale, interessi e spese; nel giudizio
di appello la condanna pronunciata in primo grado a favore della S.P.E. è stata
parzialmente riformata fino alla metà dell’ammontare della condanna disposta in
primo grado e, quindi l’obbligazione indennitaria dello Sturiano (correttamente
chiamato nel giudizio di appello) statuita in primo grado è risultata
corrispondentemente ridimensionata; con il ricorso introduttivo del presente
giudizio la S.P.E. postula la cassazione della sentenza d’appello proprio nel
punto in cui la condanna dell’istituto bancario è stata ridimensionata e,
quindi, poiché dall’accoglimento del ricorso per cassazione resterebbe inciso
il ridimensionamento che la riconosciuta manleva a carico dello Sturiano ha
subito in appello, la causa di garanzia fra l’istituto ed U medesimo ha natura
dipendente ai sensi dell’articolo 331 Cpc e, quindi, inscindibile, rispetto
alla causa principale oggetto del ricorso per cassazione, con la conseguenza
che quest’ultimo avrebbe dovuto notificarsi allo Sturiano; è vero che a‑costui
era stato notificato il controricorso dall’istituto resistente, ma tale
notifica non equivale a sanatoria dell’omissione in cui è incorsa la
ricorrente, perché non è idonea ad assicurare allo Sturiano le garanzie di
difesa che gli avrebbe assicurato la rituale notifica del ricorso; ne
conseguiva la necessità dell’ordine di integrare il contraddittorio nei
confronti dello Sturiano, che avrebbe potuto essere evitato solo se egli si
fosse costituito all’udienza del 10 maggio 2005 ed avesse rinunciato ad un
termine a difesa.

2. Con il primo motivo si lamenta
«violazione della norma di cui all’articolo 43 Rd 1736/33 in
relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc» nonché «insufficiente e/o
contraddittoria motivazione, in relazione all’articolo 360 n. 5 Cpc, circa
l’addebito solo parziale ad Unicredito della responsabilità dei fatti».

Il motivo viene
illustrato adducendosi che inesattamente si sarebbe ritenuto il‑concorso
di colpa di essa ricorrente nella causazione del danno, sotto il profilo che
non poteva ignorare la conoscenza della prassi che si era creata fra il suo
agente Sturiano e la Unicredito, in quanto i pagamenti avvenivano tramite la
consegna allo Sturiano di assegni non trasferibili emessi a favore della S.P.E.
e lo Sturiano li depositava in un proprio conto corrente per trasferirli in un
momento successivo sul conto della S.P.E..

Tale ragionamento sarebbe infondato,
in quanto essa ricorrente non poteva sapere cosa
avveniva presso la filiale dell’Unicredito di Mazara del Vallo.

Era, invece, responsabile solo la Unicredito che aveva incassato gli assegni nonostante che
essi fossero intestati ad essa ricorrente e con la clausola non trasferibile,
senza neppure contattare quest’ultima informalmente
allo scopo di verificare l’eventuale esistenza di un’autorizzazione all’incasso
a favore dello Sturiano. Tale responsabilità discendeva dall’articolo 43 del Rd
1736/33 e la negligenza della Unicredito era stata
ancora più grave, tenuto conto che la sua qualità di istituto bancario, ai
sensi dell’articolo 1176 Cc, imponeva una particolare cura nello svolgimento
delle mansioni.

Con un secondo motivo si deduce
«errata, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, in
relazione all’articolo 360 n. 5 Cpc, relativa alla presunta colpa della
S.P.E. ed errata applicazione dell’articolo 1227 Cc in relazione all’articolo
360 n. 3 Cpc», sotto il profilo che la S.P.E. avrebbe tollerato una prassi,
implicante che lo Sturiano incassasse al posto suo gli assegni, così creando
un’apparenza, che costituiva concorso causale agli effetti dell’articolo 1227
Cc. Viceversa, la semplice apparenza della legittimazione del rappresentante
non vale a supplire alla legittimazione effettiva. L’altro canto, il principio
dell’apparenza può invocarsi in tema di rappresentanza solo in
presenza di elementi obiettivi atti a giustificare l’opinione del terzo
che contratta con il falsus procurator in ordine alla corrispondenza fra
situazione apparente e situazione reale (viene citata Cassazione 10709/91). Una
simile situazione non ricorreva, tenuto conto che lo Sturiano versava gli
assegni su un suo conto e che trattavasi di assegni
non trasferibili.

La Banca resistente non poteva
essere caduta in alcun inganno, perché aveva pagato scientemente due assegni
non trasferibili ad un soggetto completamente diverso dal beneficiarlo. Né la
conclusione potrebbe essere diversa, ove per assurdo lo Sturiano si
considerasse legale rappresentante della S.P.E.,
poiché nemmeno in quella veste avrebbe potuto versare su un suo conto personale
assegni non trasferibili intestati alla società che rappresentava.

Con un terzo motivo viene dedotta «errata applicazione degli articoli 167, 342 e
343 Cpc in relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc», nonché «Insufficiente e/o
contraddittoria e/o omessa motivazione, in relazione
all’articolo 360 n. 5 Cpc, relativa al capo della sentenza che ha posto a
carico della S.P.E. le spese di lite della Poiatti e del Monte dei Paschi di
Siena», assumendosi che tale statuizione sarebbe frutto di ultrapetizione, in
quanto dette parti non avevano chiesto in appello che le spese fossero poste a
carico della Spe. La Poiatti aveva anzi chiesto la conferma della sentenza di
primo grado. Il Monte dei Paschi, poi, non si sarebbe nemmeno costituito nei
termini in appello. inoltre la condanna a favore di
detti soggetti al pagamento delle spese risultava iniqua ed inspiegabile, in
quanto essa ricorrente, come risultava dalla documentazione prodotta aveva
inutilmente chiesto, per oltre due anni prima del giudizio, copia della
documentazione necessaria per agire.

3. Il primo ed il secondo motivo,
data la loro stretta connessione, possono trattarsi congiuntamente e sono
fondati.

Essi pongono due questioni di
violazione di norme di diritto e connesse questioni relative
a vizi ai sensi del n. 5 dell’articolo 360 Cpc.

La prima questione ex n. 3
dell’articolo 360 Cpc concerne la violazione dell’articolo 43, commi 1 e 2, del
Rd 1736/33 (legge sull’assegno) sotto il profilo che, nel ritenere l’esistenza
di un concorso di colpa della S.P.E., nella causazione
del danno derivante dal pagamento dei due assegni con clausola di “non
trasferibilità” a soggetto diverso dal prenditore, legittimato in base a tale
clausola, l’impugnata sentenza avrebbe sostanzialmente disapplicato quella
norma.

La prospettazione della
ricorrente non è (o almeno non lo è in modo esplicito) nel senso che la
verificazione della fattispecie di cui al suddetto articolo 43 escluderebbe in
radice la possibilità di ritenere che con l’attribuzione della responsabilità
per il pagamento dell’assegno a carico di chi l’ha pagato in violazione della
clausola possa concorrere la responsabilità dello
stesso soggetto indicato come prenditore ai sensi dell’articolo 1227, comma 1,
Cc, bensì nel senso che nella specie l’articolo 43 sarebbe stato disapplicato,
o meglio parzialmente disapplicato, là dove la Corte territoriale avrebbe
sussunto erroneamente la fattispecie concreta verificatasi nell’ambito della
nozione di concorso del fatto colposo del danneggiato, di modo che avrebbe
conseguentemente applicato, in funzione ridimensionatrice della responsabilità
di cui all’articolo 43, un concorso di colpa che in realtà non c’era.

Anche la seconda questione ex n.
3 dell’articolo 360 Cpc, evocata dal secondo motivo, è prospettata adducendosi
sostanzialmente che, pur ipotizzando la possibilità di quel concorso, essa
nella specie sarebbe stata erroneamente ritenuta in
quanto il comportamento colposo individuato come determinativo del pagamento
dell’assegno in violazione dell’articolo 43 sarebbe stato erroneamente
identificato nella creazione di una situazione di apparenza.

Alle censure di violazione di
legge si accompagnano ‑ come s’è detto ‑ corrispondenti profili di
vizio di motivazione.

3.1. Ai fini dello scrutinio delle
censure così individuate sono preliminari alcune precisazioni, che il Collegio
deve formulare ravvisando punti della vicenda pacificamente risultanti in fatto
o da ritenersi ormai coperti da giudicato interno, non essendo stati oggetto di alcuna impugnazione con il ricorso per cassazione.

Sotto il primo aspetto è
pacifico, per quanto emerge dalla sentenza e non è stato posto in discussione
dalle parti costituite (che anzi lo hanno confermato) che i due assegni di cui
trattasi, emessi con clausola “non trasferibile” all’ordine della S.P.E., vennero presentanti e girati per l’incasso
all’Istituto qui resistente con una firma di Claudio Sturiano apposta dopo
[omissis] avere pagato, se non al prenditore o, a richiesta di costui
accreditato nel suo conto corrente. Questi non può girare l’assegno, se non ad
un banchiere per l’incasso, il quale non può ulteriormente girarlo».

È evidente che nell’ipotesi del
pagamento a persona diversa dal prenditore rientra certamente il caso in esame,
nel quale l’accreditamento degli assegni nel conto dello Sturiano è equivalso
ad un sostanziale pagamento ad un soggetto diverso dal prenditore, cioè dalla S.P.E..

Sotto il secondo aspetto innanzi
indicato si rileva che, poiché né la ricorrente né alcuna altra
delle parti hanno proposto sul punto impugnazione, l’affermazione fatta dalla
sentenza impugnata che l’azione proposta dalla S.P.E. contro l’Unicredito è di
natura extracontrattuale (a differenza di quelle proposte contro il Monte dei
Paschi e la Piatti), deve ritenersi coperta da giudicato interno. La sua
interpretazione da parte di questo Collegio comporta che l’azione contro
l’Unicredito si debba ritenere qualificata giuridicamente dalla Corte
territoriale come azione fondata sulla norma generale dell’articolo 2043 Cc.

3.2. Ritenuto questo
inquadramento, poiché l’articolo 1227 Cc è richiamato,dall’articolo 2056
Cc in tema di responsabilità da illecito aquiliano (da ultimo Cassazione
564/05), deve affermarsi che sia astrattamente concepibile che in relazione ad
un illecito ex articolo 43, comma 2, citato possa configurarsi un concorso di
colpa nella causazione del danno, cioè dell’evento del pagamento a soggetto
diverso dal prenditore, da parte di quest’ultimo. Per l’applicazione
dell’articolo 1227, comma 1 Cc, è, però necessario che ne ricorrano le
condizioni ed in particolare che il fatto colposo del danneggiato abbia svolto
un’efficacia causale concorrente nella determinazione del danno.

Al riguardo, va ricordato che
secondo la dottrina ed anche la giurisprudenza il
fatto colposo del danneggiato, idoneo a diminuire l’entità del risarcimento
secondo la previsione dell’articolo 1227 comma 1 Cc, comprende qualsiasi
condotta negligente od imprudente che costituisca causa concorrente
dell’evento, e, quindi, non soltanto un comportamento coevo o successivo al
fatto illecito, ma anche un comportamento antecedente, purché legato da nesso
eziologico con l’evento medesimo (Cassazione 2861/79).

Ora, quando il fatto colposo del
danneggiante è antecedente al fatto illecito, cioè
all’inadempimento ed alle sue conseguenze dannose nella responsabilità
contrattuale ed alla condotta integrante il fatto ingiusto di cui all’articolo
2043 Cc ed alle sue conseguenze nella responsabilità extracontrattuale, la sua
efficacia di concausa del danno cagionato dall’illecito, se è indubbio che
possa estrinsecarsi con riferimento al danno-conseguenza della condotta di
inadempimento o della condotta realizzante il fatto ingiusto, può altrettanto
indubbiamente estrinsecarsi anche direttamente rispetto alla condotta
costituente l’illecito, cioè può giocare ad essere apprezzata come concausa
della condotta di inadempimento stesso o di quella determinativa del fatto
ingiusto, id est come concausa della relativa condotta illecita.

Tale efficacia concausale
direttamente estrinsecatesi nella determinazione della
condotta di inadempimento o della condotta integrante il fatto ingiusto di cui
all’articolo 2043 Cc deve, però, essere tale, cioè deve assumere il ruolo di
concausa e non di causa esclusiva. Se così non fosse, evidentemente
l’inadempimento (o il ritardo nell’ adempimento) in
conseguenza dei quali nella responsabilità contrattuale si fosse verificata
l’impossibilità della prestazione, apparirebbe determinato da una causa non
imputabile al debitore e, quindi, verrebbe meno la sua responsabilità, mentre
nel caso della ‑responsabilità
ex articolo 2043 Cc il danno non apparirebbe determinato in alcun modo da una
condotta (almeno) colpevole del danneggiante, poiché difetterebbe l’elemento
soggettivo dell’illecito.

3.3. Ciò promesso, rileva il
Collegio che il primo motivo, apprezzato tanto ai sensi del n. 3 che del n. 5
dell’articolo 360 Cpc, è fondato, là dove si lamenta che si sia dato rilievo ad
un preteso fatto colposo del danneggiato, cioè della
S.P.E., sussumendo sotto la relativa nozione una fattispecie concreta che non
presentava affatto i caratteri del fatto colposo del danneggiato.

Invero, il fatto dell’agente che
presenta alla sua banca, cioè alla banca presso la
quale egli ha un conto corrente, assegni con clausola “non trasferibile”
intestati alla società preponente e li giri per conto della stessa, cioè agendo
come suo rappresentante, ma chiedendo ed ottenendo dalla banca l’accredito su
un suo conto corrente, ed il fatto che alla banca stessa risulti che
successivamente Vagente emetta assegni sul suo conto a favore della preponente
senza che la preponente faccia alcuna rimostranza, non sono, pur valutati
unitariamente, in alcun modo idoneo a dimostrare che la preponente abbia
conosciuto tutto questo procedimento e, quindi, lo abbia tollerato, come dice
la sentenza impugnata, così realizzando una condotta concorrente colposa nella
causazione del danno derivante dal pagamento degli assegni a persona diversa
dal prenditore.

È sufficiente osservare che la
verificazione di questo complesso procedimento non appare in alcun modo
riferibile nella sua interezza alla ricorrente.

Solo la ricezione di assegni in pagamento da parte dello Sturiano e la
circostanza che il suo agente fosse legittimato a farsi rilasciare assegni non
trasferibili in pagamento di forniture effettuate dalla S.P.E. sono fatti
riferibili alla medesima. Non è fatto riferibile alla S.P.E. la determinazione
della conoscenza da parte dell’Unicredito di tali
circostanze o almeno la sentenza non lo assume. Non è fatto riferibile alla
S.P.E. o almeno la sentenza impugnata non lo sostiene l’apposizione di una
girata per l’incasso con il suo timbro a firma dello Sturiano. E non è fatto
riferibile alla S.P.E. che lo Sturiano incassasse gli
assegni sul suo conto corrente.

La sentenza impugnata ha, in
realtà, desunto la riferibilità di queste ultime tre circostanze dal fatto che successivamente all’accredito sul suo conto corrente lo
Sturiano emetteva assegni a favore della S.P.E..

Ma non è dato comprendere quale
massima di esperienza possa giustificare
l’attribuzione di tale valore a questo comportamento dello Sturiano. Non è dato
cioè individuare alcun collegamento fra i pagamenti
eseguiti dallo Sturiano e la tolleranza da parte della S.P.E. del complesso
procedimento descritto. Ciò, per la semplice ragione che resta del tutto oscuro
ed indimostrato che la S.P.E. conoscesse ciò che si collocava a monte rispetto al pagamento eseguito in suo favore dallo
Sturiano.

Né è
dato comprendere come la sentenza impugnata possa imputare alla S.P.E. di non
avere chiesto chiarimenti al suo agente ed alla banca. Anche
una simile richiesta di chiarimenti allo Sturiano comportava la conoscenza da
parte della S.P.E. del pagamento da parte della clientela tramite assegni con
clausola “non trasferibile” e della successiva vicenda cui lo Sturiano dava
corso. Né tale conoscenza e, quindi, una conseguente tolleranza, si può
evincere, alla stregua dell’articolo 2729 Cc, dalla mera circostanza ‑
riferita dalla sentenza impugnata (p. 12) ‑ che, secondo le condizioni
generali di contratto vigenti tra la Spe ed i suoi clienti prevedevano che il
pagamento avvenisse tramite tratte‑ricevute bancari
o direttamente alla società o a persona dalla stessa espressamente delegata.
Proprio la previsione di varie condizioni di pagamento e non di una condizione
di pagamento tramite assegni con clausola “non trasferibile”, palesa semmai che
la S.P.S., nel ricevere i pagamenti direttamente dallo
Sturiano tramite suoi assegni non poteva supporre che ad esso fossero
rilasciati assegni con quella clausola e che essi fossero stato da lui gestiti
come in concreto avvenuto. Semmai, il comportamento di ricezione da parte della
S.P.E. potrebbe essere idoneo a giustificare la conclusione che
lo Sturiano fosse legittimato a ricevere direttamente i pagamenti quale
persona delegata. Ma ciò non toglie che, ricevuti in
pagamento gli assegni con la nota clausola dallo Sturiano e presentati dal
medesimo gli stessi, l’Unicredito non aveva alcuna ragione per consentirne
l’appropriazione da parte dello Sturiano mediante l’accredito sul suo conto
corrente.

Con riferimento alla mancanza di
richiesta di chiarimenti all’Unicredito, i rilievi appena svolti evidenziano
che non è dato comprendere sulla base di quali
elementi la S.P.E. nel ricevere i pagamenti tramite assegni dello Sturiano
potesse esser messa a conoscenza della singolare prassi seguita dallo Sturiano
e dalla banca.

3.4. il
primo motivo è, dunque, fondato sia in relazione alla censura ex n. 3 (per
erronea sussunzione di fattispecie concreta) che a quella ex n. 5 dell’articolo
360 (per motivazione assolutamente insufficiente) e la sentenza impugnata va
cassata.

Il giudice di rinvio, nel
decidere la controversia, escluderà la sussistenza del concorso di colpa della

S.P.E. nel pagamento da parte
dell’Unicredito dei due assegni non trasferibili, ravvisato nella condotta di
tolleranza della prassi di cui si è detto, desunta dalle circostanze
considerate dalla sentenza impugnata ed in particolare dal fatto che la S.P.E.
riceveva somme riferibili a pagamenti effettuati dalla
clientele dalla clientela tramite assegni emessi dallo Sturiano.

Tale circostanza non dovrà dal
giudice di rinvio essere considerata in alcun modo idonea
a dimostrare l’esistenza di un concorso di colpa della S.P.E. si da
giustificare il ridimensionamento della responsabilità dell’Unicredito ai sensi
dell’articolo 43 più volte citato.

4.1. Anche
il secondo motivo è fondato, là dove assume direttamente la violazione
dell’articolo 1227, comma 1, Cc.

L’errore di applicazione
diretta di questa norma, già evidenziato con le considerazioni che precedono in
funzione della violazione dell’articolo 43, è ancora più manifesto se si
considera specificamente la qualificazione giuridica che la sentenza impugnata
ha attribuito al preteso fatto colposo della S.P.E..

Tale qualificazione, nell’assunto
della sentenza, è rappresentato dalla determinazione da
parte della S.P.E. di una situazione di apparenza e, quindi, di affidamento
della Unicredito, circa il convincimento che la S.P.E. tollerasse e, quindi,
nulla avesse da obiettarvi, il comportamento dello Sturiano di far accreditare
assegni non trasferibili sul suo conto e poi riversare le somme alla S.P.E. In
tal modo, infatti, la Corte milanese ha nel contempo considerato la posizione
dell’Unicredito come quella di un soggetto colpevole (per non avere osservato
l’articolo 43 piú volte citato) e tuttavia legittimamente affidato e, quindi,
esente da colpa ed in buona fede per fatto del danneggiato.

Senonché,
nella recente giurisprudenza di questa Corte (si vedano: Cassazione 10133/04;
23199/04) si è sottolineata l’incompatibilità fra l’apparenza determinativa di
un affidamento in un terzo ed il concorso colposo del medesimo nella causazione
di un evento dannoso, ai sensi dell’articolo 1227, comma 1, Cc.

Sulla scorta di tali precedenti,
enunciati a proposti dell’apparenza di potere rappresentativo,
ma validi in generale, deve affermarsi che il concorso del fatto colposo
del creditore ai sensi dall’articolo 1227, comma 1, cod, civ. nella causazione
di un illecito, contrattuale od extracontrattuale, non può consistere
nell’avere determinato costui nel danneggiante la percezione di una situazione
di apparenza del diritto, che avrebbe giocato rilievo concausale nella
causazione dell’illecito. Infatti, postulando il rilievo della creazione della
situazione di apparenza la determinazione di una
situazione riconducibile al generale principio dell’affidamento incolpevole ed
essendo, quindi, presupposto per la sua configurabilità che il soggetto, il
quale versi in una situazione nella quale fa leva sull’affidamento indotto
dall’apparenza da altri creata, non sia in colpa, per l’evidente
incompatibilità logica che altrimenti vi sarebbe con la posizione soggettiva di
affidamento, non è concepibile che la determinazione della situazione di
apparenza possa assumere la funzione di concausa rispetto all’inadempimento (o
al ritardo nell’adempimento) dal debitore o al fatto ingiusto ex articolo 2043
Cc, assistiti a loro volta dall’elemento soggettivo e, quindi, almeno della
colpa, non potendo chi è in colpa essere nel contempo incolpevolmente affidato.

Avendo la sentenza ritenuto che
l’Unicredito ha comunque tenuto un comportamento
colpevole per non avere osservato il precetto di cui all’articolo 43 circa la
circolazione degli assegni è, dunque, palese che non poteva nel contempo
ritenere che essa si fosse trovata in una situazione di affidamento incolpevole
indotta dalla S.P.E., stante l’ontologica incompatibilità fra le due
situazioni.

La (pretesa) situazione di apparenza creata dalla S.P.E. ‑ ove fosse stata
configurabile: cosa, peraltro, come si è visto, palesemente esclusa dalle
considerazioni svolte in riferimento al primo motivo ‑ avrebbe potuto
essere utilizzata solo per motivare l’esclusione di qualsiasi responsabilità
dell’Unicredito e, quindi, solo se la stessa fosse stata ritenuta esente da
colpa, proprio in ragione della (pretesa) situazione di apparenza.

La sentenza impugnata va,
pertanto, cassata sulla base del seguente principio di diritto: «il concorso
del fatto colposo del creditore ai sensi dell’articolo 1227, comma 1, Cc nella
causazione di un illecito contrattuale od extracontrattuale, non può consistere
nell’avere determinato costui nel danneggiante la percezione di una situazione di apparenza del diritto, che avrebbe giuocato rilievo
concausale nella causazione dell’illecito, giacché, postulando il rilievo della
creazione della situazione di apparenza la determinazione di una situazione
riconducibile al generale principio dell’affidamento incolpevole ed essendo,
quindi, presupposto per la sua configurabilità che il soggetto, il quale versi
in una situazione nella quale fa leva sull’affidamento indotto dall’apparenza,
non sia in colpa, per l’evidente incompatibilità logica che altrimenti vi
sarebbe con la posizione soggettiva di affidamento, che per definizione
dev’essere di incolpevolezza, non è concepibile che la determinazione della .situazione di apparenza‑ possa assumere la funzione di
concausa rispetto all’inadempimento (o al ritardo nell’adempimento) del
debitore o al fatto ingiusto ex articolo 2043 Cc, assistiti a loro volta
dall’elemento soggettivo e, quindi, almeno dalla colpa».

I rilievi svolti a proposito de
primo motivo evidenziano, come si è già accennato, che
la situazione di apparenza è stata, inoltre, anche erroneamente ritenuta
sussistente in fatto con motivazione del tutto insufficiente e contraddittoria,
donde la fondatezza del profilo del motivo riconducibile al n. 5 dell’articolo
360.

5. L’accoglimento del primo e del
secondo motivo, determinando la cassazione della sentenza impugnata, comportano
l’assorbimento del terzo, poiché le statuizioni in ordine
alle spese restano travolte, in quanto dipendenti dai punti dalla
statuizione circa il concorso di colpa censurata con l’accoglimento di detti
motivi.

6. Al giudice di rinvio è rimessa
la statuizione sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il
secondo motivo di ricorso. Assorbito il terzo. Cassa la sentenza e rinvia anche
per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Milano.