Enti pubblici

Friday 29 June 2007

Non può essere negato il diritto alla conoscenza degli atti quando ormai il procedimento ispettivo-disciplinare si è definitivamente concluso.(Consiglio di Stato, Sezione, VI, sentenza del 25.6.2007 n. 3601)

Non può essere
negato il diritto alla conoscenza degli atti quando
ormai il procedimento ispettivo-disciplinare si è
definitivamente concluso.(Consiglio di Stato, Sezione, VI, sentenza del 25.6.2007 n. 3601) 

SENTENZA PER ESTESO

***

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO

Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale Sezione VI ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n.
2954/2007, proposto dall’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Istituto
Comprensivo di Via Orrea, n. 23 – Roma, in persona
del Dirigente scolastico pro tempore, e per il
Ministero della Pubblica Istruzione, in persona del Ministro pro tempore, entrambi rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui
uffici sono legalmente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12;

contro

Romeo Maria Grazia, rappresentata e difesa dall’Avv. Domenico
Concetti, ed elettivamente domiciliata presso lo
studio del medesimo in Roma, Piazza Martiri di Belfiore, n. 2;

per l’annullamento

della sentenza del
Tribunale Amministrativo per il Lazio, Roma, Sezione III bis, n. 1189/2007
depositata in data 13 febbraio 2007, resa inter partes;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della parte intimata;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 4 maggio 2007, il Consigliere
Roberto Giovagnoli, uditi altresì l’avvocato dello
Stato de Figuereido e l’avvocato Concetti;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O E D I
R I T T O

1.
Nel mese di gennaio 2006 la prof.ssa Romeo richiedeva al Dirigente Scolastico
il fascicolo dei rapporti informativi resi da studenti minorenni, genitori e
docenti relativi a fatti accaduti nell’a.s. 2003/2004 a seguito dei quali vi era stata
un’ispezione del Ministero dell’Istruzione nei suoi confronti.

Il
Dirigente, presa visione del pertinente fascicolo, constatava che, pur non
essendovi informazioni relative a religione, salute e
inclinazioni sessuali sui soggetti coinvolti, vi erano i nomi degli alunni
minorenni, dei genitori e dei colleghi che avevano esposto i fatti descritti
nel ricorso in esame.

Con lettera dell’8.2.2006 (pervenuta all’Istituto scolastico il
13.2.2006), la Romeo
insisteva nella richiesta di ottenere copia integrale degli atti relativi al periodo 3.3.2004 – 31.5.2004. Il Dirigente scolastico
dapprima (nota n. 1276 del 16.3.2006) rispondeva interlocutoriamente
– in attesa di un parere legale – ritenendo trattarsi
di documenti inaccessibili, per motivi di riservatezza di terzi, e poi denegava
l’astensione integrale (con nota n. 1451 del 27.3.2006) una volta ottenuto il
parere.

Contro tale provvedimento di diniego la
Prof.ssa Romeo ha proposto ricorso
ex art. 25 legge n. 241/1990, al T.a.r. del Lazio, il
quale, con la sentenza n. 1189/2007 ha ordinato all’Amministrazione
l’ostensione della documentazione integrale da lei richiesta, ivi compresi,
quindi, i nomi degli autori delle dichiarazioni.

2.
Avverso tale decisione hanno proposto appello,
chiedendone in via cautelare la sospensione, il Ministero della Pubblica
Istruzione e l’Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio, Istituto Comprensivo
di via Orrea, n. 23.

A
sostegno dell’appello, l’Amministrazione deduce:

1) in via pregiudiziale, l’inammissibilità del ricorso di primo
grado perché non notificato ad almeno uno dei controinteressati;

2)
nel merito, l’infondatezza del ricorso, non avendo la
ricorrente titolo, sotto diversi profili, a conoscere i nomi degli
autori delle dichiarazioni rese a suo carico, anche in considerazione del fatto
i contestati “omissis” non impedirebbero comunque alla Prof.ssa
Romeo di agire in giudizio a tutela dei propri interessi.

Si
è costituita in giudizio la
Prof.ssa Romeo chiedendo il rigetto
dell’appello principale e proponendo, altresì, appello
incidentale al fine di ottenere la riforma della sentenza del T.a.r. Lazio n. 1189/2007, nella parte in cui tale
decisione, dopo aver affermato in motivazione che le spese avrebbero seguito la
soccombenza, ha omesso in dispositivo la statuizione
sulla condanna alle spese di giudizio.

Alla camera di consiglio fissata per la sospensiva, le parti hanno
rinunciato alla domanda cautelare, chiedendo l’immediata decisione nel merito.

3.
L’appello principale è infondato.

4. Il Collegio ritiene, anzitutto, che gli
autori degli esposti informativi (i cui nomi sono oggetto dell’istanza di accesso presentata dalla ricorrente) non possano
essere qualificati controinteressati in senso
tecnico.

Ai
sensi dell’art. 22 lett. c) legge n. 241/1990, in materia di accesso,
per “controinteressati” si intendono “tutti i
soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del
documento richiesto, che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il
loro diritto alla riservatezza”.

In
base alla definizione legislativa appena riportata, quindi, sono
controinteressati non tutti coloro che, a qualsiasi
titolo sono nominati o coinvolti nel documento oggetto dall’istanza ostensiva, ma solo coloro che per effetto dell’ostensione
vedrebbero pregiudicato il loro diritto alla riservatezza.

Ebbene, pur non potendosi sottovalutare l’ampliamento e la
progressiva importanza assunta dal diritto alla riservatezza, il Collegio
ritiene, tuttavia, che tale situazione giuridica concerna solo quelle vicende
collegate in modo apprezzabile alla sfera privata del soggetto, e non anche
quelle destinate ad assumere una dimensione di carattere pubblico.

4.1. Il diritto alla riservatezza non può allora certamente essere invocato quando la richiesta di accesso ha ad oggetto, come
nella presente fattispecie, il nome di coloro che hanno reso denunce o rapporti
informativi nell’ambito di un procedimento ispettivo (in questi termini, Cons. Stato, sez. V, 22 giugno 1998, n. 923).

La
denuncia o l’esposto, invero, non può considerarsi un fatto circoscritto al
solo autore e all’Amministrazione competente al suo esame ed all’apertura
dell’eventuale procedimento, ma riguarda direttamente anche i soggetti
“denunciati”, i quali ne risultano comunque incisi.
Ciò vale a maggior ragione quando tali denunce hanno
sviluppi così penetranti come quelli che hanno coinvolto, nel caso di specie,
la sfera personale e professionale della Prof.ssa
Romeo, che, per i fatti oggetto di quegli esposti, è stata sottoposta a
procedimento ispettivo-disciplinare e a procedimento
penale (all’esito dei quali, peraltro, è risultata estranea agli addebiti
mossi).

Nell’ordinamento delineato dalla L. n.
241/1990, ispirato ai principi della trasparenza, del diritto di difesa e della
dialettica democratica, ogni soggetto deve, pertanto, poter conoscere con
precisione i contenuti e gli autori di esposti o
denunce che, fondatamente o meno, possano costituire le basi per l’avvio di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio, non potendo
la p.a. procedente opporre all’interessato esigenze di riservatezza, foss’anche per coprire o difendere il denunciante da
eventuali reazioni da parte del denunciato, le quali, comunque, non
sfuggirebbero al controllo dell’autorità giudiziaria.

4.2. La tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore
estraneo al nostro ordinamento giuridico. Emblematico,
in tal senso, è l’art. 111 Cost. che, nel sancire (come elemento essenziale del
giusto processo) il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le
persone che rendono dichiarazioni a suo carico, inevitabilmente presuppone che
l’accusato abbia anche il diritto di
conoscere il nome dell’autore di tali dichiarazioni.

Tale sfavore verso le denunce e le dichiarazioni anonime emerge poi, a più riprese, dal codice di procedura penale:
si pensi, ad esempio, all’art. 240 c.p.p. in forza
del quale i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere
acquisti né in alcun modo utilizzati, salvo che costituiscano il corpo del
reato o provengano comunque dall’imputato; all’art. 195, comma 7, c.p.p. che sancisce l’inutilizzabilità della testimonianza
di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da cui
appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame; all’art. 203 c.p.p. che pure prevede l’inutilizzabilità delle
informazioni rese dagli informatori alla polizia giudiziaria quando il nome di
tali informatori non venga svelato.

4.3. Da questa cornice emerge chiaramente che al diritto alla
riservatezza, pure costituzionalmente rilevante, non può certo riconoscersi
ampiezza tale da includere il “diritto all’anonimato” di colui
che rende una dichiarazione a carico di terzi nell’ambito di un
procedimento ispettivo o sanzionatorio.

L’anonimato
sulle denunce o sulle dichiarazioni accusatorie è, al contrario, come si è
visto, guardato con particolare sospetto dall’ordinamento: da qui l’evanescenza
e l’infondatezza di ogni tentativo volto a qualificare
tale inesistente diritto all’anonimato come una prerogativa del diritto alla
riservatezza.

4.4. Applicando tali coordinate ricostruttive
alla fattispecie in esame, ne deriva che il motivo di appello
con cui si fa valere l’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata
notifica ad almeno uno dei controinteressati è
certamente infondato.

Ed
invero, a prescindere dalle conseguenze processuali derivanti, in materia di accesso, dalla mancata notifica del ricorso ad almeno un controinteressato (questione per la risoluzione della quale
sarebbe rilevante, anche dopo le decisioni dell’Adunanza Plenaria n. 6 e 7 del
2006, stabilire se il diritto di accesso
sia un diritto soggettivo o un interesse legittimo del diritto di accesso), nel
caso di specie si deve ritenere che, a fronte della richiesta di accesso della Prof.ssa Romeo, non vi fosse alcun controinteressato
in senso tecnico.

Altrimenti opinando, del resto, l’onere di coinvolgere tali
presunti controinteressati sarebbe gravato, prima di
tutti, proprio sull’Amministrazione scolastica. Va ricordato, invero, che ai
sensi dell’art. 3 D.P.R. n. 184/2006 (“Regolamento recante disciplina in
materia di accesso ai documenti amministrativi”), “la
pubblica amministrazione cui è indirizzata la richiesta di accesso, se
individua controinteressati è tenuta a dare
comunicazione agli stessi, mediante invio di copia con raccomandata con avviso
di ricevimento, o per via telematica per coloro che abbiano consentito tale
forma di comunicazione”.

Non
risulta, tuttavia, che tale comunicazione sia mai stata
inviata agli autori delle dichiarazioni
il che dimostra che anche l’Amministrazione ha ritenuto (almeno fino alla
costituzione in giudizio davanti al T.a.r.) che la
richiesta dalla Romeo con fosse tale da investire il diritto alla riservatezza
di nessun soggetto terzo.

4.5. Dalle considerazioni svolte emerge anche l’infondatezza del motivo
con cui l’Avvocatura dello Stato sostiene che il nome dei dichiaranti non
doveva comunque essere fornito.

Come si è visto, infatti, il nostro ordinamento non tollera le denunce
segrete, ma, al contrario, il diritto dell’accusato di conoscere il nome
dell’accusatore ha ormai anche un solido addentellato costituzionale (art. 111 Cost., come modificato dalla legge
costituzionale n. 2 del 1999).

Non può allora dubitarsi
che colui il quale subisce un procedimento di
controllo o ispettivo abbia un interesse qualificato a conoscere integralmente
tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di
vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa,
quali, appunto, denunce o esposti.

Certo, non si può escludere che l’immediata comunicazione del nominativo del denunciante potrebbe riflettersi
negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria. Ma ciò può, a tutto concedere,
giustificare un breve differimento del diritto di accesso.
Non consente, invece, il diniego del diritto alla conoscenza degli atti quando
ormai (come accade nella fattispecie) il procedimento ispettivo-disciplinare
si è definitivamente concluso.

L’appello principale deve, pertanto, essere rigettato.

5.
Occorre, a questo punto, esaminare l’appello incidentale con il quale la
Prof.ssa Romeo contesta la sentenza
di primo grado nella parte in cui, dopo aver “preannunciato” in motivazione che
le spese avrebbero seguito la soccombenza, ha omesso,
nel dispostivo qualsiasi statuizione in ordine alle spese medesime.

L’appello incidentale è fondato.

Alla soccombenza in giudizio segue, infatti,
la condanna alle spese, salvo che vi siano giustificati
motivi per disporre la compensazione delle stesse. Nel caso in esame, il
Giudice di primo grado ha richiamato la regola della soccombenza,
ma ha omesso di liquidare le spese di giudizio.

A
tale liquidazione deve, pertanto, provvedere il Giudice di appello,
specificamente investito della questione dall’appello incidentale. Le spese del
giudizio di primo grado, pertanto, già poste a carico delle Amministrazioni
odierne appellanti dal giudice di primo grado, sono liquidate in complessi € 2.000
oltre IVA e CPA.

6.
Le spese del giudizio di appello seguono, a loro volta
la soccombenza, e sono liquidate in complessivi €
3.000 oltre IVA e CPA.

P.Q.M.

Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente
pronunciando:

respinge l’appello principale;

accoglie l’appello incidentale.

Condanna, in solido, le Amministrazioni appellanti principali a
rimborsare alla parte appellata le spese del doppio grado di giudizio che si
liquidano in complessivi € 5.000 (cinquemila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2007 dal Consiglio di Stato in
sede giurisdizionale – Sez.VI – nella Camera
di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Gaetano TROTTA Presidente

Paolo BUONVINO Consigliere

Domenico CAFINI Consigliere

Aldo SCOLA Consigliere

Roberto GIOVAGNOLI Consigliere Est.

Presidente

GAETANO TROTTA

Consigliere Segretario

ROBERTO GIOVAGNOLI VITTORIO ZOFFOLI

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il….25/06/2007

(Art. 55,
L.27/4/1982, n.186)

Il Direttore della Sezione

MARIA RITA OLIVA