Penale

Wednesday 27 July 2005

Nessuna attenuante per la violenza sessuale di gruppo.

Nessuna attenuante per la
violenza sessuale di gruppo.

Corte costituzionale –
sentenza 13-26 luglio 2005, n. 325

Presidente Capotosti
– relatore Neppi Modona

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale di Ravenna ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo
comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 609-octies Cp
(Violenza sessuale di gruppo), «nella parte in cui non è prevista
l’applicabilità dell’attenuante dei casi di minore
gravità».

Il rimettente premette che due
soggetti, imputati dei delitti previsti dagli articoli 609-octies, 582 e 337 Cp, avevano chiesto, ai sensi dell’articolo 444 Cpp, l’applicazione della pena nella misura,
rispettivamente, di un anno e sei mesi e di un anno,
sei mesi e dieci giorni di reclusione, e che il pubblico ministero aveva
prestato il proprio consenso, sul presupposto che l’attenuante per i
“casi di minore gravità”, prevista con riferimento ai reati
di cui agli articoli 609-bis e 609-quater Cp, fosse
applicabile anche alla fattispecie in esame.

La pena base individuata dalle
parti per il reato di violenza sessuale di gruppo (fattispecie per cui è prevista una pena minima di sei anni di
reclusione) era stata infatti diminuita a due anni e otto mesi di reclusione
grazie alla ritenuta applicabilità della circostanza attenuante ad
effetto speciale di cui all’articolo 609-bis, terzo comma, Cp; su tale pena base erano state applicate le attenuanti generiche,
disposto l’aumento per la continuazione e, infine, apportata la
diminuzione per il patteggiamento.

Ad avviso del Tribunale
rimettente, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle
circostanze dell’azione – i due imputati, in evidente stato di ebbrezza all’interno di uno stabilimento balneare
affollato, si erano avvicinati alla persona offesa, le avevano toccato i
glutei; uno dei due aveva tentato di baciarla, non riuscendo nell’intento
per la reazione della vittima che veniva infatti soccorsa dalle numerose
persone presenti sul luogo – sarebbe configurabile l’attenuante in
questione, ove normativamente prevista, posto che,
tenuto conto della modestia della «qualità e quantità della
violenza sessuale posta in essere», la «condotta delittuosa ha
avuto conseguenze lievi sotto il profilo della violazione della libertà
sessuale» e del «danno fisico e psichico subito» dalla
persona offesa.

Il giudice a quo afferma di
concordare con la giurisprudenza di legittimità sia quando esclude che l’attenuante ad effetto speciale possa estendersi
alla fattispecie di cui all’articolo 609-octies Cp,
sia quando sostiene che «la previsione di un trattamento sanzionatorio più grave si connette al
riconoscimento di un peculiare disvalore della
partecipazione simultanea di più persone, in quanto una tale condotta
partecipativa imprime al fatto un grado di lesività
più intenso»; ritiene, invece, non condivisibili le argomentazioni
con le quali la medesima Corte di cassazione ha dichiarato manifestamente
infondata, in riferimento agli articoli 3 e 27 Costituzione, analoga questione
di legittimità costituzionale della norma censurata.

Ad avviso del giudice a quo,
infatti, proprio l’ampia nozione di «atto sessuale» contenuta
nell’articolo 609-bis Cp consente di sollevare
nuovamente la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 609-octies Cp, nella parte in cui
non prevede una circostanza attenuante per i casi di minore gravità.

Alla stregua della giurisprudenza
di legittimità, atto sessuale è infatti
– prosegue il rimettente – qualsiasi atto, anche di breve durata, diretto ed
idoneo a compromettere la libertà della persona attraverso
l’eccitazione o il soddisfacimento dell’istinto sessuale
dell’agente; non vi sarebbe quindi dubbio che in mancanza di un reato di
«molestie sessuali», anche un «palpeggiamento» dei
glutei, per quanto di brevissima durata, rientrando nella nozione di atto
sessuale, può integrare il delitto di violenza sessuale.

In caso di violenza sessuale di
gruppo, l’omessa previsione di un’attenuante in
relazione alle ipotesi di minore gravità e la conseguente
applicazione di una pena sproporzionata determinerebbero pertanto una
irragionevole disparità di trattamento rispetto alla medesima condotta
di ridotta offensività realizzata da un solo
agente e punita in modo sensibilmente più lieve dall’articolo
609-bis, terzo comma, Cp.

L’incoerenza del sistema
sarebbe ancora più evidente ove si consideri che la circostanza
attenuante della minore gravità opera anche nei casi di violenza
sessuale aggravata dall’età della vittima, anche se inferiore a
dieci anni (articolo 609-ter, secondo comma, Cp), e di atti sessuali con minorenne, anche se di età
inferiore a dieci anni (articolo 609-quater, quarto comma, Cp).
Lo stesso «atto sessuale» di ridotta offensività
potrebbe cioè essere sanzionato con la pena di
un anno e otto mesi di reclusione se compiuto da una sola persona, e con la
pena minima di sei anni di reclusione se posto in essere da due persone.

Ad avviso del rimettente, la
sproporzione e l’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio
si pone altresì in contrasto con il principio della funzione rieducativa della pena (articolo 27, comma terzo,
Costituzione).

2. – Nel giudizio è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Ad avviso dell’Avvocatura,
la mancata previsione della circostanza attenuante dei “casi di minore
gravità” prevista dall’articolo 609-bis Cp
è frutto di una ragionevole e condivisibile scelta del legislatore, alla
luce della particolare gravità del reato di violenza sessuale di gruppo
che, proprio perché posto in essere da
più persone riunite, può «ingenerare più violenti
traumi psichici nella vittima» e desta maggiore allarme sociale.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale di Ravenna
dubita, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e
27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale
dell’articolo 609-octies Cp (Violenza sessuale
di gruppo), nella parte in cui, a differenza di quanto dispone l’articolo
609-bis, terzo comma, dello stesso codice, relativo al delitto di violenza
sessuale, non prevede l’applicabilità dell’attenuante dei “casi
di minore gravità”.

Il rimettente, dopo avere
sommariamente descritto i fatti di causa, precisa che le modalità e le
circostanze della condotta e la modesta entità, sia sul piano
quantitativo che su quello qualitativo, degli atti di
violenza sessuale posti in essere in danno della persona offesa renderebbero
configurabile, ove fosse applicabile anche alla violenza sessuale di gruppo,
l’attenuante dei casi di minore gravità. Sulla
base di tale premessa, il giudice a quo rileva che la nozione assai
ampia di atto sessuale, tale da comprendere, alla stregua di una costante
giurisprudenza di legittimità, qualsiasi atto lesivo della
libertà di autodeterminazione della persona offesa nella sua sfera
sessuale, nonché l’assenza di uno specifico reato di «molestie
sessuali», nel quale potrebbero essere comprese le ipotesi di minore
gravità, rendono la disciplina censurata irragionevole e contrastante
con il principio di eguaglianza, essendo evidente la disparità di
trattamento riservata al medesimo atto sessuale di “minore
gravità” a seconda che la condotta venga realizzata da un solo
soggetto ovvero da più persone riunite.

L’incoerenza del sistema risulterebbe ancora più evidente tenendo presente che
la circostanza attenuante della “minore gravità” – che
comporta una diminuzione di pena sino a due terzi – opera anche nei confronti
delle ipotesi di violenza sessuale aggravate dall’età della
vittima, inferiore a quattordici o a dieci anni, per le quali l’articolo
609-ter, primo comma, numero 1, e secondo comma, Cp
prevede, rispettivamente, la pena da sei a dodici anni e da sette a quattordici
anni di reclusione, e del delitto di atti sessuali con minorenne, per il quale
l’articolo 609-quater, quarto comma, Cp prevede
la pena da sette a quattordici anni di reclusione ove l’età della
persona offesa sia inferiore a dieci anni.

Ad avviso del rimettente, la
sproporzione e l’irragionevolezza del diverso trattamento sanzionatorio, a seconda che la medesima condotta sia posta in essere da una persona singola o da più
persone riunite, sarebbe talmente rilevante da porsi in contrasto anche con il
principio della funzione rieducativa della pena.

2. – La questione non
è fondata.

3. – L’originaria
disciplina dei delitti contro la libertà sessuale, inseriti nel capo I
del titolo IX (Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon
costume) del libro secondo del codice penale, è stata interamente
abrogata dalla legge 66/1996, che ha al contempo inserito gli articoli da
609-bis a 609-decies nella sezione del codice dedicata ai delitti contro la
libertà personale, facente parte del titolo relativo
ai delitti contro la persona.

Ai fini della presente decisione
assume rilievo in primo luogo la concentrazione nell’unico delitto di
violenza sessuale (articolo 609-bis Cp) delle
fattispecie di violenza carnale e di atti di libidine
violenti, rispettivamente previste negli articoli 519 e 521 del testo originario
del codice penale. La condotta del nuovo delitto di violenza sessuale consiste
nel costringere taluno a compiere o subire, con violenza, minaccia o abuso di autorità, atti sessuali, i quali abbracciano ora
una gamma assai vasta di comportamenti, caratterizzati
dall’idoneità a incidere comunque sulle facoltà della
persona offesa di autodeterminarsi liberamente nella
propria sfera sessuale.

A fronte di una nozione di atto sessuale che continua ad avere come punti di
riferimento da un lato la congiunzione carnale e dall’altro gli atti di
libidine, ma intende distaccarsi dalla fisicità e materialità
della distinzione per apprestare una più comprensiva ed estesa tutela
contro qualsiasi comportamento che costituisca una ingerenza nella piena  autodeterminazione della sfera sessuale,
il legislatore ha avvertito l’esigenza di introdurre una circostanza
attenuante per i casi di minore gravità (articolo 609-bis, terzo comma, Cp). Mediante una consistente diminuzione (in misura non
eccedente i due terzi) della pena prevista per il delitto di violenza sessuale
(fissata, nel minimo, in cinque anni di reclusione), risulta così
possibile rendere la sanzione proporzionata nei casi in cui la sfera della
libertà sessuale subisca una lesione di minima
entità. L’attenuante si pone dunque quale temperamento degli
effetti della concentrazione in un unico reato di comportamenti, tra loro assai
differenziati, che comunque incidono sulla
libertà sessuale della persona offesa, e della conseguente diversa
intensità della lesione dell’oggettività giuridica del
reato.

In particolare, la presente
questione di legittimità costituzionale ha per oggetto la nuova
fattispecie della violenza sessuale di gruppo, introdotta dalla
legge 66/1996 nell’articolo 609-octies Cp.
La violenza sessuale di gruppo, costruita come un autonomo titolo di reato,
è definita dalla norma in esame come «partecipazione, da parte di
più persone riunite, ad atti di violenza sessuale di cui
all’articolo 609-bis» ed è punita con la reclusione da sei a
dodici anni.

L’esigenza di prevedere
un’autonoma ipotesi di reato rispetto alla violenza sessuale monosoggettiva  e di sanzionarla con una pena
più severa trova ragione, sul terreno della politica criminale, nella
constatazione che l’aggressione commessa da più persone riunite,
oltre a comportare una più intensa lesione del bene della libertà
sessuale a causa della prevedibile reiterazione degli atti di violenza,
vanifica le possibilità di difesa e di resistenza della vittima e la
espone a forme di degradazione e di reificazione che rendono più grave e
profondo il trauma psichico che comunque consegue a qualsiasi episodio di
violenza sessuale.

 Con riferimento al delitto in esame
operano la circostanza attenuante speciale «per il partecipante la cui
opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella
esecuzione del reato», relativa al contributo marginale prestato
da un singolo concorrente nel reato, nonché le altre attenuanti previste
dal quarto comma dell’articolo 609-octies Cp.
Secondo la giurisprudenza di legittimità  non trova invece applicazione
l’attenuante dei “casi di minore gravità”, contemplata
dal terzo comma dell’articolo 609-bis Cp, sia
perché non richiamata dalla norma incriminatrice,
sia perché, quando il legislatore ha voluto estenderla a fattispecie
diverse dall’ipotesi base della violenza sessuale, lo ha espressamente
previsto (vedi il terzo comma dell’articolo 609-quater Cp, che descrive il delitto di atti sessuali con
minorenne).

Le medesime ragioni che hanno
ispirato l’introduzione della nuova fattispecie della violenza sessuale
di gruppo giustificano, secondo la giurisprudenza di
legittimità, l’omessa previsione dell’attenuante dei
“casi di minore gravità”; in particolare, sussisterebbe
un’evidente incompatibilità dell’attenuante in parola con
l’oggettiva, eccezionale gravità di una ipotesi criminosa cui si
accompagna una aggressione particolarmente intensa della sfera della
libertà sessuale. Come emerge dai lavori
preparatori della legge 66/1996, il delitto in esame presuppone comportamenti
talmente violenti e un livello così intenso di costrizione della
libertà sessuale della vittima da precludere l’applicazione
dell’attenuante dei “casi di minore gravità”.

4. – Venendo ad esaminare
le censure di legittimità costituzionale prospettate dal rimettente in riferimento all’articolo 3 Costituzione, questa
Corte ha costantemente affermato, sin dalla sentenza 26/1979, che la
determinazione della qualità e della quantità delle sanzioni, e
quindi la congruità della pena rispetto alla gravità del reato,
rientrano nella discrezionalità del legislatore, salvo il sindacato di
costituzionalità su scelte normative palesemente arbitrarie o
radicalmente ingiustificate, ovvero contrastanti in modo manifesto con il
canone della ragionevolezza, che si traducono in un uso distorto della
discrezionalità (v. anche, tra le decisioni più recenti, sentenze
313/95, 217/96 e 287/01, nonché 
ordinanze numeri 110 e 323 del 2002, 172/03 e 158/04). In particolare, questo indirizzo ha trovato applicazione anche con riferimento
a questioni relative alla determinazione del minimo edittale
della sanzione (sentenza di accoglimento 341/94 e ordinanza di manifesta
infondatezza 163/96), nonché in caso di mancata previsione di una
ipotesi attenuata per le violazioni di minor rilievo (ordinanza 456/97).

Dalle decisioni sopra menzionate
emerge, in particolare, che le sentenze di accoglimento
per avere il legislatore superato il limite della ragionevolezza sono state
pronunciate in situazioni in cui l’arbitrarietà delle scelte
legislative derivava dal diretto confronto tra fattispecie di reato
sostanzialmente identiche, ma sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio (sentenze 102/85, 341/94 e 287/01), ovvero in
casi in cui era prevista la medesima pena sia per il delitto consumato (omicidio),
sia per il tentativo del medesimo delitto (commesso da un militare contro un
superiore: sentenza 26/1979).

5. – La presente questione  di
legittimità costituzionale non rientra all’evidenza
nell’ambito dei limiti entro cui la Corte ha ritenuto di essere legittimata a
sindacare l’esercizio del potere discrezionale del legislatore in tema di
corrispondenza tra entità della pena e gravità del reato.
E’ infatti ragionevole ritenere, come già
esposto in precedenza, che la violenza sessuale di gruppo, proprio a causa
della presenza di più persone riunite, cagioni una lesione
particolarmente grave e traumatica della sfera di autodeterminazione della
libertà sessuale della vittima: tali caratteristiche differenziano anche
sul terreno qualitativo la violenza di gruppo dagli atti di violenza sessuale
posti in essere da una sola persona e giustificano la maggior severità
del relativo trattamento sanzionatorio.

Ne emerge
dunque una sostanziale diversità rispetto agli atti di violenza sessuale
monosoggettiva, tale da rendere non proponibile una
diretta comparazione, rilevante ai fini dell’articolo 3 Costituzione, tra
il trattamento sanzionatorio riservato ai due reati.

Malgrado
la latitudine dei comportamenti in astratto idonei ad integrare gli atti
sessuali che costituiscono l’elemento materiale di entrambi i reati,
l’omessa previsione dell’attenuante dei “casi di minore
gravità” non può quindi essere ritenuta espressione di una
scelta del legislatore palesemente irragionevole, arbitraria o ingiustificata,
contrastante con l’articolo 3 Costituzione

L’infondatezza della
questione di legittimità costituzionale in
riferimento al parametro di cui all’articolo 3 Costituzione rende
altresì infondata la censura sollevata sotto il profilo della violazione
dell’articolo 27, terzo comma, Costituzione

PQM

La Corte costituzionale
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell’articolo 609-octies del codice penale, sollevata, in
riferimento agli articoli 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione,
dal Tribunale di Ravenna con l’ordinanza in epigrafe.