Penale

Saturday 12 July 2003

Lodo Meccanico: l’ ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale del Tribunale di Milano nel processo Berlusconi.

Lodo Meccanico: l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale del Tribunale di Milano nel processo Berlusconi.

Tribunale di Milano – Sezione prima penale (cc) – ordinanza 27 giugno 2003

Presidente Ponti – ricorrente Berlusconi

Osserva

Va innanzitutto premesso che questo Tribunale è competente a valutare la manifesta o meno infondatezza della questione di cui trattasi in quanto spetta comunque al Tribunale di applicare la norma del comma 2 dell’articolo 1 della citata legge e quindi di dichiarare la causa di sospensione ivi prevista nel contesto del dibattimento in corso.

La rilevanza della questione posta dalle suddette parti risulta così evidente in quanto il giudice è tenuto – qualora debba applicare una norma per cui si ravvisino aspetti di non manifesta infondatezza di questioni di costituzionalità – a trasmettere gli atti alla Corte costituzionale.

Ad avviso del Tribunale la prima e fondamentale questione da affrontare è quella della natura del contenuto normativo dell’articolo 1 legge 140/03 sia nella formulazione generale del comma 1 che nella formulazione derivata del comma 2, che sarebbe direttamente applicabile nel caso di specie, data la pendenza del procedimento a carico dell’imputato Berlusconi, che riveste nell’attualità la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ha rilevato la difesa dell’imputato che si tratta di una norma procedurale che instaura una mera sospensione del processo, così come è previsto in altri casi sia dal codice di rito che in altre disposizioni di legge (normative valutarie, sul contrabbando, codice militare di pace, ecc.), tutte assunte in via ordinaria, senza necessità di una procedura formativa di rango costituzionale. Ha altresì argomentato circa il fatto che anche in altri casi la sospensione del procedimento è riferibile a soggetti determinati in virtù delle loro qualità personali.

Per la verità, tale connotazione specifica si riferisce unicamente all’articolo 71 del Cpp, in cui è prevista la sospensione del procedimento nel caso in cui risulti una incapacità dell’imputato tale da impedire una cosciente partecipazione al procedimento medesimo.

Ma valuta il Tribunale che tali argomentazioni siano meramente suggestive e non colgano la sostanziale differenza tra i vari casi di sospensione disposti per via ordinaria e la norma in esame.

A prescindere dalla considerazione che l’unico caso di sospensione collegato alla qualità dell’imputato si riferisce unicamente ad un accertato stato obiettivo di incapacità del medesimo a stare in giudizio e nei cui confronti diventa oggettivamente impossibile procedere, negli altri casi si tratta sempre di situazioni oggettive di carattere endoprocessuale: basti pensare alla sospensione del processo in caso di ricorso alla Corte costituzionale, ovvero ad altri organi che devono rendere un giudizio preventivo rispetto alla prosecuzione del dibattimento (ad esempio sospensione della decisione in caso di ricusazione o ricorso ad organi internazionali).

La difesa ha altresì rilevato che l’ordinamento – a fronte di situazioni particolari – ha previsto deroghe alla disciplina comune nei confronti di determinati soggetti, riferendosi in specifico alla disposizione di cui all’articolo 205 Cpp, che prevede modalità particolari per l’assunzione della testimonianza del Capo dello Stato o, a richiesta, degli stessi soggetti a cui si riferisce l’articolo 1 della legge in discussione. In verità – come già ha avuto occasione di stabilire la Corte Costituzionale – in tale caso non vi è né soppressione né affievolimento della funzione giurisdizionale, giacché la norma in questione si limita ad un contemperamento degli interessi in gioco, ma non elimina o sospende i doveri comuni a tutti gli altri cittadini.

Nel caso di specie, invece, basta leggere la norma, per constatare che, al comma 1, è stabilita una non sottoposizione a processo penale e, nel comma 2, una derivata sospensione dei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge per soggetti che rivestono cariche di rilievo costituzionale (Il Presidente della Repubblica, i Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio e il Presidente della Corte Costituzionale) e che la non sottoposizione a processo, ovvero la sospensione di quello già in corso, è collegata alla «assunzione della carica o della funzione fino alla cessazione delle medesime». Atteso il riferimento a tali soggetti particolari e alla carica o funzione rivestita, deve necessariamente concludersi che si tratta di una prerogativa (non processabilità ) che non ha nulla a che vedere con cause o motivazioni endoprocessuali che sono ravvisabili negli altri casi di sospensione del processo.

In altri termini la motivazione della sospensione del processo deriva direttamente da una prerogativa personale che si attribuisce alle alte cariche dello Stato e che è collegata con l’assunzione e durata della carica, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della medesima.

E, trattandosi di una prerogativa riservata espressamente a soggetti che rivestono cariche costituzionali e non potendosi certo affermare che non incidono sull’esercizio dell’azione penale (da intendersi ovviamente non solo come esplicazione di attività di indagine ma anche come azionabilità davanti ad un giudice, terzo e imparziale, dell’ipotesi d’accusa ai fini della sua valutazione nel contraddittorio processuale) , è immediato e imprescindibile constatare che, con la norma in esame, si incide direttamente sul principio di uguaglianza, con una violazione anche dell’articolo 112 della Costituzione.

Deve rilevarsi, infatti, che, tra i principi fondamentali della Carta costituzionale, vi è quello dell’articolo 3 che, come la stessa Consulta ha già avuto occasione di rilevare, è un principio fondante dell’ordinamento, derogabile solo dalla stessa Costituzione ovvero con modifiche costituzionali a termine dell’articolo 138 Costituzione.

Tale rilievo risulta confermato dal fatto che prerogative riguardanti cariche o funzioni costituzionali sono disciplinate nella stessa Costituzione (articolo 90 e 96) ovvero in leggi costituzionali successive (come la legge costituzionale 1/1948 che, all’articolo 3, comma 2, estende ai giudici costituzionali le garanzie allora previste dall’articolo 68 Costituzione comunque come oggi modificato).

Pare dunque non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma secondo, con riferimento al comma primo della legge qui in esame, sotto il profilo della violazione dell’articolo 3 in relazione agli articoli 101 e 112 Costituzione.

La difesa Berlusconi ha obiettato, sotto questo profilo, la non necessità di una legge costituzionale per la prerogativa in questione, in quanto sarebbe stata introdotta con l’articolo 5 della legge ordinaria 1/1981, una prerogativa a tutela dei componenti del Csm, organo anch’esso costituzionale, senza alcuna censura da parte del Giudice delle leggi.

In verità, contrariamente a quanto assunto dalla difesa, detta norma non ha introdotto una prerogativa o forma di immunità, bensì una speciale causa di non punibilità, che ha un ambito di operatività sì diverso da quello delle scriminanti di diritto penale comune, ma non assimilabile alle immunità o prerogative come previste dalla Costituzione. Afferma testualmente la Corte, nella sentenza 148/83, che «le formule rispettivamente adoperate nella Costituzione e dalla legge 1/1981 sono volutamente diverse. Nel primo caso, cioè, si afferma che i membri del Parlamento non possono essere “perseguiti”….Nella stesura finale del disposto in esame si chiarisce invece – a seguito di un apposito emendamento approvato dalla IV Commissione permanente della Camera – che i componenti del Csm non sono “punibili”, quasi per escludere che i consiglieri siano stati in alcun modo sottratti ai giudici penali, mediante un’immunità di tipo processuale». Ha ancora affermato la Corte che «l’articolo 5 della legge 1/1981 ha previsto una causa di non punibilità specifica ma rigorosamente circoscritta, avente per oggetto le sole manifestazioni di pensiero funzionali all’esercizio dei poteri-doveri costituzionalmente spettanti ai componenti il Consiglio Superiore».

Nel censurare gli argomenti dell’ordinanza di remissione la Consulta ha ancora precisato che gli argomenti addotti «hanno il torto di confondere, collocandole sul medesimo piano, garanzie di natura diversissima. La posizione che questa Corte ha preso nella sentenza 4/1965 deve essere riferita, come risulta con chiarezza dalla motivazione, ai casi di deroga al principio dell’obbligatorietà dell’azione del Pm… ben altro è il caso delle cause di non punibilità stabilite in vista dell’esercizio di determinate funzioni. Il legislatore ordinario può ben operare in tal senso al di là delle ipotesi espressamente previste dalle fonti sovraordinate, purché le scriminanti così stabilite siano il frutto di un ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco».

La norma di cui all’articolo 1 della legge 140/03 pare pacifico non costituisca alcuna scriminante speciale (in tal caso la giurisdizione si esplicherebbe infatti pienamente proprio al fine di verificare la sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione di detta scriminante), stabilendo invece una causa di non processabilità , ovvero la sospensione del procedimento pendente, venendo così ad incidere certamente sulla obbligatorietà dell’azione penale, che di fatto non può essere compiutamente esercitata.

Valuta il Tribunale che neppure possa ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta con riferimento agli articoli 3, 68, 90 e 96 della Costituzione.

La normativa in esame fa salva l’applicazione degli articoli 90 e 96 della Costituzione e ciò conferma che la prerogativa istituita con tale norma è ulteriore ed aggiuntiva rispetto a quelle già costituzionalmente stabilite, per di più senza alcun collegamento funzionale con la carica rivestita e senza un termine preciso e determinato per la cessazione della prerogativa, essendo evidente che, non solo ciascuna carica può essere rinnovata, ma possono anche susseguirsi cariche diverse sempre considerate dalla norma.

In sintesi, il nostro sistema costituzionale prevede, per un verso l’articolo 3, che stabilisce il principio che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione, tra l’altro, di condizioni personali e sociali. Per altro verso, la stessa Costituzione prevede immunità e prerogative che, come è noto, si giustificano con la necessità di garantire l’autonomia e il libero svolgimento delle proprie funzioni dei diversi poteri dello Stato e pare necessario concludere che in questo quadro soltanto, salvo modifiche costituzionali, è allo stato individuabile il punto di equilibrio tra esercizio della giurisdizione e lo svolgimento di funzioni di rilievo costituzionale.

Innanzitutto, l’articolo 68 della Costituzione stabilisce, per i membri del Parlamento, una immunità strettamente funzionale per le «opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni» e stabilisce, inoltre, una autorizzazione della Camera di appartenenza limitatamente all’esecuzione di determinati provvedimenti.

L’articolo 90 stabilisce una immunità per il Presidente della Repubblica per quanto riguarda gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione. In tal caso un’ulteriore prerogativa è costituita dalla “messa in stato di accusa” da parte del Parlamento stesso in seduta comune. Anche in questo caso si tratta di forma di immunità assolutamente funzionale. L’articolo 96 Costituzione, che riguarda il Presidente del Consiglio ed i ministri, prevede – dopo aver precisato che per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni gli stessi sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria – una condizione di procedibilità (autorizzazione della Camera o del Senato) con riserva di legge costituzionale.

Può dunque constatarsi che la Costituzione non prevede in alcun modo forme di immunità o prerogative riferibili a reati che non hanno alcun collegamento con le funzioni esercitate; e ciò mentre la normativa in esame risulta doppiamente scollegata con la funzione per cui è ragionevole derogare al principio di uguaglianza, atteso che si riferisce espressamente a qualsiasi tipo di reato anche riguardante fatti antecedenti l’assunzione della carica e della funzione.

Inoltre, con riguardo alla norma in esame, valuta il Tribunale che non sia manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale con riferimento agli articoli 24 e 111 Costituzione, atteso che la prevista non sottoposizione a processo e la derivata sospensione dello stesso già in corso, oltre ad essere obbligatoria e non rinunciabile è anche a tempo indeterminato in quanto la carica – alla cui cessazione è collegata la durata della prerogativa – può essere ricoperta ripetutamente senza che sia prevista alcuna limitazione.

Ciò comporta una lesione al principio del diritto alla difesa che è stabilito indistintamente per tutti i cittadini e che viene ad essere indebitamente sottratto ai soggetti previsti dalla norma. Contemporaneamente la indeterminatezza del termine di durata della prerogativa appare in contrasto con l’articolo 111, che è norma ulteriormente affermativa e rafforzativa del più generale principio del diritto al processo e del diritto di difesa.

E deve anche rilevarsi che, a maggior ragione, appare la pregnanza della violazione del diritto di difesa, nel caso specifico, considerato che il Presidente del Consiglio dei Ministri non può essere sottoposto a processo per i reati comuni, mentre, previa autorizzazione della Camera o del Senato, è sottoposto alla giurisdizione ordinaria per i reati funzionali, il che pare essere di per sé irragionevole.

Ma comunque, anche qualora le argomentazioni di cui sopra fossero ritenute non decisive, gli articoli 24 e 111 della Costituzione sono certamente richiamabili con riferimento alla violazione dei diritti della parte offesa costituitasi parte civile nel procedimento penale sospeso per effetto della norma in esame, e ciò a tacere del riferimento di incostituzionalità anche con riguardo all’articolo 117 della Costituzione in relazione all’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4.11.1950 e resa esecutiva in Italia con legge 848/55. Pare significativo considerare in proposito che, con sentenza 30.01.2003 (affaire Cordova c. Italie, n. 1, ricorso n. 40877/98), la Corte di Strasburgo ha rilevato che «occorre ricordare che la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo ha lo scopo di proteggere dei diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi. Il rilievo vale in particolare per il diritto di accesso ai Tribunali, vista la posizione eminente che il diritto ad un processo equo occupa in una società democratica. Sarebbe incompatibile con la preminenza del diritto in una società democratica e con il principio fondamentale che sottende l’articolo 6 – che sancisce che le rivendicazioni civili devono essere portate davanti ad un giudice – che uno Stato possa, senza riserve o senza il controllo degli organi della Convenzione, sottrarre alla competenza dei Tribunali tutta una serie di azioni civili o esonerare da responsabilità delle categorie di persone». E ciò nonostante la Corte abbia riconosciuto che siano giustificate prerogative nei confronti dei parlamentari.

Peraltro la violazione degli articoli 24 e 111 Costituzione consiste, nel caso di specie, nell’impedimento indeterminato dell’esercizio dell’azione civile, per effetto della disposizione di cui all’articolo 75, comma 3, Cpp.

Tale norma, infatti, stabilisce (e ciò in applicazione del noto principio della separazione delle giurisdizioni che informa l’attuale codice di rito) che: «se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta ad impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge». Ciò comporta all’evidenza, nel caso di specie, che la parte civile costituita non potrebbe trasferire l’azione in sede civile, stante l’assenza, nella norma dell’articolo 1, comma secondo, della legge 140/03, di una espressa eccezione sul punto. Né risultano conferenti, al contrario, le argomentazioni della difesa Berlusconi.

La stessa hainfatti rilevato che la parte civile costituita nel processo penale, ai sensi dell’articolo 82, quarto comma, Cpp, revocando la propria costituzione, potrebbe ben accedere alla sede civile.

Un tale argomento ignora del tutto che, ove fosse applicata la norma di cui all’articolo 1, secondo comma, legge 140/03, la secca sospensione del processo impedirebbe qualunque attività processuale, ivi compresa la revoca della costituzione di parte civile. Singolare e priva di pregio risulta poi l’argomentazione secondo cui la parte civile, per tutelare i propri diritti costituzionalmente garantiti, dovrebbe eccepire “ex parte sua” l’incostituzionalità dell’articolo 295 del Cpc che stabilisce appunto la sospensione necessaria in caso di pendenza del procedimento penale.

Norma, quest’ultima, a proposito della quale sarebbero rilevabili aspetti di incostituzionalità solo ed esclusivamente per le parti offese da reati commessi dalla cinque alte cariche di cui trattasi, mentre in tutti gli altri casi non sono assolutamente ipotizzabili profili di incostituzionalità.

Gli articoli 24 e 111 Costituzione appaiono peraltro violati anche sotto il profilo della mancata previsione, nella norma in discussione, di una clausola che faccia salvo il compimento degli atti urgenti che abbiano natura e valenza processuale, come, per esempio, sarebbe l’assunzione urgente di una prova in sede di incidente probatorio e che, diversamente, sarebbe dispersa in via definitiva. Né vale, a contrario, l’argomentazione spesa dalla difesa Berlusconi, secondo cui il problema non sussisterebbe, perché in caso di prova – in specifico esame testimoniale non più rinnovabile per causa sopravvenuta – opererebbe l’articolo 512 Cpp: ma, invero, l’acquisizione in dibattimento ex articolo 512 Cpp, può avvenire solo nel caso in cui non fosse prevedibile, in sede di indagine, la sopravvenienza della non rinnovabilità dell’atto. Al contrario, l’incidente probatorio dispone per il caso in cui vi sia il fondato timore che, per vari motivi, non si possa più acquisire nella sede propria dibattimentale la prova necessaria. Si tratta dunque di due situazioni completamente differenti.

Valuta inoltre il Tribunale doveroso sottoporre alla Corte costituzionale, d’ufficio, altra questione relativa alla valutata non manifesta infondatezza dell’articolo 110 regio decreto 12/1941 (come successivamente modificato dall’articolo 1 della legge 321/91 «Interventi straordinari per la funzionalità degli uffici»).

La rilevanza e attualità della questione è intrinsecamente collegata e si manifesta in diretta correlazione con la sollevabile questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge 140/03, che comporta, ai sensi dell’articolo 23, comma 2, della legge 87/1953, la sospensione del procedimento e che comporta altresì tempi tecnici che incidano considerevolmente sulla durata della applicazione del dottor Brambilla al collegio titolare del dibattimento sospeso.

Tale situazione, assolutamente anomala, di scadenza del collegio giudicante, non per effetto di indisponibilità o incapacità del giudice, ma per effetto di norma dell’ordinamento giudiziario, renderebbe priva dei relativi effetti, nel contesto del dibattimento in corso, una pronuncia, da parte della Consulta, di eventuale incostituzionalità della norma di cui all’articolo 1 legge 140/03.

Pare opportuno premettere che, con decreto del Presidente della Corte d’Appello di Milano in data 10.01.2002, il dottor Brambilla, giudice di sorveglianza, veniva applicato a tempo pieno alla prima sezione penale del Tribunale ordinario per la necessità imprescindibile di continuare a far parte del collegio titolare del processo a carico in allora di Silvio Berlusconi ed altri, di cui il predetto magistrato era originariamente componente, avendo partecipato alla trattazione del medesimo per circa due anni.

L’applicazione in questione, disposta ai sensi dell’articolo 110 dell’ordinamento giudiziario, è stata disposta per un anno, come prevede detta norma, ed è stata successivamente rinnovata, con decreti in data 16, 28 ottobre 2002 e 7 gennaio 2003, per la durata di un altro anno a partire dal 9 gennaio 2003 e dunque sino al 9 gennaio 2004.

Tale ultima data, pertanto, ai sensi del comma 5 dell’articolo 110 dell’ordinamento giudiziario, rappresenta il termine ultimo, non più prorogabile o rinnovabile, di scadenza dell’applicazione.

Valuta il Tribunale che la norma in questione, per quanto stabilisce al comma 5 prima parte, presenti profili di incostituzionalità non manifestamente infondati, con riferimento agli articoli 97 e 111 della Costituzione.

Pare invero pacifico che si tratti di norma di amministrazione e che quindi ricade sotto la previsione dell’articolo 97 Costituzione secondo cui i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che innanzitutto sia assicurato il buon andamento dell’ufficio medesimo: buon andamento che la rigidità dei termini di applicazione non pare affatto assicurare nella misura in cui il comma 5 dell’articolo 110 Ordinamento giudiziario non prevede una sospensione (o comunque una proroga) del periodo di applicazione nel caso in cui sia sospeso ex lege il dibattimento e per il periodo di effettiva durata della sospensione.

D’altro canto, come evidenzia il caso di specie, la continuità del dibattimento in corso, in stato avanzato di trattazione, costituiva l’esigenza imprescindibile per cui l’applicazione stessa è stata disposta, cosicché appare anche intrinsecamente irragionevole che il dibattimento in questione, pervenuto ora alle battute finali e sospeso “ex lege”, non possa essere eventualmente definito per la scadenza secca del termine di applicazione.

Ciò, sotto altro profilo, integra, ad avviso del Collegio, anche una violazione dell’articolo 111 della Costituzione, producendo una irragionevole durata del dibattimento, giacché il fatto che un magistrato non possa più far parte del collegio giudicante (con i necessari effetti di cui all’articolo 525, comma 2, Cpp) comporta inevitabilmente che sia rinnovata tutta l’attività dibattimentale: il che, nel caso di dibattimenti complessi, anche per il numero dei testimoni da riassumere, finirebbe col rendere concreto l’intervento della prescrizione.

Per quanto infine attiene alla richiesta del Pm di acquisizione (rectius di allegazione al verbale) di una memoria ai sensi degli articoli 482 e 121 Cpp, esplicativa della modalità di conduzione delle indagini da parte dell’ufficio inquirente, è necessario precisare quanto segue.

Le parti, in ogni stato e grado del procedimento, possono presentare al giudice memorie, depositandole nella cancelleria del giudice senza bisogno di autorizzazione alcuna da parte di quest’ultimo ed hanno diritto di fare allegare al verbale di udienza memorie contenenti dichiarazioni a cui abbiano interesse, così come hanno diritto a far inserire nel verbale dichiarazioni orali della stessa natura.

Ma tutto ciò sul presupposto che sia in corso il dibattimento: nel caso di specie, la richiesta del Pm è intervenuta all’udienza del 25 u.s., ovvero in un contesto in cui – per effetto dell’entrata in vigore, fin dal giorno 21.06.2003, dell’articolo 1 della legge 140/03 – l’attività dell’udienza era limitata necessariamente alla dichiarazione di sospensione in applicazione di tale legge ovvero a valutazioni circa la non manifesta infondatezza di questioni di legittimità costituzionale della legge stessa, nel qual caso il giudice, prima di applicarla, deve rimettere la questione al giudizio della Corte costituzionale.

In altri termini, all’udienza del giorno 25.06.2003, primo momento utile per le valutazioni di cui sopra, era già preclusa ogni attività tipicamente dibattimentale e quindi anche la possibilità di invocare l’applicazione dell’articolo 482 Cpp.

Si sarebbe invece potuto depositare la memoria in questione in cancelleria prima dell’entrata in vigore dell’articolo di legge oggetto del vaglio di legittimità costituzionale.

PQM

Dichiara la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del comma secondo in relazione al comma primo dell’articolo 1 della legge 140/03, con riferimento agli articoli 3, in relazione agli articoli 101 e 112 Costituzione; 3, in relazione agli articoli 68, 90 e 96 Costituzione; 24, 111 e 117 Costituzione.

Dichiara altresì la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 110, comma quinto, regio decreto 12/1941, come successivamente modificato, con riferimento agli articoli 97 e 111 Costituzione, nella misura in cui al suddetto quinto comma non è prevista la sospensione o comunque la proroga della applicazione nel caso in cui la medesima attenga ad un dibattimento sospeso ex lege e per la durata della sospensione medesima.

Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e dispone la sospensione del dibattimento.

Per l’effetto dichiara sospeso il corso della prescrizione ai sensi dell’articolo 159 Cp.

Ordina la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della stessa ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Dichiara non luogo a provvedere sulla richiesta del Pm di allegazione agli atti di propria memoria, come formulata all’udienza del 25.06.2003.