Penale

Thursday 27 March 2003

Legittimo sospetto: le motivazioni della Cassazione che ha respinto il ricorso di Berlusconi e Previti contro i Giudici di Milano. Cassazione – Sezioni unite penali (cc) – sentenza 27 gennaio-26 marzo 2003, n. 13687

Legittimo sospetto: le motivazioni della Cassazione che ha respinto il ricorso di Berlusconi e Previti contro i Giudici di Milano.

Cassazione Sezioni unite penali (cc) sentenza 27 gennaio-26 marzo 2003, n. 13687

Presidente Marvulli relatore Battisiti

Pm Siniscalchi ricorrente Berlusconi ed altri

Motivi della decisione

1 – Le richieste di rimessione sono infondate.

A – È priva di fondamento leccezione – il cui esame è preliminare – sollevata, in udienza, da uno dei difensori di Berlusconi.

Secondo questo difensore, le Sezioni unite, prima di accertare se sussista una grave situazione locale tale da pregiudicare la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o tale da determinare motivi di legittimo sospetto, se vi siano, quindi, o non vi siano le condizioni richieste dalla legge per la rimessione dei processi, dovrebbero porsi il quesito se sia del tribunale di Milano la competenza a conoscere dei reati contestati agli imputati, cosa che quel difensore nega.

Ha senso chiedersi se ricorrano le condizioni per la rimessione – è questo il significato della eccezione – solo se risulti correttamente determinata la competenza per territorio del Tribunale di Milano.

Ove se ne constatassero le condizioni, a ben poco servirebbe trasferire i processi in applicazione dellarticolo 11 Cpp, se, poi, accolta, in sede di impugnazione, leccezione di incompetenza per territorio, già ripetutamente proposta, i processi dovessero essere trasferiti al giudice ritenuto territorialmente competente.

Leccezione non ha pregio.

Le Sezioni unite, in questa sede, sono investe unicamente del problema, incidentale, della rimessione dei processi sul presupposto della non imparzialità del giudice dinanzi al quale oggi i processi vengono celebrati, giudice la cui competenza per territorio, allo stato, non può ritenersi illegittimamente determinata e la cui eventuale incompetenza può essere fatta valere con i mezzi propri del codice di rito, il quale, come è noto, nellarticolo 21 prevede la possibilità di eccepirla, nellarticolo 24 di riproporla in sede di appello, e nellarticolo 568, di denunciare la illegittimità della sentenza, sul punto, con il ricorso per Cassazione.

Daltro canto, gli stessi richiedenti mostrano di essere consapevoli che la Corte di cassazione, nel momento in cui prende in esame la richiesta di rimessione, non può interessarsi del problema della competenza per territorio come tale.

I richiedenti, infatti, hanno trattato, molto diffusamente, la questione, non come questione sulla competenza da risolvere in questa sede, ma unicamente come uno dei provvedimenti endoprocessuali dai quali dovrebbe desumersi la non imparzialità del giudice.

Come si vedrà meglio a suo tempo, i provvedimenti del giudice, la cui imparzialità viene posta in discussione, possono essere presi in considerazione, in sede di esame della richiesta di rimessione, e rilevare, ai soli fini della rimessione e non ad altri fini, ove si accerti che siano stati il riflesso di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sintomatici della non imparzialità del giudice.

Si dimostrerà, però, che, nel caso in esame, la lamentata grave situazione locale non sussiste, donde limpossibilità che i provvedimenti endoprocessuali, tra i quali quelli sulla competenza per territorio, siano, se errati, il riflesso di quella situazione e la conseguente impossibilità di prenderli in esame in questa sede anche se soltanto ai fini della rimessione.

B – Queste Sezioni unite, prima di dimostrare la infondatezza delle ragioni addotte a sostegno delle richieste di rimessione dei processi, debbono soffermarsi sia sulla questione della applicabilità ai processi in corso della legge 248/02, che ha modificato gli articolili 45, 47, 48 e 49 del Cpp, sia, qualora ritengano che la legge debba applicarsi ai processi in corso, sulla questione della legittimità costituzionale della norma che ne prevede lapplicabilità, sia, infine, sulla questione della legittimità costituzionale della legge nella parte in cui ha introdotto, tra i presupposti che legittimano la rimessione del processo, il legittimo sospetto.

I – La questione della immediata applicabilità della legge 248/02 ai processi in corso, ivi compresi i processi, come quelli in esame, nei quali la richiesta di rimessione era stata già proposta quando la legge è entrata in vigore, deve essere risolta nel senso della immediata applicabilità.

a – Premesso che i lavori parlamentari dicono con chiarezza che lintenzione espressa dalla maggioranza era nel senso di una applicazione immediata della nuova regolamentazione anche alle richieste di rimessione già proposte, queste Sezioni unite condividono quellindirizzo della dottrina secondo il quale laffermazione iniziale, categorica, del comma 1 dellarticolo 5 della legge – «la presente legge si applica anche ai processi in corso» – traduce fedelmente lintenzione del legislatore.

Ed è appena il caso di ricordare che, come rileva la dottrina «il criterio dettato dallarticolo 12, primo comma, delle disposizioni sulla legge in generale – nellapplicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore – è rigorosamente unitario, poiché il senso lessicale di una parola nel discorso non sta senza nesso con le altre, il quale nesso non può essere che la connessione logica, e tutto il discorso, infine, in quanto è il discorso di un uomo, non sta indipendentemente dallintenzione di chi lo fa, poiché il senso delle parole in contrasto con lintenzione tradirebbe, invece di esprimere il valore normativo del fatto».

Grande è, quindi, come sottolinea altra voce della dottrina, «limportanza dei lavori preparatori, che hanno un notevole valore esplicativo e offrono un solidissimo fondamento allinterpretazione quando il proposito manifestato dal legislatore in sede di lavori preparatori concordi con il testo della norma».

b – Lindirizzo, secondo il quale è, invece, da escludere la immediata applicabilità della legge ai processi in corso nei quali sia stata già proposta la richiesta di rimessione, pone laccento sulla successiva proposizione del comma 1 dellarticolo 4, nella quale si dispone: e le richieste di rimessione, che risultano già presentate alla data di entrata in vigore della legge, conservano efficacia.

Osserva questindirizzo che larticolo 5, in questa seconda proposizione, destina ai procedimenti di rimessione già instaurati una disciplina apposita in cui il richiamo alla conservazione degli effetti – espressione, si dice, che ricalca quelle utilizzate in altre analoghe occasioni per indicare il medesimo significato normativo (artt. 65, commi 1 e 2, disp. trans., Cpp 1930 e 16, commi 1 e 2, Dpr 666/55) – specifica il principio tempus regit actum nel senso che la richiesta di rimessione conserva efficacia, conserva gli effetti, rispetto alla legge in vigore nel momento in cui la richiesta è stata proposta.

c – A questa interpretazione si è, però, obiettato – e la rilevata non equivocità della prima proposizione, corrispondente allintenzione del legislatore, rende lobiezione del tutto condivisibile – che «è difficile sostenere che la clausola aggiunga qualcosa a ciò che risulta dalla frase precedente, ma è altrettanto difficile pretendere che ne riduca gli effetti», che «è del tutto ovvio che le richieste già presentate conservino efficacia essendosi ampliato lambito di rimessione», con la conseguenza che, «se la legge si applica ai processi in corso, significa che, dal momento della sua entrata in vigore, ogni atto è regolato dalle nuove disposizioni, salvo espresse deroghe e in questa chiave è ragionevole concludere che la valutazione delle richieste già presentate debba svolgersi secondo i canoni vigenti al tempo della valutazione».

Si è anche osservato, nella stessa direzione, che, nella seconda proposizione del comma 1 dellarticolo 5, la «e» che la precede è chiaramente di congiunzione con la frase precedente: «la legge si applica anche ai processi in corso e le richieste di rimessione già presentate conservano efficacia», sicché quella seconda proposizione vuol dire, semplicemente, che «non occorre presentare una nuova richiesta perché quella già presentata sarà valutata alla stregua della nuova legge».

È da aggiungere, per completezza, che recentemente, in dottrina si è anche sostenuto che, non solo non va sottovalutato «il significato logico-sintattico del collegamento operato attraverso la congiunzione e, ma è da cogliere un possibile significato autonomo del disposto – il quale, pertanto, non è pleonastico – riferito alle richieste presentate prima dell8 novembre 2002: per vero, lintegrale operatività della novella potrebbe determinare la perdita di efficacia per inammissibilità di richieste che, sulla scorta della precedente disciplina, non correvano tale rischio».

«Il che – si aggiunge – può ben realizzarsi in conseguenza delle nuove ipotesi di inammissibilità disegnate nellarticolo 49 Cpp, che attengono alla riproposizione della richiesta non basata su elementi nuovi da parte di un altro imputato dello stesso procedimento o di un procedimento che da esso sia stato separato».

«Quindi, potrà anche concludersi nel senso del riconoscimento della operatività del tempus regit actum, ma in una prospettiva interna allaltrimenti piena applicabilità delle nuove previsioni relative ai presupposti della rimessione del processo».

II – La distinta questione della legittimità costituzionale della legge, nella parte in cui dispone la immediata applicabilità delle norme in essa contenute ai processi in corso, ivi compresi i processi nei quali la richiesta di rimessione sia stata già proposta, deve essere risolta affermando la legittimità costituzionale della legge alla luce della tradizionale giurisprudenza della Corte costituzionale.

a – Secondo la dottrina maggioritaria, la disposizione transitoria in esame determina forti dubbi di costituzionalità con riferimento alla nuova ipotesi di rimessione – legittimo sospetto – in relazione al principio di cui allarticolo 25, comma 1, della Costituzione.

Poiché la garanzia di precostituzione del giudice rispetto al fatto reato implica una deroga al normale criterio di immediata operatività delle norme processuali, in quanto viene privilegiato «il criterio per cui lindividuazione del giudice naturale precostituito per legge deve essere realizzata sulla base delle norme processuali di competenza vigenti allepoca del fatto», dallarticolo 25 comma 1, Costituzione deriva – si sostiene – «un chiaro divieto di retroattività delle norme incidenti sulla competenza giurisdizionale, che si traduce nella loro inapplicabilità nei processi per reati commessi prima della loro entrata in vigore».

Ne consegue, dal momento che le disposizioni sui presupposti della rimessione concorrono, nellambito del sistema delle competenze, ad individuare il giudice competente in quei determinati processi in cui sia stata presentata la richiesta di trasferimento del processo ex articolo 45 Cpp, che «eventuali norme modificatrici dei suddetti presupposti – per esempio nel senso della loro estensione attraverso la restaurazione della formula del legittimo sospetto – non possano valere se non nei processi relativi a reati commessi dopo lentrata in vigore della legge».

b – Ma, a differenza di questa dottrina, maggioritaria, che intende larticolo 25, comma 1, Costituzione in senso rigoroso, pretendendo, appunto, che lindividuazione del giudice avvenga sempre in base alla normativa vigente al momento del fatto delittuoso e, comunque, escludendo che lo ius superveniens possa incidere sui processi riguardanti fatti commessi anteriormente allentrata in vigore della legge, la giurisprudenza costituzionale offre una diversa interpretazione della norma.

Secondo il giudice delle leggi, «il preconcetto costituzionale enunciato nel primo comma dellarticolo 25 tutela una esigenza fondamentale unitaria: quella, cioè, che la competenza degli organi giudiziari, al fine di una rigorosa garanzia della loro imparzialità, venga sottratta ad ogni possibilità di arbitrio».

«La illegittima sottrazione della regiudicanda al giudice naturale precostituito si verifica, perciò, tutte le volte in cui il giudice venga designato a posteriori in relazione ad una determinata controversia o direttamente dal legislatore in via di eccezione singolare alle regole generali».

Il principio costituzionale viene, invece, rispettato quando la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, «modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dalluno allaltro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata controversia, ma per effetto di un nuovo ordinamento che il legislatore, nellesercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (Corte cost., sentenza 56/1967).

In unaltra prOnuncia la Corte ha ribadito che lintervento legislativo incidente sulle competenze già radicate deve ritenersi legittimo quando, «oltre ad operare in termini generali e ad avere per oggetto fatti penali di una notevole rilevanza sociale, si collega, anche, ad una insopprimibile esigenza di giustizia, che lattuale ordinamento giuridico stenta a soddisfare, quale quella della rapidità del giudizio, per cui il suo operare retroattivamente non lede nella sostanza quelle garanzie che stanno alla base dellarticolo 25, comma 1, della Costituzione» (Corte cost., sentenza 72/1976).

c – Lorientamento della giurisprudenza costituzionale è, dunque, nel senso di ritenere che il principio di precostituzione è comunque osservato quando lorgano decidente è istituito dalla legge sulla base di criteri generali e non fissati in vista di singole controversie (Corte cost., sentenza 207/87: sentenza 185/81).

«La domanda da porsi, allora è, – rileva altra voce della dottrina – se la legge Cirami ha modificato i presupposti della rimessione e, quindi, il sistema delle competenze, in vista di singoli processi», aggiungendo che, «in un certo senso, lo dicono anche i suoi sostenitori che la legge nasce dalle anomalie dei processi milanesi e nella stessa relazione al Ddl Cirami il collegamento è chiaro, seppure mediato dallesigenza di colmare un vuoto di garanzie denunciato dalla Corte di cassazione».

Si chiede, però, questa dottrina – e linterrogativo non può non essere condiviso – «se è sufficiente tutto ciò a provare che il sistema delle competenze sia stato modificato in vista di singoli processi, pur essendo la legge operativa per tutti gli imputati», e conclude con laffermazione che, «seppure investita della questione, è difficile che la Corte censuri per simili ragioni il regime transitorio», che «il divario tra verità storica e verità formale resterà abissale».

d – Si può aggiungere a tutto ciò, come si sottolinea da altri, che, se listituto della rimessione deroga, fa eccezione, al principio del giudice naturale precostituito per legge, leccezione è giustificata dallesservi un pericolo concreto che il giudice, data la grave situazione locale, possa non essere imparziale.

Imparzialità che, come si è posto in evidenza in dottrina, «pur nel silenzio del legislatore costituente, era considerata come un principio informatore del sistema, preesistente allesercizio del potere costituente, ovvero come una qualifica connaturata alla qualità di giudice, imparzialità oggi esplicitamente affermata come principio dalla legge costituzionale 2/1999, la quale ha inserito i principi del giusto processo nellarticolo 111 della Costituzione affermando, tra laltro, che ogni processo deve svolgersi davanti ad un giudice terzo e imparziale».

Ci si può chiedere, allora, se possa ritenersi violato larticolo: 25, comma 1, della Costituzione, nel suo aspetto di norma sostanziale – «destinata a fissare un indirizzo per lattività legislativa subordinata, ed in particolare volta a stabilire che la competenza giurisdizionale debba essere definita prima del verificarsi del fatto da giudicare» – e nel suo aspetto di norma formale – «volta ad istituire una riserva assoluta di legge in materia di competenza giurisdizionale» – nel momento in cui il legislatore intervenga, come ha fatto con la legge in esame, ampliando, dopo la nascita della regiudicanda e dopo la richiesta di rimessione, in via generale e non con riferimento ad una determinata fattispecie, le ipotesi di rimessione, le ipotesi in cui il giudice può essere ritenuto o sospettato di non essere quel giudice imparziale dinanzi al quale deve svolgersi il (giusto) processo ai sensi dellarticolo 111 della Costituzione, quel giudice che, solo, può prendere  in esame la regiudicanda.

III – La questione della legittimità costituzionale dellarticolo 45 Cpp, come modificato dallarticolo 1 della legge 248/02, deve essere risolta, anchessa, tenendo conto della giurisprudenza della Corte costituzionale.

a – Come è noto, la corte di cassazione, con lordinanza del 27 novembre 1962, Casoli, nel ritenere una manifestazione infondata la questione della legittimità costituzionale dellarticolo 55 Cpp, ha coinvolto nella sua denuncia, «lintero istituto, considerato nel suo complesso»; è, altresì, noto che la Corte costituzionale, con la sentenza interpretativa 50/1963, ha dichiarato non fondata la questione, facendo le seguenti affermazioni.

«Nella rimessione autorizzativa dallarticolo 55 Cpp, lo spostamento della competenza per territorio dipende necessariamente ed esclusivamente dallaccertamento obiettivo dei fatti ipotizzati dalla legge, in seguito e a conclusione di uno speciale procedimento; ed è altresì da escludere che, anche se nel testo legislativo è usata la parola può, la facoltà attribuita al supremo organo della giurisdizione ordinaria importi una discrezionalità nellemanare il provvedimento di rimessione, dovendosi invece ritenere che tale provvedimento costituisce lespressione del potere-dovere del giudice di decidere, come di regola si verifica, nel caso concreto in base allaccertamento e alla valutazione dei fatti in relazione alle ipotesi, in astratto, prevedute dalla legge».

«Nellinterpretazione dellarticolo 55 assumono particolare rilievo le gravi esigenze che, con listituto della rimessione, regolato da tale articolo, si intendono soddisfare, esigenze, le quali, al pari del divieto di distogliere alcuno dal giudice naturale precostituito per legge, rispondono anchesse a principi costituzionalmente rilevanti, cioè lindipendenza e, quindi, limparzialità dellorgano giudicante e la tutela del diritto di difesa».

«La disposizione impugnata tende ad evitare che linsorgere di particolari situazioni, o altri fattori esterni, possano, in qualsiasi modo, interferire nel processo penale, incidendo sulla obiettività del giudizio e sulla retta applicazione della legge, che si ricollegano ad una suprema garanzia di giustizia, donde non soltanto lopportunità, ma la necessità che, del processo, conosca un giudice diverso da quello originariamente stabilito dalla legge».

«Qualora, invero, nella sede in cui si svolge il processo e in relazione al medesimo si presentino situazioni come quelle previste dallarticolo 55; qualora, cioè, – in relazione allordine pubblico – si manifestino o siano sicuramente prevedibili gravi turbamenti della pubblica tranquillità e della pacifica convivenza dei cittadini, con pericolo anche per la sicurezza delle persone; ovvero quando – riguardo al legittimo sospetto – con mezzi diretti o indiretti, non esclusa la violenza nei riguardi delle persone che partecipano al processo, si tenta di influire sullo svolgimento o sulla definizione di esso, appare chiara non soltanto lopportunità, ma la necessità che del processo conosca un giudice diverso da quello originariamente stabilito per legge, la designazione del quale, per necessità pratiche, è demandata allorgano giudiziario».

Questa sentenza ha affermato, dunque, sia che il denunciato potere discrezionale della corte di cassazione nel decidere lo spostamento della competenza non sussiste, perché la traslatio iudicii deve dipendere necessariamente ed esclusivamente da un accertamento obiettivo dei fatti ipotizzati dalla legge, sia che i presupposti per la rimessione – gravi motivi di ordine pubblico e legittimo sospetto – non possono essere considerati labili, se si interpretano restrittivamente, se si ritengono sussistenti «qualora si manifestino perturbamenti della pubblica tranquillità e della pacifica convivenza dei cittadini, con pericolo anche per la sicurezza delle persone», ovvero – relativamente al legittimo sospetto – quando «con mezzi diretti o indiretti, non esclusa la violenza nei riguardi delle persone che partecipano al processo», si tenti di «influire sullo svolgimento o sulla definizione dello stesso».

b – Potrebbe porsi il quesito se il testo dellarticolo 45, come licenziato dal Senato – la rimessione si sarebbe potuta chiedere, secondo quel testo, «quando la sicurezza e lincolumità pubblica fossero pregiudicate da gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, ovvero per legittimo sospetto» – sarebbe passato indenne ad un eventuale vaglio di legittimità costituzionale.

Ma, non pare si presti a rilievi, sul piano della legittimità costituzionale, il testo definitivamente approvato, nel quale si prevede espressamente che i motivi di legittimo sospetto sussistono se determinati da una grave situazione locale, espressione, come meglio si vedrà in seguito, che, avendo il significato di una situazione locale non interprete se non in termini di pericolo concreto della non imparzialità del giudice, esclude, con certezza, che lo spostamento della competenza per territorio possa dipendere dalla discrezionalità del giudice e, quindi, che venga violato il principio dellarticolo 25, primo comma, Costituzione del giudice naturale precostituito per legge.

c – Ciò detto, prima di esaminare la fattispecie debbono essere ribaditi, con determinate puntualizzazioni, i principi che questa suprema corte ha affermato:

– sulla natura eccezionale dellistituto della rimessione,

– sulla interpretazione restrittiva delle relative norme,

– sulla interpretazione delle espressioni pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, legittimo sospetto e

– sulla interpretazione della espressione grave situazione locale.

I – Listituto della rimessione è considerato eccezionale già in una circolare del 2 ottobre 1939 dellallora ministro della Giustizia, che ha anticipato non poco di quel che si sarebbe detto successivamente.

a – «La rimessione dei procedimenti, che costituisce una deroga alla competenza territoriale, – così questo documento – è un istituto di eccezione che dovrebbe avere scarsa e ben meditata applicazione».

«È vero che i motivi sui quali essa può essere fondata – ordine pubblico o legittimo sospetto – sono indicati dalla legge in modo generico ed indeterminato, ma ciò non può giustificare, nellattuazione pratica, una valutazione elastica e superficiale dei motivi stessi».

«Occorre, invece, un accertamento rigoroso della sussistenza di condizioni obiettive ed ambientali tali da giustificare fondati dubbi sulla possibilità dello svolgimento tranquillo ed imparziale di un determinato procedimento ed occorre, altresì, che la valutazione di quelle condizioni sia fatta con estrema ed oculata prudenza».

«Labuso dellistituto determina deplorevoli e ingiustificabili sospetti sulla indipendenza e la imparzialità della magistratura ed autorizza il dubbio, altrettanto deplorevole ed ingiustificato, che si possa alterare la giustizia attraverso la sostituzione del giudice».

b – La dottrina, già nellabrogato codice, è stata sempre unanime nel definire eccezionale listituto e «il carattere eccezionale, e, in alcune ordinanze, assolutamente eccezionale dello stesso è stato ribadito – in stretto collegamento con laffermazione della natura derogatoria del medesimo rispetto al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge – con tale costanza dalla giurisprudenza, come ha rilevato la dottrina, da apparire quasi una clausola di stile» (Cass., 13 ottobre 1997, Manganaro; 10 marzo 1997, Cirino Pomicino; 26 ottobre 1996, Berlioz; 30 gennaio 1996, Tetamo; 25 ottobre 1995, Gullotti; 12 ottobre 1995, Massimano; 20 settembre 1995, Craxi; 5 luglio 1995, Fiandrotti; 7 febbraio 1995, Sgarbi; 16 novembre 1993, Annaconda; 23 gennaio 1992, Di Muro).

c – Leccezionalità dellistituto si spiega, anzitutto, considerando che la rimessione costituisce eccezione al principio del giudice naturale precostituito per legge, precostituzione che, come osserva la dottrina, non è soltanto in funzione della prevedibilità del giudice, ma anche della non manipolabilità a posteriori della competenza.

Leccezionalità si coglie, poi, tenendo conto che, in tanto con la rimessione si deroga alla competenza territoriale e, quindi, al principio del giudice naturale precostituito per legge, in quanto vi siano motivi – gravi situazioni locali – per sospettare il giudice di non essere imparziale e la non imparzialità o il sospetto della non imparzialità del giudice non può che essere eccezionale, come la stessa circolare, prima citata, del ministro della Giustizia del 1939, mostrava di ritenere.

Leccezionalità, infine, si giustifica se si ha anche ben presente che, come hanno sempre affermato, anche nella vigenza del codice abrogato, la giurisprudenza e la dottrina, il giudice non imparziale o sospetto di non esserlo non è il giudice o non è soltanto il giudice del processo, ma è per definizione, lorgano giudicante nel suo complesso (Cass., 23 febbraio 1998, Berlusconi, secondo la quale situazione locale deve essere tale da riverberarsi sullorgano giudicante indipendentemente dalla sua composizione; 13 ottobre 1997, Manganaro, secondo la quale «i fattori inquinanti limparzialità debbono riverberarsi sullintero ufficio giudiziario astrattamente considerato, non su singoli magistrati o su un singolo organo in cui si articoli»; 10 marzo 1997, Cirino Pomicino, secondo cui rileva il nesso tra lambiente giudiziario e quello creatosi in relazione ad una determinata vicenda giudiziaria; 25 febbraio 1993, Della Corte, che parla dellufficio nel suo complesso; 14 aprile 1993, Palau, secondo cui «il legittimo sospetto che importa la rimessione del processo deve riferirsi allufficio giudiziario nel suo complesso e non ad un singolo magistrato o ad un singolo organo collegiale dellufficio»; 18 aprile 1990, Di Palma, secondo cui «listituto della rimessione tende a garantire la serenità dellorgano nel suo complesso»).

Questa eccezionalità, è evidente, non può che essere leffetto di una causa eccezionale, di una grave – eccezionale – situazione locale.

II – Il carattere eccezionale dellistituto ha come indefettibile corollario, secondo le unanimi affermazioni della giurisprudenza e della dottrina, il principio della interpretazione restrittiva delle norme che lo disciplinano e ciò proprio perché queste norme «incidono pesantemente sulle regole attributive della competenza inerenti alla precostituzione del giudice naturale». (cfr.: Per la giurisprudenza formatasi nella vigenza del codice abrogato: Cass., 20 giugno 1985, Pisanelli; 28 marzo 1984, Mastrovito; 29 ottobre 1983, Russo; 1 marzo 1983, Gullace; 22 aprile 1980, Scoccianti; 20 ottobre 1976, Izzo; 20 maggio 1975, Bozano e per la giurisprudenza formatasi dopo lentrata in vigore del codice vigente: Cass., 14 ottobre 1993, Palau; 6 luglio 1993, Baietta; 18 aprile 1990, Di Palma).

b – Del resto, già nella circolare del 1939 del ministro della Giustizia si affermava, sostanzialmente, lo stesso principio quando si osservava che occorreva «un accertamento rigoroso della sussistenza di condizioni obiettive ed ambientali tali da giustificare fondati dubbi sulla possibilità dello svolgimento tranquillo ed imparziale di un determinato procedimento” e occorreva, altresì, che la valutazione di quelle condizioni venisse fatta con estrema ed oculata prudenza».

c – Quanto alla dottrina, è stato recentemente affermato che «non si può ignorare che, sebbene la giurisprudenza abbia correttamente fatto leva sul dato normativo per ricavarne una lettura restrittiva, sia il riferimento oggettivo alle situazioni locali, sia la stessa loro qualificazione come gravi sono dati suscettibili di interpretazioni e valutazioni cui non resta estranea la diversità di sensibilità e di concezione personale».

«Per conseguenza, solo una interpretazione che tenga conto della funzione dellistituto, ma, soprattutto, che sia costantemente memore del carattere eccezionale rivestito dal medesimo allinterno dellordinamento – in funzione di precisi limiti derivanti dal principio costituzionale di precostituzione del giudice – consente di propiziare un uso della rimessione che non appaia abnormemente dilatato».

«Levidente portata derogatoria assunta dallistituto della rimessione di fronte al principio enunciato nellarticolo 25, comma 1, Costituzione non può che postulare, infatti, un approccio interpretativo rigoroso, che impone di considerare tassative – e, dunque, soggette ad un criterio di stretta interpretazione – le fattispecie legittimanti il trasferimento del processo».

III – Quanto al significato delle espressioni «pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo» e «legittimo sospetto» è sufficiente richiamare alcune delle affermazioni che queste Sezioni unite hanno fatto, al riguardo, nella ordinanza del 29 maggio 2002, con la quale, come è noto, hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale dellarticolo 45 Cpp, in riferimento allarticolo 2, n. 17 legge delega 81/1987, nella parte in cui non prevedeva tra le cause di rimessione il «legittimo sospetto», ordinanza con la quale – è opportuno sottolinearlo – le Sezioni unite hanno posto un problema non inesistente che il legislatore ha superato attraverso la revisione degli articoli che il codice di rito riserva alla rimessione del processo e lintroduzione tra i presupposti della rimessione, del legittimo sospetto, ancorato, come gli altri presupposti, ad una grave situazione locale.

a – «Netta – si è osservato in questa ordinanza – è la differenza tra» libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo«e legittimo sospetto».

Il pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, è, invero, secondo la giurisprudenza e la dottrina, il condizionamento che questa persone subiscono, in quanto soggetti passivi di una vera e propria coartazione fisica o psichica che, incidendo sulla loro libertà morale, impone una determinata scelta, quella della parzialità o della non serenità, precludendone altre di segno contrario.

«Il legittimo sospetto è, invece, il ragionevole dubbio che la gravità della situazione locale possa portare il giudice a non essere, comunque, imparziale o sereno», dovendo intendersi per imparzialità la neutralità, la indifferenza, del giudice rispetto al risultato, rispetto allesito del processo.

E che – è doveroso aggiungerlo – imparzialità del giudice voglia dire neutralità del giudice rispetto al risultato è stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 306/97, della quale la Corte ha riconosciuto come, «nellambito del principio del giusto processo, derivante dalle disposizioni costituzionali che attengono alla disciplina della giurisdizione, posto centrale deve attribuirsi alla imparzialità-neutralità del giudice in carenza della quale tutte le altre regole e garanzie processuali perderebbero di concreto significato».

b – La formula legittimo sospetto – si è anche detto in quella ordinanza – è, quindi, più ampia, più comprensiva della formula «libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo», ponendo essa laccento sulleffetto, cioè sul pericolo concreto che possano essere pregiudicate le imparzialità o la serenità, senza esigere che quelleffetto sia conseguenza della impossibilità per il giudice di essere imparziale per essere stato coartato fisicamente o psichicamente.

c – Può sintetizzarsi tutto ciò, quanto al legittimo sospetto, affermando che, secondo queste Sezioni unite, «i motivi di legittimo sospetto sono configurabili quando si è in presenza di una grave ed oggettiva situazione locale, idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice, inteso questo come lufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo di merito».

IV – Il tema della grave situazione locale è il tema cruciale dellistituto della rimessione del processo perché solo attribuendo a questa espressione il significato che le spetta, solo riservandole, nella logica della eccezionalità dellistituto, la interpretazione restrittiva, che, peraltro, la giurisprudenza di questa suprema corte le ha sempre riservato, si riesce a distinguere tra ciò che veramente incide negativamente e concretamente sul bene costituzionale della imparzialità del giudice – e, quindi, tra ciò che giustifica la traslatio iudicii – e ciò che, invece, non ha quella incidenza e, conseguentemente non può determinare il trasferimento del processo.

La giurisprudenza e la dottrina assolutamente prevalente non hanno alcun dubbio sul valore che deve essere attribuito alla espressione grave situazione locale.

Nessun dubbio per entrambe, anzitutto, che laggettivo territoriale alluda ad una situazione locale, empiricamente verificabile, estranea alla dialettica processuale.

I – Ricordato che già per il ministro della Giustizia del 1939 occorreva, per la rimessione, «un accertamento rigoroso della sussistenza delle condizioni obiettive e ambientali» e che già la giurisprudenza formatasi nella vigenza del codice abrogato, specialmente quella successiva alla sentenza 50/1963 della Corte costituzionale, chiedeva che sussistessero fattori, turbative di carattere locale/territoriale, la giurisprudenza, dopo lentrata in vigore del codice vigente, ha ribadito il principio, delimitando, peraltro, ulteriormente gli spazi nei quali linterprete deve muoversi per accertare se la lamentata grave situazione locale abbia le caratteristiche che la legge, nel momento in cui disciplina listituto della rimessione come istituto di carattere eccezionale, vuole che abbia ai fini della traslatio iudicii.

a – Per Cassazione, 23 febbraio 1998, Berlusconi, «le situazioni locali, secondo una consolidata tradizione interpretativa, ampiamente ripresa dalla giurisprudenza di questa suprema corte riguardo al codice di rito vigente, possono trarre origine soltanto da obiettive e provate circostanze ambientali, estranee alla dialettica processuale».

Per Cassazione, 13 ottobre 1997, Manganaro: «la situazione locale legittimante la rimessione deve riguardare fenomeni esterni alla dialettica processuale e allambito dei rapporti intrinseci al dinamico sviluppo del processo».

Per Cassazione, 9 novembre 1995, Cerciello: «larticolo 45 del nuovo codice ha stabilito che le situazioni legittimanti la rimessione debbono essere di carattere locale, condizione con la quale si è inteso affermare che le causali della traslatio iudicii debbono riguardare fenomeni esterni alla dialettica processuale».

Per Cassazione, 12 ottobre 1995, Massimano: «le situazioni legittimanti la sottrazione del processo al giudice del locus commissi delicti debbono essere di carattere locale cioè debbono trarre origine da obiettive e provate circostanze ambientali, estranee alla dialettica processuale».

Per Cassazione, 14 ottobre 1993, Palau: deve trattarsi di concrete e dimostrate situazioni ambientali.

Per Cassazione, 8 aprile 1992, Casaglia: «le situazioni che legittimano la rimessione devono essere di carattere locale e devono riguardare lambiente che circonda il processo».

Come può notarsi, la giurisprudenza ha dedotto che la situazione locale deve essere esterna alla dialettica processuale dal dover essere, la stessa, una situazione locale/territoriale, affermazione, questultima, dalla quale la giurisprudenza ha tratto, come conseguenza, anche il principio della irrilevanza, ai fini della rimessione, dei provvedimenti endoprocessuali.

b – La dottrina si muove nella stessa direzione.

È assolutamente minoritaria la dottrina che esclude che lespressione situazione locale si riferisca solo a situazioni esterne alla dialettica processuale, mentre la dottrina maggioritaria, dopo avere posto in rilievo che, se dovesse escludersi che la situazione locale deve essere una situazione esterna al processo, si correrebbe il rischio di ridurre il fattore ambientale ad un inutile orpello, incrementando il numero delle rimessione inutiliter datae, afferma che «il termine locale va, invece, inteso nel senso che occorre un effettivo radicamento territoriale della situazione che rileva quale causa di rimessione».

«La situazione locale, pertanto, altro non indica se non il contesto ambientale extragiudiziario; la causa pregiudicante nasce e si cristallizza allesterno del processo e solo successivamente riverbera i suoi effetti allinterno della peculiare vicenda giudiziaria, sicché non è la vicenda processuale a contagiare, proiettandosi allesterno, il contesto ambientale generale, ma esattamente lopposto».

Aggiunge questa voce della dottrina che «una lettura non preconcetta dellarticolo 45 Cpp permette, daltro canto, di cogliere una duplice esigenza».

«La prima, di natura logica, individua nellalterazione dellequilibrio funzionale nel processo leffetto endogeno ricollegabile ad un fattore perturbante esogeno radicato nel territorio e a ciò allude la dottrina quando parla di nesso ambientale tra gli accertati pericoli locali e gli effetti negativi prodotti sul giudice o sulle parti e sulla stessa linea esegetica si colloca la giurisprudenza prevalente, sottolineando la necessità di un negativo rapporto della vicenda giudiziaria con lambiente inteso come luogo in cui il processo si svolge».

«La seconda, prettamente metodologica, impone un vaglio preliminare in ordine alla peculiare situazione territoriale e, solo in un secondo momento, lulteriore verifica circa leffettiva incidenza del fenomeno esterno sulla dinamica processuale; la verifica territoriale, naturalmente, va condotta in maniera libera da qualsiasi pregiudizio – nel senso etimologico del termine – derivante dalla peculiare vicenda giudiziaria, diversamente si rischia di confondere leffetto con la causa o, ancora peggio, di presumere lesistenza del fattore esogeno esclusivamente sulla base dellaccertato effetto endogeno».

c – Ebbene, se la situazione locale altro non indica che «il contesto ambientale» extragiudiziario, se «la causa pregiudicante nasce e si cristallizza allesterno del processo e solo successivamente riverbera i suoi effetti allinterno della peculiare vicenda giudiziaria», ciò sta a significare che la Corte di cassazione deve accertare se sussiste la grave situazione locale/territoriale prescindendo dalla dialettica processuale, prescindendo da ciò che accade nel processo.

È il territorio, nel quale, come esigono le norme sulla competenza per territorio, si radica quel determinato processo, che deve essere investito da una situazione di tale gravità da rendere il processo incompatibile con la permanenza in quel luogo; è il territorio, in altri termini, che impone che il processo, lì radicato, ne sia sradicato, sicché, se sul territorio, su ciò che sta intorno al processo, non vè nulla che evochi una grave situazione, ciò che accade nel processo non può avere alcuna rilevanza.

Detto in altre parole, se la grave situazione locale/territoriale obiettivamente non sussiste, ciò che accade nel processo non può, ovviamente, essere riflesso di una inesistente grave situazione locale e, quindi, non può avere alcuna rilevanza ai fini della rimessione.

Al quesito, quindi, se «i provvedimenti e i comportamenti del giudice possano assumere rilevanza ai fini della rimessione del processo», deve rispondersi, secondo queste Sezioni unite, che «i provvedimenti e i comportamenti del giudice possono assumere rilevanza ai fini della rimessione del processo a condizione che siano leffetto di una grave situazione locale e che, per le loro caratteristiche oggettive, siano sicuramente sintomatici della non imparzialità del giudice».

Se la grave situazione locale sussiste non vè dubbio, invero, che i provvedimenti e i comportamenti del giudice possano assumere rilevanza ai fini della rimessione.

Se il territorio è gravemente turbato – e deve esserlo ai fini di quel processo – è, infatti, pressoché impossibile che il turbamento non si rifletta nel processo; è veramente impossibile che quel grave turbamento non incida negativamente sulla imparzialità del giudice e, quindi, sui o su alcuni provvedimenti di questultimo, determinandone caratteristiche sicuramente sintomatiche della parzialità.

I provvedimenti endoprocessuali, se, in presenza di una grave situazione locale, presentano queste caratteristiche negative, valgono, quindi, per un verso, da avallo, da conferma del giudizio, peraltro, autonomamente certo, dellesistenza della grave situazione locale essendone leffetto, e, per altro verso, possono contribuire a far capire se si versi in una situazione di pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o in una situazione di pericolo concreto di non imparzialità del giudice.

E questo avallo, questa conferma, in un istituto eccezionale e di stretta interpretazione come quello in esame, eliminando ogni residuo, pur lontano, ma pur sempre ipotizzabile dubbio sulla gravità della situazione locale.

In questi termini va valorizzato quanto la dottrina pone in rilievo circa la circolarità tra ciò che avviene allesterno e ciò che avviene allinterno del processo.

Se la grave situazione locale non esiste oggettivamente, a nulla vale indugiare sui provvedimenti endoprocessuali e ciò per la semplice ragione che, in assenza di un grave turbamento dellambiente esterno al processo, gli eventuali, discutibili, provvedimenti endoprocessuali possono ben spiegarsi o come semplice conseguenza di unerrata interpretazione della legge o di un non corretto esercizio del potere discrezionale o come provenienti da un giudice ricusabile; possono spiegarsi, cioè, come effetti che hanno la loro causa nel processo o se, come nellipotesi della ricusazione, lhanno fuori del processo, si tratta pur sempre di una causa che non è la grave situazione locale.

Se, invece, questultima sussiste, i provvedimenti endoprocessuali, se con determinate caratteristiche, specialmente se emessi su questioni particolarmente rilevanti o nei momenti più delicati del processo, possono essere ritenuti a ragione conseguenza della stessa, con quella, dianzi sottolineata, circolarità che si risolve in una conferma, in un avallo, della grave situazione locale autonomamente accertata.

d – Daltro canto, soltanto se la grave situazione locale è grave situazione ambientale-territoriale ha senso affermare, una volta che ne sia stata accertata lesistenza, che il pericolo concerto della non imparzialità riguarda lorgano nel suo complesso e non il giudice o i giudici del processo.

Solo se è interessato gravemente il territorio, che è ciò che sta intorno al processo, può dirsi, infatti, a ragione, che anche ogni altro giudice del luogo – diversamente da quanto accade nella ricusazione – si sarebbe comportato, con alto grado di probabilità, come si sono comportati, con i loro provvedimenti, effetto della grave situazione e sintomatici della non imparzialità, i giudici del processo.

II – La situazione non solo deve essere locale/territoriale, nel senso appena visto, ma deve essere anche grave e la interpretazione di questo aggettivo, che deve essere restrittiva .- come si è visto deve esserlo la interpretazione dellaggettivo locale – è veramente decisiva, non solo per la distinzione tra ciò che legittima e ciò che non legittima la rimessione del processo, ma anche – e più di quanto lo sia la corretta interpretazione dellaggettivo locale – ai fini della non violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge.

a – La giurisprudenza è, al riguardo, sostanzialmente tutta negli stessi termini.

Per Cassazione, 23 febbraio 1998, Berlusconi, grave situazione locale significa che «le circostanze ambientali debbono avere una sintomatica abnormità».

Per Cassazione, 10 settembre 1997, Cirino Pomicino, «la situazione deve essere tale da sconvolgere lordine processuale» (negli stessi termini: cass., 7 febbraio 1995, Sgarbi).

Per Cassazione, 21 febbraio 1996, Lamberti, deve trattarsi di «dati di fatto, non solo certi, ma univocamente significativi».

Per Cassazione, 8 settembre 1992, Casaglia, deve trattarsi di «concrete circostanze di notevole consistenza».

Per Cassazione, 23 gennaio 1992, Di Muro, «la situazione deve essere tale da rendere pressoché inevitabile la sua negativa incidenza sul corretto svolgimento del processo».

b – Quanto alla dottrina, è sufficiente porre in evidenza che, per una autorevole voce della stessa, deve trattarsi di congiunture abnormi, per ultra di eventi eccezionali e per altra, recentissima, che si richiama a Cassazione, 21 febbraio 1996, Lamberti, di fatti non solo certi, ma univocamente significativi.

c – Espressioni, come quelle appena viste – situazione o congiuntura abnorme, sconvolgente, di notevole consistenza, di inevitabile incidenza, eccezionale, univocamente significativa – dicono, con chiarezza, quale deve essere lo spessore della situazione locale perché possa pregiudicare concretamente la libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o per potere giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice.

A ben vedere, gli aggettivi usati per definire la gravità della situazione locale consentono di dire che la situazione locale deve essere tale, per la sua abnormità, per la sua notevole consistenza, per la sua eccezionalità, per il suo univoco significato, da non potere essere interpretata se non nel senso del pericolo concreto della non imparzialità o nel senso del pericolo concreto del pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, interpretazione, questa, che riduce drasticamente i margini di discrezionalità della corte di cassazione nel decidere sulla sussistenza della grave situazione locale e nel disporre il trasferimento del processo in deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge.

d – Che la situazione debba essere grave nel senso appena visto si desume, del resto, anche dal fatto che la situazione che pregiudica la sicurezza o la pubblica incolumità è, necessariamente, una situazione abnorme, di notevole consistenza, eccezionale, univocamente significativa, potendo dirsi pregiudicata la sicurezza quando la situazione locale sia talmente grave da richiedere un intervento, non momentaneo e significativo nelle presenze, delle forze dellordine e potendo dirsi pregiudicata la pubblica incolumità quando la situazione locale sia tanto grave da esigere un intervento, che si protragga nel tempo, della protezione civile: si pensi alle tragedie del Vaiont e della Val di Stava, per ricordare due gravi situazioni locali distanti, tra di loro, nel tempo.

Non vè alcuna ragione, allora, per ritenere che il legislatore, nel prevedere che il pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo o che i motivi che determinano il legittimo sospetto debbono scaturire, anchessi, da una grave situazione locale idonea a turbare lo svolgimento del processo, non richieda che questa situazione abbia una pari, non minore, gravità, che sia univocamente significativa, come sicuramente lo è, e non può non esserlo, la situazione che pregiudica la sicurezza e la incolumità pubblica.

D – Nel passare allesame dei dati di fatto, nei quali i richiedenti ravvisano la grave situazione locale, deve essere preliminarmente dichiarata sia la manifesta infondatezza della eccezione di inammissibilità della memoria del pubblico ministero, sia la irrilevanza processuale della eccezione di intempestività e, quindi, di irritualità delle osservazioni fatte pervenire dal presidente della IV sezione del tribunale di Milano.

I – Leccezione di inammissibilità della memoria del pubblico ministero è stata sollevata osservando che, nel procedimento di rimessione, le funzioni di pubblico ministero sono esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di cassazione e non dal pubblico ministero del processo del quale si chiede la rimessione, sicché la facoltà di produrre memorie è, se mai, del primo e non del secondo.

La tesi non ha alcun pregio.

È vero, sufficiente considerare che larticolo 46, comma 2, Cpp, dispone che «la richiesta è depositata, con i documenti che vi si riferiscono, nella cancelleria del giudice ed è notificata entro sette giorni a cura del richiedente alle altre parti».

Se parte è il soggetto che richiede una decisione giurisdizionale in accoglimento di una propria tesi, il riferimento più immediato, come si sottolinea dalla dottrina, corre proprio al pubblico ministero, giacché questo è, in primo luogo, il soggetto che, attraverso il promovimento dellazione penale, domanda, appunto, al giudice una decisione che accolga le ragioni dellaccusa.

Ma, se il pubblico ministero è parte non può non avvalersi della facoltà attribuita alle parti dallarticolo 121 Cpp, il quale, nel comma 1, dispone, che, «in ogni stato e grado del procedimento, le parti e i difensori possono presentare al giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito in cancelleria».

Del resto, non ci sarebbe ragione di notificare la richiesta al pubblico ministero se questo non avesse la possibilità di svolgere alcuna attività in difesa della propria posizione processuale.

Altro, evidentemente, è il tema dellesercizio delle funzioni di pubblico ministero, funzioni che larticolo 51, comma 1, lettera b), Cpp prescrive che, nei giudizi di impugnazione, siano esercitate dai magistrati della procura generale presso la corte di appello o presso la corte di cassazione, esercizio dal quale non può di certo conseguire che il pubblico ministero del processo del quale si chiede la rimessione non sia stato e non sia tuttora, sino alleventuale rimessione, parte di quel processo.

II – Il rilievo, che si legge nella memoria di Previti del 18 gennaio 2003 e con il quale si contesta la irritualità delle osservazioni della IV Sezione del Tribunale di Milano perché pervenute soltanto il 27 novembre 2002, è privo di qualsiasi incidenza processuale.

Previti osserva che, disponendo larticolo 46, comma 3, Cpp che «il giudice trasmette immediatamente alla Corte di cassazione la richiesta con i documenti allegati e con eventuali osservazioni, la trasmissione delle osservazioni del giudice procedente è eventuale, ma immediata, sicché deve ritenersi che la IV Sezione del tribunale non ha seguito le indicazioni normative, essendosi limitata, al momento del deposito delle richieste di rimessione, unicamente a trasmettere le richieste medesime e la documentazione alle stesse allegata inoltrando le osservazioni a distanza di molti mesi, senza alcuna coerenza».

Può anche discutersi se sia o meno rituale la trasmissione di osservazioni da parte del giudice del processo del quale si chiede la rimessione che non sia contestuale alla trasmissione della richiesta.

È certo, però, che, supposto che sia ravvisabile, lirritualità è senza alcuna sanzione, disponendo il comma 4 dellarticolo 46 Cpp, che «è causa di inammissibilità linosservanza delle forme e dei termini previsti dai commi 1 e 2», mentre, come riconosce lo stesso Previti, la facoltà di trasmettere osservazioni con la richiesta è prevista nel comma 3.

E – Nelliniziare lesame dei fatti al fine di accertare se vi sia o non vi sia la grave situazione locale, con le caratteristiche, dianzi puntualizzate, necessarie per la rimessione del processo, queste Sezioni unite debbono osservare che non risponde al vero che, come si sostiene in qualche memoria, abbiano già positivamente accertato la grave situazione locale nella ordinanza con la quale è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale.

In quella ordinanza, invero, preso atto delle ragioni addotte dai difensori nel prospettare la questione di costituzionalità e sintetizzati i fatti che i richiedenti ritenevano, e ritengono tuttora, costituire grave situazione locale, queste Sezioni unite hanno sollevato la questione non ritenendo, a seguito di una sommaria delibazione dei fatti, manifestamente infondate le prime e le seconde ragioni, sulle quali, quindi, poteva legittimamente innestarsi un giudizio di legittimità costituzionale.

È in questa sede, dunque, che, escluso che le richieste di rimessione siano manifestamente infondate, queste Sezioni unite si apprestano ad esaminare i fatti per accertare se sussiste o non sussiste la grave situazione locale.

I – Dalle richieste, come diffusamente, a suo tempo, riportate, risulta che tutti i richiedenti, ma, soprattutto, Berlusconi e Previti, il quale vi dedica più della metà della sua richiesta e non poche pagine delle memorie, ritengono che Saverio Borrelli, allora procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano, con le sue ripetute dichiarazioni, con i suoi atti, con le sue iniziative, con i suoi interventi, ha trasformato la procura della Repubblica di Milano in organismo politico e che, così facendo, ha determinato la grave situazione locale di contrapposizione, per ragioni politiche, con riflessi sui processi e, quindi, sulla imparzialità dei giudici, tra gli uffici giudiziari di Milano, da un lato, ed alcuni imputati dallaltro, in particolare Berlusconi e Previti.

a – Per rendersi conto sin dove, nella ricostruzione di Previti, si sarebbe spinta questa contrapposizione, è opportuno leggere quanto Previti scrive nelle pagg. 3-4 della richiesta.

«Un esempio eclatante del metodo adottato è fornito dalla vicenda dellinvito a comparire per un interrogatorio, disposta dalla procura di Milano, nel momento in cui potesse esplicare i suoi maggiori effetti distruttivi e al tempo stesso ottenere il massimo effetto spettacolare, cioè proprio quando – 21 novembre 1994 – lOn. Berlusconi, anche allepoca Primo ministro, presiedeva a Napoli un importante vertice tra i Paesi dellOnu in tema di criminalità organizzata».

«Posto – prosegue Previti – che non vi era alcuna necessità giuridica di manifestare un simile atto, eventuale, e, quindi tranquillamente posticipabile a data diversa, la scelta comunicazionale di prediligere un palcoscenico mediatico di amplissima risonanza, quale quello di un importante vertice internazionale tra Capi di Governo, è stata evidentemente dettata da strategie di natura extraprocessuale, del tutto incompatibili con la normale conduzione di un processo».

«Non solo, ma lintera operazione è stata innescata grazie alla palese ed incontestabile violazione del segreto investigativo concernente la notizia delliscrizione del nominativo del Capo del Governo nel registro Generale delle notizie di reato, necessariamente trapelata dalla Procura della Repubblica di Milano, ufficio che custodiva e teneva tale registro».

«Eppure, proprio lanticipazione della notizia dellavvenuta iscrizione nel registro generale delle notizie del reato del nominativo dellOn. Berlusconi, fornita ad un giornalista del Corriere della Sera, che per scopo ebbe il premio di giornalista dellanno, aveva consentito di preparare il terreno allo spettacolare colpo di scena orchestrato dalla procura – la notifica dellavviso – che in questo modo riuscì ad assestare un colpo mortale al Governo in carica che poco dopo dovette dimettersi».

Stando a queste proposizioni, la procura e, quindi, Saverio Borrelli, che ne era il capo, ha spinto la propria contrapposizione politica nei confronti di Berlusconi, Presidente del Consiglio, sino a provocare, con atti spettacolari, la caduta del Governo da questi presieduto.

Non vè dubbio, dunque, che, secondo questa ricostruzione, il disegno politico di Borrelli fosse già chiarissimo nel novembre del 1994 e, conseguentemente, che già in quel momento, come, del resto, avrebbero confermato tutta una serie di dichiarazioni, di contenuto politico/giudiziario – citate puntualmente da Berlusconi nella propria richiesta – era già chiaramente in atto la grave situazione locale, la profonda anomalia territoriale richiesta dalla legge per la traslatio iudicii.

b – I comportamenti di Borrelli, così come vengono descritti nella richiesta di Previti, consentono di distinguere, per comodità, un «primo Borrelli, il Borrelli della notifica del 21 novembre 1994 e di tutta una serie di dichiarazioni che vanno dal novembre 1993 al settembre 1997, un secondo Borrelli, il Borrelli stratega, con la politicizzata magistratura milanese, della concertazione contra reum, di ciò che Previti, con questa espressione, definisce, a pag. 23 e ss.gg. come vera e propria strategia processuale in danno degli imputati, e un terzo Borrelli, il Borrelli, procuratore generale in quel momento, che ha chiuso la relazione per linaugurazione dellanno giudiziario 2002 con la ripetizione resistere, resistere, resistere, interpretata, nelle richieste, come un ulteriore atto politico.

c – Prima di vedere se in ciò che Borrelli ha detto o fatto, secondo quanto rappresentato dai richiedenti, possa ravvisarsi, come costoro ritengono, la grave situazione locale richiesta dalla legge per il trasferimento del processo, si deve ricordare la giurisprudenza di questa suprema corte sulla valutazione che, in sede di esame della richiesta di rimessione, deve essere fatta delle dichiarazioni o dei comportamenti del Pm.

La giurisprudenza, nel porre in evidenza in quali dati di fatto o situazioni non possa ravvisarsi la grave situazione locale, di cui allarticolo 45 Cpp, ha affermato, quanto ai comportamenti o alle dichiarazioni del Pm, che «la temuta parzialità dellufficio del Pm rimane estranea alle possibili turbative al corretto esercizio della giurisdizione, perché lorgano della pubblica accusa nel vigente sistema processuale riveste pur sempre la qualità di parte, con tutte le implicazioni che ciò comporta anche in ordine alle strategie processuali alle quali la sua condotta può essere preordinata, la quale non si sottrae, comunque, al controllo del giudice nel processo, sicché il suo eventuale accanimento nei confronti dellimputato non ha alcun rilievo».

Anche per Cassazione, 23 febbraio 1998, Berlusconi: «leventuale possibile condizionamento di natura psicologica del collegio giudicante nei confronti dei pubblici ministeri milanesi – anche in quella occasione il tema era pressoché lo stesso – non ha nulla a che fare con una diffusa situazione ambientale, capace di far venire meno le condizioni di tranquillità e di compostezza che debbono caratterizzare lo svolgimento di ogni processo».

«Lorientamento di questo supremo collegio è che gli atti e i comportamenti delle persone che partecipano al processo, essendo estranei alla situazione locale che larticolo 45 Cpp prende in considerazione, non possono integrare i presupposti richiesti perché possa disporsi la rimessione».

«Non è la prima volta – così ancora questa ordinanza – che questa corte ha ritenuto fuori luogo il richiamo ai presupposti dellarticolo 45 Cpp quando gli elementi addotti dal richiedente si indirizzino sui titolari degli uffici della procura della Repubblica».

«La qualità di parte, sia pure pubblica, del Pm è stata più volte affermata; ne deriva che la temuta parzialità del Pm, anche quando si manifesti in comportamenti ispirati a conflittualità preconcetta e abnorme, è destinata a rimanere estranea alle possibili turbative al corretto esercizio della giurisdizione» (negli stessi termini: Cass., 10 marzo 1997, Cirino Pomicino; 20 dicembre 1995, Vizzini; 20 settembre 1995, Craxi; 5 luglio 1995, Fiandrotti; 7 febbraio 1995, Sgarbi; 13 gennaio 1995, De Rosa; 13 ottobre 1994, Fabbri; 21 aprile 1994, Pahor).

d – Questa giurisprudenza può, in linea di massima, essere condivisa, non, però, sino ad escludere che mai gli atti e i comportamenti del pubblico ministero possano assumere caratteristiche tali da renderli incompatibili con lessere il pubblico ministero parte, sia pure ispirata a conflittualità preconcetta e abnorme.

Secondo queste Sezioni unite, quindi, la questione se gli atti e i comportamenti del pubblico ministero, quando censurabili, siano idonei a costituire presupposto per la rimessione del processo va risolta nel senso che «gli atti e i comportamenti del pubblico ministero, quando censurabili, sono idonei a costituire presupposto per la rimessione del processo a condizione che essi abbiano pregiudicato la libera determinazione delle persone che partecipano al processo, ovvero abbiano dato origine a motivi di legittimo sospetto».

Se, nel caso di specie, si accertasse che risponde al vero che la procura della Repubblica di Milano ha subito quella radicale trasformazione, la grave situazione locale sarebbe innegabile.

Se si accertasse, come scrive Previti nella prima pagina della richiesta, che «non è possibile in questa sede dare conto dellintero percorso che, nel corso di questo lungo periodo della storia giudiziaria del Paese, ha intrapreso il pool di Milano assurto al rango di organismo politico, in grado, in alcuni momenti drammatici, di condizionare le stesse Istituzioni repubblicane»; che «non è possibile indicare i numerosissimi deliranti proclami populisti e giustizialisti, veri e propri programmi politici, con i quali esponenti di questo gruppo di magistrati milanesi, hanno afflitto lintera Nazione che ha dovuto per anni sopportare straripamenti di potere, strappi alle regole, forzature, azioni mirate a tutela di alcuni e a danno di altri, violazioni sistematiche dei principi del giusto processo»; se tutto ciò venisse accertato come vero, se, soprattutto, venisse constatato il mutamento di natura della procura milanese da ufficio che esercita obbligatoriamente lazione penale a «organismo politico, non vi sarebbe alcun dubbio che ci si troverebbe dinanzi alla grave situazione locale che è il presupposto per la rimessione del processo».

Ma, ricordando quanto si è puntualizzato in ordine alla situazione locale/territoriale, questi atti e comportamenti del pubblico ministero, per rilevare ai fini della rimessione, debbono avere le caratteristiche di una grave situazione territoriale estranea alla dialettica processuale: solo questa estraneità, questo radicamento della grave situazione nellambiente esterno al processo, giustifica la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice inteso questo come lintero organo giudiziario della sede in cui si svolge il processo.

Ne consegue che, come accade per i provvedimenti endoprocessuali del giudice, le iniziative, le richieste, gli interventi, gli atti endoprocessuali del p.m. possono avere rilevanza ai fini della rimessione solo una volta accertata autonomamente la grave situazione locale, solo una volta accertata, per stare al caso di specie, la trasformazione del ruolo della procura o, al di fuori di caso in esame, solo una volta accertato un evento, in loco, sul territorio, altrettanto abnorme, al quale abbiamo dato causa comportamenti o atti del Pm.

Soltanto in questo caso gli atti e le iniziative endoprocessuali del Pm rilevano, per un verso avallando, confortando, la accertata sussistenza della grave situazione locale e, per altro verso, concorrendo, anchessi, a permettere di distinguere se la grave situazione locale sia tale da pregiudicare la libertà di determinazione delle parti o tale da determinare motivi di legittimo sospetto.

E Per quanto riguarda tutto ciò che Previti e Berlusconi affermano essere stato fatto o detto da Borrelli da quello che, per semplificare, si è chiamato il primo Borrelli, il Borrelli che va dal novembre 1993 al settembre 1997 non può non affermarsi che gli atti, i comportamenti, le iniziative di Borrelli, posti in essere in quel lasso di tempo, pur se censurabili o pur se non condivisibili, sono processualmente irrilevanti.

La giurisprudenza di questa Suprema, e la migliore dottrina, sono, invero, nel senso che «la grave situazione locale», coeva alla fase procedimentale o addirittura anteriore alla stessa, «non può avere alcuna incidenza processuale per la decisiva ragione che, in quel momento, il processo da, eventualmente, rimettere, da trasferire, non esiste ancora e, quindi, non può attribuirsi rilievo a situazioni, pur gravi, che, nel momento in cui sono sorte, non avevano possibilità di incidere in un processo, in quel momento, inesistente».

Ed è significativo che la giurisprudenza abbia affermato questo principio proprio in relazione allattività del pubblico ministero (cfr.: Cass., 13 ottobre 1997, Manganaro; 23 gennaio 1995, Di Rosa; 29 ottobre 1994 Cerciello).

E, in ordine allesame di quegli atteggiamenti od opinioni nella loro storicità, autorevoli voci della dottrina pongono in evidenza che, «in linea astratta, non può escludersi che, dopo linstaurazione del processo a seguito di esercizio dellazione penale, anche atti o fatti verificatisi nel corso delle indagini preliminari possano venire valutati nella loro dimensione storica, quali sintomi indiretti della grave situazione locale presupposta a fondamento della richiesta di rimessione».

Ciò sta a significare, evidentemente, che quegli atteggiamenti od opinioni, ai fini della rimessione, possono rilevare storicamente, possono essere, cioè, apprezzati come sintomo indiretto della grave situazione locale, se, nel momento del processo, la grave situazione locale si propone o si ripropone, perché, solo in questo caso, ci troveremmo dinanzi ad una grave situazione locale coeva al processo tale da poter incidere negativamente sulla imparzialità del giudice, situazione che potrebbe essere suffragata, avallata, dallessere stata, storicamente, preceduta da fatti della stessa specie o dello stesso genere o, comunque, da altri fatti, tutti sintomo indiretto di una grave situazione locale, con il limite, storico, di essere stati posti in essere in un momento in cui, per linesistenza del processo, erano assolutamente irrilevanti.

Le dichiarazioni e i comportamenti di Borrelli del primo Borrelli irrilevanti processualmente perché coevi, non al processo, ma alla fase delle indagini processuali o, in parte, addirittura precedenti, potrebbero valere, quindi, come sintomo indiretto della grave situazione locale se si accertasse che, dopo lesercizio dellazione penale, si è verificata una grave situazione, locale-territoriale, della stessa specie o genere o anche della stessa specie o dello stesso genere ad opera dello stesso Borrelli o di altri.

Ciò rinvia, ovviamente, al secondo e al terzo Borrelli e a quantaltro, nel territorio, si ritiene, dai richiedenti, essere segno di una grave situazione locale rilevante ai fini della rimessione e, anticipando le conclusioni, si vedrà che né il Borrelli delle concertazioni contra reum, né il Borrelli del resistere, resistere, resistere, né tutto il resto hanno le caratteristiche di quella grave situazione locale esistendo la quale è lecito valorizzare, ad avallo, dati del passato, dati che si collocano storicamente in un momento che li rende processualmente irrilevanti.

Ma, prima di chiudere con quello che le richieste autorizzano definire il primo Borrelli, è opportuno indugiare sullatto che, stando alla richiesta di Previti, appare latto della procura con maggiore valenza politica, quellatto, notificato a Berlusconi il 21 novembre 1994, che, secondo Previti, avrebbe avuto, tra laltro, leffetto, per le sue modalità, di assestare un colpo mortale al Governo in carica che poco dopo dovette dimettersi.

E, allora, deve ricordarsi che la notifica di questatto è stata posta da Berlusconi a fondamento di altra, precedente, richiesta di rimessione (Cass., 9 novembre 1995 Cerciello) e che la corte di cassazione, nella relativa ordinanza di rigetto, ha espresso su questa notifica un giudizio che queste Sezioni unite non possono non fare proprio data la impeccabilità dello stesso sotto ogni prospettabile profilo e data, dunque, limpossibilità di considerarlo come causa o, per lo meno, come una delle cause delle dimissioni del Governo di Berlusconi, dimissioni, peraltro, che vengono ricondotte a questatto apoditticamente, senza lindicazione di alcun pur possibile riscontro.

«Deve preliminarmente osservarsi così la corte di cassazione che non trattasi di un atto arbitrario o illegittimo, perché larticolo 369 Cpp non pone al pubblico ministero altro limite oltre quello della tempestività dellinformazione, rispetto al compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto ad assistere».

«Indubbiamente, però, la scelta del momento in cui effettuare quella comunicazione, coincidente con lassunzione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri di un incarico così rappresentativo a livello internazionale, può offrire materia di attenta riflessione quanto ai criteri di opportunità che possono averla giustificata; ma, altrettanto incontestabile è che le cautele assunte dalla procura di Milano non riuscirono nellintento che la loro adozione avrebbe dovuto assicurare: il pubblico ministero non si avvalse della facoltà prevista dal primo comma dellarticolo 369 Cpp, ma utilizzò la polizia giudiziaria, in virtù dei poteri conferitigli dallarticolo 151 dello stesso codice e, ciò nonostante, la notizia pervenne alla stampa con solerte tempestività e fu da questa immediatamente pubblicata».

«Tutto ciò premesso, non può, però, non rilevarsi che quellinformazione di garanzia rientrava nella funzionale competenza del pubblico ministero ad essa ha ormai esaurito i suoi effetti nella fase delle indagini preliminari; la scelta della sua adozione non è certamente ricollegabile ad una anomala grave situazione ambientale e neppure è estranea alla dinamica fisiologica di un rapporto processuale» (Cass., 9 novembre 1995, Cerciello).

II Nel paragrafo «concertazione contra reum» della sua richiesta, Previti, per dimostrare la propria tesi sulle ricorrenti riunioni, tra i magistrati milanesi, giudici e pubblici ministeri, indette per studiare la strategia processuale da adottare contro gli imputati, in particolare contro lo stesso Previti e Berlusconi, elenca una serie di date in cui quelle riunioni sarebbero avvenute anche alla presenza di persone, come il dr. Giancarlo Caselli, che con gli uffici milanesi non avevano nulla a che vedere.

Uno dei protagonisti, se non il protagonista, di queste riunioni sarebbe stato, ancora una volta, Borrelli e ciò perché queste riunioni si sarebbero tenute, secondo Previti, poco prima della approvazione, da parte del Parlamento, della legge 367/01 in tema di rogatorie internazionali, o poco dopo, legge alla cui neutralizzazione Borrelli era interessato, secondo quanto lo stesso Borrelli avrebbe detto in una occasione citata sia nella richiesta di Previti, sia in quella di Berlusconi.

Quelle riunioni hanno sortito leffetto di individuare, secondo Previti, una linea di interpretazione della legge che ha dato vita ad una serie di decisioni totalmente illegittime perché al di fuori dei limiti delle competenze funzionali del giudice dibattimentale: le sezioni I, II IV del tribunale si rileva hanno adottato, tutte, questa linea interpretativa.

Il decisivo protagonismo di Borrelli, al riguardo, è posto in risalto, come si è appena detto, anche nella richiesta di Berlusconi, nella quale, dopo essersi ricordato che, stando al quotidiano «La Repubblica» del 5 ottobre 2001, Borrelli si era espresso, sulla legge in questione, affermando che «lo sforzo della magistratura sarà quello di neutralizzare sul piano interpretativo i guasti peggiori che dalla legge sulle rogatorie possono nascere», si legge, a pag. 35, che «ecco, quindi, come la uniformità delle decisioni del tribunale di Milano sembra direttamente conseguenza al proclama di Borrelli».

Borrelli, dunque, secondo le richieste, nel settembre, ottobre, 2001 ha avuto un ruolo fondamentale nella concertazione contra reum, la quale ha avuto come culmine la interpretazione della legge sulle rogatorie adottata poi dai collegi.

Borrelli, secondo queste ricostruzioni, ha avuto, nella concertazione contra reum, quello stesso ruolo fondamentale che aveva avuto dal novembre 1993 al settembre 1997.

A Questa la tesi e quelle che seguono le date in cui le riunioni, con quei fini, si sarebbero verificate.

«Alla fine settembre 2001 così la richiesta di Previti a pag. 25 i Pm di Milano hanno tenuto unassemblea di tre giorni per elaborare un documento comune di attacco al Governo Berlusconi e Borrelli è intervenuto personalmente suggerendo di non citare i processi di Berlusconi e di limitarsi a critiche tecniche e generali».

«Questo episodio dimostra, prosegue Previti, che:

– in questo periodo sono avvenute riunioni anomale di tipo assembleare tra magistrati milanesi a sfondo parapolitico o metagiudiziario, fatto avvenuto esclusivamente nella sede giudiziaria milanese;

– lintento di Borrelli e di DAmbrosio è stato quello di evitare che si scoprisse il vero oggetto delle discussioni e degli interventi, mediante una criptazione con riferimenti a tematiche generali e di pura facciata.;

– se Borrelli ha sentito lesigenza di suggerire di non citare i processi di Berlusconi e Previti, ciò significa che, accordi, incontri, intese, concertazione, o discussioni aventi tale oggetto dovevano già essere avvenuti o in quello stesso contesto o prima, in altre occasioni».

«In un articolo del 5 ottobre 2001 sul Corriere della Sera viene data notizia di unassemblea tenuta nella procura di Milano avente ad oggetto iniziative di tipo paragiudiziaria e la fissazione di unulteriore assemblea, nella quale si sarebbero riuniti tutti i magistrati, da tenere il successivo 13 ottobre, di analogo stampo paragiudiziario».

«Il Giornale e La Repubblica del 3 ottobre 2001 danno notizia di unaltra riunione del giorno precedente tra magistrati quindi anche giudicanti alla quale hanno partecipato Borrelli e DAmbrosio con lintervento del dottor Caselli avente ad oggetto il modo di eludere sul piano interpretativo a legge sulle rogatorie».

IV «Nuova riunione di sostituti di Milano del 4 ottobre 2001 nel corso della quale Borrelli e DAmbrosio hanno strappato applausi».

È nel corso di questa riunione che Borrelli si sarebbe espresso dicendo che «lo sforzo della magistratura sarà quello di neutralizzare sul piano interpretativo i guasti peggiori che dalla legge sulle rogatorie possono nascere».

«Altra riunione e/o assemblea plenaria del 30 ottobre 2001, alla quale hanno partecipato più di 200 Pm e giudici milanesi riuniti in assemblea straordinaria, con lo scopo di difendere la magistratura dagli attacchi quotidiani del potere politico: loggetto generico e criptato lascia, però, trasparire, sia lanomalia delle riunioni tra giudici e p.m., sia che, certamente, allordine del giorno dei lavori assembleari, vi fossero le strategie interpretative da adottare nei processi nei confronti di Berlusconi e Previti».

Ulteriore riunione assembleare del giorno 29 novembre 2001, alla quale hanno partecipato, oltre che giudici e Pm, anche i soliti Borrelli e DAmbrosio e i giudici dei processi nei confronti di Berlusconi e Previti.

Può subito porsi in evidenza rispetto a tutto ciò e sullargomento si tornerà in seguito che la tesi della strategia processuale contro gli imputati, della concertazione contra reum, dimostra tutta la sua fragilità, si potrebbe dire tutta la sua inconsistenza, proprio dinanzi alle ordinanze sulle rogatorie emesse dai due tribunali, ordinanze le cui motivazioni, le cui ragioni, hanno trovato lavallo di autorevoli voci della dottrina e sono simili a quelle poste a fondamento delle loro ordinanze da pressoché tutti i giudici che si sono interessati della questione e simili, inoltre, a quelle addotte dalla Corte di cassazione in una recente sentenza, come ha ricordato la IV sezione del tribunale nelle sue osservazioni.

b Per, saggiare, al di là delle ordinanze sulle rogatorie, la fondatezza della tesi della concertazione contra reum e dellulteriore, negativo, ruolo di Borrelli, deve riflettersi, per un verso, sui documentati rilievi che si leggono, rispetto alle date elencate da Previti e alle corrispondenti riunioni, nella memoria dei pubblici ministeri, e, per altro verso, sulla risposta che, a quei rilievi, viene data in una memoria di Previti.

I «Previti osserva la memoria dei pubblici ministeri vita unassemblea di tre giorni tenuta dallufficio del pubblico ministero a fine settembre per elaborare un documento comune di attacco al governo Berlusconi; unassemblea pare del 4 ottobre resocontata dal Corriere della Sera del 5 ottobre, sempre della procura di Milano, avente ad oggetto iniziative di tipo paragiudiziario; una nuova riunione il 4 ottobre dei pubblici ministeri».

«In effetti si dice in questa memoria tutte queste riunioni sono consistite in incontri degli appartenenti allufficio del pubblico ministero,  a cavallo tra la fine di settembre e linizio di ottobre, e il loro esito è costituito dalla lettera che il procuratore generale e il procuratore della Repubblica hanno inviato al Csm il 5 ottobre 2001; come può testimoniare la missiva, loggetto delle riunioni, alle quali non ha mai partecipato nemmeno un giudice, non consisteva nella elaborazione di un documento di attacco al Governo Berlusconi».

A questo rilievo è allegato un documento, in data 5 ottobre 2001, i cui passi salienti sono i seguenti:

«Nel corso del dibattito parlamentare intorno al disegno di legge che ratifica lAccordo italo-svizzero sulle commissioni rogatorie e di modifica di alcuni articoli del codice di procedura penale, in particolare nella fase svoltasi al Senato della Repubblica e a margine della stessa, alcuni parlamentari hanno vantato fra i pregi della novella quello di impedire lutilizzazione di prove false nella prOnuncia di sentenze di condanna, apertamente sebbene genericamente riferendosi a condanne del passato e a procedimenti in atto».

«Si è trattato di asserzioni del tutto estranee alleconomia delle argomentazioni escogitabili a sostegno di un provvedimento peraltro criticabile e di fatto criticato ampiamente da giuristi e magistrati italiani e stranieri anche, ma non soltanto, per la norma transitoria retroattiva che lo correda».

«Esse sono state recepite dai magistrati della procura della Repubblica presso il tribunale ordinario di Milano come calunniosamente offensive per un gran numero di loro, oltre che di collegi giudicanti, per listituzione giudiziaria, per le Autorità giudiziarie e politiche dei Paesi stranieri coinvolte paradossalmente nel sospetto di falsificazione».

«In nessuno dei casi, ai quali le impudenti dichiarazioni intendono riferirsi, erano state finora sollevate in sede processuale questioni di in autenticità di documenti, ottenuti attraverso procedure rogatoriali in cui già nelle fasi estere le parti private avevano avuto ampia possibilità di dispiegare le proprie difese, ma non vè dubbio che tali prese di posizione abbiano recato oggettivamente un danno gravissimo alla credibilità di singoli magistrati, di interi uffici anzitutto quelli milanesi e dellamministrazione della Giustizia&».

«Linquietudine provata nelle file dei pubblici ministeri, non soltanto a Milano, rischia di esplodere in manifestazioni di protesta che, condivisibili o meno nella forma, sarebbero pienamente giustificate dallimperativo di difendere una dignità personale e professionale che non deve poter essere impunemente calpestata».

«Nella vesti di procuratore della Repubblica in carica e di procuratore generale della Repubblica di Milano chiediamo formalmente con questa lettera al Consiglio superiore della magistratura, tutore supremo dellindipendenza dellOrdine giudiziario, di voler assumere ogni consentita iniziativa per stigmatizzare pubblicamente la incivile, inammissibile violazione di principi di verità e di rispetto istituzionale, commessa in sede politica ai danni della magistratura per finalità di evidente ricaduta su procedimenti in corso & confidiamo che lOrgano di autogoverno voglia altresì accordare tutela delle persone, che sono state ingiustamente ferite in occasione e a causa del compimento del loro dovere».

Come può notarsi, quelle riunioni hanno avuto un determinato scopo, esposto chiaramente nel documento, e il contenuto di questultimo non è davvero interpretabile come attacco al Governo Berlusconi, ma, semplicemente, come richiesta, legittima, di tutela rivolta al Csm che ne era il destinatario.

Nella memoria di Previti si legge che «la lettera al Csm conferma i pericoli per lordine pubblico essendovi laccenno espresso a manifestazioni dei Pm di Milano».

Si può osservare, in primo luogo, che lespressione manifestazioni di protesta non significa, evidentemente, manifestazioni turbative dellordine pubblico, ma indica attività dirette a richiamare lattenzione della opinione pubblica su una motivazione offensiva addotta a giustificazione di una legge che aveva incontrato numerose, consistenti obiezioni.

Si può rilevare, inoltre, che la correttezza dei pubblici ministeri, che si ritenevano offesi dalle dichiarazioni citate nel documento, stava proprio nel chiedere lintervento del Csm anche per impedire quelle manifestazioni.

Previti aggiunge che «il sospetto circa la possibile inautenticità di documenti che sarebbe alla base della legge sulle rogatorie, non riguarda, certo, come si allude insidiosamente nella citata lettera al Csm, la condotta delle autorità straniere che invierebbero atti falsi, quanto piuttosto il rischio che nei procedimenti italiani, per le più varie ragioni, compresa, ad es., lerrata o la parziale fotocopiatura di atti, possano avere ingresso, come prove, documenti privi di garanzie di autenticità e, quindi, palesemente inattendibili».

Ebbene, i pubblici ministeri, in quel documento, non hanno affatto dubitato che i documenti, nel processo, debbono essere autentici o immuni da falsità, ma si sono sentiti offesi proprio perché alcuni parlamentari, secondo loro, avevano vantato, tra i pregi della novella, quello di impedire lutilizzazione di prove false, quasi che i magistrati milanesi i quali nel documento pongono in evidenza che i parlamentari si erano riferiti apertamente, sebbene genericamente, a condanne del passato e a procedimenti in atto avessero fatto uso di rogatorie false.

Secondo quei magistrati, infatti, quelle dichiarazioni erano state fatte a margine della discussione, al Senato, della legge sulle commissioni rogatorie.

E questa legge riguarda, oltre che la ratifica dellAccordo tra Italia e Svizzera del 10 settembre 1998, in tema di assistenza giudiziaria, soltanto le norme sulle rogatorie, come si evince con chiarezza dal relativo testo, le cui modifiche concernono esclusivamente determinati articoli del libro undicesimo il quale detta la disciplina dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere del codice di rito e, in particolare, larticolo 606, primo articolo del titolo I, e alcuni articoli del titolo III, capi I e II, che regolano le rogatorie dallestero e allestero.

Non vè alcun dubbio, quindi, che il tema che ha determinato la reazione dei magistrati del p.m. milanesi era il tema delluso di rogatorie false e non il tema, in genere, della falsità.

Ma, a prescindere da tutto ciò, il documento, discusso in quelle riunioni, non è stato, di certo, come si diceva, un attacco al Governo Berlusconi, sicché Borrelli, in questa riunione, lungi dallessere stato il suggeritore di uno scritto di attacco al Governo, è stato, se mai, il suggeritore di un documento istituzionalmente irreprensibile.

«Previti – continua la memoria si è tenuto un incontro avente ad oggetto lillustrazione del servizio che Pro Eurojust, organo dellUnione europea, può rendere alle Ag nazionali in tema di coordinamento delle indagini transnazionali, con riferimento alla circolare ministeriale 207631/2000/01».

«Lincontro è stato proposto dal dottor Caselli, unico membro italiano di Pro Eurojust, con missiva data 26 settembre 2001; a tale riunione hanno partecipato, oltre Caselli, esclusivamente appartenenti alla magistratura requirente e in nessun modo sono stati trattati i problemi di interpretazioni ed applicazioni della legge 367/01».

Alla memoria sono allegati tre documenti.

Il primo è il testo di un fax del 26 settembre 2001, indirizzato dal dottor Caselli, nella sua qualità di membro di Pro Eurojust, al procuratore generale dott. Saverio Borrelli, nel quale il primo esprime il desiderio di incontrare i magistrati della procura per illustrare il servizio che Pro Eurojust poteva rendere in tema di coordinamento delle indagini transnazionali e nel quale propone, come data di incontro, quella del 2 ottobre 2001, nelle ore pomeridiane, aggiungendo di avere indirizzato la stessa nota anche al procuratore della Repubblica presso il tribunale.

Il secondo è una nota del giorno successivo del 27 settembre con la quale Borrelli porta a conoscenza dei magistrati della procura generale la nota di Caselli invitandoli ad intervenire allincontro sottolineando che era importante «familiarizzare con le prospettive europee della giustizia penale sostanziale e processuale, prendere cognizione dei nuovi strumenti che si profilano allorizzonte, confidare nella possibilità di migliorarli».

Il terzo è lelenco dei magistrati cui era indirizzata la nota.

Questi documenti escludono nel modo più assoluto non sembra possano esservi dubbi che lintervento del dottor Caselli avesse ad oggetto, come si dice nella richiesta di Previti, «il modo di eludere sul piano interpretativo la legge sulle rogatorie».

Previti, nella memoria, così replica:

«Non si comprende perché sia stata scelta proprio la sede di Milano per una riunione che sarebbe dovuta avvenire anche in altre sedi giudiziarie, persino più importanti di Milano».

«Non è chiaro perché loggetto della riunione che avrebbe dovuto essere Eurojust è divenuto invece la legge sulle rogatorie».

«Sembrerebbe che a tali riunioni abbiano partecipato anche altri magistrati rispetto a quelli indicati».

«In tale riunione, stando almeno ai resoconti giornalistici, il procuratore Borrelli ha annunciato, la disapplicazione generalizzata della legge sulle rogatorie».

«Infine, questa riunione è avvenuta al di fuori di quelle programmate».

Ma è facile osservare che il dottor Caselli poteva, evidentemente, scegliere liberamente da quale procura cominciare quegli incontri, né è dimostrato che si sia parlato di espedienti diretti a non osservare le nuove disposizioni sulle rogatorie.

Va altresì osservato che i magistrati del pubblico ministero, dopo aver negato che in quellincontro si fosse parlato della legge sulle rogatorie, subito dopo danno una notizia che neppure Previti ha dato: informano, infatti, dicendo che il 29 ottobre 2001 si era tenuto un incontro, lunico, riguardante la legge sulle rogatorie, organizzato dallUfficio dei referenti per la formazione decentrata dei magistrati promossa dal Csm, allegando la relativa documentazione.

Lonestà intellettuale che i magistrati del Pm, autori della memoria, hanno dimostrato nel dare questa notizia non può non essere apprezzata, e ciò li rende credibili anche quando affermano, nonostante i resoconti giornalistici, che in quella riunione non si era parlato della legge sulle rogatorie, così come sono risultati documentalmente credibili quando hanno negato che nella riunione del 4 ottobre si fosse redatto un documento di attacco al Governo Berlusconi.

Quanto, poi, ai magistrati che hanno partecipato alla riunione, risulta dalla stessa nota del dottor Caselli che erano stati invitati anche i magistrati della procura della Repubblica; si spiega, quindi, perché non abbiano partecipato soltanto i magistrati della procura generale elencati in uno dei tre citati documenti.

c Dalla documentazione relativa allincontro di studio che ha avuto come oggetto la legge sulle rogatorie risulta che, per il 29 ottobre 2001, è stato programmato un incontro «per studiare le innovazioni introdotte dalla legge 5 ottobre 2001 in tema di rogatorie internazionali», così come risulta che quellincontro è stato uno dei sette di pronto intervento sulle novelle legislative svoltisi dal 7 maggio al 29 ottobre 2001, tutti comunicati, come documentato, al Csm.

Previti nella memoria oppone che:

– «non risulta dalla stessa lettera prodotta che simili interventi siano stati adottati per tutte le leggi di nuova entrata in vigore»;

– «non risulta quali siano gli intervalli temporali tra le riunioni di pronto intervento e quelli analoghi per altre leggi, né se tutte queste abbiano effettivamente avuto luogo, mentre, in compenso, la riunione sulla legge 367/01 è stata estesa a tutti i magistrati del distretto»;

– «vè, dunque, la prova della riunione tra giudici e Pm nel corso della quale il procuratore Borrelli ha impartito la direttiva della disapplicazione della legge prontamente e fedelmente attuata nei processi in corso e, in ogni caso, un incontro di studio su una legge non può essere trasformato in una riunione il cui tema sia la disapplicazione della stessa»;

– «nellelenco delle riunioni decentrate manca proprio la riunione sulle rogatorie con il dottor Caselli e il Procuratore Borrelli»;

– «La convocazione per la riunione del 29 ottobre 2001, che non risulta firmata, è avvenuta dopo pochi giorni dallapprovazione della legge e nel corso di tale riunione è stato programmato lintervento della dottoressa Boccassini e del dottor Navigo, attualmente giudice della corte di appello di Milano e, allepoca in cui sono iniziati i procedimenti oggetto della richiesta di rimessione, sostituto procuratore del tribunale di Milano, esponente di punta del c.d. pool di mani pulite».

Queste proposizioni si prestano ai seguenti rilievi.

È certo che gli incontri di pronto intervento hanno avuto ad oggetto tutte le novelle legislative intervenute nel 2001: lo si legge nel fax indirizzato dalla dottoressa Daniela Borgonovo, dellUfficio referenti per la formazione decentrata del distretto di Milano, alla dottoressa Ferranti del Csm, fax nel quale si dice anche che «il seminario sulla legge in tema di rogatorie internazionali si inserisce nelle iniziative di pronto intervento che abbiamo svolto con riferimento a tutte le novelle legislative intervenute negli ultimi tempi».

La documentazione allegata dai pubblici ministeri permette anche di accertare, per quel che può interessare, quali siano stati gli intervalli temporali tra le riunioni di pronto intervento e quelli analoghi per altre leggi.

Se i sette incontri di pronto intervento erano stati fissati per il 7 maggio, il 7 giugno, il 19 giugno, il 28 giugno, l11 ottobre, la programmazione degli incontri non di pronto intervento risulta sia dal documento calendario, sia dal documento elenco incontri in materia penale, documenti nei quali si legge che per i mesi di maggio-giugno 2001 era previsto un corso sui temi della contabilità e bilanci delle imprese, per il 24 novembre un incontro sui tribunale di sorveglianza tra vecchie e nuove prospettive, per il 13 novembre un incontro sullimmigrazione clandestina e per il 13 dicembre un incontro sullesecuzione penale, oltre una serie, numerosa, di incontri destinati alla magistratura onoraria.

Certo, dunque, che tutti gli incontri di pronto intervento hanno avuto luogo, non vi sono ragioni e non ne vengono indicate per mettere in dubbio che gli incontri non di pronto intervento non siano stati tenuti.

È vero che allincontro per lesame della legge sulle rogatorie sono stati invitati tutti i magistrati del distretto, giudici e pubblici ministeri.

Ma, è proprio la documentazione offerta dai pubblici ministeri che consente di affermare che linvito a tutti i magistrati del distretto è stata una costante in tutti gli incontri di pronto intervento.

È scritto nei fax della dottoressa Borgonovo al Csm «ogni seminario è organizzato mediante avviso spedito a tutti i magistrati del distretto» e in tutte le lettere per gli altri incontri, fossero o non fossero di pronto intervento.

A questo punto laffermazione di Previti che, «dunque, vè la prova della riunione tra giudici e Pm nel corso della quale il procuratore Borrelli ha impartito la direttiva della disapplicazione della legge» è una affermazione senza alcun fondamento in fatto e anche lontana dalla logica comune, perché, sul piano squisitamente logico, dallessere, quellincontro, un incontro di studio sulla legge sulle rogatorie non ne consegue, quasi si trattasse di una conseguenza logicamente necessaria, deduttiva, già tutta nelle premesse, lessersi trasformato nella sede in cui Borrelli ha impartito direttive per la disapplicazione della legge sulle rogatorie.

Che, poi, nellelenco delle riunioni decentrate manchi la riunione con Caselli e Borrelli dipende esclusivamente dal fatto, documentalmente certo, che questultima riunione non è stata programmata od organizzata dallUfficio dei referenti per la formazione decentrata, ma si è tenuta su iniziativa di Caselli, come si è già visto.

Si spiega, inoltre, agevolmente perché la riunione del 29 ottobre sia stata tenuta dopo pochi giorni dallapprovazione della legge.

La legge è stata approvata il 5 ottobre 2001, sarebbe dovuta entrare in vigore, come dispone larticolo 20 della stessa, il giorno successivo a quello della pubblicazione; la pubblicazione è avvenuta l8 ottobre 2001 e larticolo 18 dispone che «quando gli atti sono già stati acquisiti al fascicolo del dibattimento, in ogni stato e grado del giudizio leventuale causa di nullità o di inutilizzabilità deve essere rilevata dal giudice o eccepita entro la prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della legge».

I magistrati del distretto di Milano, impegnati in processi con rogatorie, avevano, quindi, ben poco tempo a loro disposizione per studiare la legge, sicché non meraviglia se lUfficio dei referenti, il quale non può non venire incontro, nei limiti del possibile, alle esigenze professionali dei magistrati, si sia premurato di programmare un incontro, per tutti i magistrati del distretto, a breve termine.

d «Previti dice la memoria dei pubblici ministeri cita unaltra assemblea, sempre per iniziative paragiudiziarie, tra giudici e pubblici ministeri, annunciata in un articolo del Corriere della Sera del 5 ottobre per il successivo giorno 13: non risulta affatto che il 13 ottobre si sia svolta a Milano alcuna assemblea, mentre in tale data, a Roma, si è svolto un Comitato direttivo centrale dellAssociazione nazionale magistrati».

Previti oppone che, «nel documento allegato n. 6 alle osservazioni anomale del Pm, che riporta il verbale delle riunioni del Comitato direttivo centrale del 13 e 14 ottobre 2001, sono presenti addirittura degli omissis, come se, né le parti, né la stessa Corte di cassazione, possano avere accesso al contenuto completo del verbale, onde verificare le modalità, i contenuti, i toni e ogni altra circostanza rilevante delle citate riunioni».

Può replicarsi che è certo, anzitutto, – e la circostanza non è, oggettivamente, a favore di chi è sicuro dei tempi e dei modi della concertazione contra reum che il 13 ottobre non vè stata alcuna riunione di giudici e magistrati milanesi per iniziative paragiudiziarie, ma soltanto una riunione del Comitato direttivo centrale dellAnm, ed è anche certo che lordine del giorno allegato alla memoria dei pubblici ministeri non consente di sapere quale sia stato lordine del giorno di quella riunione.

Ma, al di là del rilievo che il Comitato direttivo centrale dellAnm non aveva ricevuto alcun ordine di svelare lordine del giorno, vè, allegata a questordine del giorno, con lindicazione omissis, una copia del Corriere della Sera del 15 ottobre 2001, che riporta, tra virgolette, il testo del documento approvato in quella sede.

In questo testo non si parla affatto della legge sulle rogatorie se non in relazione ad un documento dellufficio legislativo del ministero della Giustizia, critico nei confronti, non della legge, ma del disegno di legge sulle rogatorie e riservato al Ministro, documento che sarebbe uscito dal ministero determinando, secondo quanto si legge nel quotidiano, la reazione del ministro, il quale avrebbe indicato come «responsabili un gruppo di magistrati».

e «Previti prosegue la memoria dei pubblici ministeri riferisce, poi, di unaltra riunione o assemblea plenaria in data 30 ottobre tra giudici e pubblici ministeri con oggetto specifico e criptato che lasciava, però, trasparire come allordine del giorno vi fossero le strategie interpretativo da adottare nei confronti di lui e di Berlusconi».

«Ancora una volta questo il commento viene riferito un fatto in modo distorto e allusivo di scorrettezze commesse dagli uffici giudiziari milanesi; in realtà il 30 ottobre si è svolta nellaula magna del tribunale di Milano unassemblea pubblica dellAssociazione nazionale magistrati alla quale è intervenuto anche il presidente Gennaro e il contenuto di tale assemblea risulta dalla copia dellarticolo allegato».

Previti, nella sua memoria, nulla replica sul punto.

È, peraltro, sufficiente scorrere la copia del quotidiano La Stampa del 31 ottobre 2001, allegata alla memoria, per cogliere che in quellassemblea si è parlato, alla presenza del presente dellAssociazione nazionale magistrati, dei problemi che la magistratura sentiva, in quel momento, a torto o a ragione, come suoi problemi; ma, nulla permette di dire che, come si legge nella memoria di Previti, «certamente allordine del giorno dei lavori assembleari verano le strategie interpretative da adottare nei processi nei confronti dei Berlusconi e di Previti».

Vè, sì, in questo resoconto giornalistico, un cenno alla legge sulle rogatorie, ma solo per sottolineare che in quella assemblea si era parlato anche di «annunciate ispezioni del ministro Castelli ai magistrati che non avessero applicato, stravolgendola, la legge sulle rogatorie», il che, ancora una volta, non significa minimamente che «allordine del giorno dei lavori vi fossero le strategie interpretative da adottare nei confronti di Berlusconi e Previti».

f «Sicuramente continua la memoria la rappresentazione più grave che viene descritta dallimputato Previti nella richiesta di rimessione è quella che si legge a pagina 29: ulteriore riunione assembleare del giorno 29 novembre 2001 alla quale hanno partecipato oltre che giudici e Pm, anche i soliti Borrelli e DAmbrosio ed i giudici dei processi nei confronti di Berlusconi e Previti».

«Tali affermazioni dicono i pubblici ministeri sono gravemente calunniose e completamente false ed è singolare che Previti, per dimostrare il verificarsi e il contenuto dellassemblea, abbia allegato un articolo di stampa che dà conto di altri fatti verificatisi addirittura il 29 settembre 2001».

«In realtà il 29 novembre si è svolta in tutta Italia unastensione simbolica dal lavoro da parte dei magistrati, consistita nellinterrompere lattività per quindici minuti, riunirsi in assemblea, dare lettura di un comunicato, uguale per tutte le sedi dItalia, stilato dallAssociazione nazionale magistrati».

«La manifestazione è avvenuta contemporaneamente, e con le stesse modalità, in tutta Italia, con grande partecipazione dei magistrati (secondo il Corriere della Sera,

«a Roma nove magistrati su dieci hanno aderito alliniziativa»)».

Alla memoria sono allegati tre scritti, il primo dei quali è una comunicazione della sezione distrettuale di Milano dellAssociazione nazionale magistrati indirizzato a tutti i colleghi del Distretto.

Il contenuto di questa comunicazione viene riportato perché Previti nella memoria vi fa riferimento è il seguente:

«Come è noto la giunta esecutiva centrale della Anm, in applicazione del deliberato della assemblea del 10 novembre u.s., ha indicato, come prima delle forme di agitazione, quella della sospensione simbolica dalle attività il giorno 29 p.v.».

«I componenti della giunta distrettuale hanno, concordemente, convenuto:

– di effettuare la sospensione per 15 minuti, dalle ore 12, con conseguente riunione di tutti i magistrati nellaula magna dove verrà data lettura del documento predisposto dalla Anm e successiva ripresa delle normali attività;

– di invitare tutti i magistrati ad apporre sulla porta dei propri uffici il comunicato relativo alla sospensione;

– di indire lassemblea aperta alla stampa, allavvocatura e al pubblico.

Occorre sottolineare che è importante che partecipi il maggior numero di magistrati al fine di dare risalto alla iniziativa e dimostrare la compattezza della categoria».

Il comunicato, di cui si parla in questo scritto, diceva che «si comunica che lattività giudiziaria sarà sospesa dalle ore 12 alle ore 12,15 del giorno 29 novembre 2001 in applicazione della delibera del Comitato direttivo centrale della Associazione nazionale magistrati che ha indetto una simbolica manifestazione per rendere pubblica la situazione di disagio in cui la magistratura opera in conseguenza di scelte legislative e di politica giudiziaria nonché per gli attacchi umilianti diretti contro i singoli ed offensivi per lintero ordine giudiziario».

Previti, nella memoria, così risponde:

Il documento, prodotto in all. 8 alle osservazioni del Pm, dellAssociazione dei magistrati di Milano è agghiacciante: si invita esplicitamente alla manifestazione di massa e compatta di tutti i colleghi del distretto, alla propalazione alla stampa e alla partecipazione di tutti i magistrati, che sono invitati: «ad apporre sulla porta dei propri uffici il comunicato relativo alla sospensione (nel quale, a carattere cubitali, si parla espressamente di una manifestazione organizzata per rendere pubblica la situazione di disagio in cui la magistratura opera in conseguenza di scelte legislative e di politica giudiziaria nonché per gli attacchi umilianti diretti contro singoli ed offensivi per lintero ordine giudiziario) e ad «indire lassemblea aperta alla stampa, allavvocatura e al pubblico».

«In conclusione del volantino si sottolinea che: è importante che partecipi il maggior numero di magistrati al fine di dare risalto alla iniziativa e dimostrare la compattezza della categoria».

Non sembra si presti ad essere definita agghiacciante una manifestazione indetta da una organizzazione professionale solo perché, lorganizzazione, credendo nelle proprie iniziative, chiede agli iscritti di partecipare alla manifestazione, o assemblea, in modo massiccio.

È, inoltre, proprio di queste organizzazioni è norma di comune esperienza fare in modo che la notizia e le ragione della propria iniziativa raggiungano i mezzi di comunicazione.

È proprio, poi, di ogni organizzazione ritenere, a ragione o a torto, di dovere esprimere il proprio disagio in occasione di determinate scelte legislative e a questa regola non sfugge la magistratura associata che, in quel momento, poteva essere convinta, e si può discutere, di nuovo, se a ragiono o a torto, che determinate scelte legislative o di politica giudiziaria fossero fonte di disagio e che vi fossero stati attacchi umilianti diretti contro i singoli ed offensivi per lordine giudiziario.

È superfluo, inoltre, notare che laffissione del comunicato sulle porte degli uffici costituiva anche notizia della sospensione del lavoro, con la indicazione delle ragioni, per coloro che si fossero dovuti recare, in quei quindici minuti, dal magistrato.

Se questi rilievi hanno una loro ragionevolezza e la hanno non può certo affermarsi, come si afferma, concludendo, nella memoria di Previti, che lavere indetto lAssociazione nazionale magistrati una assemblea, contenuta nel tempo, per determinate, anche se non da tutti condivisibili, ragioni, lessere stati invitati allassemblea tutti i magistrati del distretto di Milano, lessere stati invitati i magistrati ad apporre sulla porta un certo avviso e ad aprire lassemblea alla stampa, significhi totale conferma di quanto denunciato in sede di richiesta di rimessione e il pieno riscontro degli elementi di prova allegati a sostegno della stessa.

Che una manifestazione sindacale indetta, in quel momento, con la stesse modalità, con lo stesso contenuto, in tutto il Paese il che già farebbe escludere essersi trattato di una situazione di carattere locale «confermi quanto denunciato in sede di richiesta di rimessione» nel senso che Previti dà a questa affermazione, è tesi ictu oculi insostenibile.

Se nelle richiesta di rimessione il punto nodale, lepicentro della grave situazione locale, è la trasformazione della Procura, da parte di Borrelli, in organismo politico, come sostiene Previti sin dalla prima pagina della sua richiesta; e se una delle prove di questa trasformazione, la prova principe, è la concertazione contra reum culminata nelle ordinanze sulle rogatorie, appare, veramente, logicamente impossibile un raccordo tra una legittima manifestazione professionale sindacale e quel retroterra, non potendo avere quella manifestazione, proprio per il suo carattere nazionale, alcun collegamento con una grave situazione locale che, secondo i richiedenti, è fatta di prevaricazioni, di abusi, di iniziative, non poche delle quali, così come descritte e ritenute, ben oltre la legalità.

g Concludendo sul punto, non può non affermarsi che, sinora, la prova della concertazione contra reum è completamente mancata; è completamente mancata la prova che Borrelli abbia creato una grave situazione locale ergendosi a stratega di un progetto di attacco, sul piano processuale, contro gli imputati che avrebbe raggiunto il vertice nelle ordinanze sulle rogatorie.

Si sono esaminate le contrapposte ragioni e si è visto che non una soltanto delle affermazioni di Previti su questa concertazione contra reum ha retto ad un necessariamente severo, ma sereno, vaglio critico.

III E la riprova di tutto ciò, della inesistenza della concertazione contra reum è offerta, come si è già avuto occasione di dire, proprio da quello che, nella logica delle richieste, costituirebbe, insieme, la prova e lesito della concertazione, la prOnuncia delle ordinanze sulle rogatorie.

a La IV Sezione del tribunale, nella propria ordinanza, – e la I sezione si muove nella stessa direzione si pone il problema della «questione relativa alla dedotta violazione allarticolo 3, comma 3, della Convenzione europea di assistenza giudiziaria per difetto del timbro di conformità sugli atti acquisiti, il che vuol dire che le parti si erano chiesto, dando divergenti risposte, se fosse necessario o meno, ai fini della utilizzabilità delle rogatorie, un timbro di conformità sugli atti acquisiti, cioè un timbro su ciascuno degli atti acquisiti».

Il Tribunale dà atto, anzitutto, nella sua risposta, che «la Procura della Repubblica ha depositato una nota proveniente dallufficio federale della Giustizia della Confederazione welvetica in data 18 ottobre 2001»; spiega che «trattasi di documento trasmesso per il tramite del ministero della Giustizia italiana e che trova la sua ovvia ragione dessere nella richiesta di chiarimenti, a seguito dellentrata in vigore della legge 367/01, circa lesecuzione delle rogatorie a suo tempo richieste nellambito di questo come di altri procedimenti tuttora pendenti».

Aggiunge che «in tale atto le autorità elvetiche, tra laltro, affermano»:

«Lautorità federale competente per la trasmissione della documentazione Ufficio federale di giustizia ha trasmesso la documentazione conformemente alla Ceag, segnatamente in ossequio degli articoli 2, 3 e 17, come altresì della prassi ormai consolidata tra gli Stati parte della Ceag»;

«la trasmissione della documentazione allItalia è avvenuta nellidentica forma con la quale vengono trasmessi gli atti rogatoriali della Svizzera agli altri Stati parte della Ceag e viceversa»;

«a più di trentanni dalla ratifica della Ceag e da più di ventanni di giurisprudenza nazionale ed altrettanti di prassi internazionale, ormai a valore stringente nei rapporti con gli Stati parte della Ceag, è la prima volta che un simile quesito è posto alle autorità elvetiche».

«Con ulteriore nota datata 2 novembre 2001 nota ancora il tribunale lufficio federale di Giustizia della Confederazione elvetica ribadiva, con riferimento a qualunque attività rogatoriale, dette argomentazioni».

Il Tribunale, dopo avere dato atto, e riportato, questi due documenti provenienti dalla Confederazione elvetica, segue un percorso logico-giuridico che può così riassumersi:

– vè una prassi internazionale per cui gli Stati parte della Ceag hanno sempre ritenuto che, nella trasmissione degli atti richiesti con rogatoria, non è necessaria nessuna specifica attestazione di conformità, essendo sufficiente una lettera di accompagnamento con la quale lautorità straniera, in esecuzione della richiesta, trasmette gli atti attestando la corrispondenza di quanto trasmesso a quanto richiesto;

«è del tutto identica la situazione con riferimento alla notevole mole di documentazione acquisita per via rogatoriale nellambito di questo processo e proveniente da diversi Stati membri per la maggior parte dalla Confederazione elvetica»;

«questa prassi ha un innegabile valore giuridico come emerge dallarticolo 31, comma 3, della Convenzione di Vienna del 1969, ratificata in Italia, sul diritto dei trattati e come le Su civili della Corte di cassazione hanno affermato e già in precedenza si erano espresse pressoché negli stessi termini nel 1992».

B Previti, nella sua richiesta, nel paragrafo «ulteriori prove e risultati della concentrazione contra reum, dopo aver ribadito pag. 30 che «magistrati di Milano Pm e giudici si sono riuniti in gruppo, più volte, per decidere, collettivamente, la condotta da adottare nei processi contro il sottoscritto in relazione alla legge 367/01 in tema di rogatorie internazionali» e che «a tali riunioni ha partecipato il dottor Borrelli, il quale aveva poco prima annunciato, pubblicamente, sulla stampa nazionale, che la legge sulle rogatorie sarebbe stata neutralizzata», fa delle considerazioni che si prestano alla seguente sintesi:

«i tribunali hanno disapplicato la legge con argomentazioni capziose e sofistiche»;

«è inesistente una prassi internazionale consolidata di violazione costante dellarticolo 3 della Convenzione europea da parte della Svizzera»;

«questa prassi, se esistesse, sarebbe palesemente contra legem e, quindi, non inidonea ad essere fonte normativa addirittura sopraordinata alla Convenzione europea e alla legge n. 367/01;

«la spedizione alla procura di Milano delle fotocopie non può sostituire la certificazione di autenticità delle fotocopie informalmente acquisite; una ricevuta di spedizione non può attestare che i documenti spediti sono conformi agli originali».

C Una prima osservazione è che queste censure nulla di specifico oppongono alle ragioni addotte dal Tribunale a sostegno dellaffermazione dellesistenza di una determinata interpretazione data concordemente dalle parti alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria.

Non vè, in particolare, in esse nulla che contesti laffermazione che lUfficio federale di giustizia della Confederazione elvetica si è richiamato espressamente ad una prassi trentennale; nulla che replichi allaffermazione che il Pm aveva prodotto «copie di numerosi esiti di attività rogatoriali in altri procedimenti provenienti da diverse autorità di Stati membri, documentazione senza alcuna attestazione di conformità, ma, tutta, con lettera di accompagnamento con la quale lautorità straniera, in esecuzione della richiesta, trasmette gli atti attestando la corrispondenza di quanto trasmesso a quanto richiesto».

Nulla, ancora, contro lulteriore affermazione che «è del tutto identica la situazione con riferimento alla notevole mole di documentazione acquisita per via rogatoriale nellambito di questo processo e proveniente da diversi Stati membri, per la maggior parte dalla Confederazione elvetica».

Nulla, poi, sul tema della legittimità della prassi, nessuna argomentazione contraria, cioè, alle riflessioni dellordinanza sulle norme della Convenzione di Vienna del 1969 relativa al diritto dei Trattati, nel cui articolo 31, comma 3, la prassi è esplicitamente richiamata, e nulla, infine, sempre nella legittimità, avverso i principi, fatti propri dellordinanza, affermati dalla giurisprudenza delle Su civili.

D Ma, a prescindere da ciò, se i pubblici ministeri nella loro memoria rilevano, tra laltro, che la VI sezione della Corte di appello di Milano, con ordinanza del 20 novembre 2001, allegata, si era pronunciata come i collegi milanesi e i pubblici ministeri hanno avuto anche cura di far pervenire, successivamente, una ulteriore ordinanza, negli stessi termini, del tribunale di Bari in data 20 febbraio 2002 -, la IV sezione del tribunale, nelle osservazioni ritenute irrituali dai richiedenti pervenute il 20 novembre 2002, ha citato, a conforto della tesi sostenuta nella propria ordinanza, la sentenza della Corte di cassazione in data 16 ottobre/8 novembre 2002, oltre che lordinanza della Corte costituzionale n. 315 del 4 luglio 2002.

Orbene, è innegabile, come si sostiene in quelle osservazioni, che la Corte di cassazione, nel porsi il problema trattato dal Tribunale nellordinanza, sia pervenuta ad identiche conclusioni percorrendo, sostanzialmente, lo stesso iter logico-giuridico.

«In tema di rogatoria internazionale allestero così la massima che ne è stata ricavata larticolo 3, comma 3, della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, non impone allo Stato richiesto una prescrizione a carattere cogente di trasmettere copie o fotocopie dei fascicoli o documenti, richiesti per rogatoria, muniti dellattestazione di conformità alloriginale, ma facoltizza tale Stato, laddove sia richiesto linvio di atti in originale, di trasmettere solo copie o fotocopie autenticate».

«Ne consegue, che salvo il caso in cui lo Stato rogante richieda espressamente la trasmissione di atti o documento in originale, è sufficiente, come si desume dalle prassi consolidata in materia, latto formale di trasmissione dellautorità straniera per garantire lautenticità e la conformità degli atti trasmessi in semplice fotocopia».

Il testo della sentenza è opportuno porlo in evidenza è assolutamente nei termini riassunti dalla massima, avendo scritto, tra laltro, la Corte di cassazione che «generale principio di interpretazione della clausola dei trattati internazionali è quello fissato dallarticolo 31, comma 3, del Trattato di Vienna 21 marzo 1986 che privilegia la consuetudine internazionale quale fonte primaria di diritto internazionale, sicché nella materia in esame non può prescindersi dalla prassi consolidata secondo cui, salvo lipotesi in cui lo Stato rogante richiesta atti e documenti in originale, lo Stato richiesto li trasmette in semplice fotocopia, essendo sufficiente latto formale di trasmissione per conferire loro garanzia di autenticità e conformità alloriginale».

La nota alla sentenza, condividendola, rileva, sul punto, che la Corte di cassazione è incorsa in una imprecisione, avendo citato la Convenzione di Vienna del 1986, – la quale disciplina i trattati tra Stati ed Organizzazioni internazionali mentre avrebbe dovuto citare la Convenzione di Vienna del 1969 che è quella citata dai tribunali.

La nota, però, si affretta ad aggiungere che «limprecisione è del tutto irrilevante, in quanto gli articoli 31-33 della Convenzione del 1986 richiamati dalla Corte, dettano norme imperative del tutto simili a quelle previste dalla Convenzione del 1969 sul diritto dei Trattati tra Stati».

E, per quanto riguarda lordinanza della Corte Costituzionale, antecedente alla sentenza della Corte di cassazione, è da ricordare che il Tribunale di Roma, con ordinanza del 7 novembre 2001, aveva avanzato dubbi sulla legittimità costituzionale di dette norme e, quindi, del regime della inutilizzabilità degli atti, per contrasto con la consuetudine internazionale interpretativa dellarticolo 3 della Convenzione di Strasburgo del 1959 e con i canoni della ragionevole e della ragionevole durata del giusto processo.

E la Corte costituzionale, «con una sintetica e chiara ordinanza come si mette in risalto nella nota appena ricordata ha dichiarato la questione inammissibile, non avendo il giudice a quo verificato, prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale, se potessero adottarsi differenti interpretazioni delle norme censurate, già emerse nella giurisprudenza di merito, le quali fossero in grado di risolvere la questione interpretativa».

«Il riferimento alle pronunce del Tribunale di Milano si osserva in quella nota appare evidente e, quindi, è evidente linvito a valutare la prevalenza e diretta applicabilità delle norme delle Convenzioni internazionali, considerando le disposizioni del codice suppletive ed, in ogni caso, operante la sanzione della inutilizzabilità solo in caso di violazione delle Convenzioni, secondo la loro prassi interpretativa.

La nota prosegue dicendo che «in questo alveo si è mossa la Cassazione con la sentenza in commento valorizzando uninterpretazione della Convenzione di Strasburgo del 1959 in modo da evitare appesantimenti formalistici».

Poco prima si era anche scritto, in questa nota, dopo unarticolata premessa sui principi che regolano lapplicazione delle norme di diritto internazionale, che «appariva opportuno, a quel punto, fare un cenno alla giurisprudenza di legittimità e di merito che si è maturata nella vigenza della nuova normativa sulle rogatorie, segnalando che tutte le pronunce, partendo dalla valutazione della prevalenza del diritto internazionale su quello interno, valorizzano la snellezza delle forme prevista dalla prassi internazionale, piuttosto che il formalismo del nostro codice di rito».

In questo contesto, è davvero difficile affermare, come si fa nella richiesta di Previti, che le ordinanze dei tribunali sono «capziose e sofistiche», che la prassi è inesistente e che, se esiste, è contra legem.

Non è questa, ovviamente, la sede per esaminare la legittimità di quelle ordinanze.

Questa è la sede, però, in cui deve affermarsi che, contrariamente a quanto i sostiene nelle richieste, quelle ordinanze non sono fuori del sistema, non sono abnormi, tanto da farle ritenere leffetto, il frutto, di una concertazione contra reum, trattandosi, invece, di ordinanze che hanno sposato una delle possibili interpretazioni della legge, conforme, peraltro, alla interpretazione datane da altri tutti, secondo quella nota i giudici di merito e dalla Corte di cassazione e non contraddetta dalla Corte costituzionale nel suo esplicito richiamo alle interpretazioni già emerse nella giurisprudenza di merito».

E Previti, a pag. 22 della memoria depositata il 18 gennaio 2003, risponde alle osservazioni del tribunale in questi termini.

«La sentenza della corte di cassazione è richiamata dal tribunale a sproposito, perché, in quella sentenza, la Corte di cassazione ha chiarito che latto formale di trasmissione di atti dellautorità straniera allautorità richiedente, inesistente nella realtà processuale milanese ben nota al tribunale, ad essere prescritto, dalla legge, a pena di inutilizzabilità di quanto trasmesso& è quellatto formale il mezzo prescritto dal legislatore per la autenticazione e la certificazione di conformità ai documenti originali di quanto, altrimenti, sarebbe inutilizzabile, al pari di qualsivoglia altra semplice fotocopia».

«È latto formale di trasmissione che contenga lautenticazione e cioè la conformità rispetto alloriginale della copia trasmesso per via rogatoriale ad evitare lappesantimento formalistico dellautenticazione atto per atto, pagina per pagina, mediante timbro di autenticità apposto ad ogni pagina dei documenti trasmessi».

Questi rilievi si prestano a più di qualche considerazione.

Si dice nella memoria che, secondo la Corte di cassazione, è «latto formale di trasmissione quello prescritto a pena di inutilizzabilità, necessario per la regolarità e la conformità a legge della procedura, essendo quello il mezzo prescritto dal legislatore per la autenticazione e la certificazione di conformità ai documenti originali di quanto, altrimenti, sarebbe inutilizzabile, al pari di qualsivoglia altra semplice fotocopia».

Nelle ordinanze e nella sentenza della Corte di cassazione si dice, però, anzitutto e con chiarezza, che non è il legislatore italiano come pare affermi il richiedente che prescrive quellatto formale di trasmissione, ma è la prassi internazionale, la concorde interpretazione della Convenzione da parte degli Stati che lhanno sottoscritta, che ha ritenuto che gli articoli 3, comma 3, e larticolo 17 della convenzione di Vienna del 1969 andassero letti stimando sufficiente latto formale di trasmissione ai fini della autenticità e conformità degli atti trasmessi e nella richiesta di Previti, invece, è proprio quella prassi che viene ritenuta inesistente e, se esistente, contra legem.

Va chiarito, in secondo luogo, che, secondo la Corte di cassazione, non si esige che latto formale di trasmissione «contenga come si ritiene nella memoria lautenticazione, cioè lattestazione di conformità rispetto alloriginale della copia dellatto trasmesso, con la conseguenza che lassenza di trasmissione comporterebbe, in maniera irrimediabile, linutilizzabilità della documentazione trasmessa».

È, invece, sufficiente, secondo la Corte di cassazione, «latto formale di trasmissione dellautorità straniera per garantire lautenticità e la conformità degli atti trasmessi in semplice fotocopia» ed è questo ciò che hanno affermato, sul punto, i Tribunali nei processi di cui si chiede la rimessione.

Nella ordinanza della IV sezione si legge, infatti che «dalla documentazione, numerosa, in tema di rogatorie, prodotta dal Pm, si evince come non vi sia alcuna specifica attestazione di conformità, ma lettera di accompagnamento con la qual lautorità straniera, in esecuzione della richiesta, trasmette gli atti attestando la conformità di quanto trasmesso a quanto richiesto.

Quindi, – giova ripeterlo non specifica autenticazione, attestazione di conformità rispetto alloriginale della copia dellatto trasmesso, ma, semplicemente, appunto, lattestazione che quanto trasmesso corrisponde a quanto richiesto, attestazione che vale a garantire lautenticità e la conformità e che è conseguente assunzione di responsabilità.

Il Tribunale afferma, anche, e ripetutamente, che le rogatorie agli atti contenevano, contengono, tutte, latto formale di trasmissione.

Lordinanza si premura di puntualizzare che, nelle rogatorie trasmesse dalla confederazione elvetica, «il funzionario che ha provveduto alla trasmissione è stato, nella maggior parte dei casi, lo stesso Procuratore federale della Confederazione».

E aggiunge, subito dopo, sia che in tutta «la notevole mole di atti provenienti da altri paesi e già acquisiti al presente procedimento o prodotti della procura in occasione della discussione della problematica che qui interessa (atti provenienti dalla Svizzera, dalla Francia, dal Regno Unito, dalla Germania, dal Lussemburgo) vera la conferma di quella prassi, sia che «nessuno dei documenti trasmessi quindi anche dei documenti acquisiti al presente procedimento reca una specifica attestazione di conformità su ciascuno dei documenti ed era questo il tema in discussione -, sia, e soprattutto, che tutti e, dunque, anche i documenti attinenti ai processi in corso risultano supportati da lettera di accompagnamento mediante la quale lautorità richiesta formalizza la sua assunzione di responsabilità circa la corrispondenza tra quanto richiesto e quanto trasmesso».

Per i Tribunali, dunque, – ciò che si sta dicendo vale per entrambe le ordinanze sulle rogatorie lesistenza dellatto formale di trasmissione è fuori discussione, cosa, invece, che, abbandonata, a quanto pare, la tesi della inesistenza della prassi, si nega nella memoria di Previti.

Ma, non può non convenirsi, a questo punto, che la questione, come proposta nella memoria, non è più una quaestio iuris, una questione che abbia a che fare con la interpretazione della legge, ma, semplicemente, una pura quaestio facti, che consiste, anzitutto, nellaccertare se vè stato o non vè stato un atto formale di trasmissione nel senso sopra evidenziato e, in secondo luogo, se latto, eventualmente trasmesso, possa essere interpretato come latto formale sufficiente per garantire lautenticità e la conformità degli atti trasmessi, atto, peraltro, che, secondo lordinanza del tribunale, come si è visto, è incontestabile che vi sia, e con quel contenuto, per tutte le rogatorie.

Se questa è la questione, se tutto i riduce ad una quaestio facti, ci si deve chiedere, però, se la concertazione contra reum, la volontà di neutralizzare, secondo lespressione attribuita a Borrelli, la legge sulle rogatorie, potesse mai avere per scopo una semplice questione di fatto, se potesse mai essere concertazione per la interpretazione di un atto.

Se, in altri termini, la questione è un mero problema di fatto, la censura, propria della richiesta di Previti, di aver voluto i giudici disapplicare la legge, di averle voluto attribuire un significato che la legge non poteva assolutamente avere, è una censura manifestamene infondata.

Le due ordinanze, le ordinanze degli altri giudici di merito che si sono espressi su questa legge, la sentenza della Corte di cassazione e lordinanza della Corte costituzionale hanno seguito, tutte, lo stesso percorso giuridico, privo, ovviamente, come ogni percorso giuridico, del crisma della definitività dogmatica, della verità assoluta, incontrovertibile, ma tuttaltro che insostenibile, tuttaltro che manifestamente illegittimo.

Tute quelle riunioni, dunque, dato e assolutamente non concesso che abbiano avuto ad oggetto la interpretazione della legge sulle rogatorie, avrebbero dato vita ad una interpretazione della legge conforme alla migliore giurisprudenza, il che esclude, categoricamente, sul piano logico, che possa trovare spazio la tesi della concertazione contra reum e consente di ribadire ciò che si è detto nelliniziare a trattare questo argomento, cioè che le due ordinanze sono la migliore prova della inesistenza della concertazione contra reum.

IV Prima di prestare la dovuta attenzione alla relazione tenuta da Borrelli, quale procuratore generale presso la corte di appello di Milano, in occasione dellinaugurazione dellanno giudiziario 12 gennaio 2002 -, è opportuno fare una riflessione su quanto sinora acquisito.

A Se è vero che gli interventi, le dichiarazioni, gli atti di Borrelli dalla fine del 1993 al settembre 1997 sono irrilevanti, oltre che per motivi tecnico-giuridici, per essere stati posti in essere nella fase procedimentale, anche perché si pensi alla notifica del 21 novembre 1994, atto emblematico secondo Previti del tutto privi del significato che debbono avere i fatti per poter essere ritenuti manifestazione della grave situazione locale; se è vero, poi, che gli interventi, le iniziative, le affermazioni di Borrelli coincidenti con la fase processuale e, quindi, astrattamene rilevanti, si sono rilevati, in sede critica, inesistenti: si pensi alla tesi della concertazione contra reum, alle riunioni e al significato ad esse attribuito da Previti e si pensi, soprattutto, al tema delle rogatorie; se tutto ciò è vero, deve affermarsi che, almeno sino a questo momento, la grave situazione locale richiesta dalla legge per la traslatio iudicii è risultata del tutto inesistente.

B Sul valore delle esternazioni dei procuratori generali è opportuno ricordare quanto la giurisprudenza di questa Suprema corte ha già avuto occasione di affermare.

Per Cass., 25 ottobre 1995, Gullotti: «le pubbliche esternazioni fatte dal procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Messina in sede di prolusione per linaugurazione dellanno giudiziario, il cui tenore è concordane con quanto versato in processo dallaccusa pubblica, rimangono mere opinioni, pur se autorevoli».

«Nel vigente sistema processuale, infatti, il Pm, in tutte le sue configurazioni ordinamentali, riveste pur sempre la qualità di parte, con tutte le implicazioni che ciò comporta in ordine alle sue valutazioni extraprocessuali, che, per quanto concerne i giudici togati o laici rimangono affermazioni on valutabili nel giudizio, sia per il luogo che per la fonte da cui provengono, e di nessuna valenza cogente per lassoluta indipendenza e non interferenza dei medesimi dal procuratore generale e dalle funzioni a costui attribuite dallordinamento, del tutto estranee alla giurisdizione».

«Mentre, per quanto riguarda la persona fisica del Pm dudienza non hanno alcun valore cogente, per le sue determinazioni in detta sede, atteso che il Pm dudienza articolo 53, comma 1, Cpp e 70, comma 4, Rd 30 gennaio 1941 n. 12, così come sostituito dallarticolo 20, Dpr 22 settembre 1988, n. 449 esercita autonomamente le sue funzioni nelle udienze ed è soggettivamente titolare delle funzioni di Pm, quale designato dal capo dellufficio della procura e non più tramite di costui come era previsto da sostituito articolo 70 dellOrdinamento giudiziario nello svolgimento delle predette funzioni».

Per Cass., 17 marzo 2000, Panella: «è manifestamente infondata la richiesta di rimessione basata sulla prospettazione del mero timore di condizionamenti psicologici dellorgano giudicante in assenza di una qualsiasi grave situazione locale, radicata sul territorio e al di fuori dellambito processuale, idonea a turbare lo svolgimento del processo, anche& in relazione a dichiarazioni provenienti da ufficio non titolare dellazione penale ed, in ogni caso, espressione di una parte processuale, le cui opinioni e i cui atteggiamenti non si sottraggono al vaglio giudiziale né possono alterare limparzialità del giudicante e la serenità del giudizio» (cfr. anche, Cass., 13 ottobre 1997, Manganaro).

I principi affermati in queste ordinanze sono in equivoci: le esternazioni del procuratore generale in sede di relazione per linaugurazione dellanno giudiziario sono irrilevanti sia per i giudici, sia per i pubblici ministeri; le esternazioni del procuratore generale in quella sede non autorizzano la prospettazione di un mero timore di condizionamenti psicologici dellorgano giudicante in assenza di una grave situazione locale radicata sul territorio e al di fuori dellambito processuale.

Si potrebbe già osservare, allora, che Borrelli, nellaffermare, come pone in risalto la richiesta di Berlusconi, che «un moderno codice deontologico dovrebbe sanzionare come oltraggio alla giustizia ogni esercizio di diritto allinterno del processo, che abbia come unico scopo quello di nuocere o recare ritardo al processo stesso e renderne irragionevole la durata», aggiungendo che si asteneva «dal citare gli esempi, più clamorosi, offerti da esperienze in corso», altro non ha fatto che esprimere sue opinioni condivisibili o non condivisibili, opportune o inopportune, ma, pur sempre opinioni personali, destinate al vaglio critico dei destinatari e, comunque, ininfluenti sui giudici, per lassoluta indipendenza di costoro dal procuratore generale.

E gli stessi rilievi valgono per il giudizio di Borrelli nei riguardi del ministro della Giustizia per la vicenda Brambilla («e che dire poi del recente, soccorrevole tentativo di sabotaggio di un processo, proveniente addirittura dallestero, da un elevato livello esterno, sotto lingannevole specie dello scrupolo legalitario»?), trattandosi, ancora una volta, di un giudizio discutibile, dotato di scarsa persuasività, in considerazione del momento, della sede e della fonte, peraltro non aliena alle eclatanti manifestazioni del suo pensiero.

Le stesse considerazioni, inoltre, si possono fare quanto ai giudizi sui procedimenti nei confronti delle associazioni mafiose, procedimenti che, secondo Borrelli, avrebbero avuto un calo non perché quelle associazioni sono state debellate, ma per tutta unaltra serie di ragioni, quale, tra le altre, «latteggiamento genericamente sfavorevole di ampi settori della classe politica».

Queste considerazioni, infine, possono essere ripetute per i giudizi di Borrelli sulla separazione delle carriere dei magistrati, sul pericolo che il Pm sia vincolato allesecutivo, sulla legge delle rogatorie e sulla riduzione della scorta a magistrati esposti, «uno dei quali pubblico ministero in un processo in cui sostiene laccusa contro il Capo del Governo».

Anche questi sono giudizi soggettivi ed opinabili, che non hanno attinenza ai processi in corso.

C Prima di soffermarsi su quel triplice resistere, sul quale, se non principalmente, si soffermano le richieste, è da sottolineare, come fanno nella loro memori, più volte citata, i pubblici ministeri, che «dalle fotocopie, allegate, di articoli di giornali risulta evidente che, nei discorsi dei procuratori generali in occasione dellinaugurazione dellanno giudiziario nei distretti, sono state manifestate espressioni di profondo malessere per la situazione in cui versa la magistratura italiana nonché forti preoccupazioni per il contenuto di leggi in tema di giustizia approvate nel periodo immediatamente precedente» e che «in alcune sedi hanno espresso il loro disagio anche appartenenti al foro».

Ebbene, i titoli dei quotidiani su quelle inaugurazioni dicono, inequivocabilmente, che, quel giorno, le relazioni dei procuratori generali sono state particolarmente critiche e che in tute le sedi i magistrati hanno manifestato, denunciando linefficienza dellamministrazione.

E se a Milano è stato Borrelli a pronunciare per tre volte la parola resistere, a Palermo si è parlato di resistenza e quasi tutti i quotidiani hanno dato risalto a tale stato di tensione.

Se tutto ciò risponde a verità ed è da ritenere che nessuno lo dubiti ciò che è successo Milano non è stato molto diverso da ciò che, quel giorno, è avvenuto in tutti i distretti, il che vuol dire sia che tutti i procuratori generali hanno espresso, quanto meno, le loro perplessità sugli stessi temi trattati da Borrelli o su temi analoghi.

Come nessuno può mai pensare che nei capoluoghi degli altri distretti si sia creata, quel giorno, una grave situazione locale, così è impossibile ritenere che questa situazione sia sorta in Milano solo per avere detto Borrelli, in più rispetto a quanto detto dai suoi colleghi, che gli atti di emulazione andavano evitati, che non era stato esemplare il tentativo di sabotaggio di un processo, che un certo magistrato del pubblico ministero era stato privato della scorta.

D È di avallo a quella conclusione quanto si legge in quella pagina della memoria di Previti del 16 maggio 2002, nella quale si esprime un giudizio sul resistere, resistere, resistere pronunciato da Borrelli.

«Nella richiesta di rimessione così la memoria è stato ampiamente segnalato lintervento pubblico di Borrelli che, nella piazza giudiziaria milanese, ha più volte invitato allazione i magistrati di Milano e il pubblico presente con le ormai famigerate parole: resistere, resistere, resistere».

«Ebbene, – prosegue la memoria intervistato in ordine al significato di una simile espressione di invito esplicito alla lotta giudiziaria contro bersagli umani ben identificati nel delirante discorso con il quale è stata occupata linera cerimonia di apertura dellanno giudiziario milanese, il Dott. Borrelli ha testualmente dichiarato: lo ripeterei ancora tre volte perché era un invito rivolto alla collettività, non già contro il governo, perché recuperi il senso della legalità e resiste allo sgretolamento delle coscienze».

«Con tale dichiarazione, che si caratterizza anche per labituale travalicamento delle funzioni istituzionali che da giudiziarie diventano censorie e moraleggianti, il Dott. Borrelli così ancora la memoria ha praticamente confessato lo scopo e gli obiettivi del suo intervento dinanzi agli Stati generali della Giustizia milanese».

«Infatti, visto che aveva lintenzione di stimolare la collettività, la coscienza civica, evidentemente dei moltissimi magistrati presenti, tra i quali il Pm di udienza Dott.ssa Boccassini, è ovvio che nelle parole del Dott. Borrelli era contenuto un espresso invito alla lotta giudiziaria del bene contro il male e, quindi, ad una mobilitazione della sede giudiziaria milanese, certo non favorevole allassistito, ripetutamente additato proprio da Borrelli come incarnazione di quel male che deve essere combattuto».

Ma, se linvito era un invito alla collettività «a recuperare il senso della legalità» e «a resistere allo sgretolamento delle coscienze», può essere ovvio, per usare il termine che appare nella memoria, che Borrelli abbia invitato i magistrati presenti alla lotta giudiziaria se si intende, però, quellinvito come invito al recupero della legalità, che, diretto a magistrati, non poteva non avere, tra i tanti, anche il significato di invito a non essere prevenuti, a non avere pregiudizi nei confronti degli imputati, ad essere imparziali, proprio perché questa è senza dubbio legalità.

Se si accetta la interpretazione che di quel triplice resistere si dà nella memoria, è impossibile, sul piano squisitamente logico, che linvito alla collettività, ivi compresi i magistrati, al recupero della legalità e a resistere allo sgretolamento delle coscienze sia stato un invito ai giudici ad essere di parte, a non fare il proprio dovere e, dunque, un invito a spingersi nella illegalità.

È evidente che non può essere stato questo il significato di quel resistere, resistere, resistere e se ne ha la conferma se queste tre prole vengono lette nel contesto in cui sono state pronunciate.

«Questo non è un discorso di conservazione», così la relazione di Borrelli in chiusura.

«Nessuna istituzione, nessun principio, nessuna regola sfugge ai condizionamenti storici e, dunque, allobsolescenza, nessun cambiamento deve suscitare scandalo, purché sia assistito dalla razionalità e purché il diritto, inteso come categoria del pensiero e dellazione, non subisca sopraffazioni dagli interessi».

«Ma, ai guasti di un pericoloso sgretolamento della volontà generale, al naufragio della coscienza civica nella perdita del senso del diritto, ultimo baluardo della questione morale, è dovere della collettività resistere, resistere, resistere, come su una irrinunciabile linea del Piave».

Come può notarsi, in queste ultime proposizioni Borrelli fa del diritto lultimo, lestremo baluardo della questione morale, sicché si comprende bene il senso dellinvito al recupero della legalità: farsi guidare dal diritto.

Poco prima Borrelli aveva invitato i magistrati anche «ad essere scudo della legalità»: i due inviti, recupero della legalità ed esserne scudo, non possono certamente risolversi, a meno che le parole non abbiano il loro significato, in una grave situazione locale tale da imporre la traslatio iudicii.

La grave situazione locale, prima di quella relazione, non esisteva, come si è ampiamente dimostrato: non può averla fatta nascere un invito, enfaticamente espresso, preceduto da opinabilissimi giudizi, al rispetto della legalità, ad avere il culto per il diritto, per il rispetto delle regole.

Se questo è il significato che deve attribuirsi, con evidente ragionevolezza, a quel triplice resistere, ne consegue che, essendosi definitivamente rivelata infondata la tesi della trasformazione della procura in organismo politico con gli copi che questo organismo avrebbe avuto stando alle richieste, specialmente alla richiesta di Previti, nessun rilevanza possono avere i provvedimenti endoprocessuali, tutti precedenti alla relazione di Borrelli.

Né può omettersi di sottolineare che, come si è accennato da qualcuno dei difensori nelludienza dinanzi a queste sezioni unite, dal gennaio 2002 in poi nulla di particolarmente significativo si è verificato in loco, fatta eccezione per alcune dichiarazioni di magistrati se ne prenderà in esame una e se ne dimostrerà la totale insignificanza e per alcuni eventi endoprocessuali, sicché potrebbe anche discutersi sullattualità della grave situazione locale, dato e assolutamente non concesso che sia mai esistita.

V Nella richiesta di Previti, a pag. 49, quando si stanno descrivendo le manifestazioni di piazza, si torna a dire che «lo scopo dei processi milanesi, quale concepito nel corso delle riunioni, concertazioni o manifestazioni, alle quali hanno partecipato cittadini e magistrati, è appunto unicamente quello di giungere alla condanna, vista come rivincita o ritorsione politica nei confronti del sottoscritto e dellOn. Berlusconi, definiti, nei vari appelli popolari di magistrati milanesi, primo tra tutti il procuratore generale Borrelli, quali personificazione del male».

Se la tesi, che costituisce larchitrave delle richieste, specialmente di quelle di Previti e di Berlusconi, che Borrelli ha trasformato la procura in organismo politico per «rivincita o ritorsione politica» contro lo stesso Previti e contro Berlusconi, non può essere condivisa perché manifestamente infondata, come si è posto in evidenza soffermandosi sui fatti che avrebbero dovuto esserne la prova, le campagne mediatiche, le manifestazioni di piazza, le scritte sui muri o le dichiarazioni di questo o di quel magistrato il Dott. DAmbrosio, ad esempio nulla di decisivo aggiungono ad una inesistente grave situazione locale.

Venuta meno la tesi di fondo, non possono essere articoli di giornali o legittime manifestazioni popolari a creare, sul territorio una situazione eccezionale, patologica, tale da essere causa della traslatio iudicii.

La giurisprudenza di questa Suprema corte, sia quella formatasi nella vigenza dellattuale Codice, sia quella formatasi nella vigenza del codice abrogato, è tutta in questi termini.

«Le campagne di stampa, quantunque accese, astiose e martellanti o le pressioni dellopinione pubblica non sono di per sé idonee a condizionare la libertà di determinazione del giudice, abituato ad essere oggetto di attenzione e critica senza che per ciò solo ne resti menomata la sua indipendenza di giudizio o minata la sua imparzialità». (Cass., 4 aprile 1995, Mazza; 19 gennaio 1995, Gallo; 3 ottobre 1995, Galli).

E in precedenza: «Ai fini della procedura di rimessione, una campagna di stampa o un diffuso orientamento della opinione pubblica non equivalgono a pressioni o influenze tali da scuotere la imparzialità del giudice e lassolvimento della correlativa funzione giurisdizionale» (Cass., 11 aprile 1983, RV 158403; 29 gennaio 1981, Bernardelli; 20 ottobre 1975, Izzo).

Per quel che riguarda, in particolare, le pubbliche manifestazioni è ricorrente il principio che «le pubbliche manifestazioni, anche se riprese dalla stampa, di sostegno alle tesi accusatorie, pur se possono attestare lesistenza di prese di posizione locali aspre e vivaci, costituiscono una forma di espressione della libertà di pensiero e, come tali, rappresentano un dato coessenziale ad una società democratica, onde non sono, di per sé, idonee a pregiudicare la capacità di determinazione del giudice, tenuto conto delle qualità morali, psicologiche e di esperienza che normalmente assistono le persone di coloro che sono chiamati al disimpegno di funzioni giurisdizionali» (Cass., 17 marzo 2000, Panella; 9 gennaio 1996, Farassino; 25 ottobre 1995, Gullotti).

Ed è altrettanto costante, quanto alle campagna di stampa, laffermazione che «in nessun caso possono essere prese in considerazione le campagne di stampa, posto che, in presenza di fatti che abbiano risonanza nazionale e siano trattati e commentati da tutta la stampa italiana di ogni orientamento, con conseguenti aspettative contrastanti sullesito del processo, vengono meno quelle gravi situazioni locali che sono richieste dallarticolo 45 Cpp, venendo a trovarsi sostanzialmente ogni giudice della Repubblica in una situazione di potenziale condizionamento, non suscettibile, pertanto, di eliminazione» (Cass., 17 marzo 2000, Panella; 16 ottobre 1996, Berlioz; 9 novembre 1995, Cerciello; 20 settembre 1995, Craxi; 5 luglio 1995, Fiandrotti; 30 settembre 1992, De Feo9).

Volendo ipotizzare e il principio può valere anche per le manifestazioni popolari che le campagne di stampa possano costituire grave situazione locale, il trasferimento del processo non la eliminerebbe, perché, se ha determinate caratteristiche tra le altre, la natura dei fatti, la qualità delle persone il processo, dovunque venisse trasferito, non farebbe venire meno linteresse della stampa e dellopinione pubblica.

Non può, quindi, obiettarsi, come si obietta nella memoria di Previti del 18 gennaio 2003, che la Corte di cassazione deve considerare, semplicemente ed esclusivamente, la situazione ambientale realmente realizzatasi al fine di stabilire se esista o meno la possibilità di condizionare limparzialità del giudizio o la serenità della condotta processuale, non dovendo essa immaginare situazioni non ancora accadute per stabilire che, anche in questi casi, si verificherebbe un condizionamento ambientale.

Lobiezione non può essere apprezzata perché è la stessa legge che impone alla corte di cassazione di disporre il trasferimento del processo solo se le gravi situazioni locali non siano altrimenti eliminabili e il giudizio sulla eliminabilità o sulla non elimnabilità non è necessariamente un giudizio di certezza, potendo ben essere un motivato giudiziosi alta probabilità.

Se la stampa e lopinione pubblica si sono sempre interessate di un certo processo è, quanto meno, altamente probabile che continuino ad interessarsene anche se il processo viene trasferito altrove, non potendo, certo, escludersi che un evento, in quel momento imprevedibile, faccia venire meno linteresse delluna o dellaltra.

Alla luce di questi principi nessun rilievo, dunque, può avere per venire ad alcune delle manifestazioni indicate nelle richieste la manifestazione di piazza davanti al palazzo di giustizia del 28 settembre 2001 in cui i partecipanti hanno manifestato, come si legge nella richiesta di Previti, «contro il colpo di spugna di Berlusconi con evidente riferimento alla legge n. 367/01».

Lopinione pubblica, invero, può, indiscutibilmente, legittimamente dissentire e manifestare il proprio dissenso nei confronti di una legge, con il solo limite di rispettarla ove se ne debba fare applicazione.

Nessun rilievo, poi, può avere il girotondo-politico del 26 gennaio 2002 davanti al palazzo di giustizia, non consentendo un girotondo al quale hanno partecipato persone dello spettacolo e della cultura, donne e bambini, come si desume dai resoconti della stampa allegati alla memoria dei pubblici ministeri neppure illazioni o supposizioni sul condizionamento dei giudici, tanto più se la manifestazione ha avuto luogo, come ha dimostrato documentalmente la citata memoria, nel pomeriggio quando ludienza era terminata da tempo e se quel giorno era un sabato, «quando, come si scrive nella memoria, notoriamente non si svolge, di solito, nel pomeriggio, attività giudiziaria pubblica e gli ingressi al palazzo sono chiusi ad eccezione di un unico carraio».

La manifestazione al Palavobis, infine.

La memoria dei pubblici ministeri nota, al riguardo, che «la manifestazione, svoltasi ancora di sabato e assai distante dal palazzo di giustizia, ha avuto la specificità di avere visto la partecipazione di famiglie ancora una volta donne e bambini e non ha dato origine a incidenti di sorta e nemmeno a battibecchi».

La prova del resto, se ve ne fosse bisogno, della non incidenza sui processi in corso di questa manifestazione si ricava dalla richiesta di rimessione di Previti, nella quale si descrive la manifestazione come «unimponente manifestazione indetta dal capo dei forcaioli, Flores DArcais, per celebrare il manetta day: lanniversario dellarresto di Mario Chiesa che diede inizio al fenomeno di arresti conosciuto come Mani pulite».

Quella manifestazione, quindi, aveva il semplice scopo di celebrare lanniversario dellinizio di un fenomeno Mani pulite che, per quei partecipanti, era da ricordare, pur consapevoli è ovvio del legittimo dissenso di altri.

Prima di concludere sul punto, è doveroso indugiare, come si è preannunciato, sulle dichiarazioni rilasciate dal Dott. DAmbrosio.

Le dichiarazioni di questultimo sulla vicenda Brambilla vengono ampiamente citate nella richiesta di Berlusconi e sulle stesse non può non ripetersi quanto si è detto in ordine al giudizio espresso da Borrelli, sullo stesso argomento, nella sua relazione per linaugurazione dellanno giudiziario.

Il Dott. DAmbrosio, in quelle dichiarazioni, rilasciate in una intervista, ha criticato lintervento del ministro, affermando, tra laltro, che il ministro non aveva tenuto in conto quella che è unesigenza primaria, cioè la continuazione di un processo e che era la prima volta che si verificava uninterferenza così pesante da parte del potere esecutivo nellamministrazione della giustizia.

Si tratta, come si vede, di un giudizio, di unopinione, che, come tutte le opinioni, può essere o non essere condivisa, unopinione con la quale si manifesta il desiderio che i processi, e anche quel processo, vengano celebrati, unopinione che non si esprime affatto sullesito del processo e tale, allora, da non essere, oggettivamente e soggettivamente, in alcuna relazione con il problema della imparzialità di giudici.

Nella memoria del 18 gennaio 2003 si riporta un brano di unintervista rilasciata da DAmbrosio al Corriere della Sera.

«Il precedente governo così DAmbrosio aveva approvato diversi provvedimenti, pur non univoci, per rendere quantomeno accettabili i tempi dei processi& questa nuova strategia veniva interrotta nel giugno 2001, con lavvento del nuovo governo& solo labnegazione e lattaccamento del personale tutto di questa procura riusciva ad evitare una crisi irreversibile».

Questo passo dellintervista ha come tema, non può dubitarsi, i tempi dei processi e un confronto tra la velocità accettabile degli stessi prima del giugno 2001 e la velocità non accettabile dopo il giugno 2201 con lavvento del nuovo governo: DAmbrosio afferma che soltanto grave allabnegazione e allattaccamento del personale tutto della procura si era riusciti ad evitare una crisi irreversibile, crisi che, viste le entità a confronto, non può essere, sul piano logico, che quella dovuta alla minore velocità dei processi dopo il giugno del 2001.

Secondo la memoria di Previti, invece, il riferimento alla crisi irreversibile «non può che essere rivolto sia al provvedimento che, secondo la legge in tema di rogatorie, avrebbe dovuto espellere dagli atti dei processi in corso le informi fotocopie, sia alla sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato a seguito di intervenuta prescrizione per quanto concerne i processi per falso in bilancio instaurati nei confronti dellOn. Berlusconi, sia alla sospensione dei processi per i quali sono state avanzate richieste di rimessione».

Ma, in quella intervista non vè nulla di tutto ciò, sicché le considerazioni della memoria sul piano della pura logica è la logica che dice quali fossero le entità a confronto si rivelano supposizioni, illazioni del tutto ingiustificate.

Nella memoria si aggiunge che «le incredibili affermazioni di DAmbrosio sono state tratte da una sorta di relazione-bilancio che il Dott. DAmbrosio ha scritto per il nuovo anno giudiziario e che è stata affidata al nuovo Pg» e si commenta che «lepisodio è sconcertante», perché «non è mai accaduto che un procuratore uscente e, per di più, funzionalmente non legittimato, si sia preoccupato di predisporre la relazione di apertura dellanno giudiziario, appropriatosi di un compito che spetta al procuratore generale presso la Corte di appello».

Di sconcertane non vè alcunché perché ogni anno, diversi mesi prima dellinaugurazione dellanno giudiziario, i procuratori generali chiedono ai procuratori della Repubblica notizie-bilancio sui temi della giustizia con le loro riflessioni, notizie che i procuratori generali utilizzeranno, poi, nelle loro relazioni.

È, allora, appena ragionevole che nella relazione-bilancio atto al quale era funzionalmente legittimato DAmbrosio si sia premurato di porre in evidenza labnegazione e lattaccamento di tutto il personale per rendere accettabile la velocità dei processi, mentre sarebbe stato del tutto irragionevole che avesse alluso alle rogatorie o a quantaltro avesse avuto a che fare con i processi a carico di Berlusconi e di Previti, consapevole, oltre tutto, che destinatario di quella relazione sarebbe stato il nuovo Procuratore generale, del tutto estraneo rispetto a quei processi.

VI Traendo le conclusioni da tutto ciò, è da definitivamente affermare che non esiste la grave situazione locale-territoriale o ambientale.

Non è vero che Borrelli abbia trasformato la procura in organismo politico perché non costituiscono prova di questa trasformazione quanto Borrelli avrebbe detto e fatto nella, irrilevante, fase procedimentale, la mai esistita concertazione contra reum, le ordinanze sulle rogatorie, la relazione di Borrelli in occasione dellinaugurazione dellanno giudiziario, le campagne di stampa, le manifestazioni popolari, le dichiarazioni di altri magistrati.

Restano, a questo punto, i numerosi provvedimenti endoprocessuali che i richiedenti hanno esposto nelle richieste e nelle memorie per porne in evidenza la illegittimità, sintomo, secondo loro, della parzialità dei giudizi.

Secondo i principi che queste Sezioni unite hanno affermato trattando della grave situazione locale, i provvedimenti endoprocessuali del giudice e gli atti, le iniziative, le richieste, i comportamenti, in genere, del Pm nel processo, non debbono essere presi in alcuna considerazione se si accerti la inesistenza di una grave situazione locale-territoriale, mentre assumono rilevanza e se ne sono precisate le condizioni ove la grave situazione locale venga accertata.

È opportuno ricordare, per quel che riguarda i provvedimenti endoprocessuali dei giudici, che la giurisprudenza di questo supremo collegio non ha avuto mai dubbi sulla rilevanza degli stessi.

Per Cass., 23 febbraio 1998, Berlusconi: «Il tentativo di proiettare linfluenza negativa dei Pm milanesi sulle decisioni del collegio giudicante in tema di acquisizione probatoria è destinato a fallire, ove si consideri che lattività di istruzione dibattimentale risulta caratterizzata da decisioni che, anche se non condivise dallimputato e dai suoi difensori, sono state adottate nel pieno rispetto delle norme processuali vigenti».

«Rientra, infatti, nei poteri del collegio di revocare ordinanze, di disporre di ufficio lassunzione di nuovi mezzi di prova, di rigettare richieste avanzate dai difensori in merito alla acquisizione di documenti o alla ammissione di testi o di recuperare testi non ammessi».

«Tali decisioni tutte ritualmente motivate e tutte rientranti nel sistema processuale previsto dal Codice di rito vigente non sono certo idonee a generare il sospetto che siano stati commessi abusi nei confronti dellimputato; la non con divisibilità delle decisioni adottate dal collegio, daltra parte, non può costituire causa di rimessione del processo, essendo esercitatile alluomo il diritto allimpugnazione, che è il rimedio previsto dalla legge per rimuovere decisioni eventualmente non corrette». (Negli stessi termini: Cass. 5 luglio 1995, Fiandrotti; 20 settembre 1995, Craxi; 20 dicembre 1995, Vizzini).

Ancora più netta Cass., 8 aprile 1992, Canaglia:

«Trattasi quasi esclusivamente i censure a singoli provvedimenti incidentali sfavorevoli allimputato e da costui interpretati quale sistematica persecuzione nei suoi confronti; le censure avverso singoli provvedimenti impugnabili saranno fatte valere nella opportuna sede evitandosi anticipazioni di temi e di questioni che attengono esclusivamente al merito e al dibattimento in corso».

Ciò detto, queste sezioni unite ritengono, però, di doversi soffermare ugualmente su alcune questioni endoprocessuali vista la rilevanza ad esse attribuita dai richiedenti e di doverlo fare, relativamente alle ordinanze emesse dai tribunali a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 225 del 2000, con una certa ampiezza, avendole inserite la richiesta di Previti tra le prove della concertazione contra reum, e brevemente, invece, al solo fine di metterne in evidenza alcuni profili, sulla vicenda Mandara, sulla fonte confidenziale Olbia-ArRiosto, sul tema della competenza per territorio nel processo IMI-SIR, sulla vicenda Brambilla.

A La richiesta di Previti, a pag. 33 e ss.gg., e la richiesta di Berlusconi, a pag. 36 e ss.gg. ne trattano, comunque, anche gli altri richiedenti, come si è accennato si soffermano su questa sentenza nellottica, ancora una volta, della concertazione contra reum, concertazione, però, che, in questa occasione, ha il suo protagonista, non in Borrelli, ma nei due tribunali.

La Corte costituzionale, come è noto, con questa sentenza, ha risolto un conflitto di attribuzione tra i poteri dello stato, promosso con ricorso del presidente della Camera a seguito delle ordinanze emesse dal Gop del Tribunale di Milano il 17 e 20 settembre 1999, in due procedimenti penali a carico dellOn. Cesare Previti, e delle successive ordinanze in particolare quelle adottate nelle udienze del 22 settembre 1999, 5 ottobre e 6 ottobre 1999 «in quanto non avevano considerato assoluto impedimento il diritto-dovere del deputato di assolvere il mandato parlamentare attraverso la partecipazione e votazioni in assemblea».

La Corte costituzionale ha annullato le ordinanze dopo avere dichiarato che «non spettava al giudice delludienza preliminare, nellapprezzare i caratteri e la rilevanza degli impedimenti addotti dallimputato per chiedere il rinvio delludienza, affermare che linteresse della Camera dei Deputati allo svolgimento delle attività parlamentari e, quindi, lesercizio dei diritti-doveri inerenti alla funzione parlamentare, dovesse essere sacrificato allinteresse relativo alla speditezza del procedimento giudiziario».

Nelle due richieste, dopo essersi richiamata la norma dellarticolo 185 Cpp, nelle parti in cui dispone che «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo» e che «la dichiarazione di nullità comportala regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto latto nullo, salvo che sia diversamente stabilito», si censurano le ordinanze, sul punto, della I e della IV sezione del Tribunale di Milano, del 17 novembre e del 21 novembre 2001, «per avere avallato, con argomentazioni capziose e sofistiche e con abili giri di parole secondo la richiesta di Previti una macroscopica contraddizioni in termini, cioè che lannullamento della Corte costituzionale non avesse comportato la nullità delle ordinanze annullate», o richiesta di Berlusconi, «per avere effettuato una insubordinazione al comando giuridico promanante dal provvedimento di annullamento della Corte costituzionale».

Le censure impongono di porre in rilievo che sono gli stessi richiedenti che, nel momento in cui prestano attenzione alla norma dellarticolo 185 Cpp, mostrano di rendersi perfettamente conto che la nullità di un atto processuale, in tanto rende invalidi gli atti consecutivi, in quanto questi atti dipendano da quello dichiarato nullo.

Secondo la giurisprudenza di questo supremo collegio, infatti, «deve ritenersi derivato da altro precedente quellatto che con il primo si ponga in rapporto di dipendenza effettiva, del quale venga, cioè, a costituire la conseguenza logica e giuridica, nel senso che latto dichiarato nullo costituisce lineliminabile premessa  logica e giuridica di quello successivo, per modo che, cadendo tale premessa, restano necessariamente cadutati anche gli atti che ne conseguono» (Cass., 22 dicembre 1997, Nikolic; 19 settembre 1997, Guzzardi).

La medesima giurisprudenza non ha, inoltre, mai dubitato che, «in tema di estensibilità di nullità di un atto processuale ad altro atto processuale, al giudice penale è riservato in ogni caso il potere dindagine e di decisione circa la sussistenza di un rapporto di connessione tra i vari atti» (per tutte: Cass., 8 febbraio 1980, Villa).

Se questi sono i principi che si deducono dalla norma dellarticolo 185 Cpp, la I sezione del Tribunale, nella sua ordinanza, è rimasta nellambito dei poteri conferiti al giudice dalla legge quando ha dichiarato che, «nel caso di specie, non sussistono i presupposti per disporre la regressione del procedimento, sia perché la nullità dellordinanza 20 settembre 1999 non si è comunicata a nessun altro atto e tanto meno al decreto che dispone il giudizio che sarebbe arduo ritenere collegato necessariamente in via logico-giuridica allordinanza del 20 settembre 1999 – sia perché in nessun modo la tenuta di quella particolare udienza meramente interlocutoria in assenza del suddetto imputato ha compromesso i suoi sostanziali diritti di difesa».

Il Tribunale, poco prima, aveva spiegato perché lordinanza del 20 settembre dovesse ritenersi innocua, osservando che, «nellambito di quelludienza del 20 settembre 1999, non era stato assunto nessun provvedimento dopo il rigetto della richiesta di rinvio per impedimento dellimputato, tranne il provvedimento di rinvio allulteriore udienza del 24 settembre, di cui non fu disposta la notifica allimputato Previti, il quale, peraltro, è intervenuto alla suddetta udienza senza far valere il vizio di notifica, con ciò sanandolo ed interrompendo definitivamente ogni effetto diffuso».

La IV sezione si è tenuta, come impostole dalla fattispecie, su un altro piano, pervenendo, però, alla stessa conclusione di non incidenza della nullità delle ordinanze e della non regressione del procedimento.

Dopo avere premesso che i difensori degli imputati, ad eccezione del difensore di Vittorio Metta, avevano chiesto che, in esecuzione della sentenza della Corte costituzionale, venisse dichiarata la nullità del decreto che dispone il giudizio, il Tribunale ha osservato che nella sentenza della Corte costituzionale «è mancata ogni affermazione, da parte della Corte, circa la sussistenza, in capo allimputato e per le udienze in questione le udienze del 22 settembre e del 5 e 6 ottobre 19999 di un legittimo impedimento», il che «equivale a dire ha aggiunto che la nullità delle ordinanze colpirebbe gli atti successivamente compiuti solo laddove il giudice del dibattimento riconoscesse, ora per allora, in base alla documentazione prodotta per provare limpedimento, il diritto ad ottenere il rinvio delludienza».

Ma, questo riconoscimento, ora per allora, del diritto ad ottenere il rinvio delludienza, non era, secondo il Tribunale, giuridicamente possibile.

Se, infatti, è «onere dellimputato, che intenda richiedere il rinvio delludienza per un legittimo impedimento, di qualsiasi natura, darne prova piena, al momento della richiesta di rinvio, con riferimento ai caratteri di esistenza, di assolutezza ed attualità dellimpedimento medesimo, in tema di impedimento parlamentare non è sufficiente produrre informale convocazione del deputato da parte del Capogruppo, occorrendo invece documentazione ufficiale relativa al calendario dei lavori della Camera di appartenenza, unitamente a prova specifica circa la presenza dellimputato presso la stessa Camera contestualmente allo svolgimento delludienza e ciò anche secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione in una fattispecie simile» (Cass., 3 dicembre 1980, Pisanò).

«Nessuna nullità, quindi, concernente lintervento dellimputato si è verificata alle udienze avanti il Gip, in data 17 e 22 settembre, 5 e 6 ottobre 1999, in quanto non trattatasi della prima udienza di costituzione delle parti e, in ogni caso, i difensori dellimputato, nel richiedere in rinvio per impegni parlamentari, non ebbero a produrre documentazione idonea ad attestare lesistenza e la attualità del dedotto impedimento».

Questi i punti salienti delle due ordinanze.

Può discutersi, certo, se i due collegi hanno correttamene escluso la dipendenza logica e giuridica degli atti successivi dagli atti dichiarati nulli e se hanno correttamente negato la regressione del procedimento; ma, con altrettanta certezza, non si può sostenere che, nellescludere lincidenza della dichiarazione di nullità delle ordinanze e nel non ravvisare le condizioni della regressione, quei due collegi si siano attribuiti poteri che non avevano, sicché non si potrebbe mai dire, tra laltro, che le due ordinanze sono atti abnormi, provvedimenti, cioè, inficiati da anomalie genetiche o funzionali tali che ne impediscono linquadramento negli schemi normativi tipici e li rendono incompatibili con le linee fondanti del sistema processuale (Cass., 9 luglio 1997, Quarantelli).

Della censura di abnormità non vè, del resto, alcuna traccia nelle richieste.

Nella richiesta di Berlusconi si trascrivono parte delle ragioni addotte dai tribunali per dimostrare linesistenza delle condizioni per la regressione del processo e, dopo la trascrizione, non solo non si eccepisce labnormità dei provvedimenti, ma, soprattutto, nulla di specifico si aggiunge al giudizio che le ordinanze sono leffetto di insubordinazione o richiesta di Previti capziose e sofistiche.

I richiedenti, in altri termini, lamentano la disapplicazione della sentenza della Corte costituzionale; ma, anche in questo caso, come nel caso delle ordinanze sulle rogatorie, si astengono dal misurarsi con il contenuto di quelle ordinanze e, ciò, nonostante, formulano, ugualmente, il giudizio di capziosità e di insubordinazione, giudizio che, in quanto del tutto apodittico, immotivato, non consente, certamente, di affermare che, dato e non concesso che sussista la grave situazione locale, le due ordinanze in esame ne sono il riflesso.

La richiesta di Berlusconi ritiene di cogliere lanomalia delle decisioni del Tribunale anche nella voluta tardività dei provvedimenti, tesi, questa, che i pubblici ministeri contestano nella loro memoria, riportando quanto risulta dai verbali di udienza della I sezione nel periodo dal 9 luglio al 17 novembre 2001.

Nelludienza del 9 luglio, ad appena tre giorni dalla sentenza della Corte costituzionale, «venne stabilito di rinviare ludienza al 17 novembre, prima  udienza utile dopo la sospensione feriale, per consentire alle parti di esaminare la sentenza con la dovuta attenzione».

Il 17 novembre, «Cesare Previti presentava istanza di rinvio per legittimo impedimento per malattia e il Tribunale, ritenuto il legittimo impedimento, rinviava al 28 settembre», udienza in cui «le parti svolgevano le loro considerazioni sugli effetti della sentenza della Core costituzionale e in cui il Tribunale riservava la propria decisione per ludienza dell1 ottobre».

Alludienza dell1 ottobre Previti presentava ulteriore istanza di rinvio per legittimo impedimento per malattia, acconsentendo, però, alla lettura dellordinanza sugli effetti della sentenza della Corte costituzionale; ma, il Tribunale riteneva assorbente la richiesta di rinvio ed aggiornava il processo all8 ottobre, data in cui Previti rinnovava la richiesta di rinvio per legittimo impedimento per malattia, manifestando, anche in questa udienza, il consenso alla lettura dellordinanza, e il Tribunale riteneva di nuovo assorbente la richiesta di rinvio fissando ludienza al 17 novembre, di pochissimi giorni successivo alla scadenza della malattia.

Lordinanza veniva letta il 17 novembre.

Se si esaminano le date con attenzione, si coglie sia che il Tribunale avrebbe dovuto leggere lordinanza l1 ottobre, mentre ne ha dato lettura il 17 novembre, dopo 46 giorni, sia che il Tribunale non ha voluto questo ritardo oggettivamente tuttaltro che senza misura se non per consentire a Previti di essere presente, tenendo anche conto che la malattia si sarebbe risolta in un ragionevole lasso di tempo.

È, dunque, mera illazione o supposizione interpretare quel ritardo, per nulla smisurato e, soprattutto, motivato, come uno degli aspetti della concertazione contra reum.

Connesso al tema delle ordinanze emesse dopo lintervento della Corte costituzionale e, nelle richieste di Previti e di Berlusconi, il tema che ha ad oggetto la lettera che il presidente del IV sezione, dottor Paolo Carfì, aveva indirizzato, il 22 ottobre 2001 dandone lettura in udienza il 29 ottobre al presidente della Camera dei Deputati per chiedere indicazioni sul calendario futuro dei lavori dellassemblea, richiesta «finalizzata alla fissazione di udienza dibattimentale in giornate diverse da quelle dedicate ai lavori parlamentari».

Il dottor Carfì, in quella lettera, «anticipava questa è la tesi seppure implicitamente, il convincimento circa la inapplicabilità del dispositivo della sentenza della Corte costituzionale al processo Imi-Sir, che la problematica relativa alla fissazione di ulteriori udienze sottintendeva necessariamente la volontà di procedere oltre nel dibattimento».

Il dottor Carfì, quindi, «aveva già maturato la propria decisione, nonostante che avesse fissato ludienza del 5 novembre per la trattazione della questione e, in quella lettera, estendeva le proprie preoccupazioni anche ai processi a lui non assegnati, vale a dire al processo Sme-Ariosto e al processo Lodo Mondadori».

«In altre parole prosegue la richiesta di Berlusconi il dottor Carfì, facendo espresso riferimento alla esigenza di coordinare le udienze Imi-Sir con quelle dei dibattimenti relativi ai processi Sme-Ariosto e Mondadori, sembra anticipare la decisione della I sezione del medesimo Tribunale; in pratica sembrava a conoscenza il 22 ottobre 2001 che anche la I sezione del rionale di Milano avrebbe il 17 novembre 2001 disapplicato il dispositivo della sentenza 225/01 della Corte costituzionale, come è infatti puntualmente avvenuto».

La lettera del dottor Carfì non i presta a questa lettura.

Se, come si scrive nella richiesta di Previti, la lettera è stata scritta il 22 ottobre e ne è stata data lettura in pubblica udienza il successivo 29, quando ludienza per la trattazione della questione non era stata ancora tenuta la trattazione sarebbe iniziata il 5 novembre e si sarebbe conclusa il 16 novembre ne consegue che la lettera è stata spedita e ne è stata data lettura in un momento in cui, non essendo stata ancora discussa la questione degli effetti della sentenza della Corte costituzionale, il contenuto dellordinanza non era affatto scontato, dipendendo anche da quanto le parti avrebbe osservato nella discussione.

Che lordinanza avrebbe escluso che vi fossero atti, dipendenti dalle ordinanze, da annullare o che ricorressero le condizioni per disporre la regressione del procedimento, era, in quel momento, soltanto uno dei possibili esiti, il che spiega la preoccupazione del presidente del collegio di sapere quando, in quali giorni, nel caso lordinanza avesse avuto un certo contenuto, avrebbe potuto celebrare le udienze senza intralciare i lavori della Camera.

E il problema si poneva, in questa ottica, anche per la I sezione e ciò anche senza alcun contatto tra i due presidenti, essendo sufficiente, perché presentasse il problema come un problema rilevante anche per la I sezione, che il dottor Carfì sapesse come è ragionevole ritenere che sapesse che la I sezione non aveva ancora emesso lordinanza.

Del resto, per rendersi conto che i due collegi hanno pronunciato le due ordinanze senza confrontarsi basta scorrerle per coglierne la diversa, profonda, impostazione di fondo.

Daltro canto, la richiesta di Berlusconi non va al di là di espressioni quali (liniziativa del dott. Carfì) «sembra anticipare la decisione della I sezione», sembrava (il dott. Carfì) «a conoscenza che il 22 ottobre anche la I sezione si sarebbe pronunciata nello stesso modo» e luso del verbo sembrare sta a significare che il richiedente, in questo caso, fa semplici illazioni, semplici supposizioni, sulle quali è impossibile fondare, come è noto, il giudizio che certi fatti ne sono sicuro sintomo della grave situazione locale.

B Merita, invece, maggiore attenzione la questione relativa alla competenza per territorio del Tribunale di Milano, non già perché essa sia decisiva o rilevante ai fini della rimessione del processo, ma perché, oltre ad essere stata prospettata con ricchezza di rilievi dai difensori degli imputati, non può essere ignorato che, in applicazione del principio espresso dallarticolo 23 Cpp, ogni giudice è obbligato alla verifica della propria competenza.

Se vero è che, in questa sede, ai limitati fini di accertare se sussistono i presupposti per disporre la rimessione di un processo ad altra sede non compete alla corte verificare se ed in quale misura sono fondati i rilievi dedotti dalla difesa degli imputati in ordine alleccepita incompetenza territoriale, a tale onere non potrà sottrarsi il giudice del processo, nel doveroso rispetto degli inderogabili criteri stabiliti dagli articoli 8 e 9 Cpp, ed utilizzando ai fini di tale indagine, non solo la documentazione già acquisita al processo, ma anche quella indicata dalle parti e sostegno della proposta eccezione.

C alla vicenda del bar Mandara i richiedenti hanno dedicato non poco spazio e nelle richieste e nelle memorie, anche alla luce di quanto accertato dalla perizia assunta nel corso dellincidente probatorio disposta dal Gip del Tribunale di Perugia.

«il perito ha perentoriamente concluso si scrive nella memoria di Berlusconi del 20 gennaio 2003 affermando che laudio-cassetta Basf tipo Crome extra 2 numero identificativo 044412200R messa a disposizione della Ag. di Milano per lincidente probatorio, depositata come originale, originale non è ed è stata pure manipolata».

si dice, ancora, in questa memoria che il perito ha chiesto una proroga dei termini per il deposito «per poter eseguire nuovi ed ulteriori accertamenti sulle modalità di manipolazione dei nastri magnetici».

Orbene, volendo dare tutto per certo, e ribadendo che tutto quanto è stato scritto e detto, al riguardo, non ha alcuna rilevanza ai fini della rimessione per le ragioni più volte esposte, si può soltanto porre in evidenza che la genesi ed il contenuto di quella cassetta dovranno formare oggetto di valutazione allesito degli accertamenti in corso, nellambito del relativo procedimento.

C Altro tema che è stato oggetto, nelle richieste, di particolari riflessioni, è quello che va sotto il nome di fonte confidenziale Olbia, fonte che è la teste Stefania Ariosto, uno dei testi nel processo Sme-Ariosto.

Può discutersi e non è questa la sede se la procura, prima che lAriosto deponesse dinanzi ai magistrati del Pm, abbi gestito la fonte per più di qualche mese senza lasciare alcuna traccia agli atti di questa gestione: se ciò fosse avvenuto non vè dubbio che illegittima sarebbe lutilizzazione di quelle dichiarazioni.

Ma, volendo ipotizzare che la tesi sia fondata, non può negarsi che è la stessa memori che, nellillustrare anche le ultime acquisizioni processuali le ultime deposizioni consente di dire che la verità sta emergendo nel processo e, in un processo in cui si fa strada la verità, è difficile che si possa pensare ad un condizionamento della imparzialità del giudice.

D In ordine alla vicenda Brambilla, pure sulla quale molto si è scritto, è sufficiente richiamare, condividendolo, quanto la corte di cassazione ha recentemente affermato nel rigettare il ricorso di Previti avverso lordinanza che aveva deciso sulla dichiarazione di ricusazione del dottor Guido Brambilla, componente del collegio della I sezione del Tribunale di Milano.

La Corte di cassazione, dopo avere affermato che «le norme sulle destinazioni dei magistrati agli uffici giudiziari o alle varie sezioni e quelle sulla formazione dei collegi, per le finalità che le ispirano e per le esigenze che intendono salvaguardare, sono del tutto estranee alla disciplina processuale in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione», ha aggiunto che «il dottor Brambilla era stato richiamato nel collegio che giudica sulla vicenda Sme in applicazione corretta e doverosa delle norme deliberate dal Csm».

Né ha precisato si può sostenere lincompatibilità del magistrato solo perché lordinamento penitenziario vieta ai magistrati di sorveglianza di essere adibiti ad altre funzioni giudiziarie.

Questa norma, infatti, nasce dallesigenza di non distogliere il giudice di sorveglianza dalla propria attività istituzionale, anche per consentire una idonea specializzazione; ma, non tutte le norme che dispongono divieti di attività per i giudici determinano incompatibilità tali da rendere necessaria la loro astensione (Cass., 4 febbraio 03, Previti).

Può aggiungersi che Borrelli e DAmbrosio, che si sono espressi su questa questione, nella loro vis polemica hanno voluto dire, sostanzialmente, anzitutto, che lOrganizzazione giudiziaria non può non essere funzionale alla giurisdizione, collaborando, nellambito delle proprie competenze, al concreto esercizio della stessa, e, in secondo luogo, che, in precedenza, lOrganizzazione giudiziaria aveva sempre collaborato ogni qualvolta si fosse presentato un problema la cui mancata soluzione avrebbe potuto pregiudicare lo svolgimento di un processo.

VII Dopo tutto ciò, queste sezioni debbono osservare che, se linesistenza della grave situazione locale non può essere posta in dubbio, una preziosa garanzia che proprio questa sia la verità è offerta da alcuni determinati, dati processuali.

Si è avuto cura di mettere ripetutamente in risalto che la grave situazione locale non può non essere territoriale-ambientale, non può non consistere in una patologia del territorio, perché è in quel determinato territorio, in quel determinato luogo, che si radica il processo, il quale ne è, eccezionalmente, sradicato perché è in forse la imparzialità del giudice.

Giudice, però, che, proprio perché la grave situazione locale è una patologia ambientale, territoriale, da tutti percepibile, non può non essere se non il giudice nel suo complesso, cioè la totalità dei giudici, con la conseguenza che, ove si abbia la prova positiva della assoluta imparzialità sia pure soltanto di alcuni giudici, la rimessione non può essere disposta.

La prova di quella imparzialità direbbe, invero, con estrema chiarezza che, al più, vè, in quel luogo, una situazione non del tutto fisiologica, ma non quella situazione che, se è grave, patologica, non può non giustificare quanto meno la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del giudice.

Ebbene, nel processo Lodo-Mondadori, il Gip, con sentenza del 19 giugno 2000, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti di Acampora, Metta, pacifico, Previti e Berlusconi perché il fatto non sussiste e la corte di appello, a seguito di appello del procuratore della Repubblica, mentre ha disposto il rinvio a giudizio di tutti gli altri, ha riconosciuto a Berlusconi le attenuanti generiche e ha dichiarato di non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione; la corte di cassazione, poi, con sentenza del 16 novembre 2001, ha rigettato, tra gli altri, il ricorso di Berlusconi.

Se si riflette che la sentenza del Gip è del 19 giugno 2000 e che, in quel momento, secondo le richieste, Borrelli già aveva trasformato la procura in organismo politico, facendo anche tutta quella serie di dichiarazioni che vanno dal 1993 al 1997 e disponendo per quella notifica che, secondo Previti, aveva assestato un colpo mortale al Governo allora in carica che poco dopo dovette dimettersi, non può dubitarsi del significato di questa pronuncia.

La quale, peraltro, non è stata emessa in una fattispecie in cui lassoluzione poteva dirsi scontata, tanto è vero che la Corte di appello ha affermato che anche per Berlusconi vi sarebbero state ragioni per in rinvio a giudizio, perché il materiale indiziario rendeva prospettabile il successo delle ragioni dellaccusa allesito degli apporti dibattimentali; e, del resto, la corte di cassazione nulla ha avuto da eccepire, neppure sul punto, alla decisione della corte di appello.

Né può obiettarsi, come si è fatto nelludienza dinanzi a queste Sezioni unite, che il Gip che ha emesso quella sentenza è stato trasferito, che ciò che importa, evidentemente, è che un giudice, ed un giudice che si è interessato di uno dei processi di cui si chiede la rimessione, abbia ritenuto, nonostante la situazione descritta dai richiedenti, di dover prosciogliere gli imputati.

Inoltre, sono stati più volte citati i principi formulati dallordinanza del 23 febbraio 1998 di questa corte di cassazione, che ha rigettato una richiesta presentata da Berlusconi e da altri per la rimessione di un diverso processo.

Il Tribunale, di Milano, con sentenza del 7 luglio 1998, ha affermato la penale responsabilità di Berlusconi per una serie di episodi di corruzione che gli erano stati contestati in quel processo e la corte di appello, con sentenza del 9 maggio 2000, ha riconosciuto le attenuanti generiche, dichiarando estinte per prescrizioni tre ipotesi di corruzione, e ha assolto Berlusconi per non aver commesso il fatto dalla imputazione di corruzione di cui al capo E).

E, se si riflette, di nuovo, sulle date, la situazione, secondo le richieste di rimessione, era, anche in questo caso, di particolare gravità, avendo Borrelli già iniziato con successo, secondo i richiedenti, lopera di trasformazione della procura in organismo politico.

E, daltro canto, gli imputati di quel processo avevano richiesto la rimessione proprio perché ritenevano che vi fossero le condizioni previste dalla legge per il trasferimento del processo.

Il proscioglimento e lassoluzione e, a ben vedere, anche il riconoscimento delle attenuanti generiche con la conseguente dichiarazione di prescrizione, tenuto conto che riconoscere o non riconoscere le attenuanti generiche rientra tra i poteri discrezionali del giudice dicono che, in quegli anni, alcuni giudici di Milano, quando hanno ritenuto di dover prosciogliere o assolvere o riconoscere attenuanti generiche, anche quando il riconoscimento delle stesse determinava la prescrizione dei reati, lo hanno fatto, è questo è segno evidenti della inesistenza del condizionamento della imparzialità, segno evidente, dunque, della inesistenza della grave situazione locale.

2 Tutto ciò premesso le richieste debbono essere rigettate.

PQM

la Corte di cassazione a Sezioni unite rigetta le richieste di rimessione e condanna i richiedenti alle spese del procedimento.