Imprese ed Aziende

Saturday 13 January 2007

La Cassazione fa il punto sull’ incompatibilità degli avvocati a fare gli amministratori di società .

La Cassazione fa il punto
sull’incompatibilità degli avvocati a fare gli amministratori di società.

Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 30 novembre 2006-5 gennaio 2007, n.
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Presidente Prestipino – Relatore Finocchiaro

Pm Palmieri – conforme –
Ricorrente Massa

Svolgimento del processo

Con provvedimento 11 aprile ‑
27 maggio 2003 il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lucca ha inflitto
all’avv. Massa Giunio la sanzione di mesi due di sospensione dall’esercizio
professionale, a conclusione di due procedimenti disciplinari, poi riuniti.

Nel primo, in particolare, era
stato contestato al Massa che lo stesso, in violazione
dell’articolo 3 della legge professionale, aveva assunto, il 14 luglio
1999, la carica di presidente del consiglio di amministrazione della Compagnia
Lavoratori Portuali di Viareggio Srl e il 20 luglio 1999 anche quella di
amministratore delegato della stessa società, esercitandone i relativi poteri
di gestione, sia interna che esterna, sino alle dimissioni, avvenute il 9
giugno 2000.

Nel secondo, ancora, è stata
imputata al Massa la violazione dei doveri di probità e correttezza
professionale perché con istanza 26 aprile 2001, depositata nel mese di
dicembre 2001, aveva richiesto al Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Lucca
la tassazione di prestazioni professionali (predisposizione di un sequestro
giudiziario di quote presso il tribunale di Viareggio, nonché predisposizione
di nomina di un arbitro) per complessive lire 16.500.000 che egli assumeva di
avere svolto in favore di BERTOLUCCI Natalino, mentre,

in
realtà, trattatasi di attività svolta nell’interesse proprio e di certo
LOMBARDI Rodolfo.

Gravata tale statuizione dal MASSA innanzi al Consiglio Nazionale Forense
quest’ultimo con decisione in data 27 febbraio ‑ 2 maggio 2006 ha rigettato il
ricorso.

Per la cassazione di tale ultimo
provvedimento ha proposto ricorso, affidato a 8 motivi (recte 7), il MASSA.

Motivi della decisione

1. Al procedimento n. 20544/06
R.G. (avente ad oggetto la impugnativa della decisione
del 27 febbraio ‑2 maggio 2006 del Consiglio Nazionale Forense) deve
essere riunito quello n. 20544/06bis R.G. (diretto a ottenere la sospensione in
via cautelare della esecuzione della stessa decisione).

2. Con il primo motivo il
ricorrente censura la decisione impugnata lamentando «violazione di legge ‑Violazione
dell’articolo 38 Rdl 1578/33».

La censura si articola, a sua
volta, in due profili.

Da un lato, in particolare, il
ricorrente denunzia la violazione del principio ne bis
idem, tenuto presente che quanto ai fatti contestati nel primo procedimento
(assunzione delle cariche di presidente del consiglio di amministrazione nonché
di amministratore delegato della Compagnia Lavoratori Portuali di Viareggio
s.r.l. e esercizio dei relativi poteri di gestione sia interna che esterna)
esso concludente era stato già prosciolto in due precedenti occasioni,
dall’altro, si sottolinea che l’avvocato che assume la carica di amministratore
delegato o amministratore unico di una società incorre in violazione
dell’articolo 3, Rdl 1578/33, senza che rilevi, in senso contrario, l’omessa
esplicazione di poteri gestori connessi ai detti incarichi, si ‑ per
l’effetto ‑ che deve escludersi che la «nuova» contestazione [dopo le
precedenti assoluzioni] e, in particolare, la contestazione che esso
concludente oltre a ricoprire i detti incarichi abbia anche esercitato i poteri
gestori della società, possa identificare un «fatto nuovo».

3. Il motivo è infondato.

Sotto entrambi i profili in cui
si articola.

3. 1. Giusta la testuale
previsione di cui all’ articolo 649, c.p.p. «l’imputato
prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili non
può essere di nuovo sottoposto a procedimento penale per il medesimo fatto
…».

Pacifico che nella specie il
Massa non è stato prosciolto dalla imputazione di cui si
ci occupa con provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Massa,
atteso che questo ‑ come precisato in ricorso ‑si è limitato a
«archiviare» le denunzie a suo tempo presentate nei confronti del Massa è
palese che non può invocarsi nella specie, neppure in astratto, la violazione
del principio ne bis in idem (Cfr., sempre in questo senso, con riguardo al
decreto di archiviazione, Cassazione pen., sez. 1, 10426/05; sez. sesta, 15
febbraio 1994, Di Matteo; Cassazione pen., sez. quinta, 21 aprile 1993, Tamburino).

3. 2. Anche a prescindere da
quanto precede non può dubitarsi ‑ come puntualmente evidenziato dalla pronunzia gravata e ammesso, altresì, dal ricorrente
‑ che nella specie le «archiviazioni» invocate erano relative
esclusivamente alla circostanza che il MASSA fosse stato nominato alle cariche
di presidente del consiglio di amministrazione e di amministratore delegato,
mentre nel presente procedimento è stata contestata allo stesso anche la ‑
ulteriore ‑ circostanza di avere «di fatto proceduto a atti di gestione
sia interna che esterna» della società.

3. 3. Da ultimo, e per concludere
sul punto, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte (nonché del

Consiglio Nazionale Forense) in
materia è fermissima nel ritenere che la situazione d’incompatibilità con
l’esercizio della professione forense, prevista dall’art 3,
primo comma, del Rdl 1578/33 per il caso di «esercizio del commercio in nome
altrui» ricorre nei confronti del professionista che assuma la carica di
amministratore delegato di una società commerciale, ove risulti che tale
carica, in forza dell’atto costitutivo o di delega del consiglio di
amministrazione, comporti effettivi poteri di gestione e di rappresentanza, ed
a prescindere da ogni indagine sulla consistenza patrimoniale della società
medesima e sulla sua conseguente esposizione a procedure concorsuali (in
termini, ad esempio, Cassazione, Su, 1143/77).

In altri termini, il
professionista che ricopra la carica di Presidente del consiglio di
amministrazione, di amministratore unico o di amministratore delegato di una
società commerciale si trova in una situazione di incompatibilità (esercizio
del commercio in nome altrui) prevista dall’articolo 3, Rdl 1578/33, situazione
di incompatibilità che, invece, non ricorre quando il professionista pur
ricoprendo la carica di

Presidente del consiglio di
amministrazione, sia stato privato, per statuto sociale o per successiva
deliberazione, dei poteri di gestione dell’attività commerciale, attraverso la
nomina di un amministratore delegato (cfr. Cons. Naz. For. 20 settembre 2000,
n. 90; Cons. Naz. For. 12 novembre 1996).

4. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia «violazione di legge. Violazione
dell’articolo 38, Rdl 1578/33» atteso che la motivazione, addotta dal Consiglio
Nazionale ForenRe nell’affermare la sua responsabilità in ordine al capo di
imputazione di cui sopra è del tutto apparente e in parte fortemente
carente o comunque illogica e contraddittoria», atteso che non ha considerato
che esso concludente ha dato le dimissioni dalle cariche in questione non il 9
giugno 2000, come affermato nel capo di imputazione (e nelle premesse, in
fatto, della decisione impugnata) ma il 20 marzo 2000, come dedotto e
dimostrato già nel giudizio innanzi al Consiglio Nazionale Forense.

5. Al pari del precedente il
motivo non coglie nel segno.

Sotto diversi, concorrenti,
profili.

5.1. In primis si osserva che
alla luce del verbale della società della Compagnia Lavoratori Portuali di
Viareggio del 27 marzo 2000 come trascritto nel ricorso, non pare che in detta
data lo stesso abbia dato

le
dimissioni dalle cariche sociali, essendosi limitato a dichiarare «di
rinunciare espressamente a ogni potere straordinario».

5. 2. In secondo luogo non
risponde affatto al vero che Consiglio Nazionale Forense abbia
omesso di valutare la rilevanza, al fine del decidere, del periodo di
tempo per il quale si è protratta la violazione dell’articolo 3, Rdl 1578/33 da
parte del Massa.

Sul punto, infatti ‑ con
apprezzamento di merito, insindacabile in questa sede ‑ la decisione
impugnata ha precisato «che si sia tratto di un periodo limitato nel tempo non può
considerarsi esimente».

Ha ritenuto pertanto, la
pronunzia impugnata la irrilevanza ‑ al fine del
decidere ‑ di un accertamento del reale periodo nel quale il Massa oltre
a ricoprire le cariche di cui sopra ha esercitato i poteri gestori, esterni e
interni, della società.

Vuoi al fine di escludere la
rilevanza disciplinare della condotta, vuoi al fine della misura della
sanzione, atteso che come precisato nella parte finale della decisione «la
misura interdittiva è stata limitata nel minimo».

6. Sempre con il secondo motivo
parte ricorrente «in subordine» «insiste perché in accoglimento della
richiamata istruttoria orale, vengano sentiti come
testimoni … sulla circostanza se la gestione della società sia stata condotta
dallo studio Ricci e l’avv. Massa si sia limitato a seguire le indicazioni
dello studio Ricci, senza mai, in nessuna occasione, avere assunto iniziativa
personale ..».

Intimamente connesso a tale
motivo è il quinto motivo di ricorso (recte: il quarto, non rinvenendosi un
terzo motivo) con il quale il ricorrente lamenta «violazione di legge ‑
violazione dell’articolo 38 l.
p.», nella parte in cui il consiglio nazionale forense ha affermato che è
irrilevante la giustificazione addotta dal Massa di avere agito per dovere di
ufficio, per atti di normale e dovuta amministrazione o, peggio, su
segnalazione di collaboratori nella gestione della società.

7. Al pari dei precedenti
entrambi i rilievi sono manifestamente infondati.

A norma dell’articolo 3, comma 1,
Rdl 1578/33, la situazione di incompatibilità all’esercizio della professione
forense discende obiettivamente dalla assunzione di una carica sociale, quale
quella di amministratore delegato di una società commerciale, che comporti
poteri di gestione e di rappresentanza (Cassazione, Su, 1143/77, specie in
motivazione).

Pacifico che nella specie il
ricorrente ha ricoperto detta carica, non controverso che lo stesso ha
adottato, in tale veste, provvedimenti di gestione della società i è ‑
palesemente ‑ irrilevante e non pertinente ogni indagine volta a
verificare, da un lato se si trattava, o meno, di atti
di normale e dovuta amministrazione, o, piuttosto, di «straordinaria
amministrazione».

Contemporaneamente la circostanza
che ‑ come si assume ‑ il Massa «si sia limitato a seguire le
indicazioni dello studio Ricci senza mai, in nessuna occasione avere assunto una iniziativa personale ..» è
palesemente irrilevante al fine del decidere.

Pacifico, infatti, che gli atti
in questione sono stati posti in essere – almeno formalmente ‑ dal Massa
nella veste di «amministratore delegato» della Compagnia Lavoratori Portuali di
Viareggio s.r.l., non rileva in alcun modo, al fine di
negare che il Massa abbia poste( in essere «atti di gestione», la circostanza
che detti atti fossero «predisposti» da terzi o che ‑ per ipotesi ‑
voluti da costoro, eventualmente contro la volontà del Massa.

Nel momento in cui il Massa ha
sottoscritto, nella qualità di cui sopra, gli atti di gestione in questione né
è divenuto, automaticamente, l’autore (e il responsabile) e non può, per
l’effetto, invocare né di non avere, personalmente, condiviso quelle scelte [o
che queste gli fossero imposte da terzi], né ‑ tanto meno ‑che la
società era «di fatto» inoperante, essendo palesemente incompatibile una tale
circostanza con la esistenza di atti di gestione
(quali, ad esempio, il licenziamento di alcuni soci).

8. Con il terzo motivo (ancorché,
per evidente errore materiale indicato come quarto) il ricorrente denunzia
«violazione di legge. Violazione dell’articolo 3 e 38
legge 1578/33», atteso che l’articolo 3 della legge professionale prevede come
motivo di incompatibilità, l’esercizio del commercio in nome proprio o in nome
altrui, mentre, in realtà, la Compagnia Lavoratori Portuali non ha nel proprio
statuto il commercio, né lo ha mai esercitato, atteso che lo scopo sociale è
quello di prestazione di servizi portuali.

9. Il motivo è manifestamente
infondato.

La norma in parola è stata
promulgata nel vigore del Codice di Commercio di cui al Rd
1062/1882.

Quest’ultimo non solo all’articolo
3 precisava che «la legge reputa atti di commercio …»
non la sola compravendita di merci come del tutto
apoditticamente si invoca in ricorso ma qualsiasi attività imprenditoriale, ma
all’articolo 8 recitava «sono commercianti coloro che esercitano atti di
commercio per professionale abituale e le società commerciali».

Del resto si osserva che
l’articolo 2195, comma 2, del vigente codice civile espressamente prevede che
«le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese
commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività
indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano».

Certo che il ricordato articolo
2195 Cc prevede, sub 1), tra le altre, le attività industriali dirette «alla
produzione di beni o di servizi», paci fico, che le Compagnie
Lavoratori Portuali non solo sono [senza ombra di dubbio] «società
commerciali», ma hanno lo scopo di «prestare servizi», è palese che è
incompatibile con l’esercizio della professione forense l’assunzione della
qualità di Amministratore delegato di una di tali società.

10. Con il sesto motivo (recte:
quinto) il ricorrente lamenta «violazione di legge. Violazione dell’articolo 38 l. p. violazione
del principio nullum crimen nulla poena sine lege».

Per quanto è dato comprendere con
lo stesso non si censura la sentenza impugnata ma,
piuttosto, la circostanza che la legge professionale, non prevede una pena per
la violazione dell’articolo 3 della stessa.

Si fa, per l’effetto, prosegue il
ricorrente, riferimento all’articolo 38 della stessa
legge professionale che concede un totale potere agli organi di autogoverno di
decidere sulle infrazioni disciplinari.

La mancanza di codificazioni ‑
evidenzia ancora il ricorrente ‑ viola il principio di legalità che
impone di dettagliare le infrazioni e le sanzioni (in un unicum inscindibile)
con conseguente disapplicazione di un principio fondamentale dell’ordinamento
codificato nella stessa Costituzione (articolo 25) e riaffermato
nell’articolo 7 della Convenzione Europea e, in particolare, il
principio di legalità.

11. La deduzione è manifestamente
infondata.

In conformità a quanto
assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa
Corte regolatrice, in particolare, deve ribadirsi, ulteriormente, che
l’articolo 38 Rdl 1578/33 sull’ordinamento delle professioni di avvocato e
procuratore, nel prevedere come illecito disciplinare i fatti non conformi alla
dignità e al decoro professionale, non individua comportamenti tassativamente
determinati, poiché il principio di legalità si riferisce solo alle sanzioni
penali e non si applica alle sanzioni disciplinari (Cassazione, sez. un., 10601/05) .

In altri termini, legittimamente
l’articolo 38 Rdl 1578/33 non individua comportamenti tassativi di illecito
disciplinare per gli avvocati, perché il principio di legalità, di cui
all’articolo 25, comma 2, Costituzione, si riferisce soltanto alle sanzioni
penali (Cassazione, sez. un., 309/05; 1197/83).

Ne deriva che è manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme
dell’Ordinamento professionale forense, in relazione agli articolo 3, 24, 25 e
27 Costituzione, nella parte in cui, con riguardo alla materia disciplinare,
omettono una precisa individuazione delle regole di deontologia professionale,
poiché la predeterminazione e la certezza dell’incolpazione ben può
ricollegarsi a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività in
cui il giudice opera e poiché all’esercizio del potere disciplinare, quale
espressione di potestà amministrativa, sono estranei i precetti costituzionali
concernenti la funzione giurisdizionale (Cassazione, sez. un.,
6733/03).

Al riguardo, inoltre, come
precisato in questa ultima occasione, non è conferente il raffronto con il

diverso
sistema sanzionatorio di altri sistemi professionali, tenuto conto che ciascun
ordinamento professionale reca in sé elementi differenziatori che giustificano
ragionevolmente anche diversità di discipline, né può dirsi violato, infine,
l’articolo 24 Costituzione, giacché per la garanzia del diritto di difesa è
sufficiente la presenza di un nucleo centrale di norme che tutelano il
principio del contraddittorio e prevedono la facoltà per l’interessato di
impugnare dinanzi ad un organo giurisdizionale le decisioni del consiglio
dell’ordine (Cassazione, sez. un., 6766/03, cit. Non diversamente, altresì,
Cassazione, sez. un., 269/93).

12. Con il settimo motivo (recte:
sesto) il ricorrente censura la sentenza, sempre nella parte in cui questa ha
ritenuto la sua responsabilità per avere ricoperto la carica di presidente del
consiglio di amministrazione e di amministratore delegato della Compagnia
Lavoratori Portuali di Viareggio s.r.l. denunziando «violazione di legge. Violazione dell’articolo 3 del codice forense volontarietà
della azione» per mancanza di volontarietà dell’evento e per mancata
valutazione del comportamento complessivo dell’incolpato.

13. Al pari dei precedenti il
motivo è manifestamente infondato.

Certo che l’esercizio della
professione di avvocato è incompatibile «con l’esercizio del commercio in nome
proprio o in nome altrui» e, in particolare ‑ come ricordato sopra
‑ che «la situazione di incompatibilità discende obiettivamente
dall’assunzione di una carica sociale che comporti poteri di gestione e di
rappresentanza» di una società commerciale, pacifico
che nella specie l’odierno ricorrente ha assunto il 14 luglio 1999 la carica di
presidente del consiglio di amministrazione della Compagnia Lavoratori Portuali
di Viareggio s.r.l. e il 20 luglio 1999 anche quella di amministratore delegato
della stessa società esercitandone i relativi poteri di gestione, sia interna
che esterna, sino alle dimissioni, avvenute il 9 giugno 2000, è evidente che si
è a fronte a comportamenti (Id est la assunzione dei detti incarichi e
l’esercizio dei poteri di gestione) posti in essere consapevolmente, senza che
possa ‑ in questa sede ‑ invocarsi un difetto di «volontarietà»,

E’ evidente, infatti, che bene
poteva parte ricorrente non accettare le cariche in questione e, di
conseguenza, non incorrere nella condizione di incompatibilità prevista dalla
legge.

Né ‑ ancora ‑ è
rilevante, al fine di escludere la responsabilità disciplinare del ricorrente,
una pretesa

«incertezza», da parte sua, circa
la non conformità della propria condotta al codice deontologico.

E’ sufficiente, infatti, al
riguardo, tenere presente la non equivoca formulazione dell’articolo 3, comma
1, prima parte del Rdl 1578/33, nonché l’interpretazione che di tale
disposizione specifica ha dato questa Corte regolatrice sin dalla
più volte richiamata pronunzia 1143/77.

Deve escludersi infine che il
Consiglio dell’Ordine e il Consiglio Nazionale Forense non abbiano tenuto

presente
il comportamento complessivo dell’inquisito, avendo evidenziato che non costituisce
esimente la circostanza che l’incompatibilità si sia protratta per un periodo
limitato di tempo, come già sottolineato in precedenza.

14. Quanto al secondo capo di
imputazione di cui il Massa è stato riconosciuto responsabile, in particolare
per avere richiesto la tassazione di prestazioni professionali che assumeva di
avere svolto a favore di BARTOLUCCI Natalino mentre
trattavasi di attività svolta solo formalmente su incarico di questi ma, in
realtà, nell’interesse propria e di certo LOMBARDI Rodolfo, la sentenza gravata
afferma:

da un
lato, che «sussistono idonee e sufficienti risultanze che convalidano la
decisione impugnata», atteso che «da una valutazione complessive della stessa
risulta incontestabile che in realtà l’avv. Massa nello svolgimento delle
azioni per cui poi ha preteso la corresponsione di lauti compensi, operava
soprattutto nell’interesse proprio e di altro soggetto con lui solidale per
conseguire proprie posizioni nell’assetto societario»;

‑ dall’altro, che «le
predette risultanze non possono essere superate dalla circostanza che gli
stessi denuncianti, dopo avere confermato puntualmente le proprie segnalazioni
nel procedimento innanzi al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati abbiano
successivamente ritenuto di addivenire a un atto formale di transazione, che
contiene una ritrattazione generica, chiaramente strumentale», considerato che
«è pacifico che la desistenza dei denunzianti non esclude il ricorso dei
procedimenti disciplinari che hanno funzione trascendente quella della tutela
dei privati interessi».

15. Con l’ottavo motivo (recte:
settimo), il ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata,
denunziando «violazione di legge. Erronea motivazione ex articolo 111 Costituzione Violazione di legge articolo 185 c.p.c.».

Si osserva, infatti, che
Consiglio Nazionale Forense è incorso in gravi errori, che ne rendono
illegittimo e illogico il ragionamento:

‑ sia nell’indicare più
persone, gli stessi denuncianti, desistenza dei denuncianti, come parte
eventualmente lesa dalla richiesta di onorari mentre,
invece, si tratta solo di BERTOLUCCI Natalino, in palese contraddizione con il
capo di imputazione;

‑ sia nella totale mancata
valutazione degli atti prodotti sulla effettiva volontà del BERTOLUCCI, atteso

che la
transazione (intervenuta innanzi al tribunale di Lucca) tra detto BERTOLUCCI e
il ricorrente ai sensi

dell’articolo
185 c.p.c. quale atto pubblico fa fede sino a querela di falso e il suo
contenuto non può essere

disatteso
o negato se non con la querela di falso sé da farne prova piena legale.

16. Il motivo non coglie nel
segno.

Sotto nessuno
dei profili in cui si articola.

16. 1.. E’ irrilevante e non
pertinente, al fine di pervenire alla cassazione della pronunzia impugnata, la
circostanza che il Consiglio Nazionale Forense anziché affermare ‑ come
pacifico ‑ che avevano transatto la lite tra loro pendente innanzi al
tribunale di Lucca esclusivamente il Massa e BERTOLUCCI Natalino, fa menzione
dei «denunzianti».

È di palmare evidenza che si è a
fronte a un mero errore materiale che non incide sulla ratio decidendi che
sorregge il dictum della sentenza gravata.

Specie considerato che in realtà
i «denunzianti» della condotta in violazione dei doveri di probità e
correttezza professionale tenuta dal Massa con riguardo alla richiesta di
tassazione delle prestazioni professionali descritte nel capo di imputazione
erano, in realtà, due soggetti (cioè il BERTOLUCCI e certo BONUCELLI) e solo
uno di questi (id est il BERTOLUCCI) ha ritrattato le precedenti dichiarazioni.

16. 2. Contrariamente a quanto,
del tutto apoditticamente si afferma in ricorso e in conformità a quanto
assolutamente pacifico presso una giurisprudenza più che consolidata di questa
Corte regolatrice, si osserva che in tema di prove, l’atto pubblico fa fede fino
a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento dal
pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese e agli
altri fatti dal medesimo compiuti o che questi attesti essere avvenuti in sua
presenza, come ‑ ad esempio ‑ nel caso in cui dal notaio sia
attestata la materiale dazione del prezzo in quanto avvenuta in sua presenza.

Pertanto, l’efficacia
privilegiata che l’articolo 2700 Cc assegna all’atto pubblico non si estende
alla intrinseca veridicità delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale dalle
parti o alla loro rispondenza alla effettiva intenzione delle parti (Cassazione
12386/06. Sempre nel senso che a norma dell’articolo 2700 Cc, l’atto pubblico
fa fede fino a querela di falso dei fatti che il pubblico ufficiale attesta
essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, nonché dalla
provenienza delle dichiarazioni delle parti, ma non anche dell’intrinseca
verità delle dichiarazioni medesime, Cassazione 3562/98; 50143/96).

Pacifico quanto precede, è di
palmare evidenza che la circostanza che il Massa e il BARTOLUCCI abbiano
transatto la lite tra loro pendente innanzi al tribunale di Lucca non esclude
che il BARTOLUCCI abbia presentato un esposto al Consiglio dell’ordine degli
avvocati di Lucca nei confronti del Massa e abbia, successivamente, confermato,
sentito come teste, le proprie rimostranze contro il Massa.

16. 3. Anche a prescindere da
quanto precede la censura in esame non investe quella che è la reale ratio
decidendi adottata dal Consiglio Nazionale Forense.

A prescindere dal considerare che
la responsabilità del Massa, quanto al secondo capo di incolpazione è stata
ritenuta sulla base di una valutazione complessiva di tutte le acquisizioni
processuali (e, pertanto, dei documenti indicati nella incolpazione di cui al
procedimento n. 8/02) e non solo sulla base delle dichiarazioni rese dal solo
BERTOLUCCI, si osserva che la sentenza gravata ha tenuto presente la
transazione Massa ‑ BERTOLUCCI, affermando che la stessa «contiene una
ritrattazione generica, chiaramente strumentale» delle precedenti accuse e che
«è pacifico che la desistenza dei denuncianti non esclude il corso dei
procedimenti disciplinari che hanno funzione trascendente quella della tutela
dei privati interessi».

Poiché non sono censurate, nel
motivo, né la prima delle ricordate proposizioni (circa la genericità della
ritrattazione), né la seconda (quanto alla irrilevanza della desistenza dei
denuncianti al fine del corso dei procedimenti disciplinari) è evidente ~ come
accennato ‑ la inammissibilità della deduzione.

17. Il ricorso 20544‑06
R.G. in conclusione, risultato infondato in ogni sua parte deve rigettarsi.

Parimenti deve rigettarsi, stante
la infondatezza del precedente, il ricorso 20544‑06bis,
volto alla sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione impugnata con
il ricorso 20544‑06.

Nessun provvedimento deve
adottarsi in ordine alle spese di lite di questo giudizio di legittimità, non
avendo gli intimati svolto attività difensiva in
questa sede.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e
li rigetta, nulla sulle spese del giudizio di cassazione.