Penale

Saturday 02 October 2004

L’ incompatibilità del giudice è causa di ricusazione e non di nullità

L’incompatibilità del giudice è causa di ricusazione e non di nullità

Cassazione – Sezione terza penale
(up) – sentenza 22 aprile-28 settembre 2004, n. 38048

Presidente Vitalone – Relatore
Fiale

Pm Favalli – ricorrente Aimasso

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23 febbraio 2000
la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma
della sentenza 9 luglio 1998 del Tribunale di Rimini:

a) ribadiva
l’affermazione della penale responsabilità di Aimasso Luigi in ordine ai reati
di cui:

– agli articoli 81 cpv., 519, commi 1 e 2 n. 1, e 521, commi 1 e 2, Cp (perché,
con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, commetteva su
Perotti Guido, minore dei 14 anni, atti di libidine consistiti in toccamenti
ripetuti degli organi genitali ed in atti che induceva lo stesso Perotti a
compiere sulla persona di esso colpevole, costringendolo altresì a ripetute
congiunzioni carnali per via anale ed orale ‑ in Rimini, Bra ed altrove, tra
il 1978 ed il 14 aprile 1980);

– agli articoli 81 cpv. Cp, 3 ‑
nn. 5 e 8, 4 – nn. 1 e 2, legge 75/1958 (perché, anche con minaccia e violenza
fisica, dopo avere indotto Perotti Guido alla prostituzione:

– a partire dal 1979, favoriva la
prostituzione stessa del Perotti, procurandogli incontri con “clienti”, svolti
per lo più in luoghi appartati della spiaggia di Rimini e comunque
in luoghi pubblici, nonché nell’alloggio di esso Aimasso in Bra, dopo il 1983,
da quando cioè in tale abitazione era iniziata la loro convivenza, ed ancora in
luoghi pubblici o esposti al pubblico di Cuneo, Asti ed Alessandria, sempre
partecipando esso Aimasso a tali atti di prostituzione o sostando a breve
distanza, numerose volte, inoltre, filmando gli atti e rapporti sessuali con
una telecamera, fino all’estate del 1990;

– sfruttava la prostituzione del
Perotti, facendosi consegnare dallo stesso, subìto dopo il compimento degli
atti sessuali, il compenso versato dai clienti);

– agli articoli 81 cpv., 110 e 521, comma 1, Cp (perché, in concorso con il
Perotti, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in Bra, tra
l’ottobre 1988 ed il maggio 1989, commetteva su Lione Davide, affidato
all’imputato, il suo insegnante di sostegno, per ragioni scolastiche, atti di
libidine, alcuni dei quali l’Aimasso filamava con una telecamera);

– agli articoli 81 cpv. Cp, 3 ‑
n. 8 e 4 ‑
nn. 2 e 4, legge 75/1958 (perché favoriva e sfruttava la prostituzione di
Larganà Cosentino Paolo, minore degli anni 16 con accertato deficit psichico, a
lui affidato per ragioni di istruzione ed educazione);

‑ agli articoli 110, 521, 519 ‑
cpv., nn. 2 e 3, Cp (perché consentiva che Corti Giorgio si appartasse con Larganà Cosentino Paolo,
minore degli anni 16, al fine di un congiungimento carnale per via orale e dei
preliminari atti lascivi, ed induceva il Larganà a compiere sul Corti atti di
libidine diversi dalla congiunzione carnale

in Rimini, il 29 agosto 1995);

– agli articoli 110 e 519 Cp
(perché offriva e consentiva che Chessa Giancarlo e Barla Piero si
congiungessero carnalmente con Larganà Cosentino Paolo, minore degli anni 16,
costringendolo a coiti orali ed anali ‑ in Rimini nell’agosto 1995);

– agli articoli 81 cpv., 110 e 519 cpv., nn. 2 e 4, Cp (perché offriva e
consentiva che altre persone costringessero Larganà Cosentino Paolo, minore
degli anni 16, a congiunzioni carnali orali ed anali ‑ in Bra, fino
all’agosto1995);

b) confermava la pena complessiva
– inflitta dal primo giudice nella misura di anni nove
di reclusione e lire 15 milioni di multa – ma applicava l’indulto di cui al Dpr
394/90 ai fatti di violenza sessuale commessi in danno del Perotti e del Lione
sino al 24 ottobre 1989 (trasfusi nelle imputazioni di cui ai capi a e d), dichiarando
condonati mesi sei di reclusione;

c) confermava la pena accessoria
e le statuizioni risarcitorie in favore delle costituite parti civili.

Avverso tale
sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato,
il quale ha eccepito:

1. l’incompetenza
territoriale del Tribunale di Rimini, dovendosi ritenere competente, invece, il
Tribunale di Alba, nel cui territorio si sarebbe verificato il primo e più
grave episodio delittuoso;

2. la nullità della sentenza di
primo grado, essendo stato emesso il decreto di rinvio a giudizio, in esito
alla celebrazione dell’udienza preliminare, dal medesimo giudice che aveva disposto la custodia cautelare dell’imputato e che
aveva pronunciato sentenza applicativa di pena, ex articolo 444 Cpp, nei
confronti dei coimputati Corti, Chessa e Barla;

3. l’illegittimità
costituzionale ‑
per contrasto con gli articoli 2, 3, 24, 27, 101 e 111 Costituzione ‑
dell’articolo 3bis del Dl 145/99, convertito nella legge 234/99, qualora esso
venisse interpretato nel senso di limitare l’applicazione del nuovo comma 2bis
dell’articolo 34 Cpp ai soli procedimenti instaurati successivamente al 2
gennaio 2000;

4. violazione di legge e difetto
di motivazione quanto alla ritenuta utilizzabilità probatoria delle
dichiarazioni rese da Larganà Cosentino Paolo in trasgressione degli articoli
63, 191 e 526 Cpp, poiché quegli, colto in flagrante delitto di
atti osceni in luogo pubblico, fin dall’inizio avrebbe dovuto essere
interrogato in qualità di indagato;

5. violazione di legge quanto
alla mancata incriminazione del Larganà per il delitto di atti
osceni;

6. violazione di legge e difetto
di motivazione quanto alla ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese da Perotti Guido, in violazione degli articoli 63, 191
e 526 Cpp, poiché quegli era “concorrente” con l’Aimasso nel delitto di atti di
libidine in danno di Lione Davide e non poteva essere escusso quale testimone;

7. l’illogicità
della sentenza in ordine all’affermata attendibilità del Larganà e del Perotti,
pure a fronte di plurime contraddizioni e nella carenza assoluta di elementi di
prova idonei a confermarne le dichiarazioni;

8. l’inutilizzabilità

ai sensi dell’articolo 26, comma 5, della legge 63/2001 e dell’articolo 1 cpv
della legge 351/00 ‑ delle dichiarazioni rese, nel corso delle indagini
preliminari, dai coimputati Barla e Chessa e non confermate al dibattimento;

9. l’illegittimità
costituzionale ‑
per contrasto con gli articoli 3, 24, 77 e 111 Costituzione, nonché con
l’articolo 2 della legge costituzionale
2/1999 ‑
dell’articolo 26, comma 5, della legge 63/2001, qualora esso venisse
interpretato nel senso di consentire, per l’ambito temporale di vigenza, la
perdurante applicabilità del Dl 2/2000 nella versione antecedente alle
modifiche apportate in sede di conversione;

10. l’impossibilità
di applicare l’articolo 3, n. 5, della legge 75/1958 a fatti di induzione alla
prostituzione maschile e l’insussistenza del delitto di favoreggiamento della
prostituzione del Perotti essendo l’Aimasso non favoreggiatore ma parte attiva
dei congressi carnali;

11. difetto di motivazione in ordine ai delitti di sfruttamento della prostituzione del
Perotti e del Larganà, poiché non sarebbe provato che l’Aimasso abbia tratto
alcuna utilità dalla presunta attività di meretricio dei due giovani;

12. carenza
assoluta di motivazione in ordine al reato di violenza carnale (contestato al
capo il della rubrica) che sarebbe stato consumato attraverso l’offerta ed il
consentimento di congiunzioni orali ed anali del Larganà con persone non
identificate;

13. l’illogicità
della sentenza nella parte in cui correla il giudizio di condanna alla mancanza
di resipiscenza dell’imputato;

14. vizio di motivazione in ordine alla censurata erronea e carente valutazione di
tutti gli elementi di prova acquisiti, nonché omessa considerazione di prove
addotte dalla difesa;

15. violazione di legge e difetto
di motivazione quanto alla lamentata insussistenza, in
relazione ai reati di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della
prostituzione del Perotti, dell’aggravante di cui all’articolo 4, n. 1, della
legge 75/1958;

16. carenza
di motivazione in punto di determinazione della pena e di diniego del
riconoscimento delle attenuanti generiche;

17. carenza
di motivazione quanto alla mancata applicazione dell’indulto di cui al Dpr
394/90 ai fatti di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della
prostituzione del Perotti (capo B della rubrica) commessi fino al 24 ottobre
1989.

Le doglianze anzidette sono state
ribadite ed ulteriormente specificate con memoria
difensiva depositata il 7 aprile 2004.

Motivi della decisione

1. L’interessato ‑
con i motivi di ricorso dianzi enunciati ai nn. 1, 10,
12 e 15 ‑
ha denunziato violazioni di legge non dedotte con i motivi di
appello, fuori dei casi previsti dagli articoli 569 e ‑609,
comma 2, Cpp: le doglianze ivi svolte, pertanto, sono inammissibili ai sensi
dell’articolo 606, comma 3, Cpp.

L’appello, in particolare,
neppure risulta esteso all’ordinanza dell’1 1. 2.1998,
con cui il Tribunale di Rimini aveva respinto l’eccezione di incompetenza
territoriale.

2. Il comma 2bis dell’articolo 34
Cpp ‑
inserito dal D.Lgs 51/1998 ‑ dispone che «il
giudice che nel medesimo procedimento ha esercitato funzioni di Gip non può …
tenere l’udienza preliminare».

L’articolo 3bis del Dl 145/99, convertito nella legge 234/99, ha previsto
che «1. Fino alla data del 2 gennaio 2000, l’articolo 34, comma 2bis, del Cpp,
inserito dall’articolo 171 del D.Lgs 51/1998, non si
applica ai procedimenti nei quali l’udienza preliminare è in corso alla data di
entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Restano comunque salvi gli , atti e le attività compiute dal
giudice. 2. Fino alla data del 2 gennaio 2000, se il giudice, dopo la data di entrata in vigore della legge di ‑ conversione del
presente decreto, fuori dei casi consentiti dalla legge, esprime giudizi che
manifestano una valutazione di colpevolezza, le parti possono chiederne la
ricusazione. Si applicano le disposizioni degli articoli 38 e seguenti del
Cpp”.

L’incompatibilità del Gup per
atti compiuti quale Gip ha avuto efficacia, pertanto, solo a decorrere dal 2
gennaio 2000 e non può ritenersi operante per quei procedimenti la cui udienza
preliminare (come nel caso in esame) si era conclusa,
prima di tale data, con il rinvio a giudizio dell’imputato.

Deve ricordarsi, m ogni caso, il
principio affermato dalle Su di questa Corte suprema
(Cassazione, Su, 23/2000), secondo il quale l’eventuale incompatibilità del
giudice costituisce motivo di ricusazione, ma non vizio comportante la nullità
del giudizio. L’incompatibilità di cui all’articolo 34 Cpp non attiene,
infatti, alla capacità del giudice, quale capacità ad esercitare la funzione
giurisdizionale, in difetto della quale opera utilmente la nullità assoluta di
cui all’articolo 178, lettera a), Cpp Il difetto di capacità del giudice, invece,
va inteso come mancanza dei requisiti occorrenti per l’esercizio delle funzioni
giurisdizionali e non anche in relazione al difetto
delle condizioni specifiche per l’esercizio di tale funzione in un determinato
procedimento (vedi Cassazione, Sezione sesta, 6044/99, Baldini ed altri).

Questa Corte suprema ha ritenuto
che il Legislatore, prevedendo, con l’articolo 171 del D.Lgs
51/1998, una causa generale di incompatibilità tra il Gip e il Gup, ha espresso
una scelta discrezionale di maggiore garanzia, non imposta dalla Costituzione
ma solo determinata da una opzione di politica giudiziaria verso la
configurazione del Gup come giudice assolutamente privo della conoscenza di
atti in precedenza compiuti.

È stata già considerata, pertanto
(Cassazione, Sezione quarta, 1003/99, Sette), manifestamente infondata
l’eccezione di incostituzionalità dell’articolo 1
della legge 188/98, che ha prorogato l’entrata in vigore della riforma ‑
prospettata sotto il profilo della violazione degli articoli 25 (per
sottrazione al giudice naturale previsto dal novellato articolo 34 Cpp) e 24
(ingiusto processo) ‑ e la stessa valutazione di manifesta infondatezza
deve estendersi alla illegittimità, eccepita nel ricorso in esame, delle
disposizioni transitorie introdotte dall’articolo 3bis del Dl 145/99,
convertito nella legge 234/99.

In relazione a
tale ultima normativa, questa Corte ha rilevato che rientra nelle scelte
discrezionali del Legislatore, come affermato dalla Corte costituzionale, la
valutazione della sorte dei processi in corso al momento della entrata in
vigore di una nuova norma processuale e dei limiti dell’applicabilità di ‑
questa, attraverso l’emanazione di norme transitorie, per loro natura di
applicazione temporanea (vedi Cassazione, Sezione sesta, 316/00).

Nella specie, peraltro, neppure
può invocarsi il principio espresso nella sentenza della Corte costituzionale
371/96, volto ad impedire che uno stesso giudice valuti più volte, in
successivi processi, la responsabilità penale di una persona m relazione al medesimo
reato, in quanto l’incompatibilità del giudice non può essere estesa a tutte le
ipotesi in cui si proceda separatamente nei confronti dei concorrenti nel
reato, ma deve essere circoscritta solo a quei casi in cui, con la sentenza che
definisce il procedimento a carico di uno o più imputati, siano state
apprezzabilmente operate valutazioni, anche se in via incidentale, purché di
contenuto univoco e rilevante, in ordine alla
responsabilità penale di un terzo concorrente nel medesimo reato.

Si ricordi, a tale riguardo, che
la Corte costituzionale ha già dichiarato infondate
le questioni di legittimità dell’articolo 34 Cpp nelle parti in cui non prevede:


l’incompatibilità a celebrare l’udienza preliminare del giudice che abbia già
valutato la posizione dell’imputato in altro processo definito con sentenza
emessa a seguito di giudizio abbreviato “nei confronti di coimputati
concorrenti necessari” nel medesimo reato (Corte costituzionale, sentenza
367/02);

– l’incompatibilità a partecipare
al giudizio nei confronti di un imputato del giudice che abbia pronunciato o
concorso a pronunciare una precedente sentenza nei confronti di
altri soggetti ‑ nella quale la posizione di quello stesso imputato
in ordine alla sua responsabilità sia stata comunque valutata (Corte
costituzionale, sentenza 490/02).

Le considerazioni svolte dalla
Consulta nelle pronunzie anzidette (ove il giudice delle leggi ribadisce che l’udienza preliminare è divenuta “un momento
di giudizio”) assumono maggiore valenza allorquando il giudice abbia applicato
la pena, ex articolo 444 Cpp, su richiesta di coimputati concorrenti nel
medesimo reato, poiché in una sentenza siffatta ‑ che non contiene un
accertamento di responsabilità nemmeno nei confronti degli stessi richiedenti ‑
non può ritenersi implicita quella valutazione di responsabilità penale del
terzo non imputato, che la Corte costituzionale pone a base dell’individuazione
delle cause di incompatibilità del giudice (v. al riguardo, Cassazione, Sezione
sesta, (cc) 1385/98 e 3894/97, nonché Sezione quinta, 4201/97).

3. Il ricorrente ha dedotto
violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla ritenuta
utilizzabilità delle dichiarazioni rese da Larganà Cosentino Paolo, considerata
trasgressiva degli articoli 63, 191 e 526 Cpp, poiché quegli, colto in
flagrante delitto di atti osceni in luogo pubblico,
fin dall’inizio avrebbe dovuto essere interrogato in qualità di imputato.

[Omissis]

5. Le considerazioni svolte nel
paragrafo precedente valgono pure in ordine alle
doglianze svolte dal ricorrente quanto alla ritenuta utilizzabilità delle
dichiarazioni rese da Perotti Guido, considerata trasgressiva degli articoli
63, 191 e 526 Cpp, in quanto quegli era “concorrente” con l’Aimasso nel delitto
di atti di libidine in danno di Lione Davide e non poteva essere escusso quale
testimone.

A tal proposito, però, deve
evidenziarsi che il Perotti (già sentito con l’assistenza del difensore negli
incidenti probatori del 22 gennaio 1992), dopo essere stato escusso, in qualità di teste, all’udienza dibattimentale del 23
aprile 1998, venne sentito come coimputato, con l’assistenza del difensore,
all’udienza del 19 giugno 1998 ed in tale circostanza (senza alcuna doglianza
difensiva) confermò le dichiarazioni rese in precedenza. Sull’accordo delle
parti vennero, quindi, “date per lette le suddette dichiarazioni”.

La conferma globale
delle dichiarazioni già rese non comporta, ad evidenza, alcuna lesione dei
diritti di difesa del dichiarante né dei terzi accusati e alcun pregiudizio
circa la genuinità dei riferimenti, nulla impedendo al dichiarante medesimo,
ritualmente avvisato delle conseguenze delle proprie dichiarazioni di limitare
la conferma ad alcuni fatti o di differenziare i contenuti delle dichiarazioni
stesse. Né è necessario che la rinnovazione avvenga
mediante una pedissequa ripetizione delle precedenti affermazioni, essendo
sufficiente che la persona interrogata si limiti a confermare il contenuto di
quanto in precedenza dichiarato, nella piena consapevolezza della natura e
degli effetti dell’atto che compie.

6. Il ricorrente ha pure eccepito
la inutilizzabilità, in relazione alle prescrizioni
della legge 35/2000 e della legge 63/2001, delle dichiarazioni rese dai
coimputati Barla Pietro e Chessa Giancarlo nel corso delle indagini preliminari
e non confermate al dibattimento, in quanto, all’udienza del 19 giugno 1998, i
due coimputati dichiararono che non intendevano rispondere.

Va anzitutto rilevato, al
riguardo, che: i relativi verbali risultano acquisiti
al fascicolo del dibattimento nell’accordo delle parti; secondo la
giurisprudenza di questa Corte suprema, in tema di “giusto processo” ‑
in base alla disciplina transitoria dettata dall’articolo 1, commi 2 e 4, del
Dl 2/2000, convertito dalla legge 35/2000, e dall’articolo 26, comma 4 della
legge 63/2001 ‑
nel giudizio di legittimità alle dichiarazioni di accusa rese da persona
coimputata o coindagata che in dibattimento si è sottratta all’esame ‑
acquisite al fascicolo del dibattimento prima del 25 febbraio 2000 ed
utilizzate ai fini delle decisioni di merito ‑ si applicano le disposizioni
vigenti al momento delle decisioni stesse non solo in materia di valutazione
della prova, ma altresì di formazione ed acquisizione della medesima (vedi
Cassazione, Sezione quarta, 5726/02, Patti ed altri).

Va poi ricordato che l’articolo 1
del Dl 2/2000 disponeva:

– al comma 1, che «fino alla data
di entrata in vigore della legge che ne disciplina
l’attuazione nel processo penale, i principi introdotti nell’articolo 111 della
Costituzione dall’articolo 1 della legge costituzionale 2/1999, si applicano ai
procedimenti penali in corso alla data di entrata in vigore della legge
costituzionale nei quali non sia stato dichiarato aperto il dibattimento»;

– al comma 2, che «nei
procedimenti penali nei quali sia stato dichiarato aperto il dibattimento alla
data di entrata in vigore della legge costituzionale
2/1999, la colpevolezza dell’imputato non può essere provata esclusivamente
sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore.
Tali dichiarazioni, tuttavia, possono essere valutate come prova dei fatti in esse affermati quando, per le modalità dell’esame, o per
altre circostanze emerse dal dibattimento, risulta che la persona che le ha
rese è stata sottoposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di
altra utilità, affinché si sottragga all’esame».

La stessa norma ‑
nel testo modificato dalla legge di conversione 35/2000 ‑ stabilisce:

‑ al comma 1, che «fino alla
data di entrata in vigore della legge che disciplina
l’attuazione dell’articolo 111 della Costituzione, come modificato dalla legge
costituzionale 2/1999, ed in applicazione dell’articolo 2 della stessa legge
costituzionale, i principi di cui all’articolo 111 della Costituzione si
applicano ai procedimenti in corso salve le regole contenute nei commi
successivi»;

– al comma 2
e 3, che «2. le dichiarazioni rese nel corso delle
indagini preliminari da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente
sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore, sono valutate, se già
acquisite al fascicolo del dibattimento, solo se la loro attendibilità è
confermata da altri elementi di prova, assunti o formati con diverse modalità.
3. Le dichiarazioni possono essere comunque valutate
quando, sulla base di elementi concreti, verificati in contraddittorio, risulta
che la persona è stata sottoposta a violenza, minaccia offerta o promessa di
denaro o di altra utilità affinché si sottragga all’esame».

Al momento della pronunzia della
sentenza di appello vigeva l’articolo 1 cpv. del Dl
2/2000, nel testo originario e la difesa (all’udienza del 23 febbraio 2000)
aveva chiesto un rinvio della trattazione in attesa dell’imminente approvazione
della legge di conversione, le cui previsioni modificatorie erano state già
rese note dalle riviste giuridiche specializzate.

Correttamente la Corte di merito
ha negato il rinvio del processo in attesa di una
emananda disciplina di contenuto incerto e legittimamente ha applicato le
disposizioni vigenti al momento della decisione.

L’articolo 26
della legge 63/2001 prevede che «1. Nei processi penali in corso alla
data di entrata in vigore della presente legge si
applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei
commi da 2 a 5.

2. Se il procedimento è ancora
nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede
a rinnovare l’esame dei soggetti indicati negli articoli 64 e 197bis del
Cpp, come rispettivamente modificato e introdotto dalla presente legge, secondo
le forme ivi previste. 3. Le dichiarazioni rese nel
corso delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare, se già acquisite
al fascicolo per il dibattimento, sono valutate a norma dei commi 3, 4, 5 e 6
del previgente articolo 500 del Cpp. 4. Quando le dichiarazioni di cui al comma
3 sono state rese da chi, per libera scelta, sì è sempre volontariamente
sottratto all’esame dell’imputato o del difensore, si applica la disposizione
del comma 2 dell’articolo 1 del Dl 2/2000, convertito, con modificazioni, dalla
legge 35/2000, soltanto se esse siano state acquisite al fascicolo per il
dibattimento anteriormente alla data del 25 febbraio
2000. Se sono state acquisite successivamente, si
applica il comma 1bis dell’articolo 526 del Cpp, come introdotto dall’articolo
19 della presente legge. 5. Alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il
dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio
dinanzi alla Corte di cassazione le disposizioni vigenti in materia di
valutazione della prova al momento delle decisioni
stesse».

Alla stregua delle argomentazioni
svolte in ricorso, non è dato comprendere e valutare la rilevanza della
proposta eccezione di illegittimità costituzionale del
comma 5 dell’anzidetto articolo 26 della legge 63/2001, «qualora esso venisse
interpretato nel senso di consentire, per l’ambito temporale di vigenza, la
perdurante applicabilità del Dl 2/2000 nella versione antecedente alle modifiche
apportate in sede di conversione».

Deve ribadirsi,
comunque, per il principio “tempus regit actum”, che rientra nelle scelte
discrezionali del Legislatore, come ritenuto dalla Corte costituzionale, la
valutazione della sorte dei processi in corso al momento della entrata in
vigore di una nuova norma processuale e dei limiti dell’applicabilità di
questa, attraverso l’emanazione di norme transitorie, per loro natura di
applicazione temporanea.

Deve altresì
ricordarsi cha questa Corte suprema si è già espressa nel senso della
manifesta infondatezza:

– della questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma 2, del Dl 2/2000, sollevata, in riferimento all’articolo 24 della Costituzione, nella
parte in cui limita, nei procedimenti per i quali sia stato aperto il
dibattimento alla data di entrata in vigore della legge costituzionale 2/1999,
la operatività del comma 4 dell’articolo 111 della Costituzione, quale
risultante dalle modifiche introdotte dalla medesima legge costituzionale. Infatti la norma transitoria, che continua ad assegnare una
(pur ridotta) valenza probatoria alle dichiarazioni rese prima del dibattimento
da persona che si sottragga all’esame che, dunque, limita l’operatività nel
tempo del nuovo precetto sancito dal comma 4 dell’articolo 111 della Carta
fondamentale, appare puntualmente coerente con l’articolo 2 della richiamata
legge costituzionale 2/1999 (Cassazione, Sezione quinta, 3937/00, Ibrahimi ed
altri);

– della questione di legittimità
costituzionale dell’articolo 1, comma quarto, del Dl 2/2000, convertito dalla
legge 35/2000, in riferimento agli articoli 3 e 24
Costituzione, che prevede che alle dichiarazioni acquisite al fascicolo per il
dibattimento, e già valutate ai fini delle decisioni, si applicano nel giudizio
dinnanzi alla Corte di cassazione le disposizioni vigenti in materia di
valutazione della prova al momento delle decisioni stesse. In mancanza di tale
disposizione transitoria, in base ai principi sulla successione delle leggi nel
tempo, operanti anche tra leggi costituzionali, avrebbero dovuto considerarsi
pienamente applicabili le norme sulla acquisizione
probatoria compatibili con l’assetto normativo precedente alla modifica
costituzionale, e quindi, nella specie, la disciplina dell’articolo 513 Cpp
come incisa dalla sentenza della Corte costituzionale 361/98 (disciplina che,
proprio per effetto di detta sentenza, doveva considerarsi costituzionalmente
protetta). La normativa transitoria, lungi dal contenere l’efficacia della
nuova disposizione costituzionale, ha, al contrario, sulla
base di una ragionevole scelta del Legislatore, determinato una limitata
retroattività dei nuovi principi, che, diversamente, non si sarebbe prodotta;
ribadendo peraltro, con una sorta di interpretazione autentica, che l’applicazione
delle norme sull’acquisizione probatoria si esaurisce nelle fasi di merito e
che, in sede di legittimità, si deve accertare solo il pregresso corretto
governo di tali norme (Cassazione, Sezione sesta, 5563/00, Francica).

In proposito è stato ancora rilevato
che:

– La stessa
legge costituzionale 2/1999, nel demandare alla legge ordinaria il
compito di regolamentare l’applicazione, dei principi del “giusto processo” ai
processi penali in corso, ha previsto dei correttivi, di natura transitoria,
atti a contemperare quei principi con i valori costituzionalmente rilevanti,
della gradualità nella trasformazione del diritto, del buon andamento
dell’amministrazione giudiziaria e della speditezza del procedimento
(Cassazione, Sezione prima, 8881/00, Malcangi ed altro).

– L’articolo 1, comma 4, del Dl
2/2000, nel testo introdotto dalla legge di conversione 35/2000 costituisce
espressione del legittimo potere del Legislatore di stabilire discrezionalmente
il momento a partire dal quale una norma di principio (come è
quella costituita dal novellato articolo 111 della Costituzione) deve produrre
i suoi effetti. Il trattamento differenziato che, in
forza della suddetta disciplina, viene riservato alla stessa categoria di
soggetti, ma con riferimento a momenti diversi, manifestamente non si pone in
contrasto con il principio di uguaglianza, comprensivo anche della
ragionevolezza, fissato dall’articolo 3 della Costituzione, dovendosi esso
ritenere, al contrario, conforme ai valori, anch’essi costituzionalmente
rilevanti, della gradualità nella trasformazione del diritto e del buon
andamento dell’amministrazione della giustizia (Cassazione, Sezione seconda,
14791/03, Martelli).

7. Secondo la giurisprudenza
costante di questa Corte suprema, in tema di valutazione probatoria, la
deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest’ultima non è
equiparabile al testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come
fonte di prova, ove venga sottoposta ad un’indagine
positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa.

Un’indagine siffatta, nella
fattispecie in esame, risulta correttamente effettuata,
poiché i giudici di merito:

– hanno sottoposto ad un
controllo particolarmente penetrante e rigoroso le dichiarazioni provenienti
dagli accusatori, considerando anche le loro connessioni e gli elementi di
conferma;

– hanno razionalmente valutato,
poi, quali indiscutibili e puntuali elementi di riscontro: le dichiarazioni rese dai testi Perlo e Basili (“clienti fissi” del Perrotti)
nonché da Chessa Giancarlo e Barla Pietro (coimputati); l’episodio dell’arresto
dell’Aimasso nella flagranza del reato di favoreggiamento della prostituzione
del Larganà (descritto dal verbalizzante Solinas); il filmato relativo alla
vicenda Lione;

– hanno escluso, con argomentazioni
logiche, la calunniosità delle asserzioni accusatorie.

Nell’anzidetto contesto
probatorio la Corte territoriale non ha mancato di considerare le problematiche
svolte dalla difesa ed ha razionalmente risposto ad esse.

I giudici del merito, in
particolare, hanno tenuto conto delle dichiarazioni rese dai testi a discarico:

– Lucia Taliano (madre di un
allievo dell’Aimasso), che ha riferito del buon rapporto tra l’imputato e la
famiglia del Larganà, dell’impegno da quegli profuso per curare la crescita e
la maturazione di Paolo e dei dubbi di veridicità delle
accuse di Paolo alla stregua degli atteggiamenti assunti dai suoi familiari;

– il professore
Moreno Bellandi, che ha lumeggiato l’ottimo comportamento sempre tenuto
dall’imputato nei confronti degli scolari.

Il contenuto di tali deposizioni,
però, valutato nella loro oggettività, razionalmente è stato ritenuto
inconferente a fronte della imponente e ben più
significativa consistenza degli elementi di accusa.

Nella fattispecie in esame ‑
in conclusione ‑
la motivazione della sentenza impugnata appare esauriente e corrispondente alle
premesse fattuali acquisite in atti, m quanto essa
esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce risposte coerenti
alle obiezioni della difesa, la struttura razionale della decisione è sorretta
da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi
offerti dal processo, e il ricorrente si limita sostanzialmente a sollecitare
una non consentita rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel
mento della sentenza impugnata, che non può effettuarsi in sede di legittimità.

Assolutamente arbitraria, infine,
e disancorata dalla vicenda processuale, deve ritenersi la prospettazione
difensiva secondo la quale il giudizio di condanna sarebbe correlato alla
mancanza di resipiscenza dell’imputato, della quale si è tenuto soltanto conto
nella complessiva valutazione dei fatti e nell’individuazione della sanzione.

8. Non sarebbe configurabile,
secondo le argomentazioni della difesa, il delitto di sfruttamento della
prostituzione del Perotti e del Laganà, non essendo provato che l’Aimasso abbia tratto alcuna utilità dalla presunta attività di
meretricio dei due giovani.

Secondo la giurisprudenza di
questa Corte, costituisce “sfruttamento della prostituzione” qualunque
partecipazione parassitaria ai guadagni o alle diverse utilità ricavate
dall’esercizio del meretricio altrui (Cassazione, Sezione terza, 4650/85 e
4964/82), ed in tale prospettiva non è richiesta la verificazione di un sistema
di vita parassitaria (Cassazione, Sezione terza, 645/85 e 9129/82) ma è
sufficiente che l’agente profitti del meretricio in qualsiasi modo (Cassazione,
Sezione terza, 517/84), anche solo per risparmiare quanto avrebbe dovuto
altrimenti spendere (Cassazione, Sezione terza, 15820/90).

Nella fattispecie, i giudici del
merito, conferendo credibilità alle dichiarazioni
accusatorie del Perotti e del Larganà (confermate sul punto dai testi Basili e
Perlo, oltre che dal Barla e dal Chessa), hanno evidenziato la partecipazione
dell’Aimasso ai guadagni tratti dai rapporti mercenari dei due adolescenti
(offerti, per il primo di essi, anche attraverso la pubblicazione di annunci
sui giornali).

Incoerenti appaiono, al riguardo,
le argomentazioni difensive riferite al mancato
riscontro, nel conto corrente bancario cointestato all’imputato ed al Perotti,
di movimentazioni di denaro adeguate ai ricavi mensili che il giovane assume di
avere percepito per le proprie prestazioni sessuali. È lo stesso Perotti,
infatti, a ricordare che 40 milioni, confluiti su quel conto per eredità
paterna, sono definitivamente rimasti nella disponibilità dell’Aimasso, e che,
a dire di quest’ultimo, “gli introiti servivano a farci stare di più a Rimini”
(ove i due soggiornavano in albergo) e “una persona sola a lavorare non poteva
mantenerne due”.

9. Quanto al denegato
riconoscimento di attenuanti generiche, deve
ricordarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte suprema:

– le attenuanti generiche, nel
nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in
considerazione di situazioni e circostanze particolari e non codificabili,
tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, che
effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della
capacità di delinquere dell’imputato;

– la concessione o il diniego
delle attenuanti generiche rientrano nel potere
discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che
sia, deve essere motivato, sia pure nei limiti atti a far emergere in misura
sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena
concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo;

– il giudice di
appello ‑
pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante ‑
non è tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni
particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti
rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo
implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta
contestazione.

Nella fattispecie in esame, la
Corte di merito ‑
a fronte della prospettazione di elementi di segno
positivo, raffigurati nell’encomiabile attività di insegnante e nell’impegno
sociale profuso dall’imputato nel volontariato ‑ legittimamente, e con
motivazione razionale, ha denegato il riconoscimento di circostanze attenuanti
generiche “con riferimento alla macroscopica gravità antigiuridica della
condotta, sul piano meramente obiettivo” ed agli aspetti soggettivi della
stessa, stante la “totale mancanza di rispetto delle regole della convivenza
civile” e la sostanziale contrarietà al proclamato impegno nel campo
educazionale e della solidarietà verso i soggetti più deboli.

Tale valutazione non merita
censura e la pena risulta congruamente determinata con
riferimento ai criteri indicati dall’articolo 133 Cp, ed, in particolare alla
pluralità dei comportamenti delittuosi protrattisi per un lungo arco temporale,
alla iniquità degli stessi e ad un motivato apprezzamento della capacità di
delinquere, del colpevole, estrinsecatasi in un tempo tanto lungo e nei
confronti di più giovani, senza soluzione di continuità e senza “alcuna ombra
di resipiscenza”.

10. La questione
dell’applicazione dell’indulto può essere sollevata, in sede di legittimità,
soltanto nel caso in cui il giudice di merito, esaminandola, l’abbia risolta negando che l’imputato ne abbia diritto e non,
invece, quando – come nella fattispecie in esame ‑ il giudice non abbia
esplicitato un diniego.

L’eventuale applicazione del
beneficio concesso con il Dpr 394/90 ‑ per i reati diversi da quelli
contestati ai capi a) e d) dei capi di imputazione ‑
va riservata, dunque, al giudice dell’esecuzione.

11. Il ricorso, per tutte le
considerazioni sopra svolte, deve essere rigettato e, conseguentemente, il
ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese della parte civile
Larganà, che vengono liquidate, per il presente grado del giudizio, in
complessivi euro 1500 di cui euro 1200 per onorario, oltre Iva e contributi
Cassa avvocati.

PQM

La Corte suprema di Cassazione,
visti gli articoli 607, 615 e 616 Cpp, dichiara manifestamente infondate
le dedotte questioni di legittimità costituzionale; rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
di quelle della parte civile Larganà, che liquida, per il presente grado del
giudizio, in complessivi euro 1500 di cui euro 1200 per onorario oltre Iva e
contributi Cassa avvocati.