Tributario e Fiscale

Friday 04 May 2007

L’ assegno una tantum di divorzio è indeducibile.

L’assegno una tantum di divorzio
è indeducibile.

Corte costituzionale – Ordinanza
n. 113/2007

LA CORTE COSTITUZIONALE

ha
pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel
giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 10, comma 1, lettera c),
e 47, comma 1, lettera i),del DPR 22 dicembre 1986,n. 917 (Approvazione del
testo unico delle imposte sui redditi), promosso con ordinanza depositata il 23
giugno 2005 dalla Commissione tributaria provinciale di Udine, nel giudizio
vertente tra Giuseppe De Anna e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Udine,
iscritta al n. 478 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visto l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;

udito
nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.

Ritenuto

che, nel
corso di un giudizio tributario promosso da un contribuente avverso una
cartella di pagamento – nella quale l’Agenzia delle entrate di Udine non aveva
riconosciuto la deducibilità, ai fini dell’IRPEF del 2000, dell’assegno di lire
50 milioni, corrisposto in unica soluzione dal medesimo contribuente alla propria
coniuge –, la Commissione
tributaria provinciale di Udine, con ordinanza pronunciata il 22 giugno 2005 e
depositata il giorno successivo, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e
53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale: a)
dell’articolo 10, comma 1, lettera c) (quale sostituito dall’articolo 2, comma
1, del decreto-legge 31 maggio 1994, n. 330, recante "Semplificazione di
talune disposizioni in materia tributaria", convertito, con modificazioni,
dall’articolo 1, comma 1, della legge 27 luglio 1994, n. 473), del DPR 22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi),
nella parte in cui non prevede, ai fini dell’IRPEF, la deducibilità dal reddito
imponibile dell’assegno (non destinato al mantenimento dei figli) corrisposto
al coniuge in unica soluzione, in conseguenza di scioglimento o annullamento
del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui
risulta da provvedimenti dell’autorità giudiziaria; b) "implicitamente"
e "con consequenzialità inevitabile", dell’articolo 47, comma 1,
lettera i) (come modificata, a decorrere dal 1° gennaio 2000, dall’articolo 13,
comma 1, lettera a, del decreto legislativo 23 dicembre 1999, n. 505, recante
"Disposizioni integrative e correttive dei DLgs 2 settembre 1997, n. 314,
DLgs 21 novembre 1997, n. 461, DLgs 18 dicembre 1997, n. 466, e DLgs 18
dicembre 1997, n. 467, in
materia di redditi di capitale, di imposta sostitutiva della maggiorazione di
conguaglio e di redditi di lavoro dipendente"), del medesimo DPR n. 917
del 1986, nella parte in cui non comprende tra i redditi assimilati a quelli di
lavoro dipendente e, quindi, nel reddito imponibile, l’importo del predetto
assegno percepito dal coniuge;

che,
dopo aver premesso che la medesima questione – in relazione all’articolo 10,
comma 1, lettera c), del DPR n. 917 del 1986 – è stata già dichiarata
manifestamente infondata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 383del
2001, il giudice rimettente afferma di voler prospettare "nuovi motivi e
diversi profili" di illegittimità costituzionale, tali da indurre la Corte a "rivedere"
detta decisione;

che, ad
avviso del giudice a quo, la
Corte costituzionale, nella citata ordinanza, non avrebbe
adeguatamente considerato: a) che l’accordo raggiunto dalle parti, ai sensi
dell’articolo 5, comma 8, della legge 1°dicembre 1970, n. 898 [4] (Disciplina
dei casi di scioglimento del matrimonio) (comma introdotto dall’articolo 10
della legge 6 marzo 1987, n. 74, recante "Nuove norme sulla disciplina dei
casi di scioglimento di matrimonio"), circa l’adempimento in unica
soluzione – invece che mediante assegni periodici – dell’obbligazione derivante
dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, "vale (…)
a determinare il "modo" di estinzione dell’obbligazione, ma non ne
muta la natura", data la "perfetta equivalenza sotto il profilo
giuridico e funzionale" di tale forma di adempimento con quella
rappresentata da esborsi periodici, rispetto alla comune finalità di sovvenire
il coniuge economicamente più debole, in conformità ad un provvedimento
giudiziario; b) il pagamento una tantum di un assegno al coniuge – in misura
corrispondente alla capitalizzazione di un assegno periodico – è fatto idoneo a
ridimensionare l’entità dei rilevatori di ricchezza di chi ha effettuato
l’esborso e, quindi, ad incidere sulla capacità contributiva del solvens, al
pari del pagamento di assegni periodici; c) l’indeducibilità dell’assegno
corrisposto una tantum, prevista dal censurato articolo 10, comma 1, lettera
c), del DPR n. 917 del 1986, comporta una ingiustificata disincentivazione del
ricorso dei coniugi a tale tipo di assegno, rispetto agli assegni periodici,
dalla legge considerati, invece, deducibili;

che, per
il rimettente, tali considerazioni evidenzierebbero il contrasto tra il citato
articolo 10, comma 1, lettera c), del DPR n. 917 del 1986 e gli evocati
parametri costituzionali, senza che in contrario possano valere i due argomenti
a suo tempo addotti dalla Corte costituzionale nella menzionata ordinanza n.
383 del 2001 e basati, il primo, sul fatto che il legislatore gode di ampia
discrezionalità nel prevedere o nell’escludere la deducibilità dal reddito
imponibile di oneri e spese, e, il secondo, sulla circostanza che l’importo dell’assegno
corrisposto una tantum non potrebbe mai essere considerato deducibile dal
reddito imponibile di chi lo corrisponde, non risultando detto importo compreso
– ai sensi dell’articolo 47, comma 1, lettera i), del DPR n. 917 del 1986 – tra
i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e, quindi, nel reddito
imponibile di chi lo ha percepito;

che, in
proposito, il giudice rimettente replica, al primo argomento, che la
discrezionalità del legislatore incontra, appunto, il limite della
ragionevolezza; al secondo, che "nulla osta affinché la Corte dichiari
l’illegittimità costituzionale tanto della mancata previsione di deducibilità
(…) quanto, con consequenzialità inevitabile, la mancata previsione di
imponibilità", e ciò perché, "nel chiedere la declaratoria di
incostituzionalità della mancata previsione di deducibilità, implicitamente
viene richiesto anche la declaratoria della mancata previsione di
imponibilità";

che,
quanto alla rilevanza delle sollevate questioni, il giudice a quo si limita ad
affermarne la sussistenza;

che è
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la Corte dichiari: a)
l’inammissibilità della questione relativa all’articolo 10, comma 1, lettera
c), del DPR n. 917 del 1986, perché il rimettente ripropone pedissequamente le
stesse problematiche già esaminate e risolte dalla Corte costituzionale con
l’ordinanza n. 383 del 2001; b) la manifesta inammissibilità della questione
relativa all’articolo 47, comma 1, lettera i), del medesimo DPR n. 917 del
1986, sia perché estranea all’oggetto del giudizio principale, sia perché il
rimettente propone un intervento additivo non compreso tra le attribuzioni
della Corte costituzionale; c) la manifesta infondatezza, in ogni caso, di
entrambe le questioni, perché il giudice a quo erroneamente identifica, sia in
relazione al principio di uguaglianza che a quello della capacità contributiva,
due situazioni giuridicamente diverse, assimilando il pagamento periodico
dell’assegno (situazione che configura una componente reddituale, imponibile
per l’accipiens e deducibile per il solvens) al pagamento dell’assegno in unica
soluzione (situazione che, invece, realizza uno spostamento patrimoniale di
ricchezza, non riferibile ad un singolo periodo di imposta e non configurabile
quale componente del reddito, né dal punto di vista dell’accipiens né da quello
del solvens).

Considerato

che la Commissione tributaria
provinciale di Udine dubita, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione,
della legittimità sia dell’articolo 10, comma 1, lettera c), del DPR 22
dicembre 1986, n.917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi),
nella parte in cui non prevede, ai fini dell’IRPEF, la deducibilità dal reddito
imponibile dell’assegno (non destinato al mantenimento dei figli) corrisposto
al coniuge in unica soluzione, in conseguenza di scioglimento o annullamento
del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui
risulta da provvedimenti dell’autorità giudiziaria; sia –
"implicitamente" e "con consequenzialità inevitabile" –
dell’articolo 47, comma 1, lettera i),del medesimo DPR n. 917 del 1986, nella
parte in cui non comprende tra i redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente e, quindi, nel reddito imponibile, l’importo del predetto assegno
percepito dal coniuge;

che il
giudice rimettente, nel riproporre, in riferimento alla prima delle due
disposizioni denunciate, la medesima questione già dichiarata da questa Corte
manifestamente infondata con l’ordinanza n. 383 del 2001 [3], afferma di
prospettare "nuovi motivi e diversi profili" di illegittimità
costituzionale, rispetto a quelli a suo tempo esaminati dalla Corte;

che,
secondo la Commissione
tributaria provinciale, il vigente testo dell’articolo 5, comma 8, della legge
1° dicembre 1970, n. 898 [4] (Disciplina dei casi di scioglimento del
matrimonio), evidenzierebbe che il pagamento al coniuge di un assegno una
tantum, stabilito – sempre secondo la stessa Commissione – per effetto di
"un accordo tra privati i quali decidano di capitalizzare la somma dovuta
da uno all’altro", è perfettamente equivalente, per natura giuridica,
finalità e fondamento normativo, al pagamento di un assegno periodico,
stabilito iussu iudicis, perché tali due forme di pagamento costituiscono modi
diversi di estinzione della medesima obbligazione ed entrambe presuppongono,
"a monte (…), un provvedimento giudiziario che dispone tanto l’obbligo
della corresponsione quanto l’entità della stessa";

che, per
il rimettente, il denunciato articolo 10, comma 1, lettera c), del DPR n. 917
del 1986, nel prevedere la deducibilità dall’imponibile dell’IRPEF dell’assegno
periodico e l’indeducibilità dell’assegno corrisposto una tantum,
determinerebbe una "irrazionale disparità di trattamento" fiscale di
due modalità di pagamento equivalenti, finendo "irragionevolmente per
disincentivare", mediante la creazione di "svantaggi di ordine
economico", il ricorso ad un "istituto previsto dalla legge",
quale il pagamento dell’assegno in unica soluzione, con conseguente lesione dei
principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza e capacità contributiva;

che, ad
avviso del giudice a quo, contrariamente a quanto affermato dalla Corte
costituzionale nella citata ordinanza n. 383 del 2001, la censurata
disposizione non può trovare giustificazione nella discrezionalità del
legislatore in tema di individuazione dei casi di deducibilità dall’imponibile
di oneri e spese, perché anche tale discrezionalità incontra il limite della
ragionevolezza;

che il
giudice rimettente, al rilievo (anch’esso contenuto nella suddetta ordinanza
della Corte costituzionale) secondo cui la richiesta deducibilità dell’assegno
corrisposto una tantum comporterebbe la necessità di regolare, con scelte
spettanti al legislatore, la corrispondente obbligazione tributaria in capo al
percipiente, oppone che, "nel chiedere la declaratoria di
incostituzionalità della mancata previsione di deducibilità, implicitamente
viene richiesto anche la declaratoria della mancata previsione di
imponibilità";

che, per
la Commissione
tributaria, deve essere consequenzialmente dichiarata l’illegittimità
costituzionale anche dell’articolo 47, comma 1, lettera i), del DPR n. 917 del
1986, nella parte in cui non comprende tra i redditi assimilati a quelli di
lavoro dipendente e, quindi, nel reddito imponibile, l’importo dell’assegno
percepito in unica soluzione dal coniuge;

che la
questione concernente l’articolo 10, comma 1, lettera c), del DPR n. 917 del
1986 è manifestamente infondata, non essendo stati prospettati profili diversi
da quelli già esaminati da questa Corte nell’ordinanza n. 383 del 2001 o
comunque tali da indurre a mutare orientamento;

che, in
particolare, la
Commissione tributaria provinciale ripropone l’erronea tesi della
"perfetta equivalenza" tra il pagamento tramite un assegno periodico
e quello tramite un assegno corrisposto in unica soluzione ed afferma che
quest’ultimo assegno sarebbe l’effetto di "un accordo tra privati i quali
decidano di capitalizzare la somma dovuta da uno all’altro";

che
invece, come questa Corte ha già rilevato nella citata ordinanza, le due
suddette forme di adempimento, pur avendo entrambe la funzione di regolare i
rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo
matrimoniale, hanno connotazioni giuridiche e di fatto diverse, tali da
legittimare il legislatore a prevedere, nella sua discrezionalità, diversi
regimi fiscali;

che,
infatti, mentre l’assegno periodico è determinato dal giudice in base ai parametri
indicati dal comma 6 dell’articolo 5 della legge n. 898 del 1970, con
possibilità di revisione (in aumento o in diminuzione), ai sensi dell’articolo
9, comma 1, della stessa legge, invece l’assegno versato una tantum non
corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, ma è
liberamente concordato dalle parti – sia pure con soggezione al controllo di
equità da parte del giudice –, al fine di fissare un definitivo e complessivo
assetto degli interessi personali, familiari e patrimoniali dei coniugi, tale
da precludere ogni successiva domanda di contenuto economico (comma 8 del
citato articolo 5);

che tali
differenze – le quali hanno indotto parte cospicua della dottrina e della
giurisprudenza ad attribuire all’accordo per il pagamento una tantum una
peculiare natura "transattiva" o "novativa", oltre che
"aleatoria" – sono state non irragionevolmente prese in
considerazione dal legislatore fiscale nella denunciata disciplina della
deducibilità di tali assegni dall’imponibile dell’IRPEF;

che,
infatti, il legislatore, nel caso di corresponsione di un capitale una tantum –
sicuramente di importo maggiore di un assegno periodico –, ha preferito
tutelare l’accipiens (cioè il coniuge economicamente più debole che, ai sensi
dell’indicato comma 6 dell’articolo 5 della legge n. 898del 1970 [4], "non
ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive")
non assoggettandolo a tassazione per il relativo importo e lasciando
simmetricamente immutato l’ordinario carico fiscale del solvens, senza
prevedere, quindi, alcuna deduzione per tale esborso;

che lo
stesso legislatore, nel caso degli assegni periodici, ha invece ritenuto di
assimilarli ai redditi di lavoro dipendente assoggettandoli a tassazione in
capo al coniuge che li percepisce e correlativamente, al fine di evitare doppie
imposizioni, li ha considerati oneri deducibili da parte del coniuge che li
corrisponde; e ciò, in ragione sia della loro periodicità (e, quindi, della
loro pertinenza a più periodi d’imposta) sia della possibilità di una loro
revisione economica per sopraggiunti giustificati motivi;

che,
data la diversità delle evidenziate situazioni giuridiche e di fatto, la
discrezionalità del legislatore circa l’individuazione dei casi di deducibilità
di oneri e spese dal reddito imponibile del solvens è stata esercitata, nella
specie, in modo non irragionevole al fine di perseguire finalità sociali di
tutela differenziata dei coniugi, tenendo conto della diversità delle
situazioni;

che
l’accoglimento della sollevata questione di illegittimità costituzionale non
farebbe, comunque, venir meno la denunciata disincentivazione del ricorso
all’istituto della corresponsione una tantum dell’assegno, ma addirittura
l’aggraverebbe, perché il carico fiscale, concentrato in un unico periodo
d’imposta, verrebbe trasferito all’accipiens (cioè al coniuge economicamente
piú debole) e quest’ultimo – date la progressività dell’IRPEF e l’assenza di un
regime di tassazione separata per la somma così percepita in unica soluzione –
si vedrebbe assoggettato ad aliquote marginali d’imposta superiori a quelle
applicabili, in una pluralità di periodi d’imposta, con gli assegni periodici;

che,
infine, alla dichiarazione di manifesta infondatezza della questione
concernente l’articolo 10, comma 1, lettera c), del DPR n. 917 del 1986
consegue identica pronuncia con riguardo alla questione concernente l’articolo
47, comma 1, lettera i), dello stesso DPR n. 917 del 1986;

che,
infatti, quest’ultima questione è stata sollevata dal giudice a quo sulla premessa
della illegittimità costituzionale dell’indicato articolo 10, comma 1, lettera
c), del DPR n. 917 del 1986, con la conseguenza che la sopra accertata
erroneità di detta premessa comporta la manifesta infondatezza della questione
medesima.

Visti gli articoli 26, secondo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2,
delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per
questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara
la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli
articoli 10, comma 1, lettera c), e 47, comma 1,lettera i), del DPR 22 dicembre
1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi),
sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 53 della Costituzione, dalla
Commissione tributaria provinciale di Udine, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede
della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 marzo 2007.
Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2007.