Assicurazione ed Infortunistica

Saturday 09 February 2008

L’ appaltatore per la manutenzione delle strade risponde dei danni da incidente stradale.

L’appaltatore per la manutenzione
delle strade risponde dei danni da incidente stradale.

Cassazione – Sezione quarta
penale – sentenza 15 novembre 2007 – 8 febbraio 2008, n. 6267

Presidente Brusco – Relatore
Piccialli

Pm Meloni – difforme – Ricorrente
Martella

Fatto e diritto

Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma
confermava la sentenza in primo grado emessa in data 5 novembre 2001 dal
Tribunale della stessa città, con la quale, per quanto qui rileva,
Martella Ivo era stato ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo in
danno di Saladini Elena, mentre era stato assolto con la formula per non aver
commesso il fatto il capo squadra dell’Acea.

Il grave sinistro stradale aveva
coinvolto Elena Saladini nella notte del 20 aprile 1996, quando, percorrendo il
tratto di via Salaria corrispondente all’ingresso di
Villa Ada, alla guida di un ciclomotore, a causa della presenza di tre
"buche" corrispondenti a chiusini non livellati, aveva perso il
controllo del veicolo ed era caduta all’indietro, battendo la testa contro il
piano stradale.

L’odierno ricorrente era stato
chiamato a risponderne in qualità di titolare della ditta omonima, società
appaltatrice delle opere di manutenzione del manto stradale per la zona
comprendente il tratto di via Salaria interessato dal
sinistro.

A carico del Martella erano stati
ravvisati profili di colpa generica, sub specie dell’imprudenza, imperizia e
negligenza, in particolare perché, in violazione dell’obbligo di garanzia
assunto nella qualità sopra indicata, ometteva di approntare adeguata
sorveglianza ed idonea segnalazione di emergenza laddove si erano prodotte
nella zona in questione una serie di cedimenti del tratto stradale, tali da
determinare vere e proprie buche di profondità pari a 5-7 centimetri, così
cagionando la morte della Saladini che, proprio a
causa di tali buche profonde ed insidiose, perdeva il controllo del mezzo, e
rovinava a terra, riportando lesioni gravissime a causa delle quali decedeva
poco dopo il sinistro.

La Corte di merito, a seguito
delta rinnovazione della istruttoria dibattimentale attraverso l’effettuazione
di perizia tecnica, confermava la penale responsabilità dell’imputato per il
reato di omicidio colposo, evidenziando come sussistenti i profili di colpa
contestati, in relazione alla violazione dell’obbligo gravante sul medesimo,
nella qualità di titolare della impresa appaltatrice, ai sensi dell’art. 18 del
capitolato di appalto, secondo il quale, con la consegna dell’appalto l’impresa
era obbligata ad iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il
conseguente pronto intervento sulla sede stradale.

I giudici di appello
evidenziavano altresì che all’epoca dell’incidente il cantiere, contrariamente
a quanto sostenuto dal ricorrente, non era più sotto la sorveglianza dell’Acea,
che in precedenza aveva effettuato alcuni lavori, ed alla quale rimaneva
affidato solo il cantiere relativo alla posa di un cavo, limitato ad un
rettangolo intorno ad uno dei tombini, mentre restavano fuori del controllo
dell’Acea i due avallamenti esistenti sul primo e sul terzo tombino, che
produssero la perdita di equilibrio del ciclomotore.

Avverso la predetta decisione
propone ricorso per cassazione Martella Ivo, tramite difensore, articolando due
motivi.

Con il primo, censura
l’affermazione di responsabilità, prospettando la violazione di legge ed il
difetto di motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza della
posizione di garanzia del Martella, sul rilievo che la Corte di merito avrebbe
erroneamente fatte proprie le apodittiche osservazioni del perito d’ufficio,
senza considerare la particolare esimente prevista dall’art. 22 del Capitolato,
secondo il quale l’impresa appaltatrice era sollevata da ogni responsabilità
conseguente i lavori eseguiti a cura dell’Azienda comunale a partire dal
momento di inizio di installazione del cantiere per l’apertura del cavo, fino
alla riconsegna all’Amministrazione della relativa pavimentazione, riservandosi
il Comune di far eseguire la sorveglianza di tali lavori ad altra impresa.

Richiamando tale norma il
difensore sostiene l’assenza di responsabilità del Martella, avendo i giudici
di merito pretermesso di considerare che all’epoca del sinistro l’Acea aveva
intrapreso una operazione di apertura cavi e che,
pertanto gli obblighi di sorveglianza e controllo dell’area sarebbero tornati a
gravare sull’impresa appaltatrice solo dopo tale riconsegna.

Si sostiene, inoltre, che le
conclusioni del perito d’ufficio, secondo le quali il sinistro era stato
determinato dalla prima buca, erano state contraddette
dalle dichiarazioni di un teste secondo il quale, tutte le buche, ma in
particolare la seconda, di competenza dell’Acea, avevano contribuito al
verificarsi del sinistro.

Con il secondo motivo censura la
sentenza impugnata per violazione di legge e difetto di motivazione, laddove il
giudicante avrebbe omesso di effettuare qualsiasi analisi dell’asserita
condotta colposa della vittima, che per ammissione dello stesso perito,
procedeva ad una velocità massima per il ciclomotore ( 40-45 Km H), concentrandosi
esclusivamente sulla disconnessione del manto stradale.

Il ricorso è manifestamente
infondato, trattandosi, peraltro, prevalentemente di mera reiterazione dei
motivi di appello, in ordine ai quali la Corte territoriale ha correttamente motivato le
ragioni per le quali non meritavano accoglimento.

Manifestamente infondato
sotto tutti i profili prospettati è il primo motivo, con il quale si
contesta nel mento il giudizio di responsabilità.

La pronunzia è immune dai vizi
dedotti dal difensore ed è in linea con la consolidata giurisprudenza di questa
Corte in tema di obblighi connessi alla posizione di garanzia e di causalità
della condotta.

La Corte di merito, infatti,
attraverso la disamina degli atti di causa ed il richiamo per relationem alla
sentenza di primo grado, ha ampiamente argomentato sulla titolarità della
posizione di garanzia in capo al Martella e sulla spiegazione causale del
sinistro, corrispondendo del resto puntualmente alle doglianze proposte con
l’appello.

In particolare, a base
dell’affermato giudizio di colpevolezza, i giudici d’appello hanno posto
l’omessa manutenzione del tratto stradale in cui si è verificato il sinistro,
gravante ai sensi dell’art. 18 del capitolato di appalto sulla Ditta
individuale Martella, che aveva comportato l’omesso ripristino del manto stradale
laddove si erano determinati una serie di cedimenti del tratto stradale, già
segnalati in epoca precedente all’incidente.

Non è infatti
dubitabile, la posizione di garanzia in cui si trovava il Martella, nella
qualità di titolare della ditta appaltatrice delle opere di manutenzione del
manto stradale nel tratto di via Salaria interessato dal sinistro, in ragione
dei compiti assunti contrattualmente con il Comune di Roma, che gli imponevano
di iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il conseguente pronto
intervento su tutte le superfici stradali, che non fossero oggetto di specifico
appalto di manutenzione (art. 18 del capitolato di appalto).

Al riguardo, dovendosi solo
precisare, che tra le fonti dell’obbligo di garanzia, tali da potere fondare la
responsabilità omissiva ex art. 40, comma 2, c.p.,
rientrano – oltre che le norme di legge – anche le fonti convenzionali, tra le
quali è certamente da ricomprendere un contratto tìpico, come quello di appalto
(cfr. in generale Sez. IV, 22 maggio 2007, Conzatti;
nonché, Sez. III, 22 settembre 2004, Lilli ed altro).

Ciò che rileva ovviamente per
l’operatività dell’obbligo di garanzia, quale che sia la fonte a cui il medesimo si riconduce, è che, in ossequio al
principio di personalità della responsabilità penale, vi sia stata la concreta
assunzione da parte del garante dei poteri-doveri impeditivi non solo
giuridici, ma anche fattuali dell’evento dannoso o pericoloso (cfr. la citata sentenza Conzatti), la cui sussistenza nella
fattispecie in esame è stato oggetto di specifico e puntuale accertamento, non
incrinato dalle deduzioni difensive.

In proposito, la Corte di merito ha anche
affrontato la questione, reiterata in questa sede, in merito alla titolarità
del dovere di sorveglianza dell’area, da individuarsi, secondo la tesi difensiva, nell’Acea, che aveva intrapreso una
operazione di apertura cavi e che, pertanto, ai sensi dell’art. 22 del
Capitolato di appalto, sarebbe stata tenuta agli obblighi di sorveglianza e di
controllo dell’area.

L’assunto non è condivisibile.

In particolare, come emerge
compiutamente dalla sentenza, la perizia disposta in sede di rinnovazione del
dibattimento ha accertato che la causa determinante dell’incidente era da
identificare nello sfortunato inserimento della ruota anteriore del motociclo
all’interno della frattura presente nel primo avallamento (confermata dalla
lacerazione del copertone anteriore) che aveva portato alla perdita di
equilibrio del ciclomotore, aggravata dalla presenza di un secondo ravvicinato
avallamento, che aveva colto impreparata la giovane vittima.

Il dato qui rilevante è che
l’accertamento tecnico svolto, condiviso dai giudici di merito, con motivazione
coerente e logica, aveva escluso che il tratto
stradale in questione fosse ancora sotto la sorveglianza dell’Acea, che in
precedenza aveva svolto alcuni lavori ed aveva con chiarezza concluso che i due
avallamenti esistenti sul terzo/ quarto tombino- che produssero la perdita di
equilibrio del ciclomotore- restavano fuori del controllo dell’Acea.

Alla luce di tali elementi, i
giudici di merito hanno condivisibilmente ritenuto la sussistenza del nesso
eziologico tra la condotta del Martella, il quale negligentemente aveva
trascurato l’adempimento degli obblighi assunti in sede contrattuale- ed il
verificarsi dell’evento mortale. La dettagliata rappresentazione del fatto
descritto in conformità alle risultanze dell’accertamento tecnico, ed il
compiuto ed insindacabile apprezzamento dello stesso operato dai giudici di
merito, consentono di escludere i vizi motivazionali dedotti in ricorso.

In proposito, non è inutile ricordare
i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.

In questa sede, non è possibile
una rinnovata valutazione dei fatti e degli elementi di prova. È principio non
controverso, infatti, che nel momento del controllo della motivazione, la Corte di cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga la
migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma
deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il
senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di
apprezzamento". Ciò in quanto l’art. 606, comma 1, lettera e), del c.p.p
non consente alla Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali
o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di
legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati processuali (Cass., Sezione V, 13 maggio 2003,
Pagano ed altri). In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice
della motivazione e dell’osservanza della legge, non può divenire giudice del
contenuto della prova, in particolare non competendogli un controllo sul
significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio (Cass., Sezione IV, 14 dicembre 2006, Guarneri).

Tenuta presente tale regola e
ribadito che la motivazione resa in ordine alla responsabilità dell’imputato è
caratterizzata da un ragionamento coerente e logico, devono ritenersi privi di
rilievo gli argomenti con i quali il ricorrente ripropone una diversa
valutazione dei fatti. Inoltre, è evidente che l’accertamento di eventuali
comportamenti colposi di terzi nella determinazione dell’evento non avrebbero escluso la violazione della posizione di garanzia
assunta dal Martella, con la conseguenza che la responsabilità penale di altri
non sarebbe valsa ad escludere, alla luce della ricostruzione dei fatti operata
dai giudici di merito, in questa sede non censurabile, quella del prevenuto.

Analoghe conclusioni valgono con
riferimento all’altra questione sollevata dalla difesa con il secondo motivo,
con il quale si lamenta la carenza di motivazione, in relazione alla
valutazione della asserita condotta colposa della vittima, laddove la Corte di merito avrebbe
esclusivamente dato rilievo alla disconnessione del manto stradale, senza prendere
in considerazione la velocità del mezzo, non adeguata ai luoghi.

Anche tale motivo è
manifestamente infondato limitandosi a riproporre una diversa ricostruzione dei
fatti, arrivando a sostenere la colpa esclusiva della giovane motociclista
nella determinazione del sinistro.

Sul punto, la Corte di appello, con
argomentazione condivisibile, ha ritenuto insussistente il concorso di colpa
della vittima, che procedeva a velocità moderata in un
tratto stradale in cui non vi era un limite particolare di velocità,
riconducendo la causa della caduta in via esclusiva alla “trappola stradale”
che si era venuta a creare nel tratto stradale, alla quale il Martella,
violando gli obblighi contrattualmente assunti non aveva posto rimedio.

Il ricorrente, dietro l’apparente
schermo del difetto di motivazione, trascurando di considerare i limiti del
sindacato di legittimità, vorrebbe che qui si effettuasse una rinnovata ed
inammissibile valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come
ricostruite dal giudice di merito, pur in presenza di
una motivazione coerente e logica in ordine alle ritenute modalità di
verificazione del sinistro, che, come già sopra evidenziato, non può essere
posta in discussione in questa sede.

Alla inammissibilità del ricorso,
riconducibile a colpa del ricorrente (v. sentenza Corte Cost. 7-13 giugno 2000,
n. 186), consegue la condanna del medesimo al pagamento delle spese del
procedimento e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della Cassa delle ammende, oltre che alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio, liquidate come in
dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile
il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000 (mille) in favore della Cassa delle ammende oltre alla
rifusione delle spese sostenute dalla