Penale
L’ amministratore testa di legno può evitare la condanna per bancarotta fraudelenta. Tribunale di Modena, Sezione penale, sentenza 21 aprile-19 luglio 2005, n. 35
L’amministratore “testa di legno” può evitare la condanna per bancarotta fraudelenta.
Tribunale di Modena, Sezione penale,
sentenza 21 aprile-19 luglio 2005, n. 35
Giudice Truppa
In fatto e diritto
1. Il processo.
In data 18 novembre 2003 il Giudice
per le indagini preliminari ha disposto, all’esito
della udienza preliminare, il rinvio a
giudizio davanti al locale Tribunale di DE B.V.e
B.F.per i reati compiutamente descritti in
imputazione, fissando per la data dell’11
maggio 2004 la celebrazione del
dibattimento.
Alla prima udienza di comparizione veniva verificata la regolare instaurazione del
rapporto processuale e dato atto della
presenza dell’avv. M Pedrazzi difensore della
parte civile nel presente procedimento
Avv. C. Temperini, curatore del fallimento
Dialex Biomedica Srl.
Il Presidente dichiarava aperto il
dibattimento ed invitata il Pm ad esporre la
relazione introduttiva e le richieste
istruttorie.
Queste ultime si focalizzavano sull’escussione dei testi indicati in lista, sull’esame
dell’imputato e sulla richiesta di
autorizzazione a produrre alcuni documenti. La parte
civile si associava alle richieste del Pm chiedendo il controesame dei testi del Pm,
l’esame dei testi indicati nella
propria lista e la richiesta di autorizzazione a produrre
altri documenti.
La difesa chiedeva il controesame dei
testi indicati dal P.M.,
l’esame di quelli indicati
nella propria lista ex articolo 210 Cpp (difesa De B.) e l’esame degli imputati, nonché
l’autorizzazione alla produzione di
ulteriori documenti.
Il Collegio ammetteva con ordinanza i
testimoni indicati dal Pm, dalla difesa di parte
civile e dalla difesa De B.; autorizzava
altresì la produzione documentale del Pm,
della difesa di parte civile e della
difesa De B..
L’istruttoria si è svolta nel corso
di tre udienze: 11 maggio 2004, 3 febbraio 2005 e 4
aprile 2005.
All’odierna udienza, preso atto che
l’ultimo teste in lista, da esaminare ex articolo 210
Cpp, aveva portato a conoscenza del
Collegio la sua volontà di avvalersi della
facoltà di non rispondere, veniva dichiarata
chiusa l’istruttoria dibattimentale.
All’esito, le parti concludevano come precisato nell’epigrafe della presente
sentenza.
Esaurita la discussione, il Tribunale
si riservava e, all’esito della deliberazione in
camera di consiglio, la sentenza, allegata
al verbale di udienza, veniva resa pubblica
mediante la lettura del dispositivo.
2. Le risultanze
dibattimentali.
Premessa.
Al Giudice è chiesto di dar conto
della decisione con una motivazione che consista
nella ‘concisa esposizione dei motivi di
fatto e di diritto su cui la decisione è fondata,
con l’indicazione delle prove posta a
base della decisione stessa e l’enunciazione
delle ragioni per le quali il giudice
ritiene non attendibili le prove contrarie’ (articolo
546
lett. e Cpp).
Orbene, l’operazione ermeneutica
richiesta al Tribunale conduce a ritenere provata,
nel caso in esame, la penale
responsabilità degli imputati in ordine ai fatti loro ascritti,
dovendosi solo procedere alla riqualificazione
del reato ai sensi dell’articolo 217 L.F. per
la sola posizione processuale De B..
Tale esito scaturisce dalla attendibilità delle dichiarazioni rese dal curatore
fallimentare e dagli esiti dei suoi accertamenti
acquisiti attraverso la relazione (e
successiva integrazione) redatta ex articolo 33
L.F., dall’escussione dei testimoni,
dall’esame ex articolo 210 Cpp di Pavone Gianfranco
e dalla documentazione prodotta
al fascicolo processuale.
3. La ricostruzione dei fatti.
Dalla relazione del curatore
fallimentare e dall’esame reso davanti al Collegio emerge
quanto segue:
1. La Dialex
Biomedica Srl si
costituisce il 25 maggio 2000 per ‘il commercio, la
produzione e l’assemblaggio di apparecchiature
in plastica per ipodermoclisi e dialisi
in genere per conto terzi; la
lavorazione per conto terzi e per conto proprio di materie
plastiche….’;
2. dalla sua costituzione fino al 3
novembre 2000 amministratore unico risulta B.
Marco (socio al 50%
del capitale con Mariani Franco, detentore della restante quota);
dal 3 novembre 2002 al 23 luglio 2001 la
carica è assunta da Pavone Stefano (socio
al 30% è B. Fausto); dal 23 luglio 2001
al 27 giugno 2002 la carica è assunta da
Pavone Jason;
infine, dal 27 giugno 2002 fino alla data del fallimento (22 novembre
2002) la carica è assunta da De B.
Vincenzo;
3. La Dialex
Biomedica Srl resta
inattiva dalla nascita fino al novembre 2000,
quando diviene operativo il contratto di
affitto di azienda (in atti) con cui si stabilisce di
affittare il complesso aziendale di proprietà
della Dialex ditta individuale che fa capo a
B. Fausto: i nuovi soci –la famiglia
Pavone- sono interessati all’operazione per
entrare nel settore biomedicale
sul territorio modenese; B., in considerazione della
seria situazione debitoria
della Dialex ditta individuale è interessato al rilancio
della
nuova impresa chè
produrrà benefici anche alla sua ditta (a partire dagli introiti
stabiliti per l’affitto, 120 milioni di lire
annue);
4. per contrasti interni, il 23
luglio 2001 il contratto di affitto viene risolto
consensualmente e la società diviene sostanzialmente
operativa (di fatto solo poche
fatture vengono rinvenute dopo tale data)
fino alla dichiarazione di fallimento;
5. su istanza
di Oliani Sara, dipendente della società e creditrice
di somme non
corrisposte per il periodo lavorativo prestato
presso la ditta, il Tribunale di Modena,
con sentenza del 22 novembre 2002,
dichiara il fallimento della Dialex Biomedicale
Srl;
6. lo stato passivo accertato è di €
86.377,88 a fronte di un attivo di € 605, 27;
7. in sede di ricostruzione della
vita sociale della Dialex Biomedica Srl, il curatore ha
rilevato che ‘pur sussistendo materialmente i
registri vidimati relativi agli anni 2000 e
2001 (quando ancora vi era la
necessità di tale adempimento), questi non sono stati
né compilati né stampati essendo la contabilità tenuta in brogliacci redatti con sistema
informatico; tali brogliacci risultano peraltro
incompleti ed imparziali (quello dell’anno
2001 è redatto fino al mese di luglio 2001) non consentendo alla scrivente una
verifica puntuale delle scritture contabili
stesse….si evidenzia che non è stato
rinvenuto il libro inventari, né quello dei
cespiti ammortizzabili, il libro infortuni
e quello
matricola sono in realtà di pertinenza della
ditta individuale Dialex…mancano infine la
dichiarazione dei redditi 2002 e la dichiarazione iva annuale 2002’ (pagg. 24-25
relazione del curatore fallimentare) pertanto
si conclude evidenziando ‘la completa
mancanza della tenuta della contabilità per l’anno 2002 e l’irregolarità nonché
l’incompletezza di quella tenuta nel
2001’ (pag. 28 relazione citata).
Sia in sede di relazione ex articolo
33 L.F. che in sede di audizione, il curatore del
fallimento ha ribadito la difficoltà di
ricostruzione della vita sociale della Dialex
Biomedica s.r.l. sia per la mancanza di
documenti contabili fondamentali, sia per i
contrasti insorti tra B. e la famiglia Pavone:
di fatto, il curatore ha rilevato da un lato
una anomala commistione di profili di
debito credito tra la Dialex ditta individuale e D.
Srl all’indomani del contratto di affitto di azienda nei rapporti con i clienti (con
fatture
emesse dalla s.r.l. e pagamenti imputati
alla ditta individuale e pertanto incassati da
B.); dall’altro, il dietrofront della
famiglia Pavone che non rispetta le clausole del
contratto di affitto, lo risolve e poi
‘procura’ un amministratore di comodo (De B.) in
attesa degli eventi.
Il teste Bellini,
dipendente della
C.N.A. di Midolla, ha confermato di aver intrattenuto
rapporto di consulenza (oltre che con la Dialex ditta individuale anche) con la D. Srl
e che sin dall’inizio vi erano delle
carenze nella consegna di documentazione
rilevante per poter esplicare il proprio
incarico: egli ricorda ‘ abbiamo riscontrato che
era impossibile tenere una corretta contabilità perché non c’erano tutti i supporti
documentali, se non le fatture’
(p. 39 verbale udienza 11 maggio 2004); tali fatture
veniva spedite via fax e qualche volta
venivano consegnate dai Pavone in persona.
Bellini, peraltro, ha affermato di
non conoscere De B. Vincenzo, e di conoscere bene
B. Fausto, anche perché la C.N.A seguiva la contabilità della Dialex
ditta individuale
da molti anni.
Le testi Oliani
e Bollini hanno riferito di aver svolto attività lavorativa presso la ditta D.
Srl e di essere state assunte dopo un
colloquio con B.F.e di avere
svolto funzioni di
impiegate; entrambe non furono pagate (o solo
parzialmente) ed entrambe hanno
affermato che B. era sempre in ufficio con
loro ed ogni tanto (sulla cadenza temporale
vi sono divergenze ma il punto non
appare rilevante) si presentavano i fratelli Pavone,
uno dei quali, Stefano, sapevano essere
amministratore della società.
Il coimputato Pavone Gianfranco (la sua posizione processuale è stata
definita in
udienza preliminare con sentenza non ancora
divenuta irrevocabile) ha dichiarato che
una volta verificata la negatività
dell’esperienza commerciale sul territorio modenese,
era sorta la possibilità di spostare la ditta
a Torino poiché vi era l’interessamento di un
certo Cotti Franco; fu proprio costui a
far conoscere De B. a Pavone per perfezionare
poi il passaggio delle consegne ed il
subentro nella carica di amministratore; tutto ciò
avvenne nell’estate 2002 ma non si riuscì a
fare più nulla poiché l’istanza di fallimento
bloccò ogni nuova iniziativa commerciale.
In sede di esame,
l’imputato DE B.V.confermava l’intermediazione di
Cotti Franco e la
circostanza che, pur non avendo egli alcuna
competenza nel settore biomedicale, si
determinò ad accettare l’incarico di
amministratore della società; nell’estate 2002 si
stava decidendo su come e dove spostare la
sede della società per poi renderla di
nuovo operante, ma di fatto l’istanza
della Oliani e il repentino fallimento bloccarono
ogni iniziativa; dopo il fallimento, la G.d.F. richiese al De B. la documentazione
contabile ma questi non ne era in possesso e
dopo aver girato la richiesta ai fratelli
Pavone, inviò la documentazione a lui
pervenuta; l’imputato ha, infine, dichiarato di
non conoscere e di non avere mai
conosciuto B.F.e di avere fatto solo alcune riunioni
con i fratelli Pavone e il signor Cotti.
Sempre in sede di esame,
B.F.ha ricostruito dal suo punto di vista la vicenda
societaria della D. Srl
e dopo avere affermato di aver voluto rilanciare la sua ditta
individuale con i nuovi soci Pavone, aveva poi
verificato l’inadempimento alle clausole
del contratto di affitto quali il
versamento del canone mensile di 10 milioni di lire, la
valutazione del magazzino che dalla ditta
individuale ‘passava’ alla s.r.l., la
indicazione di un termine entro il quale la
s.r.l. avrebbe comprato la ditta individuale
per un importo superire ai due miliardi
e mezzo di lire; inoltre, la s.r.l. si era impegnata
a ripianare alcune posizioni debitorie della ditta individuale ed anche tale impegno era
stato disatteso; per tale motivo, egli si
era determinato a risolvere il contratto di affitto
di azienda nel luglio 2001 con
contestuale dismissione delle quote del capitale
sociale. In merito al lavoro svolto,
B. ha affermato di aver lavorato in ufficio come
dipendente, pur se qualificato essendo egli a
conoscenza di tutto il lavoro da
svolgere, posto che era lo stesso della ditta
individuale, ma le decisioni strategiche
venivano prese dai fratelli Pavone che erano
spesso in azienda.
4. Valutazione delle emergenze
probatorie.
Non pare a questo Collegio che possa seriamente revocarsi in dubbio la attendibilità
delle dichiarazioni rese dal curatore
fallimentare e dei testi assunti nella compiuta
istruttoria dibattimentale.
Piuttosto va rilevato come i forti
contrasti insorti tra i fratelli Pavone da un lato e B.
dall’altro, abbiano costituito elemento
centrale degli accertamenti svolti dal curatore
del fallimento al fine di verificare la
reale causa del dissesto, la possibilità di
ricostruire ‘aliunde’
in maniera attendibile la vita sociale della D. s.r.l.. e di verificare le
azioni da intraprendere per la procedura
fallimentare.
Non è però
questo il ‘thema decidendum’
del presente procedimento. In altre parole,
non è compito di questo Collegio
verificare quale delle due versioni fornite
(Pavone-B.) sia quella degna di fede, perché la
risoluzione di tale problema (peraltro
ardua) non avrebbe concreti effetti
positivi nella verifica dell’incolpazione sollevata
dall’Accusa. Avendo il P.M. elevato
imputazione per bancarotta fraudolenta
documentale, l’attenzione deve concentrarsi,
invero, su tali aspetti: può B. essere
qualificato ‘amministratore di fatto’ ed in tale veste destinatario dell’obbligo di
regolare
tenuta delle scritture contabili? Può De B.
essere qualificato amministratore ‘testa di
paglia’ o ‘inerte’ e nonostante ciò essere
destinatario dell’obbligo di regolare tenuta
delle scritture contabili? Le due
posizioni vanno esaminate separatamente.
B. Fausto.
Secondo
giurisprudenza consolidata ‘le norme che disciplinano l’attività degli
amministratori regolano il corretto svolgimento
dell’amministrazione della società e
sono quindi applicabili non solo a coloro
che sono stati immessi, nelle forme stabilite
dalla legge, nelle funzioni di
amministratore, ma anche a coloro che si sono ingeriti
nella gestione della società senza avere
ricevuto da parte dell’assemblea alcuna
investitura, neppure irregolare o implicita; in
presenza di una relazione di “contatto
sociale” particolarmente pregnante, possono
infatti venire in essere rapporti di natura
obbligatoria anche se la fattispecie negoziale,
al cui perfezionarsi essi sono
normalmente collegati, non si è realizzata o non
è pienamente conforme al modello
legale tipico (Cassazione, Sezione prima,
1925/99).
Si è, inoltre, precisato, che, in
assenza di una deliberazione regolare di nomina,
amministratore di fatto non può essere ritenuto
colui che si ingerisca comunque,
genericamente o una tantum, nell’attività sociale,
ma solo chi eserciti in concreto e
con un minimo di continuità le funzioni
proprie degli amministratori o una di esse
coordinate con le altre (Cassazione, Sezione
quinta, 12 novembre 1991, Rapisarda).
Più in particolare la posizione
dell’amministratore di fatto va determinata con
riferimento alle disposizioni civilistiche che, regolando l’attribuzione della qualifica
di
imprenditore e di amministratore di diritto,
costituiscono la parte precettiva di norme
che sono sanzionate dalla legge penale;
la disciplina sostanziale si traduce, in via
processuale, nell’accertamento di elementi
sintomatici di gestione o cogestione della
società risultanti dall’organico inserimento
del soggetto – quale intraneus che svolge
funzioni gerarchiche o direttive – in
qualsiasi momento dell’iter di organizzazione,
produzione e commercializzazione di beni e
servizi – rapporti di lavoro con i
dipendente, rapporti materiali e negoziali con
i finanziatori, fornitori e clienti – e in
qualsiasi branca aziendale, produttiva,
amministrativa, contrattuale, disciplinare
(Cassazione Sezione quinta, 7 agosto 1998, Galimberti).
Alla luce di tali indicazioni, non è
difficile scorgere gli elementi più che sintomatici di
una gestione concreta, continua e ad
alto contenuto organizzativo svolta da B.
Fausto.
In primo luogo la sua presenza
continuativa in ditta a fianco delle dipendenti Oliani
e
Bollini; in secondo luogo l’essere
stato punto di riferimento di fornitori e clienti nello
svolgimento degli ordinario rapporti
contrattuali; in terzo luogo l’esistenza del potere
di firma in banca sul conto corrente
della società; in quarto luogo il poter di
selezionare il personale e assumere le persone
che egli riteneva più idonee allo
svolgimento dell’incarico; in quinto luogo la
responsabilità e gestione del magazzino
della s.r.l. già magazzino della ditta
individuale da lui conosciuto e per tale motivo a
lui affidato per lo svolgimento delle
attività aziendali.
Di tutti questi elementi vi è prova
palmare nelle dichiarazioni testimoniali, nella
documentazione prodotta e negli accertamenti svolti
dal curatore fallimentare.
Appare chiaro che tale gestione, che
all’inizio e per un significativo periodo può
essere qualificata come ‘cogestione’ con
l’amministratore di diritto Pavone Stefano,
diventa poi gestione conflittuale fino alla
risoluzione del rapporto contrattuale di affitto
di azienda, ma ciò non esclude la configurabilità di tale qualifica soggettiva ed anzi
conferma ulteriormente l’iniziale fortissimo
interesse del B. all’operazione
commerciale di cui avrebbe beneficiato anche la
sua ditta individuale e che di fatto
spiega la sua sovraesposizione organica al
ruolo di amministratore di fatto.
Stabilita ed accertata tale
qualifica, non pare possa dubitarsi che anche
all’amministratore di fatto debbano
estendersi gli obblighi di regolare tenuta delle
scritture contabili così come sancisce
l’articolo 216 L.F. (sul punto Cassazione, Sezione quinta,
10885/99 e Cassazione Sezione quinta,
28 giugno 1993, Trovato). Le sentenze
appena citate presuppongono l’affermazione
precedente e poi affrontano il problema
del concorso con l’amministratore di
diritto che, nel caso in esame, è Pavone Stefano,
giudicato separatamente.
In punto di elemento
materiale del reato, la fattispecie contestata è quella di tenuta
dei libri e delle altre scritture
contabili in modo da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio o del movimento degli
affari: oggetto materiale della
condotta è costituito dai libri e dalle altre
scritture contabili. Nel corso del presente
procedimento penale non è mai stato posto in
dubbio quanto accertato dal curatore
del fallimento in merito alla assenza
del libro inventario, alla presenza del libro
giornale solo nella forma di brogliaccio
incompleto, alla assenza di alcune scritture
contabili facoltative, quali il libro infortuni ed il libro matricola.
In punto di elemento
soggettivo del reato, la giurisprudenza della Corte di Cassazione
ha affermato che nell’ipotesi di
irregolare tenuta delle scritture contabili il dolo è
generico e consiste nella intenzione
dell’autore di rendere impossibile o
estremamente difficile la ricostruzione del
patrimonio o del movimento degli affari,
intenzione che già di per sé cela, sul piano
pratico, lo scopo di procurarsi i creditori o
di procurarsi un vantaggio (Cassazione,
Sezione quinta, 16 febbraio 2000, Amata): nel caso in
esame, la gestione a dir poco caotica
dell’attività aziendale da parte del B. nel
regolare soprattutto i rapporti tra Dialex ditta individuale e D. s.r.l.. anche nei confronti
dei terzi dimostra una consapevole
conduzione dell’impresa al di fuori delle regole
stabilite per controllare la vita sociale
della s.r.l., anche perché così facendo, egli
poteva incamerare danaro per la ditta
individuale senza renderne conto nella
contabilità della s.r.l.
Provato, pertanto, deve ritenersi il
reato ascritto al B. nella sua componente oggettiva
e soggettiva.
De B. Vincenzo.
Trattasi di ipotesi
di compartecipazione criminosa costituita dal concorso mediante
omissione: nel dare contenuto alla posizione
di garanzia penalmente rilevante ex articolo
40 cpv Cp la giurisprudenza ha correttamente affermato che ‘è
configurabile il
concorso tutte le volte in cui l’amministratore di
una società violando l’obbligo di
vigilanza e quello di attivarsi in presenza di
atti pregiudizievoli, abbia consentito ad
altri amministratori (o comunque a
soggetti che di fatto abbiano compiuto atti di
gestione) di perpetrare veri e propri delitti
(Cassazione, Sezione quinta, 26 giugno 1990, Bordoni). Lo
schema su cui si costruisce la posizione di
garanzia è evidentemente quello dell’articolo
2392 Cc:
obblighi di adempiere ai doveri che discendono dalla
legge e dall’atto
costitutivo con la diligenza del mandatario; di
vigilare sul costante andamento della
gestione; di operare per impedire atti
pregiudizievoli essendone a conoscenza o di
eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose
(Cassazione, Sezione quinta, 7 luglio 1992,
Boccolini).
Premesso tutto ciò va preliminarmente
affermato che De B. può essere qualificato
come amministratore ‘testa di paglia’. Ciò si desume dalle seguenti circostanze: non
ha alcuna competenza specifica né in
materia biomedicale né in quella
amministrativo contabile; assume la carica
accettando l’invito di un terzo che non
compare per ragioni non specificate;
l’assunzione della qualifica di amministratore
unico risale al 27 giugno 2002 ma da tale
data non risulta che egli abbia fatto
alcunché; attende inoperante ben quattro mesi
e mezzo fino alla dichiarazione del
fallimento; non risulta che prima dell’assunzione
della carica egli abbia assunto
informazioni sulla situazione societaria, sulla
compagine sociale, sulle strutture
organizzative e sulla consistenza patrimoniale
della stessa; non conosce la sede di
Medolla e nulla sa in
ordine alla programmazione aziendale da svolgere dopo
l’assunzione della carica.
Non vi è dubbio che De B. sia stato
persona di comodo al servizio del menzionato
Cotti o più probabilmente dello
stesso Pavone che, fallita l’esperienza in territorio
modenese, prevedendo una rapida evoluzione
negativa della società, ha cercato di
frapporre uno schermo tra sé e la società che
stava abbandonando. Di fatto, De B. ha
assunto quella carica con il precipuo
compito di non far nulla ed attendere gli eventi:
è, pertanto, amministratore inerte.
Stabilito ciò, occorre verificare se
anche a lui può essere addebitata la bancarotta
fraudolenta documentale ascritta al B..
Occorre verificare, in altre parole,
l’aspetto soggettivo del reato che distingue l’ipotesi
di cui al comma II dell’articolo 216 da
quella prevista dall’articolo 217 L.F..
Sul punto, va rilevato che quando si
attribuisce all’amministratore inerte il fatto di
reato commesso da altri perché non ha
vigilato ed impedito la realizzazione, si deve
fare una distinzione in relazione al contenuto
di tali obblighi al fine di delimitare
correttamente il piano delle responsabilità:
quando si parla di dolo in materia di reato
omissivo bisogna fare immediato riferimento
alla rappresentazione dell’evento illecito
da impedire e dei presupposti di fatto
che rendono attuale il dovere di attivarsi. Ne
deriva che se in concreto viene disatteso
l’obbligo di vigilanza, difficilmente è
ipotizzabile una presa di coscienza da parte
dell’amministratore degli atti
pregiudizievoli messi in atto dagli altri soggetti
sulla cui attività egli avrebbe dovuto
vigilare. In altre parole, è vero che
all’amministratore inerte può essere sempre
mosso il rimprovero di non avere impedito
l’evento che egli avrebbe dovuto
rappresentarsi nel momento dell’esatto adempimento
di quegli obblighi che l’articolo 2392
Cc gli impone, ma è altrettanto vero
che tale obbligo di impedimento presuppone il
corretto adempimento proprio dell’altro
obbligo, quello di vigilanza.
Per tale motivo, appare fondato
affermare che l’unico rimprovero che può essere
mosso all’amministratore inerte sia quello
di non essersi messo diligentemente nelle
condizioni di accorgersi dell’esistenza di
elementi di fatto di reato: ma è chiaro, allora,
che si è nell’ambito di una
responsabilità colposa insufficiente per un addebito di
delitto di bancarotta fraudolenta anche a
titolo di dolo eventuale.
Più corretta, pertanto, appare la sussunzione del comportamento del De B. nell’alveo
della fattispecie di bancarotta semplice
documentale: egli ha assunto la carica di
amministratore e per negligenza ed assoluta
imperizia non ha fatto fronte agli obblighi
di legge derivanti dalla assunzione di tale carica ed
in particolare all’obbligo della
regolare tenuta delle scritture contabili e
dei libri sociali.
Indimostrato è l’aspetto volitivo inteso come
partecipazione effettiva alla realizzazione
del delitto in quanto non vi sono
elementi di fatto ulteriori che si accompagnano
all’unico dato certo della formale
investitura del De B.. Non essendovi alcun atto di
gestione dello stesso, alcuna ingerenza
nell’organizzazione dell’azienda ed alcuna
‘presa di contatto’
effettiva con la vita sociale, non può fondatamente sostenersi la
sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto
dal delitto di bancarotta fraudolenta
documentale.
Così ragionando, si evita il rischio
di una inammissibile responsabilità di posizione in
capo all’amministratore inerte (con
conseguenti e discutibili riverberi sul principio della
personalità della responsabilità penale) che
finisce per integrare ipotesi di
responsabilità oggettiva. La valenza colposa del
comportamento dell’amministratore
inerte, con maggiore aderenza e rispetto
dei principi generali che presiedono alla
disciplina dell’elemento soggettivo del reato,
può fondare un giudizio di responsabilità
penale dell’imputato per l’ipotesi meno
grave di cui all’articolo 217 L.F..
DE B.V.va pertanto ritenuto responsabile del reato di
cui all’articolo 217 L.F., non
violandosi in tal modo il principio di
correlazione tra imputazione e sentenza (Cassazione
Sezione quinta, 10330/00).
5. La determinazione della pena e le
statuizioni accessorie.
L’affermazione della penale
responsabilità degli imputati apre la strada alla
individuazione del trattamento sanzionatorio
da applicare nel caso di specie.
Si ritiene di poter concede ad
entrambe gli imputati le circostanze attenuanti
generiche, sia per la non particolare gravità
complessiva dei fatti contestati, sia per il
ristretto arco temporale in cui questi si sono
verificati, sia, ancora, sul piano
soggettivo, per l’incensuratezza
di DE B.V.e per l’assenza di precedenti penali
rilevanti per B..
Valutati tutti i parametri di cui
all’articolo 133 Cp, il Tribunale stima equo
infliggere al De
B. la pena finale di
anni uno di reclusione (la pena è stata così determinata: p.b. anni
uno mesi sei di reclusione, riduzione ex
articolo 62-bis Cp anni uno di reclusione); al B.
la pena finale di anni due di
reclusione (la pena è stata così determinata: p.b.
anni tre
di reclusione, riduzione ex articolo
62-bis Cp anni due di reclusione).
Alla affermazione di penale responsabilità
segue per legge la condanna degli imputati
al pagamento delle spese processuali.
Va applicata, inoltre, al B. la sanzione
accessoria di cui al cpv. dell’articolo 216 L.F..
Ricorrono, inoltre, i presupposti
oggettivi e soggettivi per poter concedere ad
entrambe gli imputati il beneficio della
sospensione condizionale della pena.
Essendovi stata regolare costituzione
della parte civile, inoltre, gli imputati vanno
condannati in solido al risarcimento dei danni
in favore della costituita parte civile, da
liquidarsi nella competente sede civile.
Vanno, da ultimo, condannati gli
imputati in solido al pagamento delle spese
sostenute dalla parte civile per la
costituzione e rappresentanza in giudizio, spese
che si liquidano nella misura indicata
in dispositivo.
PQM
Visti gli articoli 521, 533 e 535 Cpp;
qualificato il fatto contestato a DE B.V.come punisto e previsto
dall’articolo 217 Cpv. L.F.,
dichiara
l’imputato responsabile del delitto
così qualificato e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna
alla pena di anni uno di reclusione; dichiara B.F.responsabile
del delitto a lui ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo
condanna alla pena di anni due di reclusione.
Condanna gli imputati al pagamento
delle spese processuali e concede al entrambi il
beneficio della sospensione condizionale della pena.
Dichiara B.F.inabilitato
all’esercizio di imprese commerciali ed incapace ad
esercitare
uffici direttivi presso imprese per anni
dieci.
Dichiara gli imputati tenuti, e li
condanna, al risarcimento del danno in favore del fallimento Dialex Biomedica Srl, come in atti rappresentato, danni da liquidarsi in
separato giudizio, oltre a rifusione delle spese di lite, liquidate in €
2032,03 oltre spese generali forfettarie, oltre iva e cpa come per legge.