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Friday 25 February 2005

Irrevocabili le dimissioni da consigliere comunale Tar Lazio – Sezione seconda – sentenza 1 dicembre 2004-23 febbraio 2005, n. 1143

Irrevocabili le dimissioni da consigliere
comunale

Tar Lazio – Sezione seconda – sentenza 1
dicembre 2004-23 febbraio 2005, n. 1143

Presidente La Medica – estensore Sestini – Ricorrente Santese – controricorrente – comune di Roma

Fatto

Il ricorrente, essendosi candidato
alle elezioni locali del 13 maggio 2001, veniva
confermato alla carica di consigliere del municipio Roma X, mentre non
conseguiva un numero di preferenze sufficiente, nella propria lista, ai fini
dell’elezione al Consiglio comunale.

A seguito della sentenza a lui
favorevole del Tar Lazio, Sezione seconda bis,9988/02 (concernente le modalità di computo delle
preferenze in alcuni seggi) e della successiva nomina ad Assessore comunale di
uno degli eletti della propria lista (con conseguenti dimissioni dal
Consiglio), il medesimo veniva poi proclamato Consigliere comunale, con
delibera consiliare 173/02.

Su sollecitazione del presidente del
Consiglio comunale (che aveva minacciato di aprire un procedimento di
decadenza), con lettera dell’11 dicembre 2002 l’interessato effettuava, come prescritto, l’opzione
fra le due cariche, rassegnando le dimissioni da quella di Consigliere del X
Municipio.

Il Consiglio municipale, di conseguenza, con deliberazione 43/2002, sanciva il
subentro nella carica dell’odierna controinteressata.

Successivamente, il CdS,
Sezione quinta, con decisione 1489/03 annullava la sopra indicata sentenza del Tar, e di conseguenza il Consiglio comunale, con delibera
34/03, reintegrava i precedenti componenti, dichiarando decaduto l’interessato,
che a sua volta, in data 11 dicembre 2002, chiedeva di revocare le proprie
dimissioni dalla carica di Consigliere municipale, essendo venute meno le cause
di incompatibilità che le avevano motivate.

Il presidente del Municipio Roma X,
peraltro, con nota prot. CLL30556/03, rigettava la
richiesta di revoca delle dimissioni.

Il Signor Santese
ricorreva contro il predetto diniego, deducendone l’illegittimità per
violazione dell’articolo 97 Costituzione, dell’articolo 3
della legge 241/90 e per eccesso di potere sotto molteplici aspetti
sintomatici.

Si costituivano in giudizio
l’Amministrazione intimata e la controinteressata,
che eccepivano l’inammissibilità del ricorso ed
argomentavano l’infondatezza delle censure dedotte.

Con ordinanze 3699/03 e 2848/04
questa Sezione respingeva le sue successive domande cautelari di sospensione
dei provvedimenti impugnati. Alla pubblica udienza del 1 dicembre 2004 il
ricorso è stato, infine, introitato dal Collegio per la decisione.

Diritto

Il giudizio in epigrafe si incentra sulla questione se sia possibile o meno revocare
le dimissioni da consigliere di un municipio comunale, una volta venuta meno la
causa di incompatibilità (in questo caso, l’elezione al consiglio comunale, poi
annullata in sede giurisdizionale) che le avevano imposte.

Deve, in primo luogo, essere respinta
l’eccezione di inammissibilità, eccepita in ragione
della mancata tempestiva impugnazione della precedente nota del Presidente del
consiglio municipale, che aveva imposto di presentare le dimissioni senza
attendere l’esito dell’appello dei controinteressati
davanti al CdS.

La lesività
della predetta nota era stata, infatti, del tutto ipotetica
finché il ricorrente aveva mantenuto l’investitura al consiglio comunale, e si
è poi, concretamente, manifestata solo al momento in cui il medesimo presidente
ha respinto la revoca delle dimissioni, con successiva nota tempestivamente
impugnata dal ricorrente.

Nel merito, il ricorrente argomenta
che, essendo state le dimissioni, in realtà, “un atto non volontario, obbligato
dall’inderogabile necessità di eliminare le ragioni di incompatibilità
con la carica di consigliere comunale” (così recita l’impugnata nota che ne
respinge la revoca), la decisione di non consentirne la revoca al venir meno
del cumulo di incarichi, vietato dall’articolo 65, comma 3, del D.Lgs 267/00, sarebbe stata del tutto irragionevole, ed
avrebbe altresì violato la volontà espressa dagli elettori, oltrechè
il principio della “restituitio in integrum”, sancito dalla giurisprudenza amministrativa, si
afferma, al venir meno della causa di interruzione del rapporto con la Pa.

La medesima decisione sarebbe altresì
stata immotivata (limitandosi la nota impugnata a convenire sulla mancanza di
riferimenti giuridico-istituzionali certi per la
fattispecie in esame) e lesiva del principio di buon andamento
dell’amministrazione, precludendo al ricorrente la possibilità di rispondere alla
fiducia manifestata dagli elettori del municipio.

L’amministrazione e la controinteressata (subentrata al ricorrente nel consiglio
municipale) osservano che le dimissioni sono state, in
realtà una scelta del ricorrente, il quale ha, prima, optato per il consiglio
comunale, anziché chiedere di posporre l’esecuzione della sentenza del Tar agli esiti dell’appello, e, poi, aderito alla richiesta
di dimissioni del presidente del municipio, anziché insistere affinché si
attendesse il responso del CdS.

Le stesse parti resistenti, pertanto, contrappongono alle
argomentazioni del ricorrente la
generale disciplina dell’istituto delle dimissioni, che nel diritto civile,
così come in quello amministrativo e, in particolare, in quello degli enti
locali (Tu approvato con Dpr 267/00, regolamento
comunale) sono sempre irrevocabili, anche al variare delle circostanze che le
potevano aver occasionate.

Le parti disputano, in particolare,
circa l’applicabilità o meno, alla fattispecie in esame, dell’articolo 38,
comma 8, del D.Lgs 267/00
(testo unico degli enti locali), che prescrive espressamente l’irrevocabilità
delle dimissioni volontarie, ma solo per i consiglieri comunali e provinciali.

A giudizio del collegio, la
controversia in esame, pur oggetto di un nutrito scambio di articolate
memorie, deve essere più attentamente inquadrata partendo, ai fini della
decisione, dalla ricostruzione della natura giuridica dell’atto di cui si chiede la revoca.

Al riguardo, alla luce della
documentazione dedotta in atti, non vi è dubbio che non si trattava
di un atto di dimissioni volontarie, bensì di un atto necessitato, imposto a
pena di decadenza dal Presidente del consiglio municipale, nell’ambito della
sua funzione di garanzia del corretto funzionamento dell’organo
collegiale.

Più in particolare, a seguito della
proclamazione della sua elezione da parte del consiglio comunale (delibera
consiliare 173/02), il ricorrente si era trovato nella situazione di incompatibilità prevista dall’articolo 65, comma 3, del D.Lgs 267/00, ed aveva, quindi, dovuto optare, a pena di
decadenza, ai sensi del successivo articolo 69, comma 4, fra le due cariche, scegliendo quella di
consigliere comunale. Le conseguenti dimissioni dall’altra carica, di
consigliere municipale, costituivano, quindi, un mero atto dovuto, al fine di eliminare
una situazione di incompatibilità che avrebbe, comunque, comportato la
decadenza dell’interessato.

Come già evidenziato da questa
sezione in sede cautelare, la disciplina delle incompatibilità si pone quale
inderogabile limite di ordine pubblico al rispetto
della volontà elettorale, rispondendo alla fondamentale esigenza dell’ordinamento
democratico a che siano evitate situazioni, anche potenziali, di conflitto di
interesse, ovvero indebite
sovrapposizioni fra ruoli istituzionali distinti, discendendone quale
conseguenza, in caso di mancata tempestiva rimozione della causa, la –
definitiva – decadenza dal pubblico ufficio.

L’incompatibilità in esame, in
particolare, è espressamente sancita dal D.Lgs 267/00
che, all’articolo 65, comma 3, al fine di evitare di vanificare le esigenze di
decentramento ed autogoverno perseguite con
l’introduzione dei municipi ed in conformità all’ormai costituzionalizzato
principio di “sussidiarietà”, sancisce che “la carica
di consigliere comunale è incompatibile con quella di consigliere di una
circoscrizione del comune”. La relativa disciplina è posta dal successivo
articolo 69, secondo cui “L’amministratore locale ha dieci giorni di tempo per
formulare osservazioni o per eliminare le cause di ineleggibilità
sopravvenute o di incompatibilità”. Entro i 10 giorni successivi il consiglio
delibera definitivamente “invitando l’amministratore a rimuovere la causa di ineleggibilità o di incompatibilità” o ad esprimere, se
del caso, “la opzione per la carica che intende conservare”. “La norma conclude che “Qualora l’amministratore non vi provveda entro
i successivi 10 giorni il consiglio lo dichiara decaduto”.

Sono quindi previsti, a pena di
decadenza, termini tassativi per la rimozione dell’incompatibilità, ovvero per l’opzione per una delle due cariche
incompatibili, in conformità ai principi di effettività e continuità di
funzionamento dei collegi amministrativi e, in particolare, ai principi di
stabile e corretta composizione dei collegi elettivi a base democratica.

Ne consegue che il ricorrente, non
avendo tempestivamente rimosso la causa di incompatibilità,
ed avendo, anzi, definitivamente optato per la carica – incompatibile- di
Consigliere comunale, doveva necessariamente dimettersi, ovvero essere
dichiarato decaduto, dalla carica di Consigliere municipale, con il conseguente
consolidarsi dell’organo collegiale in una nuova composizione, non più
alterabile indipendentemente dagli eventuali accadimenti che potessero aver,
successivamente, riguardato il ricorrente.

In base alla
considerazioni sopra riportate, l’impugnata decisione di respingere la revoca delle
dimissioni, da un lato, appare essere stata correttamente motivata dall’assenza
di norme derogatorie del principio di salvaguardia della composizione degli
organi elettivi e, dall’altro, non sembra avere in alcun modo pretermesso la
volontà degli elettori, che avevano votato il ricorrente per il municipio pur
essendo candidato anche per il Consiglio comunale.

Conclusivamente, il ricorso deve
essere respinto. Sussistono, tuttavia, giustificati motivi per compensare fra
le parti le spese di giudizio.

PQM

Il Tar per
il Lazio, Sezione seconda, definitivamente pronunciando sul ricorso proposto
dal Signor Franco Santese, come in epigrafe, lo
respinge.

Compensa fra le parti le spese di
giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia
eseguita dall’Autorità Amministrativa.