Imprese ed Aziende

Tuesday 04 November 2003

In gestazione una nuova figura nel panorama societario: l’ impresa sociale. Disegno di Legge – Delega al Governo concernente la disciplina dell’impresa sociale. (Approvato dal Governo nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri dell’11 luglio 2002

In gestazione una nuova figura nel panorama societario: limpresa sociale

Disegno di Legge

Delega al Governo concernente la disciplina dell’impresa sociale.

(Approvato dal Governo nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri dell’11 luglio 2002)

Art. 1

(Impresa sociale)

1. Il Governo è delegato a emanare, entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sodali, del Ministro delle attività produttive, del Ministro della giustizia, del Ministro per le politiche comunitarie e del Ministro per l’attuazione del programma di governo, uno o più decreti legislativi recanti una disciplina organica, a modifica delle norme dell’ordinamento civile, relativa alle diverse forme d’imprenditorialità sociale, informata ai seguenti principi:

a) definire, nel rispetto della specificità propria degli organismi di promozione sociale e di cooperazione sociale nonché della disciplina generale delle associazioni, delle fondazioni, delle società e delle cooperative e delle norme concernenti gli enti ecclesiastici, il carattere sociale dell’impresa sulla base:

delle materie di particolare rilievo sociale in cui essa opera la prestazione di beni e servizi in favore di tutti i potenziali fruitori, senza limitazione ai soli soci, associati o partecipi;

del divieto di ridistribuire gli utili o quote di patrimonio sotto qualsiasi forma ad amministratori e persone fisiche o giuridiche partecipanti, collaboratori o dipendenti;

del contestuale obbligo di reinvestire gli incrementi di carattere patrimoniale nello svolgimento dell’attività istituzionale;

delle caratteristiche e dei vincoli della struttura proprietaria o di controllo, escludendo la possibilità che soggetti pubblici o imprese private con finalità lucrative possano detenere il controllo, anche attraverso la facoltà di nomina maggioritaria degli organi di amministrazione;

b) prevedere, in coerenza con il carattere sociale dell’impresa e compatibilmente con la struttura dell’ente, omogenee disposizioni in ordine a:

elettività delle cariche sociali;

responsabilità degli amministratori nei confronti dei soci e dei terzi;

ammissione ed esclusione dei soci;

obbligo di redazione e di pubblicità del bilancio nonché di previsione del collegio sindacale, con funzioni, in particolare, di monitoraggio dell’osservanza delle finalità sociali da parte dall’impresa;

obbligo di devoluzione dei beni ad altra impresa sodale in caso di cessazione dell’impresa, fatto salvo, per le cooperative sodali, quanto previsto dalla legge 31 gennaio 1992, n. 59;

obbligo di iscrizione nel registro delle imprese;

definizione delle procedure concorsuali applicabili in caso di insolvenza;

rappresentanza in giudizio da parte degli amministratori e responsabilità limitata al patrimonio dell’impresa per le obbligazioni da questa assunte;

previsione di organi di controllo;

costituzione di organismi che assicurino forme di partecipazione nell’impresa anche ai diversi prestatori d’opera e ai destinatari delle attività;

c) attivare, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, funzioni e servizi permanenti di monitoraggio e ricerca necessari alla verifica della qualità delle prestazioni rese dalle imprese sociali;

d) stabilire che, in relazione alla particolare qualità del servizio svolto, l’impresa sociale possa èssere riconosciuta quale centro di eccellenza di interesse nazionale, sulla base del possesso di requisiti individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con il Ministro delle attività produttive, e che i progetti relativi ai centri di eccellenza siano considerati quali progetti di pubblica utilità.

2. Il Governo è delegato, altresì, a coordinare le disposizioni dettate in attuazione della delega di cui al comma 1, con le disposizioni vigenti nelle stesse materie e nelle materie connesse, apportandovi le integrazioni e le modifiche strettamente necessarie, ferme restando le disposizioni in vigore concernenti il regime giuridico e amministrativo degli enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti,accordi o intese.

3. Dall’attuazione delle norme della presente legge non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

***

Relazione

Ancora oggi tutta la disciplina degli enti privati rimane circoscritta entro la rigida distinzione tracciata dal Codice Civile già dal 1942 tra enti del Libro I (Associazioni con o senza personalità giuridica, fondazioni e comitati) senza fini di lucro e destinate al perseguimento di finalità etiche e/o ideali ed enti del Libro V (società lucrative e cooperative) funzionali, invece, alla produzione in funzione meramente lucrativa o di mutualità in tema di beni e servizi.

L’evoluzione del nostro contesto economico e sociale non ha fatto altro, tuttavia, che rivelare la crescente inadeguatezza dell’architettura codicistica.

Le organizzazioni non profit hanno progressivamente accresciuto, infatti, la propria soggettualità in seno al nostro sistema del welfare che, proprio a queste, ha spesso delegato, sotto diverse forme gestionali, la produzione e l’erogazione di servizi alla persona o di rilievo pubblico o sociale.

In molti settori, le organizzazioni in questione hanno saputo porre in evidenza la loro capacità di risposta, in termini di adeguatezza ed efficacia dell’intervento, alle nuove istanze ed alle nuove sfide poste da una convivenza sociale dai profili sempre più articolati e contraddittori determinando, al contempo, un vero e proprio discostamento tra la dimensione “legale” fenomeno e la prassi organizzativa ed operativa in cui esso storicamente si è determinato.

E’ nel tentativo di attenuare tale discrasia che all’inizio degli anni ’90 (dunque in tempi abbastanza recenti), il legislatore italiano ha dato l’avvio ad una variegata serie di legislazioni speciali sulle quali, a turno, si è sempre concentrata l’attesa di una soluzione organica e compiuta ad un problema, che, a tutt’oggi, appare nient’affatto risolto.

La legge sulla cooperazione dell’Italia con i Paesi in via di sviluppo che disciplina, altresì, le organizzazioni non governative (49/1987), la legge quadro sul volontariato (266/1991), la legge quadro sulle cooperative sociali (381/1991), la legge sull’associazionismo di promozione sociale (383/2000) ed il decreto legislativo sulla soppressione delle Ipab (207/2001) costituiscono, insieme al decreto legislativo sulle Onlus (460/1997), altrettanti segmenti di una realtà che, pur riconosciuta e regolamentata in sue particolari modalità d’essere proprio attraverso la citata legislazione speciale, non viene a tult’oggi compresa, riconosciuta e valorizzata nella sua dimensione più organica e strutturale.

Sotto questo profilo si è assistito, così, al replicarsi di una schematologia normativa riassumibile nei seguenti elementi:

definizione di una tipologia associativa (es. organizzazione di volontariato);

” previsione di un iter procedimentale e di strumenti giuridico-formali necessari al conferimento del relativo status (albi, registri, etc.);

” attribuzione di un trattamento premiale e/o di vantaggio cui si collega, in un perverso rapporto di sinallagmaticità, un regime di controllo da parte della pubblica amministrazione (più ti riconosco più ti controllo).

Sono le osservazioni appena formulate a postulare l’esigenza di un rinnovato approccio da parte del legislatore che, in ottica di sussidiarietà orizzontale, sappia offrire strumenti dinamici per il riconoscimento di un fenomeno che nella mutevolezza delle forme giuridiche rimane caratterizzato storicamente da alcuni elementi ricorrenti:

” l’origine del soggetto agente dall’autonomia negoziale dei privati e non dall’impulso del potere pubblico;

” l’intervento in settori contraddistinti da una finalità di rilievo etico e/o sociale;

” l’assenza di finalità di lucro soggettivo a vantaggio dei partecipanti allo stesso soggetto giuridico.

E’ dall’essenzialità di tali fattori e dalla loro mutevole combinazione che trae origine il delinearsi di una vera e propria imprenditorialità sociale, del tutto affrancata da letture manichee nelle quali l’ideale ed il profìtto, il lavoro e l’azione benefica si vorrebbero rigidamente separale così come, in natura, non si sono mai presentate.

Il valore di un’iniziativa legislativa organica sull’impresa sociale, in fondo, è tutto qui: non ostacolare ed assecondare l’originaria spinta della persona a costruire, ad un tempo, per sé e per gli altri.

La condizione per non rendere velleitario un simile tentativo è quella di una trasversale ricucitura dell’esistente consolidato normativo, recuperando, però, la necessaria saldatura tra i diversi aspetti che la stessa disciplina del codice vuole ancora separati (Libro I e Libro V) con un solo significativo punto di contatto rappresentato dall’esperienza cooperativistica e dalla sua finalità mutualistica.

Le disposizioni allegate mirano, pertanto, a fornire in primo luogo una definizione unitaria d’impresa sociale trasversalmente applicabile ad enti del libro I e del Libro V del Codice civile costruita sui seguenti elementi:

– operatività esclusiva in ambiti di particolare rilievo sodale (es. sanitario, socio-sanitario, socio-assistenziale, istruzione anche extrascolastica, tutela del patrimonio ambientale ed artistico, etc.);

– divieto di ridistribuzione di utili sotto qualsiasi forma anche indiretta; – contestuale obbligo di reinvestire gli eventuali proventi nell’attività istituzionale;

– negata possibilità che soggetti pubblici o imprese private con finalità lucrative possano detenere il controllo, anche attraverso la facoltà di nomina maggioritaria degli organi di amministrazione.

Vengono, in secondo luogo, definiti gli ambiti nei quali il soggetto qualificato in base ai suddetti elementi come impresa sociale, ancorché appartenente a diverse tipologie giuridiche, dovrà essere destinatario di una disciplina omogenea.

In ragione della particolare natura del soggetto disciplinato e compatibilmente con la struttura dell’ente, lale necessità rileva, in particolare, per l’elettività delle cariche sociali, per il regime di responsabilità degli amministratori e per la tutela dei soci, associati o partecipi, e dei terzi rispetto all’operato degli amministratori, per la previsione di clausole devolutive in caso di cessazione dell’attività, per l’obbligo di redazione e di pubblicità del bilancio, di previsione del collegio sindacale e di iscrizione nel registro delle imprese, per la previsione di organi di controllo, per la rappresentanza in giudizio da parte degli amministratori e per la responsabilità limitata al patrimonio dell’impresa, per la costituzione di organismi che assicurino forme di partecipazione nell’impresa anche ai diversi prestatori d’opera e ai destinatari delle attività.

Vengono previsti, inoltre, l’intervento statale al fine di attivare funzioni e servizi permanenti di monitoraggio e ricerca necessari alla verifica della qualità delle prestazioni rese dalle imprese sociali e la possibilità di riconoscere l’impresa sociale quale centro di eccellenza di interesse nazionale, in relazione alla particolare qualità del servizio svolto.

Si delega il Governo a coordinare le disposizioni dettate in attuazione della delega con le disposizioni vigenti nelle stesse materie e nelle materie connesse, apportandovi le integrazioni e le modifiche strettamente necessarie, ferme restando le disposizioni in vigore concernenti il regime giuridico e amministrativo degli enti riconosciuti dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese.

Si stabilisce, infine, un’apposita clausola di chiusura diretta a prevedere che dall’attuazione delle norme non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Sullo schema di disegno di legge, deliberato in via preliminare nella riunione del Consiglio dei Ministri dell’ll aprile 2002, è stato acquisito il parere della Conferenza unificata, reso nella seduta del 20 giugno 2002.

La Conferenza unificata ha espresso parere favorevole condizionato all’accoglimento dell’emendamento volto a stralciare l’articolo 1, comma 1, lettera d), relativo ai centri di eccellenza di interesse nazionale.

Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fatto presente che la possibilità di riconoscere l’impresa sociale quale centro di eccellenza di interesse nazionale, in relazione alla particolare qualità del servizio svolto e sulla base del possesso di requisiti individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle .politiche sociali, di concerto con il Ministro delle attività produttive, non invade affatto le competenze regionali, ma si inserisce nello scenario di delimitazione organizzativa della figura dell’impresa sociale e, pertanto, nella materia dell’ordinamento civile, di competenza esclusiva statale.