Penale
Immunità parlamentari. Dubbi di costituzionalità della legge 140/2003 sollevati dal Tribunale di Bologna nel processo Sgarbi. N. 1021 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2003.
Immunità parlamentari. Dubbi di costituzionalità della legge 140/2003 sollevati dal Tribunale di Bologna nel processo Sgarbi
N. 1021 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 settembre 2003.
Ordinanza emessa il 17 settembre 2003 dal tribunale di Bologna nel procedimento penale a carico di Sgarbi Vittorio ed altro Parlamento – Immunita’ parlamentari – Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione – Insindacabilita’ delle opinioni espresse dai membri del Parlamento nell’esercizio delle loro funzioni Ampliamento, con legge ordinaria, dell’ambito di operativita’ della garanzia, in contrasto con i limiti stabiliti dal principio costituzionale, quali individuati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – Irragionevole disparita’ di trattamento tra i soggetti che rivestono la qualita’ di “parlamentare” ed i comuni cittadini – Ingiustificata compressione dell’esercizio del diritto, costituzionalmente riservato a tutti i cittadini (nella specie: alla parte offesa dal reato), anche ai sensi dell’art 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. – Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3, comma 1. – Costituzione, artt. 3, 24, 68, primo comma, e 117. (GU n. 48 del 3-12-2003)
IL TRIBUNALE
Letti gli atti del procedimento penale n. 1639/99 R.G.N.R.
n. 1510/02 r. gen. Tribunale di Bologna, pendente a carico di Sgarbi
Vittorio e Cane’ Gabriele, come generalizzati in atti; sentite le
parti, che hanno concluso:
la parte civile ha richiesto sollevarsi la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 3 legge n. 140/03 per contrasto
con gli artt. 3, 24, 68, 101, 112, 117 della Costituzione, per i
motivi espressi in memoria scritta depositata agli atti, qui
richiamata, e ulteriormente illustrati all’Udienza odierna, come da
verbale; nonche’ la sospensione del giudizio in corso nei confronti
dell’imputato Sgarbi, e la separazione della posizione dell’imputato
Cane’. In subordine, la parte civile ha chiesto sollevarsi conflitto
di attribuzioni;
il p.m. ha illustrato le proprie conclusioni di cui alla
memoria scritta, depositata dell’odierna udienza, anch’essa qui
richiamata, ritenendo che la questione di legittimita’ costituzionale
proposta non sia rilevante nel presente procedimento, e pertanto
chiedendo che il giudice pronunci sentenza ai sensi dell’art. 129
c.p.p. nei confronti dell’imputato Sgarbi, separando la posizione
dell’imputato Cane’, ritenendo la natura strettamente personale della
causa di non punibilita’ di cui all’art. 68 Costituzione.
La difesa di Cane’ Gabriele ha chiesto sollevarsi la questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 3 legge n. 140/03 per contrasto
con gli artt. 3 e 68 della Costituzione, in base ai motivi esposti in
udienza, di cui al verbale in atti, e si e’ opposta alla separazione
della posizione del Cane’ chiedendo la sospensione dei processo per
entrambi gli imputati.
La difesa dell’imputato Sgarbi ha richiesto che, ove non venisse
accolta la questione di legittimita’ costituzionale sollevata dalle
altre parti, il giudice pronunci sentenza ai sensi dell’art. 129
c.p.p.
Ha pronunciato la seguente ordinanza.
Preso atto della delibera della Camera dei deputati intervenuta
in data 27 maggio 2003 qui trasmessa in originale e pervenuta agli
atti in data 3 giugno 2003, con la quale veniva approvata
integralmente la proposta della Giunta per le autorizzazioni circa
l’applicabilita’ dell’art. 68 primo comma della Costituzione, nel
senso di dichiarare che i fatti per i quali e’ in corso il
procedimento penale n. 1639/1999 R.G.N.R. – n. 1881/99 RG.G.I.P., di
cui al documento 4-quater, n. 73, concernono opinioni espresse dal
deputato Sgarbi nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi del primo
comma deIl’art. 68 della Costituzione.
Premesso che, il fatto per il quale e’ stato disposto il rinvio a
giudizio dell’On. Sgarbi, si riferisce a frasi ritenute – secondo
l’accusa – diffamatorie, attribuite al medesimo e pubblicate in un
articolo di stampa sul quotidiano «Il Resto del Carlino» del
31 dicembre 1998, sotto il titolo «Caro Fini, non sono garantista
difendo tutti anche i piu’ deboli».
L’on. Sgarbi avrebbe – secondo l’imputazione elevata a suo carico
– con l’articolo suddetto, offeso gravemente la reputazione del
dott. Giancarlo Caselli, all’epoca Procuratore della Repubblica di
Palermo» a causa dell’adempimento delle sue funzioni e nell’atto di
esercitarle, indicandolo espressamente come causa della morte del
dott. Luigi Lombardini, verificatasi per suicidio a Cagliari
l’11 agosto 1998, in quanto avrebbe posto in essere nei suoi
confronti «una violenza intollerabile» cosi’ da condurlo alla
disperazione e al suicidio, il tutto in un contesto generale di
iniziative giudiziarie caratterizzate dal sequestro di innocenti».
La Camera dei deputati approvava integralmente la proposta della
Giunta per le autorizzazioni a procedere, la quale, richiesta di
pronunciarsi per iniziativa dello stesso deputato Sgarbi, ha
esaminato il caso nelle sedute del 6 marzo e 14 maggio 2003 (cfr.
Relazione della giunta, trasmessa agli atti).
Nella relazione della giunta, si sottolineava infatti che «le
affermazioni del deputato Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto
della perdurante polemica politica nel nostro Paese inerente al modo
di procedere della magistratura e in particolare nella forte critica
politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell’operato
di taluni Magistrati, critica che in molte precedenti occasioni,
l’assemblea ha ritenuto insindacabili al sensi dell’art. 68, primo
comma, della Costituzione. Del resto, la garanzia di cui all’art. 68,
primo comma della Costituzione, copre anche attivita’ di critica e di
denuncia del Parlamentare relativamente all’ordine del giorno
dell’attivita’ parlamentare cosi’ com’era la polemica con la
magistratura in quel periodo. Decisiva ai presenti fini, e’ poi la
circostanza che le dichiarazioni del deputato Sgarbi sono di
contenuto sostanzialmente corrispondente a quelle riportate nelle sua
interrogazione a riposta orale presentate il 15 settembre 1998 (Atto
Camera n. 3/02843), il cui testo si riporta in allegato, e che
dimostra appieno il nesso funzionale tra le dichiarazioni rese nel
contesto del procedimento in titolo e l’attivita’ parlamentare. Per
tali motivi all’unanimita’, la giunta ha deliberato nel senso che i
fatti per i quali e’ in corso il procedimento concernono opinioni
espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue
funzioni (cfr. relazione della giunta per le autorizzazioni – Doc.
IV-quater n. 73 presentata alla Presidenza il 15 maggio 2003,
approvata dalla Camera nella seduta del 27 maggio 2003 n. 314, come
da estratto stenografico trasmesso al seguito della comunicazione
inviata a questo Tribunale dal Presidente della Camera dei deputati
unitamente alla suddetta relazione e al testo dell’interrogazione
parlamentare citata).
Pervenuta la suddetta documentazione via fax nel corso
dell’udienza dibattimentale del 28 maggio 2003, con riserva di
trasmissione degli originali (pervenuti successivamente in data
29 maggio 2003 alla segreteria di Presidenza del tribunale di
Bologna), questo giudice disponeva un rinvio preliminare all’odierna
udienza, riservando ogni decisione senza espletare ulteriore
attivita’ istruttoria, come da ordinanza agli atti qui richiamata.
Successivamente, nelle more del rinvio, entrava in vigore la
legge 20 giugno 2003 n. 140 intitolata «Disposizioni per l’attuazione
dell’art. 68 della Costituzione nonche’ in materia di processi penali
nei confronti delle alte cariche dello Stato» il cui art. 3 comma 1
ridefiniva l’ambito di applicazione del medesimo articolo 68 primo
comma della Costituzione, nei seguenti termini «l’art. 68, 1 comma,
della Costituzione, si applica in ogni caso, per la presentazione di
disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni
e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli
interventi nelle assemblee e negli altri organi delle Camere, per
qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni albo atto
parlamentare, per ogni alba attivita’ di ispezione, di divulgazione,
di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di
Parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento».
Allo stato attuale del processo, essendo pervenuta la
deliberazione della Camera in senso favorevole all’applicazione
dell’art. 68 comma 1 della Costituzione, gia’ precedentemente
all’entrata in vigore della suddetta legge, questo giudice sarebbe
tenuto, giusta il combinato disposto di cui all’art. 3 commi terzo e
ottavo della legge n. 140/03, ad «adottare senza ritardo i
provvedimenti indicati nel comma 3 ovvero a provvedere con sentenza,
in ogni stato e grado del processo penale, a norma dell’art. 129 del
codice procedura penale», norma di carattere processuale, come tale
immediata applicazione in base al noto principio tempus regit actum.
In alternativa, il giudice ordinario conserva il potere di
sollevazione del conflitto di attribuzioni, fondato sulla stessa
garanzia costituzionale di delimitazione della sfera di attribuzioni
di cui all’art. 134 della Costituzione.
La pronuncia di una sentenza ai sensi dell’art. 129 c.p.p.,
impone tuttavia a questo giudice una valutazione preliminare
dell’ambito di applicazione dell’art. 68 comma 1 Costituzione, come
ridefinito nel nuovo art. 3 comma 1 della legge n. 140/2003, quale
norma sopravvenuta di carattere sostanziale che delinea i casi di
applicazione della causa di non punibilita’, riconosciuta sussistente
nel caso di specie, dalla delibera parlamentare di cui sopra.
Orbene, questo giudice ritiene che l’attuale testo normativo
dell’art. 3 legge n. 140/2003 ponga una questione non manifestamente
infondata di legittimita’ costituzionale, per contrasto con gli
artt. 3, 68 comma 1, 24 e 117 della Costituzione, e che la questione
sia rilevante nel presente procedimento penale, per i motivi di
seguito esposti, e secondo profili solo in parte coincidenti con
quelli gia’ dedotti dalle parti istanti, tanto da rendere necessaria
la sollevazione d’ufficio ex art. 23 comma 3 legge 11 marzo 1953,
n. 87.
Invero, l’art. 3 comma 1 legge n. 140/03, non si limita ad una
semplice «attuazione» dell’art. 68 comma 1 della Costituzione, ma
estende l’ambito di operativita’ della garanzia dell’immunita’
parlamentare, ben oltre i limiti definiti dall’attuale formulazione
della norma costituzionale citata, quali costantemente individuati
dalla pluriennale giurisprudenza dalla Corte costituzionale nelle
numerose pronunce intervenute in occasione della sollevazione di
conflitti di attribuzioni tra il giudice ordinario e le Camere,
riguardo allo specifico tema del «nesso funzionale» tra le
dichiarazioni di un deputato e l’espressione di attivita’
parlamentare.
Per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale e’
pacifico che, trattandosi di valutare la sussistenza della
prerogativa dell’immunita’ in rapporto alle dichiarazioni rese da un
deputato ad un’agenzia di stampa, e pertanto rilasciate al di fuori
dell’esercizio delle funzioni parlamentari tipiche, il problema si
risolve nello stabilire se quelle dichiarazioni siano ugualmente
identificabili come espressione dell’attivita’ parlamentare, e quindi
possano ritenersi iscritte nell’ambito delle «opinioni» per le quali
opera la citata garanzia costituzionale (cfr. sentenza Corte
costituzionale n. 51/2002, nella quale viene riaffermato il principio
secondo cui «ove le dichiarazioni per le quali il parlamentare e’
chiamato a rispondere in sede giurisdizionale siano state rese al di
fuori di un’attivita’ funzionale riconducibile alla qualita’ di
membro della Camera, e del tutto al di fuori delle possibilita’ di
controllo e di intervento offerte dall’ordinamento parlamentare,
l’unico punto da verificare riguarda l’eventualita’ che la
dichiarazione medesima non rappresenti altro se non la divulgazione
all’esterno…. di un’opinione gia’ espressa, o contestualmente
espressa, nell’esercizio della funzione parlamentare»).
La Corte costituzionale ha piu’ volte chiarito che, ai fini della
predetta identificazione, (non basta la semplice comunanza di
argomenti, oggetto di attivita’ parlamentari tipiche e di
dichiarazioni fatte al di fuori di esse, ne’ basta la
riconducibilita’ di queste ultime dichiarazioni ad un medesimo
«contesto politico» (cfr. tra le molte conformi, la recente citata
sent. Corte cost. n. 51/2002, in base alla quale «per poter
ricondurre le dichiarazioni extra moenia al panorama delle «opinioni»
per le quali opera la garanzia costituzionale della irresponsabilita’
non basta la semplice comunanza di argomenti, ne’ la medesimezza del
«contesto» politico tra quelle dichiarazioni e l’espletamento di atti
tipici della funzione parlamentare. Occorre, invece, che la
dichiarazione possa essere qualificata come espressione di attivita’
parlamentare; il che normalmente accade se ed in quanto sussista una
sostanziale corrispondenza di significati fra le dichiarazioni rese
al di fuori dell’esercizio delle attivita’ parlamentari tipiche
svolte in Parlamento, e le opinioni gia’ espresse nell’ambito di
queste ultime»).
La sostanziale corrispondenza di contenuti, finisce dunque per
costituire «il criterio che consente di identificare le dichiarazioni
rese al di fuori di quelle attivita’, e cionostante riconducibili o
inerenti alla funzione parlamentare, distinguendole cosi’ da quelle
che ricadono nel diritto comune a tutti i cittadini, e proteggendole
tramite la speciale garanzia dell’art. 68 primo comma, della
Costituzione. Senza con cio’ determinare situazioni ingiustificate di
privilegio personale» (cfr. Sent. 320 e 321/ 2000, sent.
27 febbraio-15 marzo 2002 n. 50).
Alla luce dei suddetti ben noti principi, una disposizione
semplicemente «attuativa» dell’art. 68 comma 1 della Costituzione
introdotta con legge ordinaria, avrebbe necessariamente dovuto
rispettare i confini nei quali era ed e’ legittimamente possibile
individuare gli estremi del «nesso funzionale» cosi’ come
interpretato costantemente dalla Corte costituzionale, e in ossequio
al dettato della norma costituzionale attualmente vigente (salva la
possibilita’ di introdurre modifiche dirette a quest’ultima mediante
gli strumenti legislativi previsti dall’art. 138 della Costituzione,
non attuati con la legge de qua.
Si ritiene invece, che il testo dell’attuale art. 3 comma 1 legge
n. 140/03 abbia inteso individuare i termini di identificabilita’ di
«espressione dell’attivita’ parlamentare», non solo nella
«sostanziale identita’ di significati» tra le attivita’ extra moenia
e quelle svolte in sede Parlamentare dal medesimo Deputato, bensi’
ancbe in una serie di condotte che, pur se svolte fuori del
Parlamento, presentino un mero collegamento con «la funzione di
Parlamentare» e non una specifica connessione con l’attivita’
parlamentare svolta dal medesimo soggetto, indipendentemente dalla
loro identificabilita’ con il vero e proprio «esercizio delle
funzioni parlamentari» voluto dall’art. 68 comma 1 della
Costituzione.
Invero, l’interpretazione letterale e sistematica del testo
delIart. 3 comma 1 legge n. 140/03 porta inequivocabilmente a tali
conclusioni, laddove vengono analiticamente indicate, in aggiunta
agli atti «tipici» espressivi dell’esercizio di funzioni parlamentari
(disegni di legge, proposte di legge, emendamenti, interrogazioni
etc.), una serie di ulteriori attivita’ «di ispezione, di
divulgazione, di critica e di denuncia politica», le quali saranno
ugualmente coperte dall’immunita’ anche se avvenute al di fuori del
Parlamento, qualora risultino «connesse alla funzione di
parlamentare».
Il rapporto di «connessione» viene dunque riconosciuto non solo
rispetto alla «divulgazione» di atti o attivita’ compiute dal
medesimo Parlamentare intra moenia, ma anche ad ulteriori e diverse
attivita’ espletate fuori della sede parlamentare, e non
necessariamente di contenuto corrispondente a quello di atti «tipici»
compiuti dallo stesso Parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni.
La differenza e’ rilevante, in quanto detta interpretazione del
nesso funzionale quale criterio operativo di applicazione della
garanzia dell’immunita’ parlamentare, consente di dilatarne i confini
ben oltre e in contrasto con il dettato dell’attuale art. 68 primo
comma, Costituzione, sino a ricomprendervi anche attivita’ di
«critica e/ o di denuncia politica», ovvero tutte quelle opinioni
espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attivita’
politica, che presentino un qualche «collegamento di argomento o di
contesto» con l’attivita’ parlamentare (dello stesso o di altri
deputati), e non solo – come la Corte costituzionale ha piu’ volte
costantemente ribadito – quelle attivita’ che siano identificabili
quale «espressione di attivita’ parlamentare», ovvero manifestate in
atti che costituiscano «estrinsecazione delle facolta’ proprie del
Parlamentare in quanto membro dell’Assemblea» (cosi’ Corte
costituzionale sent. n. 10/2000, n. 11/2000; n. 56/2000; 420/2000).
Sul punto, la Corte costituzionale ha ritenuto che «la semplice
comunanza di argomento fra la dichiarazione resa ai mezzi di
comunicazione o in dibattiti pubblici e le opinioni espresse in sede
parlamentare non basta a estendere alla prima l’insindacabilita’ che
copre le seconde. Ne’ si puo’ invocare a tal fine l’esistenza di un
«contesto» politico in cui la dichiarazione si inserisca, giacche’
siffatto tipo di collegamenti non vale, di per se’, a conferire il
carattere di attivita’ parlamentare a manifestazioni di pensiero
oggettivamente estranee ad essa. Deve esservi, dunque, un preciso
nesso funzionale fra le dichiarazioni e l’attivita’ parlamentare:
nesso che puo’ legittimamente essere affermato dalle Camere anche
quando le dichiarazioni siano sostanzialmente riproduttive
dell’opinione sostenuta in sede parlamentare», e non invece, sulla
base di un generico riferimento alla «azione politica» svolta dal
deputato «dentro e fuori il Parlamento» sui medesimi temi (come
quelli, rilevanti nel caso di specie, attinenti all’amministrazione
della giustizia e alla tutela dei soggetti sottoposti a carcerazione
preventiva) (cfr. Corte cost. sent. n. 56/2000).
Quanto alla rilevanza della questione nel presente processo, ed
alla priorita’ della sua risoluzione rispetto ad ogni ulteriore
decisione – sia nel senso di sentenza ex art. 129 c.p.p., sia in
quello alternativa della sollevazione del conflitto di attribuzioni –
va osservato che:
a) la delibera di insindacabilita’ verte sul riconoscimento
del «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese dallo Sgarbi fuori
del Parlamento e l’esercizio delle funzioni parlamentari, ovvero
sull’applicazione al caso di specie, delle garanzie previste
dall’art. 68, primo comma, della Costituzione.
L’art. 3 della recente legge n. 140/03 ha ridefinito, nei termini
sopra esposti, il medesimo ambito di operativita’ dell’art. 68 primo
comma, della Costituzione, individuando una serie specifica di
attivita’ svolte dal Parlamentare, alle quali si applica tale norma
costituzionale in quanto «connesse alla funzione di Parlamentare,
espletate anche fuori del Parlamento», cosi’ interpretando – come si
e’ gia’ evidenziato – il nesso funzionale che scrimina dette
attivita’, in modo assai piu’ ampio di quanto consentito dal testo
attuale dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Alla luce della deliberazione della Camera dei deputati, questo
giudice dovrebbe applicare l’art. 129 c.p.p., come peraltro oggi
espressamente previsto dall’art. 3 legge n. 140/2003, ovvero
sollevare il conflitto di attribuzioni davanti alla Corte
costituzionale. qualora ritenesse prodottasi un’indebita lesione
della sfera di giurisdizione da parte della intervenuta
deliberazione.
Tale scelta alternativa e’ tutt’oggi riservata al giudice
ordinario di fronte all’intervento di una delibera della Camera, e
confermata piu’ volte dalla giurisprudenza della Corte costituzionale
gia’ prima dell’entrata in vigore dell’art. 3 legge n. 140/2003, che
non ha comunque modificato la possibilita’ da parte del giudice
ordinario di adire la Corte costituzionale attraverso la via del
conflitto di attribuzioni, trattandosi di facolta’ che, come si e’
visto, e’ riconosciuta dalla stessa Costituzione (artt. 134 ss.
Cost.).
Tuttavia, anche le valutazioni necessariamente connesse
all’esercizio di tale facolta’ – riservata al giudice ordinario
qualora egli non ritenga di aderire alla decisione assunta dalla
Camera e ritenga vi sia stata indebita lesione della propria sfera di
attribuzioni in conseguenza dell’esercizio, ritenuto illegittimo, del
potere di dichiarare l’insindacabilita’ ai sensi dell’art. 68, primo
comma, della Costituzione – comportano una imprescindibile e
preliminare delibazione attuale della delibera stessa, alla luce
della nuova normativa introdotta dal citato art. 3, legge n. 140/2003
in epoca successiva all’intervenuta decisione della Camera.
Dall’esame – esclusivamente a tal fine – del contenuto della
delibera in oggetto, emerge chiaro il richiamo nella motivazione
della stessa, non solo alla ritenuta sostanziale corrispondenza di
contenuti tra le dichiarazioni del deputato Sgarbi alla stampa e
quelle riportate nella sua interrogazione a risposta orale presentata
il 15 settembre 1998, ma anche e soprattutto, alla portata
interpretativa che la Camera ha inteso ribadire relativamente
all’ambito di operativita’ della garanzia di cui all’art. 68, primo
comma, della Costituzione, laddove si dice chiaramente che
quest’ultima «copre anche attivita’ di critica e di denuncia del
Parlamentare relativamente a questioni all’ordine del giorno
dell’attivita’ parlamentare, cosi’ come era la polemica con la
magistratura in quel periodo» (cfr. relazione della giunta – doc.
IV-quater – n. 73 allegata agli atti).
La giunta per le autorizzazioni specificava infatti, nella
proposta poi approvata integralmente con la delibera del 27 maggio
2003 (cfr. relazione della giunta – doc. IV-quater – n. 73) che «le
affermazioni del deputato Sgarbi sono parse inserirsi nel contesto
della perdurante polemica politica nel nostro Paese, inerente al modo
di procedere della magistratura e in particolare, nella forte critica
politica manifestata dal deputato Sgarbi nei confronti dell’operato
di taluni magistrati, critica che in molte precedenti occasioni
l’assemblea ha ritenuto insindacabile ai sensi dell’art. 68, primo
comma, della Costituizione».
Orbene, tale interpretazione dell’ambito di operativita’
dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, e quindi del
riconoscimento del «nesso funzionale» tra le dichiarazioni rese extra
moenia e l’esercizio delle funzioni parlamentari, risulta
sostanzialmente aderente all’attuale contenuto e portata del nuovo
art. 3 legge n. 140/2003, laddove al primo comma, esso estende
espressamente il riconoscimento della connessione funzionale ad una
serie di attivita’ specificamente elencate, tra le quali ben
potrebbero astrattamente ricondursi quelle stesse indicate nella
relazione della Giunta – «attivita’ di critica e di denuncia del
Parlamentare relativamente a questioni all’ordine del giorno
dell’attivita’ parlamentare, cosi’ com’era la polemica con la
magistratura in quel periodo»; che il Parlamentare abbia svolto anche
fuori della sede propria del Parlamento, e che si trovino in un
rapporto di mero collegamento di argomento o di identita’ – comunanza
di tematiche rispetto a quelle trattate all’interno delle Camere, pur
se non si esauriscano nella sola attivita’ di «divulgazione»
all’esterno di dichiarazioni gia’ contenute sostanzialmente in
attivita’ compiute dallo stesso Parlamentare nella sede istituzionale
della Camera di appartenenza.
Alla luce di tali premesse, appare riconfermato che la questione
di legittimita’ costituzionale dell’art. 3, legge n. 140/2003, si
ponga necessariamente come preliminare e propedeutica rispetto ad
ogni altra decisione del giudice ordinario, sia che la stessa si
concretizzi nella sollevazione del conflitto di attribuzioni, oppure
nell’applicazione immediata dell’art. 129 c.p.p.
b) Invero, anche riguardo a tale seconda ipotesi –
diversamente da quanto ritenuto dal p.m. nelle proprie deduzioni – si
manifesta la rilevanza della questione di legittimita’ costituzionale
posta nel caso sub iudice, poiche’ lo stesso potrebbe rientrare
nell’attale previsione dell’art. 3, comma 1, legge n. 140/2003, a
differenza di quanto sarebbe accaduto prima dell’entrata in vigore
della medesima legge.
Compiendo una preliminare valutazione – esclusivamente a tal
fine, e quindi dovendosi prescindere in questa sede, da ogni
ulteriore valutazione di merito in ordine alla fondatezza
dell’ipotesi di accusa – si rileva che le dichiarazioni di cui
all’articolo di stampa oggetto dell’imputazione nel presente
procedimento, non risultano avere contenuto totalmente corrispondente
a quello dell’atto ispettivo indicato nella delibera in oggetto
(interrogazione parlamentare presentata dall’on. Sgarbi – atto Camera
n. 3/02843 – in data 15 settembre 1998), laddove le stesse si
estendono alla frase «… voglio immaginare una situazione ribaltata:
Caselli a Palermo che, indagato per avere sequestrato innocenti con
indagini insufficienti, come e’ realmente accaduto (Musotto,
Lombardo, Scalone), viene interrogato da un pool di magistrati
cagliaritani … guidati da Lombardini. Quale sarebbe stato l’umore
di Caselli? Non voglio aggiungere altro», introducendo contenuti
nuovi e sostanzialmente diversi da quelli dell’interrogazione, che,
per questa parte, non possono identificarsi quale «espressione
dell’esercizio della funzione parlamentare».
Invero, queste ulteriori dichiarazioni non costituiscono mera
divulgazione esterna dei contenuti dell’interrogazione parlamentare
citata, ma assumono valenza di significato autonomo, ancorche’
riconducibile solo in parte alla medesima vicenda, nonche’
ricollegabili al medesimo tema oggetto di critica, ovvero l’operato
di taluni magistrati.
Esse non possono pertanto, integrare quella totale «identita’
sostanziale di contenuti» presupposto di applicazione della garanzia
prevista dall’art. 68, primo comma, Cost.
Sul punto, la stessa Corte costituzionale ha ribadito che, anche
nei casi di «sostanziale corrispondenza di contenuti solo parziale»,
le dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia non possono
considerarsi divulgazione, per la parte priva di corrispondenza, e
dunque non possono ritenersi rese nell’esercizio delle funzioni
parlamentari» (cosi’ Corte cost. sent. n. 10/2000 su un caso di
conflitto di attribuzioni sollevato in relazione ad un altro
procedimento a carico dell’on. Sgarbi per diffamazione a danno del
dott. Caselli; n. 420/2000 nella quale si sottolinea come «quando vi
e’ una semplice parziale comunanza generica di tematiche relative
alla persona offesa dalle dichiarazioni … non e’ ravvisabile una
corrispondenza sostanziale di contenuti e significati con un atto
parlamentare e, quindi, un carattere divulgativo»).
Invero, nell’interrogazione parlamentare presentata
dall’on. Sgarbi in data 15 settembre 1998, seppure con le forme del
«quesito dubitativo» proprie dell’atto tipico, venivano mosse censure
specifiche circa l’operato dei magistrati della Procura di Palermo,
tra i quali il dott. Caselli, e in particolare, circa alcune
irregolarita’ che avrebbero caratterizzato le modalita’ di gestione
dell’indagine svolta nei confronti del dott. Lombardini (all’epoca
procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di
Cagliari) e l’espletamento concreto di alcuni atti giudiziari, in
particolare le modalita’ della perquisizione e quelle definite
«persecutorie» di conduzione dell’interrogatorio, nonche’ nell’avere
«fatto ventilare la possibilita’ di “arresto per la mancata
collaborazione” (tema da sempre pubblicizzato dalla cultura
“inquisitoria” di Caselli e degli altri magistrati) con cio’ creando
il clima terrorizzante che secondo l’interrogante potrebbe aver
causato la morte di Lombardini».
Secondo l’interrogante, tali metodi avrebbero potuto
rappresentare la causa del suicidio del dott. Lombardini, tanto che
nell’interrogazione si ipotizzava il ravvisarsi di fattispecie di
reato quali quelle previste dagli art. 580 c.p. o 613 c.p., e si
prospettava la necessita’ di adottare i conseguenti provvedimenti di
carattere disciplinare e penale.
L’interrogazione, si riferisce dunque a fatti specifici solo
parzialmente richiamati nel contenuto dell’articolo in questione –
suicidio del dott. Lombardini e presunte responsabilita’ del dott.
Caselli in ordine allo stesso a causa dei metodi d’indagine adottati
nel caso specifico – e solo genericamente compie un riferimento ad un
possibile «uso distorto» della carcerazione preventiva quale «arma di
pressione» per convincerlo a collaborare.
Nell’articolo in oggetto, invece, si introducono temi e contenuti
nuovi, che non possono essere ritenuti sostanzialmente corrispondenti
a quelli oggetto dell’interrogazione: in particolare, laddove si
parla esplicitamente di «avere sequestrato innocenti sulla base di
indagini insufficienti» (come realmente accaduto: Musotto, Lombardo e
Scalone)»; attribuiti alla persona del medesimo magistrato dott.
Caselli, e si citano tali casi nella descrizione esemplificativa di
una situazione ipotetica in cui, attraverso un immaginato
«rovesciamento dei ruoli», lo stesso magistrato si fosse trovato
nella condizione di soggetto indagato per tali fatti, e il
dott. Lombardini nella veste di titolare dell’inchiesta. Dunque,
nell’articolo oggetto dell’imputazione, da un lato si accosta la
vicenda del Lombardini a quelle dei citati altri casi giudiziari –
circostanza che non risulta assolutamente costituire contenuto
dell’interrogazione parlamentare agli atti – dall’altro, si
attribuisce espressamente al dott. Caselli «l’avere sequestrato
innocenti con indagini insufficienti» con riferimento a casi
specifici e diversi da quello del Lombardini – contenuto dotato di
rilevanza autonoma che, del pari, non risulta trovare alcuna
identita’ sostanziale con quello dell’interrogazione parlamentare
ridetta.
In quest’ultima, risulta espresso un richiamo generico al
concetto di un possibile uso distorto della carcerazione preventiva
quale «arma di pressione» per indurre l’indagato a fornire la propria
collaborazione; contenuto affatto diverso da quello che,
nell’articolo di stampa, attribuisce al dott. Caselli, con
riferimento a precisi casi giudiziari concreti, «l’avere sequestrato
innocenti con indagini insufficenti».
In sostanza dunque, gli atti di sindacato ispettivo si limitano a
tratteggiare l’identica vicenda evocata nelle dichiarazioni
dell’articolo di stampa, sulla quale si sono successivamente
sviluppate espressioni diverse per forma e significati, poste a
fondamento dell’accusa contestata nel giudizio penale. Ma, come
peraltro sopra richiamato e piu’ volte affermato dalla Corte
costituzionale, per l’operativita’ della prerogativa dell’immunita’
ex art. 68, primo comma, della Costituzione, non basta la semplice
«comunanza di argomento» ne’ la riconducibilita’ ad un medesimo
«contesto politico» dei temi trattati, poiche’ in tal modo, si
determinerebbe un’indebita estensione della suddetta garanzia
costituzionale a tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello
svolgimento della sua attivita’ politica, e non solo – come invece
l’attuale art. 68, primo comma, della Costituzione impone – quelle
«legate da nesso funzionale» (cfr. sentenza Corte cost. n. 10-17
gennaio 2000), e nel caso di specie, a dichiarazioni non esattamente
identificabili quale «espressione della funzione e/o di attivita’
parlamentare».
Cio’ premesso, quelle stesse dichiarazioni contenute
nell’articolo di stampa oggetto dell’imputazione che, in base al
consolidato orientamento interpretativo dell’art. 68, primo comma,
Cost. fornito dalla Corte costituzionale, non rientrerebbero nella
sfera di operativita’ di tale norma costituzionale, si ritiene
potrebbero rientrare nell’attuale previsione normativa dell’art. 3,
comma 1, legge n. 140/2003: in particolare, laddove quest’ultimo
ricomprende tra le attivita’ coperte dalla garanzia dell’immunita’,
non solo quelle di semplice «divulgazione» all’esterno del contenuto
sostanziale di atti compiuti dal parlamentare nell’esercizio delle
relative funzioni, ma anche attivita’ di «critica e denuncia
politica» le quali, benche’ svolte al di fuori del Parlamento,
presentino elementi di «connessione con la funzione di parlamentare»;
intesa non quale «identificabilita’ con l’espressione dell’esercizio
della funzione parlamentare», bensi’ quale mero collegamento con temi
e argomenti al centro del dibattito politico-istituzionale del Paese,
che siano oggetto di «critica e/o di denuncia politica» da parte del
parlamentare stesso.
Il ritenuto contrasto dell’attuale formulazione dell’art. 3,
comma 1, legge n. 140/2003 con l’art. 68, primo comma Cost., comporta
un ulteriore profilo di illegittimita’ costituzionale che non appare
manifestamente infondato, ovvero quello relativo alla ritenuta
violazione degli artt. 3, 24 e 117 della Costituzione.
Nel primo caso (contrasto con l’art. 3 della Costituzione)
laddove il nuovo art. 3, comma 1, legge n. 140/2003 introduce una
irragionevole disparita’ di trattamento tra i soggetti che rivestono
la qualita’ di «Parlamentare» e i comuni cittadini, trasformando di
fatto quella eccezionale garanzia dell’immunita’ finalizzata alla
tutela del libero esercizio delle funzioni parlamentari attraverso le
opinioni espresse, in una ingiustificata situazione di «privilegio
personale» derivante esclusivamente dallo status di Parlamentare, che
ne precluderebbe la responsabilita’ penale a prescindere dalla
riscontrata sussistenza di un’identificabilita’ di tali opinioni con
l’esercizio delle funzioni parlamentari, e a differenza di quanto
accadrebbe a tutti coloro che, non rivestendo la qualita’ di
parlamentare, non potrebbero sottrarsi alla giurisdizione pur
esprimendo identiche «attivita’ di critica e denuncia politica».
Negli altri casi (contrasto con l’art. 24 e 117 Costituzione),
l’attuale formulazione dell’art. 3, legge n. 140/2003 comporta una
indebita e ingiustificata compressione dell’esercizio del diritto
costituzionalmente riservato a tutti i cittadini, anche ai sensi
dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (e nel
caso di specie, all’odierna parte offesa) di agire in giudizio per la
tutela dei propri diritti e interessi legittimi, diritto suscettibile
di legittima compressione soltanto a fronte dell’esigenza di tutelare
un preminente interesse di carattere generale, quale il libero
esercizio delle funzioni parlamentari e non certo per salvaguardare
attivita’ che non ne costituiscono affatto l’espressione.
Invero, il sacrificio di un qualsivoglia interesse di rango
costituzionale impone un previo ponderato bilanciamento con interessi
parimenti di rilievo costituzionale, che l’art. 3 legge n. 140/2003
non assicura, ancorando invece l’applicabilita’ della garanzia
costituzionale a criteri che esorbitano da quelli dettati
dall’art. 68, primo comma, della Costituzione, pure in mancanza di
una legge costituzionale che ne abbia modificato l’attuale portata, e
recludendo di fatto al cittadino la possibilita’ di agire in giudizio
a fronte di situazioni che non giustificano affatto l’applicazione di
tale privilegio, ancorandolo a condizioni esclusivamente personali
dei soggetti da perseguire.
La Corte costituzionale, ha efficacemente espresso questo
principio affermando che l’attivita’ politica che non costituisca
esplicazione della funzione parlamentare «rappresenta piuttosto
esercizio della liberta’ di espressione comune a tutti i consociati,
sicche’ ad essa non puo’ estendersi, senza snaturarla, una immunita’
che la Costituzione ha voluto, in deroga al generale principio di
legalita’ e di giustiziabilita’ dei diritti, riservare alle opinioni
espresse nell’esercizio delle funzioni», ed ancora sottolineando che
in assenza di tale delimitazione funzionale dell’ambito della
prerogativa, l’applicazione di quest’ultima «la trasformerebbe in un
privilegio personale del parlamentare, con possibili distorsioni del
principio di eguaglianza e di parita’ di opportunita’ fra cittadini
nella dialettica politica» (cfr. Corte cost. sent. n. 10/2000, gia’
sopra citata).
Le questioni di illegittimita’ costituzionale cosi’ come sopra
poste, rilevano anche riguardo alla posizione processuale di Cane’
Cabriele, secondo imputato in questo stesso processo, per il reato p.
e p. dall’art. 57 c.p. «perche’ per negligenza, quale direttore
responsabile del quotidiano «Il Resto del Carlino» ometteva di
esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo
necessario ad impedire che venisse commesso il reato di cui sopra».
Invero, nella fattispecie criminosa prevista dalla disposizione
da ultimo citata, «il reato che con il mezzo della pubblicazione
viene commesso dall’autore dell’articolo pubblicato, si configura
come un evento del reato colposo addebitato al direttore del
giornale» (cfr. Cass. penale Sez. V n. 8418 del 28 luglio 1992;
Conforme sez. V n. 8118del 22 giugno 1999); cosicche’ risulta
evidente la necessita’ di procedere alla trattazione congiunta delle
due posizioni processuali, comportando l’accertamento della
responsabilita’ del direttore del quotidiano ai sensi dell’art. 57
c.p., la preliminare valutazione in merito alla ricorrenza degli
estremi del reato presupposto, ovvero nel caso sub iudice, un
accertamento che non puo’ prescindere dalla previa risoluzione delle
questioni di legittimita’ costituzionale poste, in quanto
necessariamente incidente sul riconoscimento di una «causa di
esclusione dell’antigiuridicita’ del fatto» costituente il reato
presupposto (cfr. Cass. penale sez. V n. 858 del 21 aprile 1999).
Sulla base delle motivazioni sopra diffusamente esposte, i motivi
e i profili di legittimita’ costituzionale sollevati dalla parte
civile e dalla difesa Cane’, qui richiamati, si ritengono assorbiti
ed integrati in quelli sollevati d’ufficio con la presente ordinanza
quanto ai richiamati artt. 3, 68 comma 1, 24 e 117 della
Costituzione; irrilevanti quanto all’art. 112 della Costituzione –
poiche’ nel caso sub iudice, l’azione penale era gia’ stata
esercitata da tempo, prima dell’entrata in vigore della legge
n. 140/2003 – e manifestamente infondata la questione sollevata in
relazione all’art. 101 della Costituzione.
P. Q. M.
Visto l’art. 23 della legge n. 87/1953;
Ritenute non manifestamente infondate e rilevanti nel presente
giudizio le questioni di legittimita’ costituzionale dell’art. 3
comma 1 legge n. 140/2003, per contrasto con gli artt. 3, 68 comma
primo, 24 e 117 della Costituzione;
Sospende il giudizio in corso;
Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente
del Consiglio dei ministri, nonche’ all’avv. Paolo Rossi del Foro di
Fermo (codifensore dell’imputato Sgarbi) oggi non presente, e
comunicata ai Presidenti delle Camere.
Bologna, addi’ 17 settembre 2003
Il giudice: Santini
03C1244