Penale

Friday 10 September 2004

Il reato di favoreggiamento dell’ ingresso di clandestini nel territorio italiano viola i principi di tassatività della fattispecie penale? Lo deciderà la Corte Costituzionale. 698 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2004.

Il reato di favoreggiamento dell’ingresso di
clandestini nel territorio italiano viola i principi di tassatività
della fattispecie penale? Lo deciderà la Corte Costituzionale

698      ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2004.

Ordinanza emessa il 17 marzo 2004 dal giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino nel procedimento penale a
carico di Mita Ion Reati e pene – Favoreggiamento
dell’ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non e’ cittadina e non ha titolo di residenza permanente –
Configurazione di una norma penale in bianco – Violazione del principio di tassativita’ e determinatezza della fattispecie
incriminatrice – Lesione del diritto all’emigrazione. – D.Lgs.
25 luglio 1998, n. 286, art. 12, comma 1, come sostituito dall’art.
11, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189. – Costituzione, artt. 25 e 35, comma quarto. (GU n. 35
del 8-9-2004)

IL GIUDICE PER L’UDIENZA PRELIMINARE

Nel procedimento
n. 12504/03 R.N.R. e 19260/03 r.g. G.i.p. Trib.

Torino, a carico di Mita Ion
+ 6; previa separazione della posizione

di
quest’ultimo
dal procedimento principale, definito con il rito

abbreviato
in udienza preliminare, in relazione al solo addebito a

lui elevato al capo C della richiesta di
rinvio a giudizio;

Ha pronunciato la
seguente ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo

1953.

Ritenuto in fatto

Mita Ion e’ imputato
di violazione in concorso
dell’art. 12,

comma
3, d.lgs. n. 286/1998, in concorso con il
gruppo di «passeurs»

Calin Gheorghe, Calin Ilie e Malacu
George (alias Topriceanu Mihaita,

detto
Turi Mihai). Dagli atti
si evince pero’
unicamente un suo

coinvolgimento
per far espatriare
clandestinamente verso

l’Inghilterra (paese
extra-Schengen) alcuni conoscenti, ed in tale

veste avrebbe (richiedendo informazioni a
persone rimaste estranee al

procedimento)
prima ottenuto il
consiglio di rivolgersi al gruppo

Neascu/Gherghisan;
fallito l’esperimento, perche’ i «passeurs»
non si

erano
presentati all’appuntamento avrebbe
poi ottenuto un

appuntamento
con il gruppo dei Calin; avrebbe quindi accompagnato i

conoscenti
nel luogo stabilito
perche’
potessero salire

clandestinamente
sul treno nei
pressi del bivio della Pronda. Fin

dalle
prime battute delle indagini e’ emerso il coinvolgimento
del

Mita in
«un solo episodio»
(ord. G.i.p.
24 luglio 2003, di

attenuazione
della misura cautelare da custodia in carcere in quella

degli
arresti domiciliari: in
seguito e’ stata poi revocata
ogni

misura,
a differenza che per i coimputati «passeurs»).
E’ evidente

dallo
svolgersi degli accadimenti (documentati probatoriamente
dalle

intercettazioni
telefoniche e paralleli
appostamenti di p.g.) che

Mita si e’ attivato per agevolare la
partenza di quattro persone che

dovevano
partire insieme, e solo di quelle. In atti – e tenuto conto

delle puntuali spiegazioni che egli ha
reiteratamente fornito in sede

di
interrogatorio in relazione
agli elementi a
suo carico

(conversazioni
telefoniche intercettate e
concomitanti appostamenti

di
p.g.) – a
carico del Mita non vi e’ altro; in specie non vi e’

alcun
elemento che smentisca
l’occasionalita’ della
condotta di

favoreggiamento,
legata ad una situazione specifica e in relazione

alla
quale egli stesso ha dovuto rivolgersi a terzi «professionisti»

(che
venivano pagati per questo), per
agevolare parenti o persone a

lui
legate e senza che vi sia alcun elemento per ritenere
che egli

abbia percepito a propria volta denaro in
cambio dell’aiuto prestato.

Anche dai
colloqui telefonici pare
evincersi l’estraneita’ di Mita

all’attivita’
dei «passeurs», che ha
contattato da estraneo e per

favorire
familiari/utenti a lui vicini. Ne e’ spia sintomatica gia’

l’opzione dell’accusa di elevare
l’addebito di cui all’art. 12 d.lgs.

n. 286/1998 in concorso, al capo C con
il c.d. gruppo dei Calin e non

invece
in concorso, al capo A, con il gruppo Neascu/Gherghisan, pure

da
lui contattato; e cio’ perche’ solo a mezzo dei Calin egli era

infine
riuscito nel suo
unico scopo, che era di far espatriare le

quattro persone che a lui avevano chiesto
aiuto.

Sulla rilevanza

Da cio’ consegue, come correttamente evidenziato dalla difesa,

che:

a) l’addebito anche
a carico di Mita Ion di favoreggiamento

dell’immigrazione («atti
diretti a favorire l’ingresso in
Italia»)

appare
nel suo caso dovuta unicamente alla formulazione
unitaria e

indistinta
del capo C, che
riguarda anche i presunti correi Calin

Gheorghe, Calin Ilie e Malacu George;
formulazione priva di elementi

individualizzanti
e che in ogni caso non trova corrispondenza alcuna

in
atti per quanto
attiene a Mita Ion, a quanto
si desume dalla

stessa
ricostruzione che dei
fatti ha evidenziato
il pubblico

ministero in sede di discussione del rito
abbreviato;

b) Mita non
puo’
essere ritenuto concorrente
nel reato

previsto
dall’art. 12, comma 3 d.lgs. n.
286/1998, ma al piu’

soggetto
che individualmente ha commesso «atti diretti a procurare

l’ingresso illegale
in altro Stato
del quale la persona non e’

cittadina
o non ha
titolo di residenza
permanente», condotta

sanzionata autonomamente dal comma 1 dello
stesso articolo.

Il capo C
e’ contestato «da
epoca non precisata posteriore

all’estate del
2002»; e’ pacifico
che l’attivazione di Mita per

agevolare l’espatrio risale al marzo 2003.

Ne consegue che
Mita e’ chiamato a rispondere della violazione

della
disciplina dell’art. 12 nuova formulazione, ex legge 30 luglio

2002, n. 189: quindi, secondo l’opinione che
pare ormai prevalente –

nonostante
un contrario obiter iniziale
in Cass., sez.
III,

28 novembre 2002,
ric. Hoxha, pronuncia che peraltro non affronta

direttamente
la questione bensi’ la sufficienza e idoneita’
degli

«atti diretti» al fine della rilevanza
penale della condotta – quale

titolo
di reato autonomo
e non piu’
quale circostanza aggravante

della
condotta «base» delineata
al primo comma.
Addirittura in

relazione
alla vecchia norma, richiamandosi alla ratio e alla storia

normativa
sottese alle norme
penali incriminatici contenute nel

d.lgs. n. 286/1998, gia’
si era prospettata una sostanziale autonomia

tra
fattispecie, in effetti
del tutto diverse
tra loro;

prospettazione
non accolta dalla
Corte di cassazione
a fronte

dell’indubbio e
primario ostacolo costituito dal tenore letterale

della formulazione del vecchio art. 12
(per tutte, Cass. pen. sez.
I,

4 dicembre 2000, ric. Vishe).
L’incipit del vecchio terzo comma («se

il
fatto di cui al
comma 1 e’ commesso a fine di lucro o da tre o

piu’
persone in concorso»), letteralmente delineante una circostanza

aggravante
ad effetto speciale, e’ stato, e non certo casualmente,

abbandonato nella nuova formulazione novellata
dell’art. 12.

Ne consegue altresi’ che, perche’ Mita possa
essere ritenuto

concorrente
nel piu’ grave reato previsto dall’art. 12,
terzo comma,

d.lgs.
n. 286/1998, dovrebbero ritenersi
integrati i seguenti

elementi che lo compongono:

1) l’aver commesso una pluralita’
di atti diretti a favorire

l’ingresso illegale in altro Stato in
un contesto organizzato;

2) avere agito per scopo di lucro.

I due profili
assurgono pacificamente, nell’interpretazione

corrente,
a elementi integrativi
della fattispecie novellata. La

singolarita’
della formulazione di quest’ultima, infatti, pare il

frutto
della volonta’
legislativa di combattere un fenomeno sociale

che
ha assunto caratteristiche criminali proprio in quanto «mercato»

di
flussi clandestini, e
risulta quindi caratterizzato dal

perseguimento
di scopo di
lucro in un
contesto di attivita’ di

favoreggiamento,
se non professionale, non certo occasionale. Solo

tale
lettura permette, infatti,
di comprendere l’equiparazione in

punto
pena («… la
stessa pena si
applica…») prevista dalla

seconda
parte del terzo
comma in relazione
a fattispecie che

dichiaratamente
connotano la condotta in termini di professionalita’

e
di inserimento in
un quadro dotato
di un certo
grado di

organizzazione
(concorso di tre o piu’ persone, utilizzo di servizi

internazionali
di trasporto ovvero
a mezzo di
documenti

contraffatti). Le stesso
p.m.,
nelle conclusioni in sede di rito

abbreviato, ha espressamente rilevato che solo
la peculiare struttura

dell’art. 12, terzo comma, d.lgs.
n. 286/1998, ha indotto l’accusa a

non formulare, nel presente
procedimento, alcuna imputazione di reato

associativo,
e cio’ perche’ gli elementi che tipicamente compongono

quest’ultimo sono
in sostanza sottesi alla formulazione del reato

contestato.

A cio’ consegue che
Mita Ion non puo’ essere considerato

concorrente
nel reato contestato sub C, perche’ non vi e’ prova che

egli
abbia agito per scopo di lucro (anzi, il rapporto personale che

lo lega ai soggetti da espatriare
parrebbe elemento positivo di segno

contrario);
e puo’ addirittura
ritenersi vi sia in atti la prova

negativa
di una sua
appartenenza ad una
seppur rudimentale

organizzazione. In altri termini, egli non fa parte ne’ dell’uno ne’

dell’altro
dei due gruppi
di coimputati, tanto che, per
favorire

l’espatrio dei connazionali gia’ in Italia, deve ricorrere a contatti

con
persone terze ed
estranee per ottenere
indicazioni su come

contattare
i «passeurs». La struttura del reato, sopra delineata,

nemmeno permette di concludere per una sua
partecipazione concorsuale

sulla
base di un
mero ragionamento logico di tipo semplificato,

ritenendo,
cioe’,
che Mita debba
ritenersi concorrente perche’

procurando
clientela «comunque»
alimenterebbe il mercato dei flussi

clandestini: pacifico essendo che chi ha
procurato utenti effettivi o

potenziali
per i gestori
del «mercato», per di piu’ in
un’unica

occasione, non per cio’
soltanto ha avuto una qualche influenza sulla

condotta
dei «passeurs» in
termini di rafforzamento del proposito

criminoso. Si tenga
altresi’
conto del fatto che il fenomeno
dei

«passeurs» da contattare,
per espatriare, per
poter salire

clandestinamente
sul treno Eurotunnel per
Francia e Inghilterra in

localita’
Bivio della Pronda
(fenomeno che comprendeva attivita’ di

supporto
– dietro pagamento – ulteriori,
quali la preorganizzazione

di
attivita’
di manomissione dei segnali ferroviari e l’eventuale

agevolazione
mediante documenti falsificati
nell’ipotesi non

infrequente
in cui in
Francia vi fossero
«intoppi» dovuti ai

controlli
di polizia sui
treni) era sostanzialmente noto
alla

comunita’
rumena torinese e che, a quanto ben emerge dalla lunga e

attenta
attivita’
di osservazione della
p.g. che ha
svolto le

indagini,
era in corso da tempo, con flussi
di veri e propri gruppi

che
venivano accompagnati – ogni
notte o quasi – sulla ferrovia per

salire
non visti sui treni in sosta. E’
quindi pacifico che Mita si

era
rivolto ad una
struttura organizzativa che
autonomamente e a

scopo
di lucro comunque
operava gia’ da
tempo e che
avrebbe

continuato
ad operare al
di la’ del fatto che Mita l’avesse una

tantum contattata per agevolare propri
conoscenti.

Cio’ premesso, e’ pero’ indubbio che la
condotta del Mita –

ricerca
di indicazioni su
chi fossero i «passeurs», contatto con

quest’ultimi per
ottenere un appuntamento
per gli espatriandi,

accompagnamento
di questi ultimi
sul luogo dell’appuntamento –

integra
a pieno titolo
la fattispecie autonoma di cui al
comma 1

dell’art. 12 del
citato decreto, per
avere posto in essere atti

diretti
a procurare l’ingresso
illegale in altro Stato di persone

sfornite
di documenti, a
titolo occasionale, individuale e
senza

scopo
di lucro: quindi, della sola seconda parte (la cui
autonomia

dalla
prima e’ sancita dalla
disgiuntiva «ovvero») del reato di cui

al comma 1 dell’art. 12.

Sulla non manifesta
infondatezza

Individuata la norma
incriminatrice da applicare nel caso di

specie,
sorgono, in ordine
alla legittimita’ costituzionale della

stessa,
perplessita’
che non paiono
poter essere risolte in sede

interpretativa
in sede di
giudizio di merito.
Si tratta di

perplessita’ che sono gia’
state espresse in dottrina e che, a parere

di
questo giudice, debbono
essere condivise alla
luce delle

considerazioni che seguono.

Va premesso – senza entrare nel merito della articolata
vicenda

normativa
che ha infine
condotto alla formulazione dell’attuale

art. 12, d.lgs.
n. 286 – che l’introduzione della figura autonoma del

favoreggiamento in Italia dell’ingresso illegale di
migranti in altro

Stato estero
pare evidentemente dovuta alla volonta’ di colmare un

vuoto
che impediva di
attrarre nella sfera della rilevanza penale

condotte censurabili in quanto attivita’ assolutamente tipiche di chi

gestisce
il traffico di
migranti clandestini. In altri termini,

l’assenza di
previsione di fattispecie punitiva del favoreggiamento

dei
flussi clandestini «verso
l’estero» impediva che
venissero

sanzionate
le condotte di «intermediazione
di movimenti illeciti, o

comunque
clandestini, di lavoratori migranti, che non si risolvono

nel
favorire materialmente il
loro ingresso o la loro
permanenza

nello
Stato» (Cass. Sez. VI, 22
novembre 2000, ric., p.m. in
proc.

Durante); e,
soprattutto, lasciava in una sorta di zona grigia le

attivita’ (non autonomamente costituenti
reato, quali invece, ad es.,

l’approvvigionamento di
documenti falsificati, o
altre attivita’

penalmente
rilevanti in via autonoma) poste in essere sul territorio

nazionale
comunque favorenti i flussi di
migrazione clandestina «in

transito»
verso l’estero: attivita’ aspecifiche, non tipizzate ne’

tipizzabili,
ritenute meritevoli di
sanzione perche’
comunque a)

potenzialmente
pericolose per l’ordine
pubblico e b)
parimenti

espressione
di sfruttamento del
corposo fenomeno della migrazione

clandestina.

Vi e’
traccia espressa nel presente procedimento di quanto si va

qui
affermando, in relazione pero’ ad imputazione
di cui all’attuale

terzo comma dell’art. 12, nel
provvedimento con il quale il tribunale

della
liberta’
in sede di
riesame ha confermato l’ordinanza
del

G.i.p. applicativa della
misura cautelare per i coindagati Neascu
e

Gherghisan (ove si rileva
in via preliminare
che la nuova

formulazione
dell’art. 12 ha tolto
ogni spazio alle
questioni,

sollevate
dalla giurisprudenza in relazione alla vecchia norma, in

allora
risolte «inequivocabilmente nel
senso che non integravano il

reato
in questione le condotte successive all’ingresso in Italia dei

clandestini
e dirette al
trasporto degli stessi "da frontiera a

frontiera" e alla loro uscita dal territorio dello
Stato», ord. T.L.

cit.). Ma proprio la verifica della ratio della nuova
formulazione

rende
evidente che quest’ultima e’
chiaro frutto della volonta’

legislativa di colpire in tutte le sue forme la
gestione del traffico

di clandestini «allargando» la
normativa penale in modo tale da farvi

rientrare anche quelle situazioni fattuali che
andavano in precedenza

esenti da sanzione solo perche’
non vi era prova di un aggancio della

condotta
posta in essere dal soggetto che favoriva il migrante
nel

transito
e/o nuova fuoruscita
con la condotta
di chi ne aveva

favorito l’ingresso clandestino in Italia.

Situazioni fattuali,
si noti, che non sono assimilabili a quella

del Mita Ion, del
quale risulta solo l’attivazione per contattare chi

era
in grado di far clandestinamente
espatriare persone che gia’ si

trovavano
e permanevano sul territorio italiano e che non risulta vi

fossero giunti grazie ad una qualche
attivazione del Mita medesimo.

Va pero’ rilevato che
la fattispecie di cui
al terzo comma

dell’art. 12 novellato
e’ frutto di una tecnica
normativa che

privilegia
la descrizione di un «fenomeno», ottenendo un risultato

descrittivo
non lontano da
quello di una
fattispecie di reato

associativo
speciale. Il risultato e’ stato quello di evidenziare

connotazioni
antigiuridiche chiare perche’ riferentesi ad un mercato

clandestino
di immigrazione e/o
emigrazione ed a modalita’

organizzative che conferiscono autonomia alla fattispecie,
sia sotto

il
primo che sotto il secondo profilo
(immigrazione/emigrazione) e

cosi’ giustificandosi sia la
criminalizzazione «a tutto campo» che la

scelta sanzionatoria elevata.

Tutto cio’ manca, invece, nella norma incriminatrice di cui al

primo
comma poiche’ questa
– parimenti individuante una figura di

reato
a soglia di tutela anticipata e a condotta libera – ha
quale

unico
elemento tipizzante quello
dell’illiceita’ speciale,
che

diventa
quindi l’elemento centrale
per identificare

l’antigiuridicita’
di una condotta che altrimenti si risolverebbe in

mera
agevolazione all’esercizio di un
diritto della persona, quello

di emigrare dal territorio italiano
verso altri Stati.

E’ evidente, al
riguardo, che il
presupposto di illiceita’

speciale
della «violazione delle
disposizioni del presente testo

unico»
puo’
riferirsi al favoreggiamento dell’immigrazione ma non

anche
a quello dell’emigrazione, che non
trova (ne’ si vede come

potrebbe
trovare) in esso
alcuna regolamentazione, posto che si

tratta
di un corpo
di norme «concernenti la
disciplina

dell’immigrazione e
norme sulla condizione
dello straniero» in

Italia.

Unico presupposto di illiceita’
speciale con funzione
di

tipizzazione
risulta allora essere
quello della «illegalita»

dell’ingresso procurato
(o meglio favorito) dall’Italia nello Stato

estero
di destinazione del migrante clandestino: dizione che non a

caso,
nei reati di
favoreggiamento, si trova
associata solo

all’ipotesi di
«ingresso in altro Stato del quale la persona non e’

cittadina».

Ma sotto tale
profilo e’ altrettanto evidente che il contenuto

dell’«illegalita» andrebbe
individuato facendo riferimento
alla

normativa del paese estero di destinazione, e cio’, oltretutto, dando

per
scontato – circostanza che scontata non e’ affatto – che
nella

fattispecie alla quale la norma debba applicarsi
si possa individuare

con
certezza un paese
estero di destinazione
del migrante

clandestino; compito non certo facilitato dalla
struttura della norma

incriminatrice,
che punisce anche
soltanto gli «atti
diretti»,

indipendentemente dall’ottenimento di un qualsiasi
risultato.

Se, pero’, l’«illegalita» va intesa
(e non puo’ non essere

intesa,
poiche’
in caso contrario il
favoreggiamento dell’ingresso

illegale
in Stato straniero
non si verificherebbe mai, e la norma

incriminatrice
sarebbe di conseguenza del tutto
priva di contenuto)

nel
senso della contrarieta’ ad un complesso di norme regolatrici

emesse
da un paese straniero, ne
consegue che ci si trova di fronte

ad
una fattispecie penale
in bianco il cui precetto e’
descritto

attraverso
il rinvio ad una
legge straniera: e cio’ in violazione

della
riserva di legge
sancita dall’art. 25 della Costituzione.

Risulta
palese il problema
del mancato rispetto del
principio di

tassativita’ e determinatezza delle norme penali incriminatrici.

La Corte di cassazione (sez. I, udienza 8
maggio 2002, depositata

il
3 giugno 2002, ric. Galgano)
aveva gia’ motivato nel senso della

aderenza
dell’art. 12 al principio
suddetto e quindi del rispetto

dell’art. 25 della
Carta costituzionale. Cio’ pero’
avveniva: 1)

ante-novella
operata con la legge n. 189/2002 e in un contesto del

tutto
diverso, nel quale la figura del favoreggiamento dell’ingresso

in
Stato estero non
esisteva ancora; 2)
in riferimento ad un

presupposto
di illiceita’
speciale, la «contrarieta’ alle norme del

testo
unico», che abbiamo
visto essere inapplicabile alla nuova

fattispecie incriminatrice di cui all’art. 12,
comma 1, ultima parte.

La verifica del
requisito di illiceita’ della «contrarieta’ al

testo
unico», argomentava infatti
la suprema Corte nel motivare

perche’
dovesse ritenersi manifestamente infondata
la questione,

poteva
al massimo comportare
«una maggiore difficolta’ di

individuazione
e ricostruzione della
fattispecie concreta ma non

anche
un difetto di tipicita’ della
fattispecie astratta, in se’

compiutamente definita e comprendente, al suo
interno, ogni possibile

combinazione
della prevista attivita’ diretta a favorire l’ingresso

di stranieri in Italia con la
violazione di ciascuna delle specifiche

disposizioni,
attinenti alla materia,
del decreto legislativo in

esame». Per contro, in altra
pronuncia la suprema Corte ha affrontato

incidentalmente
la medesima questione concludendo per l’aderenza del

vecchio
art. 12 al principio
di determinatezza e tassativita’

(problema che la Corte si poneva data «la genericita’ della locuzione

"violazione delle
disposizioni del presente
testo unico"…» e

rilevato
il concreto rischio che «…
potrebbero essere incriminati

comportamenti concretamente non lesivi attraverso
un "modello estremo

di anticipazione di tutela"…»),
salvo che per quei «casi marginali»

che
«trovano il loro limite nella necessita’
della sussistenza del

dolo»
(Cass. Sez. III,
18 giugno 2002, dep. 9 agosto 2002, ric.

Tolkachov).

Le modifiche legislative hanno poi conferito piena autonomia alla

fattispecie
di cui al
terzo comma dell’art. 12, strutturandolo in

termini
tali da rispecchiare (e sanzionare) il nucleo
centrale del

disvalore
sotteso alle condotte
di mercificazione dei
flussi

migratori,
e cio’ in
corrispondenza con entrambi
gli obiettivi

perseguiti
dal testo unico a mezzo della
tutela penalistica: quello

marcatamente
afferente alla tutela dell’ordine
pubblico (e connessa

esigenza
di controllo onde evitare la clandestinita’
dei flussi in

ingresso) e quello relativo alla tutela dei
diritti inviolabili della

persona
di chi diventa
oggetto di mercificazione solo perche’

migrante
(e connesso obiettivo di perseguire comunque il traffico di

clandestini,
in entrata, in uscita o in
transito, di rilievo penale

in quanto mercato, organizzato e a
scopo di lucro).

Pare innegabile che,
in questo quadro,
la figura del

favoreggiamento
(ex «semplice», quindi non in contesto organizzato e

non
a scopo di lucro) dell’ingresso
di «persone» in Stato estero si

ritrovi
in situazione eccentrica,
isolatamente preso, rispetto al

sistema
incriminatorio
delineato nel testo unico dopo la novella.

Cio’ pero’
rende ben piu’ problematica la sua compatibilita’ con il

principio
di riserva di
legge e di tassativita’ della fattispecie

penale. Gli argomenti addotti dalla Corte di
cassazione nelle citate

sentenze
(in specie nella prima, che ha affrontato direttamente
la

questione)
non paiono, infatti,
in alcun modo mutuabili oggi per

risolvere
la questione che
viene a profilarsi
a seguito

dell’introduzione della
nuova figura di reato, se non altro perche’

il
presupposto di illiceita’ speciale e’ oggi tutt’altro
e non puo’

che riferirsi alla normativa dello Stato
estero di destinazione.

Ne’ varrebbe obiettare,
a parere di
questo giudice, che un

recupero
della determinatezza della
fattispecie potrebbe avvenire

attraverso
la valorizzazione delle
modalita’
in concreto di

attuazione della condotta incriminata:
procedimento «sostitutivo» che

comunque
non pare corretto
e il cui
utilizzo in sede

giurisprudenziale
che non farebbe
che evidenziare l’ambiguita’ di

fondo della norma incriminatrice.

Non solo: e’
procedimento interpretativo che porterebbe ad una

pericolosa confusione di piani, posto che
l’emigrazione in condizioni

di
«illegalita»
(visto dall’ottica della legge italiana, e quindi

l’emigrazione dall’Italia di chi si ritrova ad essere
clandestino in

Italia) non
e’ affatto di per se’
significativa di clandestinita’

«comunque» e
in qualsiasi Paese.

Si tratta di
terreno, com’e’ evidente,
che rende ancor piu’

palese
la violazione del
principio di determinatezza, poiche’

l’agevolazione –
anche con modalita’
evidentemente «clandestine»,

quali
quella evidenziatasi nel presente procedimento – a lasciare il

territorio
italiano e’ condotta
gia’ di per se’
sufficiente a far

ricadere
la fattispecie concreta in quella
astratta incriminatrice,

poiche’, indipendentemente da che cosa
accada una volta lasciato tale

territorio, gia’ si
e’ consumato il reato con l’apposizione in essere

degli atti diretti a favorire l’ingresso
in Stato estero, dato che e’

stata
riprodotta dal legislatore
la struttura a
consumazione

anticipata
gia’
letteralmente contenuta nel
vecchio art. 12 per il

favoreggiamento
all’emigrazione; scelta di
politica legislativa

consapevolmente
e volontariamente mirata a dare piu’ efficacia allo

strumento
penale (per tutte, la gia’
citata Cass. Sez. I, 8
maggio

2002, ric.
Galgano, che espressamente
sussume
la norma nella

categoria dei c.d. delitti di attentato).

Appare allora evidente
che all’attivita’ gia’ ritenuta
dal

legislatore
di per se’ sola integrante la fattispecie criminosa –

perche’ a consumazione anticipata – puo’ allora conseguire, a seconda

di
dove il migrante
sia in definitiva
diretto ovvero riesca ad

approdare, una situazione che puo’ essere di illegalita’ per lo
Stato

estero
oppure no; e cio’, ad esempio, solo perche’ in un determinato

paese egli e’ in grado di azionare
determinati diritti e in altri no.

Si tratta, quindi,
di illegalita’ eventuale
e futura, ancora

sottoposta
a determinate condizioni sia
fattuali che giuridiche nel

momento
in cui pero’ gia’ dovrebbe ritenersi perfezionata a carico

del
favoreggiatore la consumazione
(anticipata) del reato di cui

all’art. 12, comma 1, d.lgs.
n. 286/1998.

Vi e’ poi
un ulteriore profilo
per cui non puo’ ritenersi

conforme
alla Costituzione una norma che
risulti «comunque» violata

ogniqualvolta
le caratteristiche dell’espatrio
(o dei meri atti

diretti
a favorirlo: ed e’ evidente che
l’opzione legislativa della

soglia
avanzata di incriminazione rende
ancor piu’
pregnante il

problema
del difetto di
determinatezza) siano tali
da poter

semplicemente
affermare che tale
espatrio e’ avvenuto,
o era

programmato, «in modo clandestino».

Gia’ si
e’ detto, infatti,
della difficolta’
concettuale di

prevedere
una norma che
sanzioni chi favorisce
chi si muova

dall’Italia (e
quindi, in ipotesi, per restare
in ambito dei paesi

Schengen; ovvero per mutare rotta una volta fuori dall’Italia in modo

imprevedibile),
e quali sono
i motivi che
hanno indotto il

legislatore
a prevederla: peraltro
in una chiara
ottica di

repressione
del fenomeno della
mercificazione dei flussi
di

migrazione clandestina.

Il fatto, pero’, che
non vengano utilizzati – ove necessari –

documenti
validi per l’espatrio
e’ conseguenza inevitabile dello

status di clandestino in Italia; per cui, cosi’ ragionando, qualsiasi

atto
diretto ad agevolare
l’emigrazione di chiunque si trovi ad

essere
non in regola (o non piu’ in regola) sul territorio italiano

sarebbe
passibile di sanzione
penale: situazione evidentemente in

contrasto con il diritto all’emigrazione
garantito dall’art. 35 comma

4, della
Costituzione, che lo Stato
«riconosce» come diritto della

persona, e non «concede» in relazione a
situazioni o a precondizioni.

Si noti che la norma che qui si intende
sottoporre all’attenzione

della
Corte comporterebbe, se applicata nel suo insuperabile dettato

letterale,
l’attrazione nella sfera di
rilevanza penale anche delle

condotte
che in definitiva permettano al
soggetto «favorito», senza

essere
costretto ad autodenunciarsi alla
pubblica autorita’ come

clandestino, di rientrare nella propria patria
di origine.

E’ evidente che proprio per evitare tale situazione paradossale –

situazione
che il legislatore non puo’ certo avere voluto
in sede di

novellazione
dell’art. 12 – che
la giurisprudenza e’ stata gia’

costretta
a singolari oscillazioni
nelle prime applicazioni della

normativa
nuova. Si ricordano, sul punto, Cass. Sez. I, 23 ottobre

2003, ric.
p.m. in proc.
Kutepov,
che ha ritenuto non integrare il

reato
in questione la
condotta di chi agevola l’ingresso in Stato

straniero
«allorche’
tale ingresso si
connoti come momentaneo e

provvisorio
e non come soggiorno stabile e permanente»; nello stesso

senso,
Cass., Sez. I, 24 novembre 2003, ric. Nesterenko;
di segno

opposto
e indubbiamente maggiormente
aderente alla lettera della

norma,
in fattispecie di cui all’art.
12, primo comma, e non terzo,

del d.lgs. n.
286/1998, Cass. Sez. I, 19 dicembre 2003, ric. Botnaru,

per
la quale, testualmente, per l’integrazione di tale
fattispecie

«deve ritenersi necessaria
e sufficiente la mancanza di un
titolo

atto
a legittimare il
solo "ingresso" nel
territorio di un altro

Stato, nulla rilevando
che tale ingresso
sia asseritamente

finalizzato
non ad una permanenza piu’ o meno stabile… ma solo al

suo
attraversamento per raggiungere
il paese d’origine», poiche’,

altrimenti,
l’integrazione della fattispecie
penale per il soggetto

favoreggiatore
verrebbe a dipendere
dalle asserzioni del soggetto

favorito
senza, afferma testualmente la Corte, che «vi sia modo di

controllare
la serieta’ di
tale intenzione ne’ la sua effettiva

realizzazione» (sottolineature di questo giudice).

Ma questa
e’ un’ulteriore ragione che induce, a parere di questo

giudice,
a ritenere piu’ che necessario un intervento della Corte

costituzionale.

Le pronunce da
ultimo citate, infatti, non fanno che rendere

palese
una difficolta’ di
applicazione della norma
che

nell’incertezza rischia
di indurre a
pericolosi divari

interpretativi,
in realta’ legati non alla valutazione dell’ambito

nel
quale si muove
la condotta del
soggetto agente, bensi’

dell’ambito della vicenda concreta del soggetto favorito:
situazione

che
gia’
sul piano della tassativita’ e determinatezza della

fattispecie risulta con ogni evidenza
inaccettabile.

Pare, infine,
che debba essere affrontato anche il profilo della

possibile
non conformita’ della norma di cui all’art. 12, comma 1,

seconda
parte, rispetto al principio costituzionalmente garantito di

cui
all’art. 35, comma 4,
Cost. E’ vero che il 35, comma 4, Cost.

contiene
una riserva di
legge, ma proprio il fatto che la Corte

costituzionale
la abbia in passato invocata, in materia di diritto

dell’immigrazione e di disciplina della condizione dello
straniero –

essenzialmente,
va detto, in
sede di rigetto delle questioni di

legittimita’
costituzionale sollevate in relazione alla disciplina

dell’espulsione dello
straniero dal territorio italiano
– parrebbe

evidenziare
che la stessa Corte ha inteso sottolineare con chiarezza

che
proprio e soltanto
in presenza di
condizioni eccezionali,

espressamente
richiamantesi
a concetti quali
la pericolosita’
e

l’ordine pubblico, puo’
ritenersi legittima la compressione (di fatto

tale,
nel momento in cui viene sanzionata penalmente l’attivita’
del

soggetto
agevolatore) del diritto
all’emigrazione; condizioni che

possono
ritenersi integrate per
quanto attiene alla
nuova

formulazione
del terzo comma
art. 12 d.lgs. cit. proprio per la

duplice
ratio ad essa sottesa, di tutela dell’ordine pubblico
e di

strumento
di politica legislativa
per stroncare il fenomeno della

mercificazione
dei flussi migratori
e quindi dell’agevolazione

«professionale» e
a scopo di lucro, ma non invece nella fattispecie

che
qui si vuole
sottoporre all’attenzione della
Corte, di cui

all’art. 12, d.lgs.
n. 286/1998, primo comma.

P. Q. M.

Visto l’art. 23 legge 11 marzo 1953.

Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di

legittimita’
costituzionale sollevata dalla
difesa di Mita Ion in

ordine
all’art. 12, primo comma, d.lgs. 25 luglio
1998, n. 286, come

modificato dalla legge n. 189/2002, nei limiti
sopra indicati e cioe’

in
relazione alla fattispecie
di favoreggiamento dell’«ingresso

illegale
in altro Stato del quale la
persona non e’ cittadina o non

ha
titolo di residenza permanente»,
per violazione degli artt. 25 e

35, comma 4, della Costituzione.

Sospende il giudizio
a carico di
Mita Ion in relazione alla

imputazione elevata a suo carico sub C) nel
procedimento penale sopra

emarginato
e dispone l’immediata
trasmissione degli atti alla Corte

costituzionale.

Ordina la notificazione, a cura della cancelleria, della presente

ordinanza
al Presidente del
Consiglio e ai Presidenti delle due

Camere del Parlamento.

Torino, addi’
17 marzo 2004

Il giudice: Bersano Begey