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Tuesday 15 March 2022

Il “precedente vincolante” quando è davvero vincolante? Le regole per individuare l’esistenza di un “leading case”

Le singole sezioni semplici della Corte di Cassazione, in virtù del disposto dell’art. 618, comma 1-bis, c.p.p., hanno il dovere di rimettere alle Sezioni Unite la questione loro demandata ogni qualvolta non condividano un principio di diritto precedentemente enunciato dalle Sezioni Unite. La norma non introduce però alcun vincolo interpretativo per le singole Sezioni semplici, le quali, prima di essere chiamate a manifestare la propria opinione dissenziente, rimettendo nuovamente la decisione della questione, con ordinanza, alle Sezioni Unite, conservano alternativamente, il potere – dovere di valutare che la questione non rientri nell’ambito di operatività di un principio di diritto vincolante affermato dalle Sezioni Unite o di  decidere il ricorso sulla base della cosiddetta “ragione più liquida”.

Cass. pen., sez. II, ud. 24 novembre 2021 (dep. 10 marzo 2022), n. 8327

La massima ricavabile dalla pronuncia in commento costituisce pregevole approdo del ragionamento giuridico che la sezione seconda della Corte di Cassazione affronta e svolge in tema di introduzione, esplicita e normata, nell’ordinamento giuridico italiano del principio del precedente vincolante.

Si tratta, come è noto, di principio esplicitato nel disposto dell’art. 618, comma 1-bis del codice di rito in esito alla cosiddetta “riforma Orlando”.

L’art. 618, comma 1-bis, c.p.p. costituisce, in qualche misura, il punto di arrivo, dell’elaborazione resa dal Legislatore, e dalla giurisprudenza, nazionale e sovranazionale, in tema di funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, per ciò che concerne il sistema interno, e delle Corte Superiori con riferimento ai sistemi giurisdizionali esteri.

In punto è opportuno ricordare come già il Legislatore del 1988, nella relazione al progetto preliminare del codice, desse atto dell’importanza della funzione nomofilattica, affermando come «venga meno l’effettiva uguaglianza davanti alla legge se bella sede giudiziaria situazioni uguali ricevono trattamenti diversi. Il contrasto tra le decisioni della Corte elude inoltre la richiesta di certezza, che in materia penale è ancor più pressante e si ricollega al principio di stretta legalità, con il suo corollario di tassatività, che non consente di ritenere di volta in volta penalmente lecito o illecito lo stesso fatto o di ravvisare in esso reati diversi di ineguale gravità».

Medesimo principio è stato ribadito dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, con sentenza n. 364/1988, e che, sulla scorta dell’interpretazione dei principi di uguaglianza e di giusto processo ha ribadito e riconosciuto come divergenze profonde e persistenti nella giurisprudenza di una corte suprema circa l’interpretazione di una norma possano potenzialmente violare il diritto all’equo processo.

Ancora, sotto un profilo strettamente collegato al dolo, evidenziando che «un gravemente caotico atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari» possa rendere inevitabile l’errore sull’esistenza del divieto e quindi escludere la colpevolezza incidendo sulla concreta possibilità di conoscenza della legge penale da parte di ogni consociato.

Ne risulta come vi sia all’interno del sistema e da tempo, una richiesta di “univoca interpretazione” delle norme tale dal non rendere stupefacente l’introduzione nel sistema dell’art. 618, comma 1-bis, c.p.p. che, tuttavia, deve essere necessariamente bilanciata dalla inevitabile impossibilità di rendere interpretazioni costanti, rectius immutabili, della norma, poiché, come correttamente osservato dai Giudici, «l’evoluzione della giurisprudenza non osta di per sé alla corretta amministrazione della giustizia, in quanto l’abbandono di un approccio dinamico ed evolutivo rischierebbe di ostacolare qualsiasi riforma o miglioramento e, d’altro canto, la differenza di trattamento tra due controversie non può essere intesa di per sé come violativa del principio del giusto processo, se giustificata da una differenza nelle situazioni di fatto in questione».

Con il che, ed a ben vedere, si da atto della necessaria possibilità di ricorso al “power to overruling” (peraltro normato dallo stesso art. 618, comma 1-bis, c.p.p.) e della indispensabile applicazione al sistema giurisdizionale del disposto dell’art. 3 Cost., che, come noto, declina il principio di uguaglianza affermando come a casi diversi vadano applicate soluzioni differenti.

La giurisprudenza delle Corti sovranazionali ha enucleato alcuni principi, da applicarsi in tema di giusto processo sulla scorta dell’art. 6, paragrafo 1, CEDU, dando atto di come il principio di nomofiliachia possa dirsi violato allorché si siano determinate differenze profonde e persistenti nella giurisprudenza della corte suprema (con riferimento al supremo organo giurisdizionale di ogni singolo stato sottoscrittore) o non siano presenti strumenti e meccanismi, nella legislazione nazionale, finalizzati ad eliminare dette incoerenze oppure, nel caso detti meccanismi siano presenti, se essi siano stati correttamente attivati.

Dalla giurisprudenza della Corte EDU, che pure ha sottolineato come gli eventuali contrasti insorti nella giurisprudenza dei tribunali non siano di per sé contrari alla convenzione (si noti la sostanziale identità con quanto affermato dalla giurisprudenza interna), nasce l’esigenza di dar corpo normativo al “meccanismo” finalizzato ad eliminare le possibili incoerenze del sistema di risposta giudiziale alla commissione di illeciti penali.

Illustrata, seppur brevemente, la genesi del principio che ha trovato concreta e positiva affermazione nella norma  introdotta dalla “riforma Orlando”, è opportuno, e utile, incentrare l’attenzione su quelli che sono i concreti risvolti applicativi della stessa in relazione alla possibilità di formulare ricorso avanti la Corte in presenza di pronunce rese sul tema di interesse da parte delle Sezioni Unite, al fine di non incorrere nelle sanzioni di manifesta infondatezza con le conseguenze che da detta dichiarazione discendono e dipendono.

In tema di concreta applicazione del principio del precedente vincolante, o come lo identifica la Corte dell’efficacia rafforzata del precedente espresso dalle Sezioni Unite, occorre chiarire come esso sia da considerare vigente solo ed esclusivamente in relazione ai principi di diritto enunciati con riguardo alla questione controversa devoluta all’esame delle Sezioni Unite.

Senza dimenticare però come il vincolo sussista per le Sezioni semplici anche in tutti i casi in cui le Sezioni Unite modulino «la questione loro sottoposta, delimitandone l’oggetto, i contorni, conformando il potere decisorio in ragione della problematica interpretativa autonomamente ritenuta sussistente», con ovvia estensione del principio dell’efficacia rafforzata all’affermazione da parte delle Sezioni Unite di «principio di diritto che necessariamente presuppone l’affermazione di aspetti preliminari, ovvero implica enunciazioni conseguenziali, eventualmente necessarie per delimitare meglio la portata del principio».

Altro presupposto, o meglio, altro corollario che dalla norma discende o se si vuole concorre al completamento della stessa individuandone i limiti, è quello della cosiddetta “ragione più liquida”.

Si tratta di principio enucleato dalla giurisprudenza di legittimità civile, ormai in virtù di principio osmotico permeato anche nella giurisprudenza di legittimità penale, ai sensi del quale le sezioni semplici possono decidere con precedenza una questione, pur logicamente subordinata rispetto ad altra oggetto di contrasto giurisprudenziale, la cui soluzione invece appaia pacifica.

Al di fuori dei casi individuati non residuano per le Sezioni semplici possibilità di non demandare ex art. 618, comma 1-bis, c.p.p. alle Sezioni Unite la decisione sul prospettato proprio dissenso consapevole rispetto al principio di diritto affermato.

Un ultimo aspetto di certo interesse è quello che riguarda il limite temporale di applicazione di una norma avente natura procedurale che, a sensi dell’interpretazione da sempre seguita, dovrebbe sottostare al principio, ben noto, del tempus regit actum.

Nel caso di specie invece il limite temporale di applicabilità del principio contenute nell’art. 618, comma 1-bis, c.p.p. è stato individuato dalle stesse Sezioni Unite (n. 36072/2018 – Botticelli) scollegandolo dall’entrata in vigore della norma stessa, posto che «il tenore generale della norma e la ratio ispiratrice» consentono, a parere dei Giudici, di ritenere applicabile la disposizione anche con riferimento alle decisioni assunte precedentemente all’entrata in vigore della stessa.

Avv. Claudio Bossi