Civile

Saturday 14 May 2005

Il Parere del Garante sul disegno di legge a tutela del risparmio.

Il Parere del
Garante sul disegno di legge a tutela del risparmio.

Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato – Parere AS296 – DISPOSIZIONI PER LA TUTELA DEL
RISPARMIO E LA DISCIPLINA DEI MERCATI FINANZIARI

Roma, 22 aprile 2005

Senato della Repubblica

Presidente della 6° Commissione –
Finanze e Tesoro

Sen. Riccardo Pedrizzi

Presidente della 10° Commissione
– Industria, Commercio e Turismo

Sen. Francesco Pontone

Con lettera pervenuta in data 23 marzo
2005, i Presidenti delle Commissioni riunite 6° e 10° del Senato hanno chiesto
all’Autorità di segnalare eventuali osservazioni sul disegno di legge recante
interventi per la tutela del risparmio (di seguito, anche DDL).

Nel dar corso
alla richiesta sopra menzionata, l’Autorità ritiene di formulare le seguenti
osservazioni, che prenderanno le mosse dal Titolo IV dell’articolato, in quanto
quest’ultimo contiene alcune disposizioni che attengono direttamente allo
svolgimento delle funzioni istituzionali della scrivente Autorità.
Saranno svolte anche alcune considerazioni sui profili regolamentari relativi
alla trasparenza dei mercati finanziari. In particolare, ci si soffermerà su
alcuni punti del DDL che introducono riforme idonee a riverberarsi indirettamente
sugli assetti competitivi del settore finanziario. Nel complesso, come si
vedrà, tali riforme hanno un effetto positivo sulla
contendibilità dei mercati, consentendo un migliore esplicarsi delle dinamiche
competitive.

A) OSSERVAZIONI SULLE DISPOSIZIONI
RELATIVE ALL’AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL
MERCATO DI CUI AL TITOLO IV DEL DDL

Per quanto riguarda le competenze
istituzionali dell’Autorità, quest’ultima ha già avuto modo di esprimere il
proprio orientamento con nota trasmessa alle Commissioni riunite VI e X della
Camera, in data 22 aprile 2004. In tale occasione, è stato
osservato come l’attribuzione all’Autorità di una competenza piena in campo
antitrust, attraverso un’estensione della stessa all’attività bancaria tipica,
configurasse un importante risultato. Si tratta, infatti, dell’assetto
verso il quale è andata convergendo la maggior parte
dei paesi industrializzati, man mano che venivano sempre più riconosciuti la
natura imprenditoriale dell’attività bancaria e il ruolo della concorrenza,
quale strumento per il raggiungimento di equilibri di mercato più favorevoli
per il consumatore, anche in campo bancario.

Nel prendere atto, tuttavia,
delle modifiche che sono state apportate al testo del DDL, nel corso dell’esame
alla Camera, confermative dell’attuale ripartizione di competenze tra la Banca di Italia e l’Autorità, si osserva che l’articolo 20 comma 2
della legge n.287/90, ha sollevato incongruenze sistematiche di un certo
rilievo, anche alla luce dell’evoluzione dei mercati finanziari.

Si consideri, infatti, che, in
tali mercati, operano non solo soggetti, quali società di intermediazione
mobiliare, società di gestione del risparmio, società finanziarie, imprese di
assicurazioni, ma anche istituti bancari che hanno nel tempo sviluppato la
propria attività in servizi finanziari non ad essi riservati (quali i servizi
di investimento, il risparmio gestito, l’intermediazione finanziaria,
l’attività di collocamento di prodotti assicurativi).

In tale contesto,
l’articolo 20, comma 2, ha determinato un intreccio di interventi antitrust,
proprio in quei casi in cui non viene in rilievo unicamente l’attività
bancaria, ma anche altre attività finanziarie (c.d. fattispecie miste), offerte
anche da soggetti di natura non bancaria e che ricadono nella competenza
generale dell’Autorità.

In applicazione del riparto
delineato dalla legge n. 287/90, l’Autorità è pertanto intervenuta con propri
provvedimenti, ai sensi del Titolo I della legge n. 287/90, anche nei confronti
delle banche, nei mercati relativi a prodotti e
servizi non ad esse riservati.

La legittimità di un siffatto
intervento è stata riconosciuta anche dal Consiglio di Stato11 [Cfr. Sentenza
del Consiglio di Stato del 16 ottobre 2002, Sezione VI, n. 5640.] che, ha ritenuto "più conforme
alla ratio della normativa di cui alla l. n. 287/90,
l’adozione di un’interpretazione restrittiva della competenza della Banca
d’Italia, quale eccezione rispetto alla generale competenza demandata
all’Autorità Garante".

Tali considerazioni sono basate
sul modello della "vigilanza funzionale", che ispira la normativa
antitrust, secondo cui la competenza spetta all’Autorità, anche ove siano
coinvolti istituti di credito, quando l’operazione di concentrazione o l’intesa
abbia effetti su mercati non bancari, in ciò distinguendosi dal modello della
competenza "per soggetti", che viceversa attribuisce la competenza
esclusiva all’autorità di vigilanza nell’applicazione delle norme antitrust ove
i soggetti abbiano la natura di aziende od istituti di
credito ed indipendentemente dalla presenza di altri operatori economici di
diversa natura.

Il Consiglio di Stato ha
affermato, quindi, che l’articolo 20 attribuisce alla Banca d’Italia una
competenza speciale, circoscritta e limitata all’applicazione del diritto antitrust
solo con riferimento ai mercati riservati alle imprese aventi natura
creditizia.

Nella citata sentenza, quindi, la
competenza è stata così ripartita:

1) qualora in un mercato operino
sia aziende ed istituti di credito sia altri soggetti, la valutazione degli
effetti concorrenziali dell’operazione sul mercato interessato, non riservato
agli enti creditizi, compete al Garante della concorrenza e del mercato;

2) quando in una fattispecie
siano coinvolte solo aziende od istituti creditizi, la Banca d’Italia è
competente ad applicare la disciplina antitrust, sempre che si tratti di attività che sono riservate per legge alle banche;

3) se un’operazione produce
effetti su più mercati bancari e non bancari
sussisterà, unitamente alla competenza della Banca d’Italia, la competenza
dell’Autorità per gli effetti sui mercati non bancari.

In questo contesto,
va evidenziato che l’esperienza oramai più che decennale di applicazione della
legge n. 287/90 ha sempre visto l’Autorità e la Banca di Italia cooperare,
tanto che fra le due Istituzioni è stato siglato, sin dal 1996, un accordo
volto ad agevolare l’esercizio delle reciproche funzioni, anche nella
prospettiva di ridurre gli oneri in capo alle imprese22 [L’Accordo tra
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato e la Banca di Italia in
merito alle procedure applicative dell’art. 20 della legge n. 287/90 è
pubblicato sul Bollettino dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato
del 25 marzo 1996, n. 10.].

Ciò nondimeno, occorre rilevare,
che nell’attuale configurazione dei mercati finanziari risulta
sempre più delicato definire univocamente i rispettivi ambiti di intervento,
con la conseguenza che, da un lato, l’attuale riparto di competenze fra
l’Autorità garante e la Banca di Italia nei mercati finanziari non è sempre
compiutamente chiaro alle imprese e, dall’altro, sussiste, sia pure, sino ad
oggi, solo potenzialmente, il rischio di possibili sovrapposizioni di delibere
contrastanti sulla medesima materia da parte delle due istituzioni.

In proposito, la citata sentenza
del Consiglio di Stato, nel considerare il riparto di competenze operato
dall’articolo 20 della legge n. 287/90, ha rilevato che "la scelta
effettuata non è stata tuttavia formulata in modo chiaro ed inequivoco, ha dato
luogo a rilievi sul piano tecnico ed è tuttora foriera di incertezze
applicative, per la frantumazione delle competenze che è spesso causa di
conflitti nei ’casi di confine’ ".

Il DDL introduce, inoltre, significative novità in tema di collaborazione fra le
autorità che operano nel settore finanziario.

In particolare, il DDL prevede la
costituzione di un apposito comitato di coordinamento
tra le autorità menzionate, che dovrebbe definire modelli organizzativi
appropriati per lo scambio e la condivisione di dati, informazioni
e documenti, e può curare la predisposizione di strumenti e archivi, anche informatici,
gestiti anche congiuntamente (art 19 comma 2). Tale disposizione appare
strettamente collegata con quanto successivamente
previsto in materia di segreto di ufficio che non può essere reciprocamente
opposto.

Al riguardo, merita rilevare che
le autorità disciplinate dal DDL in questione esercitano, ad eccezione della
scrivente Autorità, competenze regolamentari e di vigilanza, peraltro in aree
spesso contigue. E lo stesso DDL, del resto, accresce tale contiguità,
attribuendo, in alcuni casi, lo svolgimento di attività
in forme che vedono la partecipazione contestuale di almeno due autorità (ad
es. Consob con Isvap o Consob e Banca di Italia). Rispetto a questo contesto, la scrivente Autorità garante si pone in una
posizione diversa, poiché, come sopra detto, non svolge attività regolamentare
né di vigilanza in senso stretto e, quindi, le esigenze di coordinamento sono
senz’altro meno pregnanti di quanto non siano per le altre autorità.

Ciò premesso,
pur nella consapevolezza che la questione su cui di seguito ci si sofferma è
stata trattata nel corso dell’iter legislativo finora seguito33 [Cfr. la relazione delle Commissioni permanenti VI e X presentata
alla Camera dei Deputati in data 18 febbraio 2005, pg. 45.], si richiama
l’attenzione delle Commissioni sul fatto che le disposizioni del DDL incidono
sulla legge n. 287/90, nella parte in cui impone il segreto di
ufficio degli atti acquisiti nel corso delle istruttorie anche nei
confronti delle altre pubbliche amministrazioni (articolo 14 comma 3 della
legge n. 287/90 e cfr. anche l’articolo 12 del d.p.r.
n. 217/98). Giova rilevare che tale disposizione trova il suo fondamento nella
circostanza che l’Autorità viene in possesso di informazioni
di natura commerciale, industriale e finanziaria relative a persone ed imprese
coinvolte nei procedimenti, spesso consistenti in segreti aziendali delle
medesime o in informazioni riservate di altra
natura. Pertanto, la disposizione si è risolta in
un’importante forma di garanzia per le imprese, che vi hanno potuto fare
affidamento nel dialogo con l’Autorità. Qualora questa
"garanzia" fosse compromessa, ciò non potrebbe che incidere
negativamente sul rapporto con le imprese che è un
momento vitale per l’efficacia dell’intervento antitrust.

Inoltre, merita rilevare che
l’Autorità è parte della rete tra le autorità garanti della concorrenza dei diversi
Stati membri comunitari costituita dal regolamento CE n.
1/2003, entrato in vigore nelle more dell’iter legislativo nell’ambito
del quale si esprimono le presenti osservazioni. Nell’ambito di questa rete, è
previsto un ampio scambio di informazioni
soggetto a rigorosi limiti di scopo 44 [Cfr. l’art. 12
del Regolamento Ce n. 1/2003: "Ai fini dell’applicazione degli articoli 81
e 82 del trattato, la Commissione e le autorità aganti della concorrenza degli
stati membri hanno la facoltà di scambiare e utilizzare come mezzo di prova
qualsiasi elemento di fatto o di diritto, comprese informazioni
riservate. Le informazioni scambiate possono
essere utilizzate come mezzo di prova soltanto ai fini dell’applicazione degli
articoli 81 e 82 del trattato e riguardo all’oggetto di indagine
per il quale sono state raccolte dall’autorità che le trasmette".] nonché l’obbligo del segreto di ufficio55 [Cfr. art. 28 del regolamento Ce n. 1/2003 "… la Commissione
e le autorità degli Stati membri garanti della concorrenza nonché i loro
funzionari, agenti e altre persone che lavorano sotto il controllo di dette
autorità così come i funzionari e gli agenti di altre autorità degli Stati
membri sono tenuti a non divulgare le informazioni
acquisite o scambiate in applicazione del presente regolamento e che, per loro
natura, sono protette dal segreto d’ufficio…..".]. La normativa
comunitaria sulla rete delle autorità garanti della concorrenza, che prevede
queste limitazioni, costituisce un vincolo normativo da cui l’Autorità non può
prescindere.

Si ritiene, pertanto, sulla base
delle considerazioni sopra rappresentate, che non sia
opportuno che le disposizioni che ipotizzano le suddette forme di
collaborazione siano applicabili, così come attualmente previsto dal DDL, anche
a questa Autorità.

Per altro verso, il Titolo IV
contiene altre disposizioni di natura puntuale che
richiamano modalità di funzionamento dell’Autorità e sul quale si osserva
quanto segue.

L’articolo 21 prevede forme di
collaborazione con il Corpo della Guardia di Finanza.
Al riguardo merita rilevare che l’articolo 54 della legge n. 52/1996
(comunitaria per il 2004) già realizza questa forma di collaborazione, di cui
l’Autorità si è ampiamente avvalsa. In particolare, in attuazione della
disposizione da ultima richiamata, è stato siglato uno specifico protocollo
d’intesa tra l’Autorità e la Guardia di Finanza ed è stato istituito uno
specifico nucleo operativo per la tutela della concorrenza. Il DDL, dunque, si
sovrappone su un assetto già compiuto sul quale non si rilevano ragioni per
intervenire.

Per profili più
squisitamente processuali, altre disposizioni del DDL si sovrappongono
alla normativa già esistente e in una linea, peraltro, coerente con quella
delineata dallo stesso DDL. Ciò vale per l’articolo 23 comma 5, relativo alla
competenza del TAR Lazio ed alla riduzione dei termini processuali della metà,
e all’articolo 23 comma 6, relativo all’effetto della proposizione dell’appello
al Consiglio di Stato sulle sentenze, le ordinanze e i provvedimenti impugnati;
queste disposizioni appaiono una sostanziale duplicazione dell’articolo 33
della legge n. 287/90, degli articolo 23 bis e 33
della legge n. 1034/71, così come modificata dalla legge n. 205/2000 di riforma
del processo amministrativo. Con particolare riferimento alla proposizione del
ricorso innanzi al TAR Lazio di cui all’articolo 23 comma 5 del DDL, si rileva,
inoltre, che il DDL non contiene una esplicita
previsione sulla natura esclusiva della giurisdizione del giudice
amministrativo, specificatamente prevista dall’articolo 33 della legge n.
287/90; pertanto, l’attuale formulazione del DDL può ingenerare dubbi sul piano
interpretativo.

Alla luce di queste precisazioni,
pur concordando con il merito delle scelte del legislatore, si ritiene
opportuno suggerire che l’articolo 23 comma 5 sia
modificato nel senso di non includere l’Autorità nel proprio ambito di
applicazione per i profili appena segnalati. A questi fini sarebbe sufficiente
sostituire l’attuale riferimento alle "Autorità di cui al comma 4"
con le "Autorità di cui al comma 1".

Per altro
verso, l’articolo 23 comma 4 del DDL che esclude l’applicazione dell’istituto
dell’oblazione previsto dall’articolo 16 della legge 689/81 alle sanzioni
pecuniarie dell’Autorità, in senso conforme a quanto già affermato in
giurisprudenza66 [Cfr. Consiglio di Stato del 30 agosto 2002 n. 4362.],
appare un utile elemento di chiarificazione normativa.

B) OSSERVAZIONI SULLA DISPOSIZIONI DEL DDL IN MATERIA DI TRASPARENZA; IN
PARTICOLARE, GLI ARTT. 8, 9, 10 E 11 DEL TITOLO II DEL DDL

In termini generali, appiano
condivisibili le finalità che il DDL persegue
nell’intervenire sulla normativa relativa alla governance societaria, alla
trasparenza delle società e degli strumenti finanziari, ai rapporti tra il
sistema creditizio e il sistema imprenditoriale nel caso delle concessioni di
credito in favore di azionisti e obbligazionisti bancari, ai sistemi di
controllo interni ed esterni e per rendere più efficace l’intervento delle
autorità. Anzi, alcuni di tali elementi, segnatamente il livello di trasparenza
delle condotte imprenditoriali, costituiscono vere e proprie precondizioni per
l’efficace operare dei meccanismi di mercato. In tal senso, interventi
migliorativi, sotto tali profili, sono idonei ad
accrescere il grado di concorrenzialità dei mercati finanziari.

Più precisamente in termini
antitrust, la trasparenza assolve un ruolo essenziale per le dinamiche
competitive dei mercati poiché riduce le asimmetrie informative
tra il lato dell’offerta e quello della domanda. Per altro verso, le carenze in materia di trasparenza si risolvono in un aumento
del potere di mercato di cui le imprese possono avvantaggiarsi attestandosi su
una qualità del servizio offerto inferiore a quella altrimenti richiesta. La
scarsa trasparenza infatti si traduce
nell’impossibilità da parte del consumatore di scegliere consapevolmente tra le
offerte sul mercato nonché di monitorare nel corso del rapporto la effettiva
qualità del servizio offerto. Nel caso dei servizi finanziari, questi profili
acquistano una rilevanza accentuata rispetto ad altri settori in ragione della
complessità dei servizi offerti e, della natura, entro certi limiti, fiduciaria
che li caratterizza.

In particolare, la trasparenza
dei mercati finanziari per dispiegare positivamente i suoi effetti, deve
poggiare su un’informazione completa ma nel
contempo chiara. Tale informativa deve avere
ad oggetto, in particolare, le fondamentali variabili concorrenziali che
guidano l’investitore nella scelta dei servizi finanziari, ovvero il rischio,
il rendimento e il costo del prodotto e/o servizio. Inoltre, come sarà
ricordato anche nel seguito, tanto più queste caratteristiche sono agevolmente
confrontabili tra servizi offerti da soggetti anche di natura diversa (ad
esempio tra banche, imprese di assicurazioni e società
di gestione del risparmio), nei limiti in cui tra questi servizi vi sia un
certo grado di sostituibilità per i consumatori, tanto maggiore risulta la
pressione competitiva che le imprese offerenti subiranno.

Per altro profilo, la trasparenza
deve essere effettiva sia nel momento in cui il consumatore effettua
la scelta di investimento sia in corso di svolgimento del rapporto. Solo se la trasparenza è effettiva anche in quest’ultimo caso, il
consumatore può dimostrare la sua eventuale insoddisfazione nei confronti
dell’intermediario e innescare nuovi processi di ricerca. In
quest’ambito rileva, dunque, l’informativa
resa pubblica dagli intermediari all’investitori sui
prodotti e servizi offerti, il contratto e la documentazione ivi allegata, l’informativa
comunicata in corso di contratto.

L’Autorità ritiene che il DDL
possa costituire la sede per un’ulteriore rafforzamento
della normativa vigente per i profili sopra evidenziati, soprattutto nella
prospettiva di un approccio normativo, almeno parzialmente, uniforme per
servizi e prodotti offerti da soggetti di natura diversa. In particolare,
indicando i profili generali che l’informativa
data alla clientela e sopra menzionata deve rispettare in termini di chiarezza,
completezza e tempestività. Tali principi dovranno, quindi, essere attuati in
sede regolamentare, la sede per certi versi che meglio si presta alla tematica, con modalità omogenee a prescindere dalla
tipologia di impresa offerente e nei limiti consentiti dalle specificità dei
servizi. D’altronde, il DDL opera delle modifiche relative al
riparto di competenza tra le autorità in materia di trasparenza contrattuale
dei servizi offerti da banche, intermediari finanziari, delle assicurazioni e
dei fondi pensione ed in questa sede potrebbe indicare i principi ai quali
l’esercizio di tali competenze deve attenersi.

In particolare, il DDL potrebbe
introdurre una specifica disposizione al t.u.f. volta
a stabilire in termini generali il principio secondo il quale:

– l’informativa
resa disponibile al pubblico, il contratto e l’informativa
rilasciata alla clientela in corso di contratto devono essere chiari,
tempestivi e completi. In essi, devono risultare in
evidenza le condizioni economiche, i profili di rischio e le prospettive di
rendimento;

– nei limiti delle specificità di
ciascun servizio, la documentazione sopra richiamata deve essere redatta con
criteri omogenei con riferimento ai servizi di investimento,
ai servizi accessori, servizi di gestione collettiva di risparmio, servizi di
intermediazione finanziaria, fondi pensione, servizi bancari e servizi
assicurativi. Tali criteri devono essere raccordati altresì con il contenuto
dei prospetti informativi di cui agli articolo
94 e ss. del t.u.f.;

– in corso di contratto,
l’investitore deve essere messo nelle condizioni di verificare agevolmente
l’andamento dell’investimento effettuato, anche attraverso un’informativa
adeguata;

– l’informativa
rilasciata in corso di contratto dovrebbe essere anche funzionale a consentire
il tempestivo esercizio della facoltà di recesso rispetto all’oggetto dell’informativa.

Al di là dell’osservazione
appena formulata in materia di trasparenza, l’Autorità ritiene opportuno
soffermare l’attenzione sugli articolo 8, 9, 10 e 11.

L’articolo 8 rafforza le
limitazioni in materia di conflitto di interessi
nell’erogazione del credito, già presenti all’articolo 53 del t.u.b. includendo
nel novero delle situazioni di conflitto quelle in cui i soggetti debitori
della banca siano i soci sottoscrittori di patti di sindacato, come considerati
dall’articolo 122 del t.u.f..

Così facendo,
l’articolo 8 può contribuire a ridurre i vantaggi ingiustificati per taluni
operatori derivanti dall’ottenimento del credito a condizioni di favore in
virtù della posizione ricoperta in seno alla banca, vantaggi che appiano idonei
a nuocere ai concorrenti privi di tale leva concorrenziale. In tal modo,
il DDL contribuisce a migliorare l’efficienza nell’allocazione del credito, che
verrebbe meglio incanalato verso i soggetti più
meritevoli, ovvero quelli che offrono maggiori garanzie e/o le migliori
prospettive di reddito.

Il complesso delle situazioni di
conflitto di intessi, così come risulta a seguito
delle modifiche apportate dal DDL all’articolo 53 del t.u.b, è sottoposto ad un
regime sanzionatorio. Il DDL, all’articolo 37,
prevede, peraltro, un inasprimento delle sanzioni in materia. Il compito di
vigilare sul rispetto dei vincoli di cui all’articolo 8, anche ai fini
dell’irrogazione delle sanzioni spetta a Banca di Italia.

A quest’ultima è pertanto
attribuito il delicato compito di garantire che i soci sottoscrittori di patti
parasociali relativi al capitale azionario delle banche accedano
al credito in condizioni di parità rispetto ai loro concorrenti.

Con specifico riferimento, poi,
agli artt. 9 e 11, preme porre in rilievo, preliminarmente, che i predetti
articoli, pur caratterizzati da un ambito di applicazione
diversa, delineano un approccio normativo uniforme per prodotti finanziari fino
ad oggi oggetto di una disciplina frammentata, quali i prodotti finanziari
emessi dagli organismi di investimento collettivo (OICR), i prodotti
assicurativi, le gestioni individuali patrimoniali e i prodotti finanziari
emessi da banche. Le differenze normative oggi riscontrabili, in una certa
misura, si riflettono negativamente sulle dinamiche
concorrenziali dei mercati finanziari. Infatti, i prodotti sopra menzionati,
che in parte potrebbero essere considerati dai risparmiatori come possibili alternative di investimento, risultano, anche in ragione
delle differenze regolamentari che li caratterizzano, appartenere a mercati
diversi, seppur contigui. Il rapporto di contiguità determina, tuttavia, che le
imprese offerenti tali diverse tipologie di prodotti eserciterebbero le une
sulle altre una maggiore pressione concorrenziale reciproca, a beneficio dei
consumatori, se si affievolisse la segmentazione regolamentare oggi esistente.
Il DDL, rimuovendo parte di tali differenze regolamentari, può favorire un
incremento della pressione competitiva reciproca, consentendo al consumatore di
meglio confrontare prodotti simili e quindi operare con maggiore facilità la
scelta del prodotto che più si adatta alle sue esigenze.

L’articolo 9 tratta dei conflitti
di interesse nelle gestione dei patrimoni degli
investitori e, segnatamente, nella gestione di patrimoni individuali, nella
gestione collettiva del risparmio (OICR) nonché dei prodotti assicurativi e di
previdenza complementare. In quest’ambito, il DDL si sofferma sui conflitti
derivanti da rapporti di gruppo e da accordi di collocamento (lett. a),
rapporti di finanziamento (lett. b), dall’utilizzo di intermediari
appartenenti allo stesso gruppo al quale appartiene il gestore ai fini della
negoziazione in strumenti finanziari effettuata nell’ambito delle gestioni dei
patrimoni sopra menzionate (lett. c, lett. d, e lett. e). Questa elencazione
appare già di per sé innovativa. In particolare, il legislatore, per un verso, effettua un espresso riferimento al conflitto di interesse
derivante dai rapporti di finanziamento, in presenza dei quali si può
verificare un improprio trasferimento del rischio del credito, derivante
dall’esposizione debitoria degli intermediari, in capo all’investitore; per
altro verso, il legislatore esplicitamente prevede una forma di conflitti di
interessi riferita allo svolgimento delle negoziazioni in strumenti finanziari
effettuate nel corso delle gestione di patrimoni sopra indicate.

Come si è rilevato, l’articolo 9 delinea quale misura di intervento la previsione di
limitazioni quantitative all’investimento, rimandando alla successiva
disciplina di attuazione per la definizione specifica di tali limiti. Nel fare
ciò, l’articolo 9 segue, delineando in modo
sistematico per una vasta gamma di forme di gestione, l’approccio che già
caratterizza la regolamentazione di alcuni servizi finanziari. Infatti, la
disciplina vigente già prevede limiti di analoga
natura, ad esempio nella gestione individuale di patrimoni e nelle polizze
assicurative con riferimento ai conflitti di interesse derivante da rapporti di
gruppo77 [Cfr. art. 45 del Regolamento Consob n.
11522/98 e la circolare Isvap del 1 marzo 2005, n. 551 che modifica la
precedente circolare Isvap del 21 febbraio 2004, n. 474 sulle polizze
unit-linked.].

Tra i principi enunciati
dall’articolo 9 vi è il limite di utilizzazione di
intermediari in seno al gruppo per lo svolgimento delle attività di
negoziazione in strumenti finanziari necessarie per l’espletamento dei servizi
ivi menzionati (cfr. articolo 9 comma 1 lett. c), d)
ed e). La negoziazione è un momento molto importante nella
prestazione dei servizi di gestione del risparmio e, ad oggi, il suo corretto
svolgimento è tendenzialmente assicurato dalla c.d. best execution
rule88 [Cfr. art. 43 e 54 del Regolamento Consob n.
11522/98, rispettivamente relativi al servizio di gestione individuale di
portafogli e alla gestione collettiva del risparmio. Inoltre, si veda anche la
già citata circolare Isvap del 1 marzo 2005, n. 551.], vale a dire l’obbligo
dei gestori a che le operazioni relative alla gestione
dei patrimoni siano effettuate alle migliori condizioni possibili. In
quest’ambito, il DDL, con un approccio innovativo, fissa direttamente un limite quantitativo massimo alla negoziazione attraverso
intermediari del gruppo. In particolare, il gestore non può avvalersi di intermediari interni al gruppo per oltre il 60% del
controvalore complessivo degli acquisti e delle vendite degli strumenti
finanziari; il limite fissato dal gestore, nel rispetto di tale soglia, deve
essere in ogni caso comunicato agli investitori. Inoltre, superata la soglia
del 30%, il gestore deve comunque motivare la scelta
di internalizzare il servizio di negoziazione, o in base alle condizioni
economiche nonché all’efficienza e la qualità dei servizi offerti.

Sui principi di cui alle lett.
c), d) ed e), si osserva che, da un punto di vista antitrust, non vi è una
pregiudiziale negativa nei confronti dell’integrazione verticale nei limiti in
cui questa si risolve in guadagni di efficienza per
l’impresa di cui anche i consumatori beneficiano in termini di minori prezzi.
Il DDL va oltre questa prospettiva, poiché, implicitamente, opera una
presunzione contraria che il superamento del limite del 60%
sia negativa per il funzionamento dei mercati.

Al riguardo, si osserva che, la
fissazione di un tetto rigido e uniforme per tutti i gestori può
produrre due effetti rilevanti:

-un rischio di innalzamento
dei costi di intermediazione (visto che vi sarà una rilevante quota
intermediata senza le economie della integrazione);

-un rischio,
ancora più rilevante in un’ottica antitrust, di coordinamento tra gestori, che
avranno la certezza di una quota certa di prodotti dei concorrenti.
Detto altrimenti, vi sarà una quota certa di prodotti dei concorrenti che i
gestori scambieranno per intermediari.

Si potrebbe, quindi, sostenere
che il ricorso a intermediari non integrati al gruppo
è da vedersi come una soluzione positiva per la trasparenza, ma che potrebbe
essere preferibile non fissare rigidamente un tetto massimo o minimo alla quota
da far intermediari a terzi, lasciando alla Consob la valutazione – a seconda
del rischio di over-intermediation e del tipo di prodotto – dell’ammontare di
controvalore da soggetti non interni al gruppo.

Passando all’articolo 10,
quest’ultimo si occupa, nell’ambito della prestazione dei servizi di investimento, delle barriere organizzative, cosiddette
chinese walls, tra l’esercizio da parte degli intermediari finanziari di
attività potenzialmente in conflitto. In sostanza, la norma si propone di
impedire che nello svolgimento dei servizi di investimento
gli intermediari subiscano l’interferenza degli interessi derivanti dalle altre
funzioni finanziarie del gruppo. Anche in questo caso, la normativa vigente non
è estranea a questo tipo di interventi. Infatti, già a
livello primario, il d.lgs. 58/98 prevede che gli
intermediari debbano organizzarsi in modo tale da ridurre al minimo il rischio
di conflitti di interessi99 [Cfr. art. 21 comma 1
lett. c) del d.lgs. 58/98.]. Peraltro, ciò appare altresì coerente con gli
orientamenti comunitari in materia110 [Cfr. l’art. 18
della direttiva la direttiva n. 2004/39/Ce del Parlamento europeo e del
Consiglio del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti
finanziari.]0.

In particolare, la disposizione
in esame menziona esplicitamente la separazione organizzativa delle strutture
deputate all’esercizio dell’attività bancaria, rispetto a quelle deputate allo
svolgimento dei servizi di investimento e, in
quest’ambito, risiede un’innovazione legislativa rilevante. Vi è infatti l’esplicito riconoscimento di situazioni di
conflitto di interesse derivante tipicamente dal modello di banca universale.

Da un punto di vista antitrust,
occorre rilevare la difficoltà di porre dei limiti efficaci al comportamento delle imprese attraverso la creazione di separate strutture
organizzative. In ogni caso, appare desiderabile che le barriere organizzative
siano delineate raggiungendo un punto di equilibrio
tra l’obbiettivo della risoluzione dei conflitti di interessi e quello
dell’ottenimento dei guadagni di efficienza che tipicamente derivano dalle
sinergie connesse alla prestazione congiunta di più servizi di investimento
nonché al modello di banca universale.

La materia del conflitto di interessi, con riferimento ai prodotti e servizi di cui
agli artt. 9 e 10, è tendenzialmente affrontata anche in termini di
trasparenza, come peraltro previsto, con riferimento ai servizi di investimento, nell’ambito dell’articolo 21 del d.lgs.
58/98, laddove è detto che gli intermediari, in situazioni di conflitto di
interessi, agiscano comunque in modo di assicurare ai clienti
"trasparenza" sulle medesime.

Al riguardo, si osserva che
l’Autorità ha avuto modo di approfondire la questione nel corso di un
procedimento relativo alla standardizzazione di
contratti di servizi finanziari111 [Cfr. il
provvedimento dell’Autorità del 28 ottobre 2004, relativo istruttoria sui
contratti standard predisposti dall’ABI (caso I592) che ha avuto ad oggetto
anche le clausole contrattuali del servizio di gestione portafogli relative al
conflitto di interesse.]1, rilevando l’inidoneità dell’informativa
data all’investitore in materia di conflitto di interessi a creare le
condizioni di una trasparenza effettiva, vale a dire quantomeno sufficiente a
porre il cliente nelle condizioni di valutare la qualità del servizio reso
sotto questo profilo. L’Autorità ritiene, pertanto, opportuno, un intervento
del legislatore che a livello normativo persegua il
fine di declinare con maggiore efficacia di quanto non sia dato oggi rilevare,
gli obblighi informativi in capo agli
intermediari, fatti salvi gli ulteriori interventi regolamentari.

Con riferimento alle gestione di patrimoni di cui all’articolo 9 e dei
servizi di investimento di cui all’articolo 10, si auspica pertanto un
intervento normativo che preveda il rilascio di un’informativa
all’investitore che lo ponga nelle condizioni di conoscere compiutamente le
situazioni di conflitto di interessi in cui versa l’intermediario. Nel
formulare questo auspicio, la scrivente Autorità è
consapevole che le gestione dei patrimoni e i servizi di investimento possano
presentare, singolarmente considerati, specificità di cui tenere conto in sede
di attuazione. Ciò non di meno appare utile ricordare che un elemento positivo del DDL risparmio è proprio l’avere delineato una
convergenza nella disciplina di prodotti e/o servizi diversi accomunati dal
costituire forme di investimento in prodotti finanziari e si auspica pertanto
che questo approccio trovi riscontro, nei limiti del possibile, anche in sede
di attuazione. Come si è già ricordato una maggiore unitarietà della disciplina
può accrescere le dinamiche competitive tra gli
intermediari e rafforzare la capacità da parte degli investitori di scegliere
fra prodotti provenienti da soggetti di natura diversa.

In altri termini, in merito alle
attività di cui agli artt. 9 e 10 del DDL, si potrebbe introdurre in
quest’ultima disposizione una modifica all’articolo 6 del t.u.f.
in materia di vigilanza regolamentare, aggiungendo un riferimento agli obblighi
informativi agli investitori in materia di
conflitto di interessi. In particolare, si potrebbe stabilire che a livello
regolamentare sia prevista un’idonea disciplina volta ad assicurare che:

-l’investitore sia adeguatamente informato
sulle situazioni di conflitto di interessi in cui
versa l’intermediario, anche tendo conto delle altre società del gruppo cui
appartiene;

-l’informativa
sia adeguata ad eventuali modifiche e consenta all’investitore di valutare
eventuali riflessi della situazione in conflitto sull’entità dei costi
sostenuti e/o sulla qualità dei servizi offerti;

-l’informativa
sia il presupposto per una consapevole accettazione da parte dell’investitore
della prestazione di servizi in conflitto di interessi;

-qualora il contratto preveda una
delega ad effettuare operazioni in conflitto di
interessi, l’informativa deve essere rinnovata
nel tempo.

Per altro verso, il tema dell’informativa
si intreccia con il consenso del cliente e quindi il
contenuto del contratto. Un’adeguata informativa
che non è accompagnata dalla possibilità di cambiare operatore o di rifiutare
in tutto o in parte la prestazione di servizi in conflitto di
interessi, evidentemente, fallisce il suo scopo.

Con riferimento alle attività di
cui agli artt. 9 e 10, pertanto, sarebbe auspicabile inserire nel DDL una
modifica al t.u.f. in base alla quale, nei limiti
delle specificità di ciascun servizio, il cliente deve essere messo nelle
condizioni di revocare efficacemente eventuali autorizzazioni rilasciate
all’intermediario ad agire in conflitto di interessi con riferimento a tutte o
ad alcune situazioni.

Una menzione specifica merita
anche l’articolo 11 del DDL relativo alla circolazione
in Italia di strumenti finanziari collocati presso gli investitori
professionali e agli obblighi informativi che
gravano sui soggetti operanti nel settore.

In quest’ambito, l’articolo 11
abroga l’articolo 100, comma 1, lett. f, del d.lgs.
58/98 che esonera alcuni prodotti finanziari emessi e offerti dalle banche e
dalle compagnie di assicurazione dall’obbligo di predisporre il prospetto informativo,
obbligo che, invece, vale in via generale in tutti i casi di sollecitazione
all’investimento in prodotti finanziari. La deroga di cui all’articolo 100,
comma 1, lett. f), del d.lgs. 58/98 ha acquistato
particolare rilevanza con riferimento alle obbligazioni bancarie strutturate e
le polizze vita del ramo III (c.d. index-linked e unit-linked), che sono a
tutti gli effetti prodotti a spiccato rischio finanziario del tutto
paragonabile con i rischi tipici degli strumenti finanziari più diffusi. Più in
generale, il DDL abroga altresì le altre disposizioni del d.lgs.
58/98 che richiamando l’articolo 100 comma 1 lett. f ne estendono l’ambito di
applicazione.

Così facendo, il DDL estende
anche alle banche e alle imprese di assicurazioni
obblighi che precedentemente vigevano soltanto per gli altri intermediari (ad
esempio le società di gestione del risparmio) e più in generale per gli altri
emittenti di strumenti finanziari (ad esempio un’impresa di natura
industriale). Questa scelta del legislatore accresce la trasparenza complessiva
dei mercati. A questo proposito, è importante rilevare che il prospetto informativo
costituisce il documento cardine per consentire l’informazione
al mercato e, in ultima analisi, al consumatore sulle caratteristiche
dell’emittente e dello strumento finanziario. In particolare, dal prospetto si
evince il rischio emittente, il rischio connesso alla natura dello strumento
finanziario, le prospettive di rendimento e i costi dell’investimento, vale a
dire, in sostanza, tutte le variabili che incidono
sulla scelta di investimento.

La mancata pubblicazione del
prospetto informativo costituisce una lacuna significativa, fino ad oggi consentita. Il DDL, nel
sottoporre sotto questo profilo i diversi strumenti finanziari ad una analoga disciplina, modifica in senso migliorativo la
normativa vigente.

Il DDL appare, dunque, introdurre
un significativo miglioramento nella disciplina
vigente. Tuttavia, richiamando un’osservazione altrove già formulata, preme
altresì evidenziare che, proprio nel momento in cui si estende l’obbligo del
prospetto informativo di cui sopra, è
importante, al contempo, garantire la confrontabilità dell’informazioni ivi
contenute.

Infatti,
come già detto, è necessario che l’investitore sia posto nelle condizioni di
apprezzare e confrontare le variabili concorrenziali dei prodotti finanziari –
ovvero il rischio, il rendimento e il costo del prodotto e/o servizio – anche
se essi sono provenienti da soggetti aventi diversa natura giuridica. In tal
modo, i servizi che assolvono a funzioni analoghe
risulteranno nelle loro caratteristiche effettivamente comparabili agli occhi
dei risparmiatori, i quali potranno così scegliere con consapevolezza, ponendo
in competizione anche prodotti finanziari realizzati da soggetti di natura
diversa.

Conclusivamente, l’Autorità
auspica, con riferimento al Titolo IV, che siano
apportate modifiche idonee a risolvere le incongruenze poste precedentemente in
luce. Per altro verso, con riferimento al Titolo II, l’Autorità, nel valutare
positivamente il testo sottoposto alla sua attenzione, ritiene opportuno che
nel prosieguo dell’iter legislativo si rafforzino le disposizioni volte a
garantire maggiore trasparenza nell’offerta dei servizi finanziari.

IL PRESIDENTE

Antonio Catricalà