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Friday 16 May 2003

Il mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie non necessita di concessione edilizia. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V – Sentenza 14 maggio 2003 n. 2586

Il mutamento di destinazione d’uso senza opere edilizie non necessita di concessione edilizia. CONSIGLIO DI STATO, SEZ. V Sentenza 14 maggio 2003 n. 2586 – Pres. Quaranta, Est. Carboni – Pimpinelli ed altro (Avv.ti Aiudi e Bracci) c. Comune di Cartoceto (n.c.) – (annulla T.A.R. Marche, sent. 24 giugno 2002, n. 671).

FATTO

Il comune di Cartoceto, con il provvedimento indicato in epigrafe, premesso che il signor Pimpinelli aveva consentito che in un immobile di sua proprietà, che era un capannone per ricovero di attrezzi agricoli, sistallasse lattività artigianale di falegnameria esercitata dalla società Amatori Punto Casa di Amatori Sandrino & Figli, ha ingiunto il ripristino delluso originario, pena lacquisizione dellimmobile al patrimonio comunale; precisando che lopera abusiva realizzata consisteva nella suddetta istallazione della falegnameria.

Il signor Pimpinelli con ricorso al tribunale amministrativo regionale per le Marche notificato il 9 novembre 2000 ha il impugnato il provvedimento esponendo che limmobile era stato costruito in base a un nulla-osta comunale del 12 gennaio 1956, era munito di permesso di abitabilità rilasciato l8 aprile 1957 ed era a lui pervenuto per eredità nel 1989; lattività originariamente svoltavi era la raccolta e il confezionamento di prodotti ortofrutticoli da parte dellimprenditore ditta Formentini Giuseppe cui limmobile era stato locato, e successivamente limmobile era stato adibito a lavorazione del ferro e poi ancóra a falegnameria. Tutte le predette destinazioni erano note al comune, al quale era stato denunciato volta volta linizio dellattività. Il ricorrente aggiungeva che nella domanda diretta ad ottenere dal comune il permesso di costruzione aveva specificato che il progetto era per la “costruzione di un capannone agricolo di tipo industriale per la raccolta e confezione di prodotti ortofrutticoli”. Ciò premesso, il ricorrente ha dedotto lillegittimità dellatto impugnato e ne ha chiesto lannullamento per i motivi seguenti.

1) I fatti erano erroneamente rappresentati, perché limmobile costruito su un terreno di soli 700 mq, a ridosso dellabitato e con accesso diretto dalla pubblica via, non era al servizio di nessun fondo agricolo e non era mai stato destinato a ricovero di attrezzi agricoli;

2) Per limmobile era stata rilasciata licenza di abitabilità, che allepoca era prevista solo per le abitazioni e per gli opifici, non anche per i ricoveri per attrezzi agricoli.

3) Larticolo 8 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 elenca le opere edilizie qualificabili come variazioni essenziali (rispetto ai progetti autorizzati dal comune con concessione edilizia) e, per quanto riguarda le variazioni duso, ne prevede la rilevanza solo quando esse comportino variazioni negli standard urbanistici; cosa che, nella specie, non si era verificata.

4) Il provvedimento non specificava su quale norma si fondasse, posto che, allepoca della costruzione, il comune non aveva nessuno strumento urbanistico e nellimmobile poteva essere esercitata qualsiasi attività.

Il tribunale amministrativo regionale con la sentenza indicata in epigrafe ha respinto il ricorso, essenzialmente sul rilievo che la legge regionale delle Marche 8 marzo 1990 n. 13 elenca tassativamente la tipologia delle costruzioni ammesse nelle zone agricole, e prevede che tali costruzioni debbano avere, in ogni caso, una destinazione finalizzata allesercizio delle attività dirette alla coltivazione dei fondi, alla silvicoltura e allallevamento e alle attività produttive connesse; e pertanto non consente di adibire limmobile, che nella licenza edilizia del 1956 era stato qualificato come capannone rurale, ad attività di falegnameria.

Appellano le eredi del signor Pimpinelli, le quali censurano la sentenza allegando lestraneità della citata legge regionale rispetto al provvedimento e alloggetto del giudizio e ripropongono le censure dedotte in primo grado (motivi dappello primo e secondo); con un terzo motivo esse deducono il difetto dinteresse del comune al provvedimento, perché esso, non notificato alla comproprietaria signora Polverari, è ineseguibile.

DIRITTO

Il terzo motivo di ricorso costituisce motivo nuovo in appello, come tale inammissibile; peraltro non è chiara la finalità della censura, perché, se il provvedimento fosse inutile e ineseguibile, come le appellanti sostengono, se ne dovrebbe dedurre che esse non hanno interesse a coltivare limpugnazione del provvedimento.

Per il resto i motivi del ricorso di primo grado, riproposti in appello e che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Lattività che di fatto venga svolta in un immobile non ha nulla a vedere con la normativa edilizia, per la quale rileva soltanto la destinazione duso impressa allimmobile dalle sue caratteristiche architettoniche in sede di costruzione o con successive opere di modificazione; né la normativa edilizia esige che un immobile rimanga per sempre destinato alloriginaria destinazione, intesa come attività che vi si svolge, o alla destinazione specifica che venga indicata in sede di concessione edilizia. Altra cosa dalla normativa edilizia, dalle sue violazioni e dalla relativa repressione, è che le norme di polizia urbana o di polizia rurale consentano o meno lo svolgimento di determinate attività in determinate zone del territorio comunale.

Perciò la giurisprudenza ha sempre affermato che le modificazioni di destinazione duso di un immobile, che richiedono autorizzazione edilizia senza la quale sono sanzionabili come opere abusive, sono quelle realizzate appunto mediante opere edilizie (vedansi per esempio, fra le tante decisioni della Sezione, 2 febbraio 1995 n. 180 e 24 ottobre 1996 n. 1268). Tale principio risulta positivamente dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47, contenente norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, la quale dopo avere disciplinato allarticolo 7 il procedimento sanzionatorio per le “Opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali”, allarticolo 8, “Determinazione delle variazioni essenziali” (ora abrogato dallarticolo 136 del decreto legislativo 6 giugno 2001 n. 378 e sostituito dalle disposizioni dellarticolo 32 del testo unico delle disposizioni in materia edilizia emanato con decreto del presidente della repubblica 6 giugno 2001 n. 380), stabilisce che possono essere considerate “variazioni essenziali” (di un immobile rispetto al progetto approvato dal comune) esclusivamente glinterventi comportanti: «a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito in relazione alla classificazione dell’articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali». Nulla di tutto ciò si è verificato nel caso in esame, né è pertinente il richiamo operato dalla sentenza a una legge regionale marchigiana la quale, in quanto attenga alle caratteristiche dei fabbricati, nulla muta nei principi sopra enunciati.

In conclusione lappello devessere accolto, e il provvedimento devessere annullato. Le spese séguono la soccombenza e si liquidano in ¬ 1.500 per il giudizio di primo grado e 2.500 per il grado dappello.

Per questi motivi

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Quinta Sezione, accoglie lappello indicato in epigrafe e per leffetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento 8 settembre 2000 n. 403 del comune di Cartoceto. Condanna il comune predetto al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in euro quattromila, a favore solidale delle appellanti.

Così deciso in Roma il 28 marzo 2003 dal collegio costituito dai signori:

Alfonso Quaranta presidente

Raffaele Carboni componente, estensore

Goffredo Zaccardi componente

Aldo Fera componente

Francesco DOttavi componente

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

F.to Raffaele Carboni F.to Alfonso Quaranta

Depositata in segreteria in data 14 maggio 2003.