Lavoro e Previdenza

Tuesday 13 May 2008

Il mobbing nel pubblico impiego.

Il mobbing nel pubblico impiego.

CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI –
sentenza 6 maggio 2008 n. 2015 – Pres. Barbagallo, Est. Chieppa – Taccone (Avv.
Sforza) c. Ministero della pubblica istruzione (Avv. Stato Massarelli) –
(conferma T.A.R. Lazio – Roma, Sez. III bis, sent. n.
14604 del 2006).

1. Giustizia amministrativa –
Risarcimento dei danni – Per lesione di interessi legittimi – Sentenza che
accerta l’illegittimità dell’atto amministrativo – Insufficienza – Prova
dell’evento dannoso, della qualificazione del danno come danno ingiusto, del
nesso di causalità con l’illegittimità e dell’elemento soggettivo (colpa della
P.A.) – Necessità – Sussiste.

2. Pubblico impiego – Mobbing –
Nozione ed elementi costitutivi della fattispecie – Individuazione.

3. Pubblico impiego – Mobbing –
Comportamenti che possono essere spiegati in modo diverso – Non rientrano nella
nozione – Fattispecie.

4. Pubblico impiego – Mansioni e
funzioni – Demansionamento – Riconoscimento del danno biologico ed esistenziale
– Dimostrazione – Necessità.

5. Pubblico impiego – Mansioni e
funzioni – Demansionamento – Riconoscimento del danno biologico – Produzione in
giudizio di alcuni certificati medici – Insufficienza – Dimostrazione della
dipendenza delle patologie accertate dalla condotta dell’Amministrazione
datrice di lavoro – Necessità – Sussiste.

1. L’illegittimità dell’atto
amministrativo, accertata con sentenza del giudice, è un requisito necessario
ma non sufficiente per l’accoglimento dell’azione risarcitoria, occorrendo
altresì che l’interessato dimostri: a) la sussistenza di un evento dannoso; b)
la qualificazione del danno come danno ingiusto, in relazione alla sua
incidenza su un interesse rilevante per l’ordinamento; c) il nesso di causalità
con l’illegittimità o comunque con la condotta (positiva o omissiva) della p.a.; d) l’elemento soggettivo (colpa della P.A.).

2. Costituisce mobbing (termine
questo che deriva dal verbo to mob, che significa assalire, prendere d’assalto,
malmenare e viene spesso utilizzato in luogo del
termine harassment per indicare le molestie morali sul luogo di lavoro)
l’insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche
della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente con
comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente
dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di
specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato; sicché, la
sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve
essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi
dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della
condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione
nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e
discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e
pretestuosa (1).

3. Determinati comportamenti non
possono essere qualificati come harassment o mobbing se è dimostrato che vi è
una ragionevole ed alternativa spiegazione (nella specie è stato ritenuto che i
provvedimenti adottati dall’amministrazione nei confronti di un insegnante,
seppur risultati poi illegittimi, non costituivano mobbing, essendo stati
adottati a seguito di una serie di proteste di genitori ed alunni nei confronti
del ricorrente, che avevano indotto l’amministrazione ad intervenire).

4. Il riconoscimento del diritto
del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o
esistenziale, che asseritamente deriva dal demansionamento, non può prescindere
da una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del
pregiudizio medesimo; mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato
all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente
accertabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio (di
natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile)
provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli
assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto
all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato
in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento (2).

5. Non può essere accolta una
domanda di risarcimento del danno biologico, nel caso in cui il dipendente
pubblico si sia limitato a produrre alcuni certificati
medici, idonei a provare al massimo l’esistenza di alcune patologie, ma non la
dipendenza delle stesse dalla condotta dell’Amministrazione datrice di lavoro.

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(1) Cass. civ. sez. lav., n. 4774/2006.

(2)
Cass. civ., sez. lav., n. 6572/2006, in LexItalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2006-03-14.htm;
n. 2621/2008; n. 2729/2008.

In applicazione del principi, nella specie, non essendo stata fornita alcuna
prova con riferimento ad entrambe le tipologie di danno, la domanda risarcitoria
è stata respinta., senza che possa assumere rilievo il richiamo ad altro
precedente del Tar (Tar Lazio, n. 6254/2004), non ancora passato in giudicato e
comunque collegato ad un caso diverso negli aspetti di fatto.

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Documenti correlati:

CORTE DI CASSAZIONE – SEZIONI UNITE, sentenza 4-5-2004, n. 8438, pag.
http://www.lexitalia.it/p/corte/casssu_2004-05-04.htm (sul giudice competente a decidere una
domanda di risarcimento del danno avanzata da un dipendente pubblico per
mobbing e sul regime transitorio previsto per le controversie in materie di
pubblico impiego ex art. 45, comma 17, del D.L.vo n. 80/1998).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI,
sentenza 15-4-2008, n. 1739, pag. http://www.lexitalia.it/p/81/cds6_2008-04-15-2.htm (sulla giurisdizione amministrativa, sulle
domande di risarcimento dei danni derivanti da mobbing avanzate dai pubblici
dipendenti che trovino fondamento in violazione degli obblighi contrattuali e
sui presupposti per il risarcimento del danno in tale ipotesi; condanna l’Università
di Perugia a risarcire i danni – liquidati in 40.000 euro – ad un professore
universitario rimasto per oltre due anni senza assegnazione ad un
dipartimento).

CONSIGLIO DI STATO SEZ. V,
ordinanza 6-12-2000, n. 6311, pag. http://www.lexitalia.it/cds1/cds5_2000-6311o.htm (giurisdizione dell’AGO per le richieste
risarcitorie avanzate da pubblici dipendenti per danno biologico da mobbing).

TAR TRENTINO ALTO ADIGE – TRENTO,
sentenza 28-11-2005, n. 374, pag. http://www.lexitalia.it/p/52/tartrentino_2005-11-28.htm (sulla legittimità o meno del trasferimento
di un carabiniere disposto perchè intrattiene una relazione sentimentale con la
convivente di un pregiudicato mentre quest’ultimo si trova in vinculis e sui casi
in cui può configurarsi il mobbing).

TAR TRENTINO ALTO ADIGE – TRENTO,
sentenza 12-9-2005, n. 242, pag. http://www.lexitalia.it/p/52/tartrentino_2005-09-12.htm (sul giudice competente a decidere le azioni
risarcitorie proposte da pubblici dipendenti per mobbing e sulla fine del
regime transitorio previsto per le controversie in materia di p.i.).

TAR VENETO SEZ. I, sentenza 14-5-2007, n. 1459, pag.
http://www.lexitalia.it/p/71/tarveneto1_2007-05-14-2.htm (sul giudice competente a decidere le azioni
di risarcimento dei danni per mobbing subito dai dipendenti pubblici e sui
criteri di accertamento del danno).

TAR VENETO SEZ. I, sentenza 16-3-2007, n. 795, pag.
http://www.lexitalia.it/p/71/tarveneto1_2007-03-16-2.htm (sulla nozione di mobbing e sulla
giurisdizione competente a decidere le controversie originate non già da
provvedimenti ma da meri comportamenti).

TAR VENETO SEZ. I, sentenza 8-1-2004, n. 2, pag.
http://www.lexitalia.it/p/tar/tarveneto_2004-01-08.htm (sulla sussistenza della giurisdizione
esclusiva del Giudice amministrativo per una controversia avente ad oggetto la
domanda di risarcimento del danno per "mobbing", avanzata da un
dipendente nei confronti della P.A. datrice di lavoro).

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. LAVORO,
sentenza 29-8-2007, n. 18262, pag. http://www.lexitalia.it/p/72/casslav_2007-08-29.htm (sulla sussistenza della responsabilità per
danni derivanti da mobbing anche nel caso in cui il datore di lavoro non sia
l’autore dei comportamenti scorretti, ma tuttavia non si sia attivato per farli
cessare).

TAR ABRUZZO – PESCARA, SEZ. I, sentenza 23-3-2007, n. 339, pag.
http://www.lexitalia.it/p/71/tarabruzzope1_2007-03-23.htm (sulla giurisdizione del G.A. sulle domande
di risarcimento dei danni per mobbing nei confronti dei pubblici dipendenti e
sui casi in cui tale risarcimento spetta).

TAR LAZIO – ROMA SEZ. I QUATER,
sentenza 7-4-2008, n. 2877, pag. http://www.lexitalia.it/p/81/tarlazio1_2008-04-07.htm (sul mobbing nel campo del pubblico impiego e
sui casi in cui può accogliersi una domanda di risarcimento dei danni avanzata
per tale motivo).

TAR LAZIO – ROMA SEZ. I QUATER,
sentenza 17-4-2007, n. 3315, pag. http://www.lexitalia.it/p/71/tarlazio1_2007-04-17.htm (sul giudice competente a decidere la domanda
di risarcimento dei danni derivanti da "mobbing" proposta da un
pubblico dipendente e sulla necessità o meno di impugnare atti e/o dedurre
specifiche prove per ottenere il risarcimento).

TAR LAZIO – ROMA SEZ. I QUATER,
sentenza 6-6-2006, n. 4340, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/tarlazio1quater_2006-06-06.htm (sui casi in cui può configurarsi il fenomeno
del c.d. mobbing e sul diritto del dipendente alle mansioni proprie della
qualifica; fattispecie relativa ad Ispettore superiore della Polizia
penitenziaria adibito a mansioni proprie dei commessi).

AGRIFOGLIO S., Il mobbing nel
pubblico impiego, in LexItalia.it n. 10/2004, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/agrifoglio_mobbing.htm

LUCCA M., Benessere
organizzativo, formazione e mobbing nella p.a.: un trittico inscindibile, in
LexItalia.it n. 10/2005, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/lucca_mobbing.htm

ORICCHIO M., Il mobbing nel
pubblico impiego, in LexItalia.it n. 7-8/2001, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/oricchio_mobbing.htm

ORICCHIO M., Il mobbing entra
nella giurisprudenza costituzionale, in LexItalia.it n. 1/2004, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/oricchio_mobbing2.htm

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul
ricorso in appello proposto da Taccone Francesco Antonio, rappresentato e
difeso dall’ avv.to Arturo Sforza, ed elettivamente domiciliato presso lo
stesso, in Roma, via Ettore Rolli, n. 24;

contro

Ministero della pubblica
istruzione, Ufficio scolastico regionale della Calabria e Istituto
professionale di Stato per i servizi commerciali di Tropea, in persona dei
rispettivi legali rappresentanti pro tempore, costituitisi in giudizio,
rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato ed elettivamente
domiciliati presso la stessa, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per
l’annullamento

della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III bis, n.
14604/2006;

Visto il ricorso con i relativi
allegati;

Visto l’atto di costituzione in
giudizio delle amministrazioni appellate;

Viste le memorie prodotte dalle
parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 19-2-2008 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Uditi l’Avv. dello Stato
Massarelli e l’Avv. Sforza;

Ritenuto e considerato in fatto e
in diritto quanto segue:

F A T T
O E D I R I T T O

1. Con l’impugnata sentenza il
Tar del Lazio ha respinto il ricorso proposto dal signor Francesco Antonio
Taccone, già preside dell’Istituto professionale di Stato per i servizi
commerciali di Tropea, per l’accertamento del suo diritto al risarcimento, a
titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, dei danni subiti a opera delle resistenti amministrazioni scolastiche e per
la conseguente condanna di queste ultime al pagamento delle relative somme di
denaro.

Taccone Francesco Antonio ha
impugnato tale decisione, sostenendo di aver subito un danno biologico e un
danno non patrimoniale a seguito delle condotta
dell’amministrazione inquadrabile nella fattispecie del mobbing.

Le amministrazioni scolastiche si
sono costituite in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 6213/2007 questa Sezione ha disposto l’acquisizione del
fascicolo del giudizio di primo grado.

Acquisito il fascicolo,
all’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del presente
giudizio è costituito da una domanda risarcitoria proposta da Taccone Francesco
Antonio, preside scolastico, per i danni asseritamene subiti a seguito di un
comportamento ritenuto vessatorio da parte dell’amministrazione nel periodo
intercorrente dal 1993 al 2000, concretatosi in diversi provvedimenti, la cui
illegittimità è stata accertata con sentenza del Tar del Lazio n. 907/1999,
confermata dalla decisione di questa Sezione n. 6881/2000.

Con riguardo al profilo della
giurisdizione, va preliminarmente rilevato che sulla sussistenza della
giurisdizione del giudice amministrativo si è formato un giudicato interno, che
esime questo Collegio dall’esame della questione.

Infatti, in ordine all’originaria
domanda proposta dall’appellante davanti al giudice ordinario il Tribunale di
Vibo Valentia con sentenza n. 541/2004 ha dichiarato il difetto di
giurisdizione; successivamente, con l’impugnata sentenza il Tar del Lazio, con
statuizione non impugnata, ha anche confermato la sussistenza della
giurisdizione del giudice amministrativo.

3. Passando al merito del
ricorso, è opportuno richiamare le vicende, da cui trae origine la domanda
risarcitoria.

Con la
menzionata sentenza del Tar del Lazio n. 907/99, confermata da questa Sezione e
quindi passata in giudicato, sono stati annullati gli atti con i quali il
ricorrente era stato rispettivamente: dispensato dal servizio di preside e
restituito ai ruoli di provenienza (decreto ministeriale del 20 febbraio 1993);
assegnato per l’anno scolastico 1992-93 a prestare servizio di docente presso
l’Istituto Tecnico per Geometri di Vibo Valentia (decreto provveditoriale del
21 aprile 1993); destinatario, per l’anno scolastico 1992-93, del giudizio
sintetico di "insufficiente" attribuitogli dal Provveditore agli
Studi di Catanzaro.

Secondo l’appellante, dalla data
di adozione di tali illegittimi provvedimenti (1993) fino alla sentenza emanata
dal Consiglio di Stato nel 2000, egli sarebbe stato oggetto di una serie di
comportamenti vessatori (critiche, maltrattamenti,
ingiustificate ed esasperate offese alla dignità personale, lesione e
delegittimazione dell’immagine all’interno e all’esterno della sede di lavoro,
attacchi alla professionalità) tali da concretare un’ipotesi di mobbing,
generatrice dei compositi profili di danno, quantificati in euro 258.230,00, a
titolo di danno morale, e della medesima somma di euro 258.230,00, a titolo di
danno biologico e di danno alla professionalità.

Il giudice di primo grado ha
ritenuto che la prova della sussistenza del comportamento vessatorio da parte
dell’amministrazione e della sussistenza della fattispecie del mobbing non
emergesse dalla sentenza n. 907/99 del Tar del Lazio e non fosse stata fornita
dal ricorrente.

L’appellante contesta tale
statuizione e sostiene che le plurime illegittimità commesse
dall’amministrazione ed ormai accertate con sentenza passata in giudicato siano
il chiaro indice di un disegno mirato a colpire il ricorrente e a screditarlo,
con evidente pregiudizio di carattere patrimoniale e non, collegato al
deterioramento delle condizioni di salute e agli effetti del demansionamento
subito.

La pretesa risarcitoria è priva
di fondamento.

Non è qui in discussione il fatto
che il ricorrente sia stato il destinatario di una serie di provvedimenti
diretti ad incidere negativamente sulla sua sfera giuridica, rivelatisi
illegittimi e in quanto tali annullati dal giudice amministrativo.

Tuttavia, l’illegittimità
dell’atto amministrativo, che si assume essere stato causa del danno, è un
requisito necessario ma non sufficiente per la fondatezza dell’azione
risarcitoria, poiché occorre altresì che il ricorrente dimostri a) la
sussistenza di un evento dannoso; b) la qualificazione del danno come danno
ingiusto, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per
l’ordinamento; c) il nesso di causalità con l’illegittimità o comunque con la
condotta (positiva o omissiva) della p.a.; d)
l’elemento soggettivo (colpa della p.a.).

Nel caso di specie, tali elementi
non emergono dal giudicato formatosi sulle illegittimità compiute
dall’amministrazione, che contiene solo argomentazioni giuridiche per le quali
le distinte amministrazioni scolastiche hanno agito contra jus; il termine
vessatorio, contenuto nella sentenza del Tar e richiamato dall’appellante, va
riferito, come chiarito dallo stesso Tar, alla parte narrativa delle tesi del
ricorrente, e non ad una valutazione del giudice.

Il ricorrente non ha in alcun
modo dimostrato che dagli annullati provvedimenti illegittimi sia a lui derivato un danno biologico, essendosi limitato a
produrre alcuni certificati medici, idonei a provare al massimo l’esistenza di
alcune patologie, ma non la dipendenza delle stesse dalla condotta
dell’amministrazione.

Anche con riferimento alla
fattispecie del mobbing, si osserva che il ricorrente non ha fornito idonea
prova ed anzi dagli elementi agli atti si può escludere la sussistenza di detta
fattispecie.

Il termine mobbing deriva dal
verbo to mob (che significa assalire, prendere d’assalto, malmenare) e viene spesso utilizzato in luogo del termine harassment per
indicare le molestie morali sul luogo di lavoro.

La giurisprudenza ha chiarito che
costituisce mobbing l’insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e
con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del
dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente
dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di
specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato; sicché, la
sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve
essere verificata – procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi
dedotti in giudizio come lesivi – considerando l’idoneità offensiva della
condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione
nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e
discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e
pretestuosa (Cass. Civ. sez. lav., n. 4774/2006).

Tuttavia, determinati
comportamenti non possono essere qualificati come harassment o mobbing se è
dimostrato che vi è una ragionevole ed alternativa spiegazione.

Nel caso di specie, i
provvedimenti adottati dall’amministrazione scolastica, seppur risultati poi
illegittimi, sono derivati da una serie di proteste di genitori ed alunni nei
confronti del ricorrente, che hanno indotto l’amministrazione ad intervenire.

Negli atti del presente giudizio
vi è ampia traccia di tali segnalazioni e, anche senza dover entrare nel merito
dei singoli episodi, emerge come l’intento dell’amministrazione non sia stato
persecutorio o comunque diretto a sottoporre il dipendente a molesti morali.

La p.a. è intervenuta per cercare
di dare una risposta ad un problema, che era stato posto in diverse occasioni
da genitori ed alunni; pur non essendo intervenuta nel modo corretto, non vi è
la prova dell’esistenza di un disegno complessivo inquadrabile nella
fattispecie del mobbing.

Anche con riferimento al
demansionamento, la giurisprudenza ha precisato che il riconoscimento del
diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o
esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in
tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica
allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo; mentre
il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione
dell’integrità psico-fisica medicalmente accertabile, il danno esistenziale –
da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed
interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del
soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri,
inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione
della sua personalità nel mondo esterno – va dimostrato in giudizio con tutti i
mezzi consentiti dall’ordinamento (Cass. civ., sez.
lav., n. 6572/2006; n. 2621/2008; n. 2729/2008).

Tale prova non è stata fornita
nel presente giudizio con riferimento ad entrambe le tipologie di danno e ciò
conduce alla reiezione della domanda risarcitoria, senza che possa assumere
rilievo il richiamo ad altro precedente del Tar (Tar Lazio, n. 6254/2004), non
ancora passato in giudicato e comunque collegato ad un caso diverso negli
aspetti di fatto.

4. In conclusione, l’appello
deve essere respinto.

Tenuto conto della peculiarità
della controversia, ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le
parti le spese di giudizio.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in
epigrafe.

Compensa tra le parti le spese
del giudizio. Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.

Così deciso in Roma, il 19-2-2008 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale –
Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:

Giuseppe Barbagallo Presidente

Carmine Volpe Consigliere

Paolo Buonvino Consigliere

Domenico Cafini Consigliere

Roberto Chieppa Consigliere Est.

Presidente

Giuseppe Barbagallo

Consigliere Segretario

Roberto Chieppa Vittorio Zoffoli

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il
06/05/2008.