Famiglia

Friday 05 November 2004

Il lavoro in nero può far perdere l’ assegno di mantenimento.

Il lavoro in nero può far perdere l’assegno di mantenimento.

Cassazione – Sezione prima civile
– sentenza 4 ottobre-2 novembre 2004, n. 21047

Presidente Prestipino – relatore
Luccioli

Pm Pivetti – conforme –
ricorrente Bertoia

Svolgimento del processo

Con sentenza del 15 – 20 novembre
2000 il Tribunale di Nocera Inferiore pronunciava la separazione personale dei
coniugi Luigi Altamura e Virginia Bertoia e rigettava la domanda della moglie di attribuzione di un assegno di mantenimento.

Proposto appello dalla Bertoia,
con sentenza del 3 luglio – 10 ottobre 2001 la Corte di Appello
di Salerno rigettava l’impugnazione, osservando che correttamente il primo
giudice aveva escluso la spettanza del contributo, atteso che la predetta,
dirigente di azienda con retribuzione pari a circa L. 2.400.000 mensili, era
stata licenziata in data 3 aprile 1991, che il giudice del lavoro di Como con
sentenza del 30 agosto 1991 aveva ritenuto legittimo il licenziamento per avere
la Bertoia intrapreso altra attività lavorativa con una impresa concorrente,
cercando anche di sottrarre agli dipendenti al precedente datore di lavoro,
onde poteva desumersi dal fatto noto del licenziamento per attività
concorrenziale il fatto ignoto costituito dall’avere la medesima continuato a
lavorare in nero, verosimilmente con una migliore retribuzione.


appariva credibile l’assunto della Bertoia di avere dopo il licenziamento
vissuto con i soli proventi della vendita della casa coniugale, trattandosi di
somma del tutto inadeguata a far fronte nel tempo a tutte le sue esigenze di
vita, comprese quelle abitative, e soprattutto a consentire l’acquisto di un
immobile ad Ardea nel 1996, ossia a distanza di un anno dal licenziamento.

Riteneva pertanto che i redditi
dell’appellante fossero sostanzialmente equivalenti a quelli del coniuge, pari
a L. 2.600.000 mensili, e che conseguentemente non sussistono
i presupposti per la concessione dell’assegno, tenuto anche conto che
l’Altamura contribuiva in qualche misura al mantenimento dei due figli, i quali,
sebbene maggiorenni e laureati, non godevano di redditi stabili e sufficienti a
garantire loro una vita autonoma.

Avverso tale
sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Bertoia deducendo un
unico motivo. Resiste con controricorso l’Altamura.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo di ricorso,
denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c.,
contraddittorietà ed insufficienza della motivazione, si deduce che, a fronte
di un’ampia produzione documentale diretta ad illustrare da un lato il
deterioramento del tenore di vita della Bertoia a seguito della separazione
dell’altro lato il netto miglioramento della situazione patrimoniale del
coniuge, tale da rendere manifesta la disparità economica tra le parti, la
Corte di Appello ha offerto una soluzione astratta, del tutto sganciata da
riferimenti specifici e fondata esclusivamente su elementi presuntivi, smentiti
da opposti riscontri probatori, omettendo di fornire un’attendibile
ricostruzione delle rispettive situazioni patrimoniali complessive e di valutare
il tenore di vita goduto durante la convivenza, adottando inoltre una
motivazione per relationem rispetto alla sentenza del primo giudice,
illegittimamente rigettando la richiesta di ulteriori indagini sul tenore di
vita precedente la separazione e sulle condizioni economiche dei coniugi,
disattendendo infine la produzione documentale dalla quale emergeva che uno dei
figli aveva conseguito negli anni dal 1996 al 2000 la piena indipendenza
economica.

Il motivo di ricorso così
sintetizzato è infondato.

Premesso che la complessa censura
è diretta a prospettare, nonostante il riferimento nella sua rubrica anche al
vizio di violazione di legge, unicamente carenze e
illogicità motivazionali, va osservato che la sentenza impugnata è immune dai
difetti denunciati.

Ed invero la Corte di Appello, nel verificare se l’appellante avesse fornito la
prova della non titolarità di redditi propri adeguati alla conservazione del
precedente tenore di vita, quale consentito dal complesso delle disponibilità
patrimoniali e reddituali dell’uno e dell’altro coniuge, ha ritenuto come
accertato, correttamente avvalendosi dello strumento presuntivo, che la Bertoia
disponesse di fonti di reddito da attività lavorativa non dichiarata e che le
posizioni economiche delle parti sostanzialmente si equivalessero, e che quindi
la funzione riequilibratrice propria dell’assegno di separazione non avesse
ragione di esplicarsi. La motivazione svolta al riguardo si sottrae alle
censure della ricorrente, in quanto non è astratta e generica, come dedotto, ma
congrua e logica ed ancorata a precisi dati fattuali, né si risolve, come
ancora denunciato, in un mero richiamo alla sentenza del primo giudice.

È peraltro inammissibile il
profilo di censura con il quale si contesta alla Corte
territoriale di aver fatto ricorso all’argomentazione induttiva nel ritenere
che la donna avesse continuato a svolgere attività lavorativa non dichiarata
dopo il licenziamento, atteso che secondo la giurisprudenza consolidata di
questa Suprema Corte in tema di presunzioni è incensurabile in sede di
legittimità l’apprezzamento del giudice di merito circa l’opportunità di
fondare la decisione su tale mezzo di prova e circa la ricorrenza dei requisiti
di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare gli
elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata
al riguardo sia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto
e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (v. per tutte
Cass. 2004 n. 13169; 2003 n. 16831; 2002 n. 15399; 2002 n. 12980; 2002 n. 5526;
2002 n. 3974; 2000 n. 12422).

Sono infine chiaramente
inammissibili gli ulteriori profili di censura diretti
a sollecitare un nuovo esame da parte di questa Corte del materiale probatorio
acquisito in ordine alle condizioni economiche delle parti ed un nuovo giudizio
di merito in sostituzione di quello svolto dalla Corte di Appello, così come è
inammissibile, per la sua evidente genericità, la doglianza relativa alla
mancata ammissione di mezzi istruttori.

La natura della controversia
giustifica la compensazione delle spese di questo giudizio di
cassazione.

PQM

La Corte di cassazione

Rigetta il ricorso. Compensa le
spese.