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Thursday 08 April 2004

Il Giudice civile può stabilire l’ espulsione dello straniero nonostante il Giudice Amministrativo non abbia ancora deciso la revoca del permesso di soggiorno. Cassazione Sezione prima civile sentenza 6 novembre 2003-1° aprile 2004, n

Il Giudice civile può stabilire l’espulsione dello straniero nonostante il Giudice Amministrativo non abbia ancora deciso la revoca del permesso di soggiorno

Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 6 novembre 2003-1° aprile 2004, n. 6370

Presidente De Musis – Relatore Forte

Pm Sepe – conforme – ricorrente Riahi Ridha Ben Amara – controricorrente Ministero dell’Interno

Svolgimento del processo

Al cittadino tunisino Riahi Ridha Ben Amara veniva revocato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro valido fino al 2003, con atto del Questore di Pesaro del 6 settembre 2001, per non avere mai lavorato e non essere reperibile al domicilio dichiarato e per essere stato arrestato per spaccio di stupefacenti, potendosi ritenere persona pericolosa per la sicurezza pubblica, ex articolo 1, n. 2 della legge 1423/56, modificato dall’articolo 2 della legge 327/88.

Il Prefetto di Pesaro e Urbino rigettava l’impugnazione di detta revoca, con atto del 24 ottobre 2001, contro il quale era preposto ricorso al Tar, delle Marche, che fissava l’udienza per l’eventuale sospensione dell’atto il 7 maggio 2002.

In data 24 aprile 2002 il Prefetto di Pesaro e Urbino emetteva decreto di espulsione di Riahi Ridha Ben Amara ex articolo 13, comma 2, lettera b), D.Lgs 286/98 per avere revocato il permesso di soggiorno il Questore di Pesaro e contro questo atto l’espulso presentava ricorso al Tribunale di Pesaro, domandando di sospendere il provvedimento e il giudizio civile sino all’esito del citato ricorso al Tar delle Marche.

L’adito Tribunale, con decreto del 9 maggio 2002, negava la chiesta sospensione del processo, dovendosi la revoca del permesso necessariamente impugnare dinanzi al Tar, e rigettava il ricorso avverso l’espulsione con compensazione delle spese di causa.

Per la cassazione di detto decreto, Riahi Ridha Ben Amara ha proposto ricorso con due motivi, notificato al ministero dell’Interno e al Prefetto di Pesaro; il solo Ministero ha resistito con controricorso, mentre il Prefetto di Pesaro non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente deve dichiararsi il difetto di legittimazione passiva del ministro dell’Interno (Cassazione 5268/03, 4847/02, 2036/02 e 9084/00), perché l’articolo 13bis del D.Lgs 286/98, di cui al D.Lgs 113/99, chiarisce che nel giudizio contro l’atto d’espulsione amministrativa, il contraddittorio si instaura tra l’espulso e l’autorità che ha emesso il provvedimento che è il Prefetto e nel caso quello di Pesaro-Urbino, preposto all’Ufficio territoriale del Governo (Dl 300/99).

Il ricorso per cassazione proposto contro il ministro dell’Interno e il controricorso di quest’ultimo, sono quindi inammissibili.

2. I motivi di ricorso lamentano entrambi l’omessa sospensione del processo civile, necessaria per la pendenza del ricorso al Tar delle Marche contro la revoca del permesso di soggiorno.

Il primo motivo deduce violazione dell’articolo 295 in relazione all’articolo 360 n. 3 Cpc, per la pregiudizialità del processo dinanzi al Tar rispetto a questo in corso e rileva che questa Corte ha ritenuto si debba cassare «il decreto con cui il Tribunale abbia rigettato il ricorso proposto dallo straniero, a norma dell’articolo 13 del D.Lgs 286/98 contro il provvedimento d’espulsione del prefetto, se il giudice di merito non abbia motivato sulla richiesta di sospensione del procedimento ex articolo 295 Cpc, per la pendenza dinanzi al giudice amministrativo dell’impugnativa del rifiuto di concessione del permesso di soggiorno» (Cassazione 7867/00 e 8381/00).

L’accoglimento del ricorso al Tar comporta annullamento dell’atto di revoca presupposto dell’espulsione, non avendo il Tribunale ordinario poteri cognitivi sui vizi di legittimità di detto atto.

Il secondo motivo di ricorso denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione impugnata, ex articolo 360, comma 1 n. 5 Cpc, perché dopo la riserva del 6 maggio 2002, il Tribunale ha rigettato l’opposizione all’espulsione, pure perché il ricorrente non aveva dato prova della sospensiva della revoca dal Tar, dopo che il ricorrente aveva comunicato che i giudici amministrativi avevano fissato alla successiva data del 7 maggio 2002, l’udienza sulla sospensione cautelare della revoca del permesso di soggiorno.

3. Il ricorso è infondato, perché esattamente il Tribunale di Pesaro non ha sospeso il processo, non ricorrendo i presupposti della sospensione necessaria di cui al primo motivo d’impugnazione e mancando ogni decisività del punto rispetto a cui si deduce la motivazione illogica o contraddittoria del decreto.

Non vi è infatti pregiudizialità, logica e giuridica, del processo amministrativo pendente in ordine alla revoca del permesso di soggiorno, rispetto alla presente causa relativa al decreto di espulsione.

Si sarebbe dovuto applicare l’articolo 295 Cpc, sospendendo necessariamente il presente giudizio, solo se la soluzione di quest’ultimo non fosse stata logicamente possibile senza risoluzione preventiva del ricorso al Tar, e sempre che la decisione del giudice amministrativo potesse, sul piano giuridico, dare luogo a conflitti tra giudicati.

L’esame dei provvedimenti e delle posizioni oggetto di questa causa e del processo amministrativo sugli atti relativi al permesso di soggiorno, esclude la pregiudizialità logico-giuridica di questo all’altra.

Oggetto di questa causa è il provvedimento del Prefetto, che dispone l’espulsione dello straniero, per essere stato revocato il permesso di soggiorno dal Questore, ex articolo 5, comma 5, D.Lgs 286/98, con atto contro il quale v’è stato prima ricorso gerarchico al Prefetto e poi l’impugnazione al Tar delle Marche, ex articolo 6, comma 10, dello stesso D.Lgs.

La situazione soggettiva per la quale lo straniero può soggiornare in Italia, a differenza di quella del cittadino (articolo 16 Costituzione), non è diritto soggettivo ma ha carattere affievolito e natura di interesse legittimo, sul quale naturalmente ha giurisdizione il solo giudice amministrativo.

Il decreto d’espulsione, «immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o impugnativa dell’interessato» (articolo 13, comma 3 D.Lgs 286/98, come modificato dalla legge 189/02), comporta accompagnamento coattivo alla frontiera o eventuale trattenimento a cura del Questore (articolo 14), con il divieto di reingresso in Italia, per un periodo oggi di dieci anni e comunque non minore di cinque anni (in passato da tre a cinque anni) e determina quindi restrizioni alla libertà personale, incidendo su un diritto fondamentale della persona riconosciuto dalla Costituzione (articoli 2 e 13) a tutti, cittadini e stranieri: esso è quindi soggetto al controllo giurisdizionale dell’Ago (sulla giurisdizione in materia di espulsione, Su 2513/02).

Proprio perché incide su “diritti”, il provvedimento di espulsione ha carattere obbligatorio e vincolato e si deve emettere per il solo fatto del verificarsi delle circostanze indicate nell’articolo 13, comma 2, lettera b) e c) del D.Lgs 286/98 (Cassazione 66963/03, 5127/03, 11725/02, 9499/02, 5050/02, 16030/01, tra molte); il Prefetto deve motivare l’atto con l’indicazione delle ragioni che l’impongono, per consentire al destinatario di esso di difendersi (così Cassazione 6535/02).

Il controllo dell’Ago sul provvedimento prefettizio è quello del riscontro dell’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge che lo impongono: legittimo è quindi l’atto del Prefetto, ogni volta che vi sia stata revoca o annullamento del permesso di rimanere in Italia, anche se contro detti atti del Questore penda processo dinanzi ai giudici amministrativi, perché la mera carenza del permesso di soggiorno, anche temporanea, fa venir meno il diritto dell’immigrato di rimanere in Italia (così la cit. 5127/03).

Il provvedimento espulsivo ha l’effetto istantaneo di imporre l’allontanamento dello straniero dall’Italia e quello, perdurante nel tempo, di divieto di rientro: in quanto l’atto di espulsione produce effetti che durano nel tempo (Cassazione 2746/02), su tali effetti soltanto e non sul provvedimento avrà efficacia la decisione dei giudici amministrativi in ordine al permesso, consentendo all’espulso, in caso di esito positivo del suo ricorso, di domandare di nuovo il permesso stesso e chiedere la revoca dell’espulsione e comunque di rientrare in Italia prima del termine finale del divieto di rientro posto dalla legge o dall’atto di espulsione, senza commettere i reati, di cui ai commi 13 e 13bis dell’articolo 13 D.Lgs 286/98.

La decisione del giudice amministrativo sul permesso non è quindi antecedente logico di quella del giudice ordinario sul decreto d’espulsione, che legittimamente fu emesso per l’esistenza della revoca, dell’annullamento e del diniego del permesso di soggiorno successivamente annullati dal Tar; a seguito della decisione definitiva dei giudici amministrativi di accoglimento del ricorso, lo straniero potrà chiedere al Prefetto la revoca dell’espulsione, sempre che il Questore abbia concesso altro permesso, non rigettando la relativa richiesta e non abbia disposto altri annullamenti o revoche del permesso stesso o che questo non sia scaduto e non sia stato rinnovato.

La revoca dell’espulsione consegue alla esistenza d’un valido permesso di soggiorno la cui esistenza comporta la cessazione della materia del contendere del processo civile sull’opposizione e non l’accoglimento di essa, essendo stato comunque all’origine legittimo l’atto oggetto di sindacato giurisdizionale (così, pur se in riferimento alla sanatoria dell’immigrazione clandestina e alla revoca ex lege delle espulsioni, di cui all’articolo 2 del Dl 195/02, Cassazione 8191/03).

Esclusa la consequenzialità logica del giudizio civile a quello amministrativo, perché in realtà hanno rilievo sul provvedimento oggetto di causa davanti a giudice ordinario solo gli effetti pratici della pronuncia del Tar e non il processo svoltosi davanti a questo (su questo collegamento cfr. Cassazione 14795/00), deve negarsi che vi sia pregiudizialità giuridica del processo amministrativo a quello civile.

Nel presente giudizio è infatti parte, come già rilevato, il Prefetto, mentre nel processo amministrativo è resistente il ministero dell’Interno e, quindi, non possono aversi neppure gli effetti del giudicato per i limiti soggettivi di questo, ex articolo 2909 Cc, né lo stesso conflitto potenziale a base della sospensione necessaria, ex articolo 295 Cpc.

Anche a non volere seguire la giurisprudenza che nega la configurabilità astratta della pregiudizialità del giudizio amministrativo rispetto a quello civile, almeno nell’azione risarcitoria (Cassazione 7193/02), la carenza di permesso di soggiorno è solo presupposto dell’espulsione e in ordine a detto permesso lo straniero ha un mero interesse legittimo, rispetto al quale l’atto del Questore di concessione, diniego, annullamento o revoca resta discrezionale, con la conseguenza che il giudizio amministrativo non fa stato in altri processi, potendo l’interesse dello straniero essere sacrificato ancora in rapporto a esigenze da tenere presenti al momento dell’emissione del provvedimento amministrativo, di tipo nuovo rispetto a quelle valutate dal giudice amministrativo.

Deve quindi negarsi che il permesso di soggiorno sia elemento costitutivo del diritto dello straniero a non essere allontanato dall’Italia e alla libertà di rientrarvi, di cui è mero presupposto e, pertanto, pure per tale profilo, non v’è pregiudizialità e necessità di sospensione (Cassazione 2738/03).

Non essendovi i presupposti della sospensione necessaria ambedue i motivi di ricorso devono rigettarsi, per non essersi violato l’articolo 295 Cpc e non potersi ritenere decisiva per la motivazione l’eventuale pronuncia sulla sospensiva anche positiva del Tar.

In conclusione il ricorso, inammissibile nei confronti del ministro dell’Interno, deve rigettarsi rispetto al Prefetto di Pesaro-Urbino e, per l’inammissibilità del controricorso del Ministro, le spese del presente giudizio tra questo e il ricorrente devono compensarsi, mentre nulla deve disporsi per le spese nei confronti del Prefetto che non si è difeso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso nei confronti del Prefetto di Pesaro-Urbino; compensa le spese tra il ricorrente e il ministro dell’Interno.