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Wednesday 29 October 2003

Il Crocifisso della discordia. Il testo integrale dell’ ordinanza del Tribunale de L’ Aquila

Il Crocifisso della discordia. Il testo integrale dellordinanza del Tribunale de LAquila

TRIBUNALE DI L’AQUILA

IL GIUDICE DESIGNATO

letti gli atti e i documenti di causa, a scioglimento della riserva di cui al ver bale dell’udienza del 15 ottobre 2003, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel procedimento iscritto al n. 1383/2003 del Ruolo Generale degli Affari Contenziosi di questo Tribunale

tra

Sxx Axx, in proprio e quale esercente la potestà genitoriale sui minori Sxx — e Sxx —-, elettivamente domiciiato in L’Aquila, via —– n. 19, presso lo studio dell’Avv. Dario Voo, che lo rappresenta e difende per procura apposta a margine del ricorso;

– ricorrente –

e

ISTITUTO COMPRENSIVO DI SCUOLA MATERNA ED ELE MENTARE DI NAVELLI, in persona del Dirigente scolastico pro ten re, domiciiato e lege in L’Aquila, Portici 5. Berardino n. 3, presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, che lo rappresenta e difende ai sensi dell’art. 1 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (giusta circolare ministeriale n. 36 prot. n. 8596/D

– resistente –

e

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E

DELLA RICERCA, in persona del Ministro pro te/ì ore, domiciliato e lege in L’Aquila, Portici 5. Berardino n. 3, presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, che lo rappresenta e difende ai sensi dell’art. 1 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611;

– resistente –

FATTO

Con ricorso e art. 700 c.p.c., Axx Sxx, in proprio e quale eser cente la potestà sui figli minori Adam Smith e Khaled Smith, premesso che:

– lo stesso, cittadino italiano, risiede in Ofena insieme alla propria fami glia, i cui componenti professano tutti la religione islamica;

– in occasione dell’inizio dell’anno scolastico ha potuto constatare che nei locali della Scuola materna ed elementare statale Antonio Silveri di Ofena, in cui si svolge l’attività didattica cui partecipano anche i figli dello stesso, vi è esposto il crocifisso, simbolo con valenza religiosa rife ribile soltanto a coloro che professano la religione cristiana;

– autorizzato dalle maestre, il ricorrente ha affisso anche un quadretto ri portante un versetto della Sura 112 del Corano, che è stato però rimosso il giorno successivo su disposizione del dirigente scolastico;

– il permanere dell’affissione del solo crocifisso costituirebbe lesione delle libertà di religione e di uguaglianza, costituzionalmente tutelati, tanto del ricorrente quanto dei figli minori, ponendosi peraltro in contrasto con il principio di laicità della Repubblica italiana affermato dalla Corte costi tuzionale con la sentenza n. 203 del 1989, che peraltro qualifica lo stesso come ((principio supremo dell’ordinamento costituzionale»;

ha domandato in via cautelare d’urgenza la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola statale materna ed elementare frequentata dai suddetti figli minori.

Fissata l’udienza di comparizione personale delle parti, si sono co stituiti tanto l’Istituto comprensivo di scuola materna ed elementare di Na velli, circolo didattico cui appartiene la Scuola materna ed elementare Antonio Silveri di Ofena, quanto il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distret tuale dello Stato, i quali:

– preliminarmente, in rito, hanno eccepito la nullità del ricorso per aver agito il solo Smith per entrambi i figli minori, laddove l’art. 320 c.c. pre scrive che la rappresentanza legale spetta congiuntamente ad entrambi i genitori;

– in via subordinata al mancato accoglimento di detta eccezione di nullità, hanno eccepito il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordina ria per essere la questione oggetto del ricorso in esame devoluta dall’art. 7 della L. 21luglio 2000, n. 205 alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;

– in via ulteriormente subordinata, hanno eccepito la nullità del ricorso per la mancata indicazione della domanda che il ricorrente intenderebbe proporre con l’instaurando giudizio di merito e, comunque, il difetto di irreparabiità del danno non solo per quanto attiene al ricorrente in pro prio, ma anche in relazione ai figli minori (di sei e quattro anni), che non sarebbero suscettibili in ragione della loro tenera età di patire il danno lamentato;

– nel merito, hanno affermato che nell’ dei principi costituzio nali, giuridici, di costume e della sensibilità sociale, non può negarsi che [ tuttora permanente nella coscienza dei singoli e dei popoli la consi derazione comune e universale di un principio di trascendenza superiore in cui tutte le religioni e tutti i credo anche laici, pur nelle diverse forme, confluiscono», principio che giustificherebbe, unitamente a quanto più volte affermato dalla Corte costituzionale in relazione alla tutela penale della religione cattolica, la permanenza del crocifisso nelle aule scolastiche;

ha concluso per il rigetto del ricorso.

All’udienza di comparizione personale delle parti del 15 ottobre 2003, sentito personalmente il ricorrente e discusso il ricorso dai procurato ri delle parti, questo Giudice si è riservato di provvedere.

DIRITTO

1. Preliminarmente, devono esaminarsi le eccezioni di nullità del ri corso formulate dai resistenti.

1.1. Quanto all’eccezione di nullità del ricorso per non essere stata indicata la domanda che il ricorrente intenderebbe proporre nell’introdurre il giudizio di merito ai sensi dell’art. 669-octies c.p.c. in caso di accoglimento del ricorso, ad avviso di questo Giudice, la stessa non è fondata.

A ben vedere, infatti, le conclusioni rassegnate con il ricorso costitui scono chiaramente la domanda che il ricorrente intende proporre con l’instaurando giudizio di merito, ossia la condanna dell’Istituto scolastico alla rimozione del crocifisso dalle aule frequentate dai figli del ricorrente. Con le stesse si richiede, infatti, anche la condanna alle spese della contro- parte: orbene (cfr. pag. 30 del ricorso), sicché è di tutta evidenza come non possa trattarsi della domanda cautelare: come noto, in caso di procedimento cautelare ante causam, il giudice deve provvedere sulle spese dello stesso solo laddove rigetti il ricorso (art. 669-sep comma 2, c.p.c.).

E’ la cautela richiesta, piuttosto, ad essere contenuta nella narrativa del ricorso stesso, e in particolare nell’ultima parte dello stesso (cfr., in par ticolare, pag. 29), da cui si evince peraltro, con tutta chiarezza come il ricorrente invochi in via anticipatoria la rimozione del crocifisso dalla aule in parola.

In verità, anche laddove non si voglia condividere quanto ritenuto da questo Giudice al riguardo, parimenti l’eccezione non potrebbe essere ac colta.

Veto è che, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, si è ritenuto che è affetto da nullità il ricorso cautelare ante &isam che non indichi la do manda che verrà fatta valere con l’instaurando giudizio di merito (cfr. Trib. Napoli, ord. 30 aprile 1997, in Foro it., 1998, 270; Pret. Vigevano Sez. dist. Mortara, ord. 1° agosto 1995, ivi, 1996, I, 1864; Trib. Potenza, 29 marzo 1995, in Giur. merito, I, 405; per alcuno, il ricorso dovrebbe addirittura indi care petitum, causa petendi e conclusioni: cfr. Pret. Alessandria, ord. 16 marzo 1993, in Giur. it., 1993, I, 775, che ritiene altresì trattarsi di nullità insanabile, perché siffatto ricorso non sarebbe in grado di raggiungere lo scopo che gli è proprio, ossia il collegamento teleologico tra domanda cautelare e do manda di merito), ma si è prontamente escluso che l’onere di indicazione della domanda dell’instaurando giudizio di merito richieda un’analitica e ne cessariamente ben distinta formulazione delle conclusioni di merito. E ciò soprattutto laddove si consideri come rilevato in dottrina che la disci plina del rito ordinario di cognizione consente all’attore di integrare o preci sare la domanda nel corso dell’istruttoria (art. 183, comma 5, c.p.c.).

Deve affermarsi, pertanto, l’ammissibilità del ricorso che contenga anche in modo implicito, ma inequivocabilmente, l’indicazione della do manda di merito (cfr. Trib. Trani, ord. 16 gennaio 1997, in Foro it., 1998, I, 2017; Trib. Nocera Inferiore, 1° agosto 1995, in Giur. iL, 1996, I, 238). Sic ché nel caso in esame, in cui è inequivocabile che la domanda di merito sia la condanna della scuola pubblica a rimuovere il crocifisso dalle aule fre quentate dai figli minori del ricorrente, non sussisterebbe comunque nullità alcuna del ricorso.

1.2. Parte resistente ha eccepito, inoltre, quanto alla cautela invocata da Axx Smith quale esercente la potestà sui figli minori, la nullità del ricor so in quanto proposto da un solo dei genitori, laddove l’art. 320 c.c. preve de la regola della rappresentanza congiunta dei genitori che esercitano la potestà sui figli minori.

Non ignora questo Giudice che si è ritenuto da parte di alcuno in dottrina che, quando sia promossa un’azione dei confronti di un minore, l’atto di citazione debba essere rivolto a pena di invalidità (sanata dalla co stituzione di entrambi) – ad entrambi i genitori, in quanto la rappresentanza del minore spetta agli stessi congiuntamente. Nel caso in esame, però, viene in rilievo non il profilo passivo di un rapporto processuale, ma l’esercizio dell’azione giudiziale in nome e per conto dei figli minori, fattispecie in re lazione alla quale la giurisprudenza ritiene che, laddove non siano destinate ad incidere sul patrimonio del minore, non sia necessario l’esercizio con giunto da parte di entrambi i genitori (oltre alla preventiva autorizzazione del giudice tutelare) (in tal senso, alcune pronunce in materia di impugna zione davanti al giudice amministrativo proprio di provvedimenti dell’amministrazione scolastica: cfr. T.A.R. Lombardia, 9 giugno 1986, n. 284, in T.A.R, 1986, I, 2827; T.A.R. Abruzzo, Sez. Pescara, 10 maggio 1985, n. 157, in T.A.R, 1985, I, 2492; T.A.R. Calabria, Sez. Reggio Calabria, 13 dicembre 1984, n. 287, in T.A.R, 1985, I, 742).

La proposizione di una domanda giudiziale, anche cautelare, non de ve essere necessariamente proposta da entrambi i genitori, benché la pote stà genitoriale sia normalmente congiunta, per di più laddove come nel caso all’esame di questo Giudice si tratta di richiesta di provvedimento d’urgenza e, comunque, privo di incidenza sulla sfera patrimoniale dei mi nori e volto piuttosto ad ampliare la sfera giuridica soggettiva degli stessi, che si assume compressa nel suo pieno esplicarsi.

2. Esclusa la nullità del ricorso introduttivo, questo Giudice deve esaminare l’eccezione di difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria or dinaria, poiché – secondo l’assunto difensivo dei resistenti – la presente controversia rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva sancita dall’art. 33 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, così come modificato dall’art. 7 della L. 21 luglio 2000, n. 205, per «tutte le controversie in materia di pubblici servizi» tra cui, in particolare, ai sensi della lettera e) del comma 2 di detta disposi zione, quelle «riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, [ rese nell’espletamento di servizi pubblici, ivi comprese quelle rese nell’ambito [ della pubblica istruzione».

Benché, ad avviso di questo Giudice, sia necessario tenere distinta la domanda – cautelare e di merito – proposta dal ricorrente in proprio e quella proposta dallo stesso quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori, ciò non di meno comunque l’eccezione non è fondata e deve affermarsi la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria adita.

La lettera e) del comma 2 dell’art. 33 suddetto, infatti, prosegue escludendo espressamente dalla giurisdizione esclusiva del giudice ammini strativo i «rapporti individuali di utenza con soggetti privati» e le «contro versie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona». Orbe ne, proprio considerando tali espresse esclusioni dall’ambito di estensione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia dei servizi pubblici, procedendo alla qualificazione della domanda rilevando a tal fine non il contenuto dei provvedimenti d’urgenza richiesti, bensì l’azione di merito che si intenda intraprendere, rispetto alla quale la cautela invocata si pone come strumentale – deve ritenersi sussistere la giurisdizione del giudice ordinario.

2.1. In primo luogo, infatti, deve rilevarsi come la pretesa di tutela del diritto inviolabile e costituzionalmente garantito di libertà religiosa dei figli minori del ricorrente, che si assume leso in conseguenza all’esposizione del crocifisso nelle aule della scuola pubblica Antonio Silveri di Ofena (fa cente capo all’Istituto comprensivo di scuola materna ed elementare di Na velli che gli stessi frequentano, attiene al rapporto individuale di utenza del pubblico servizio di istruzione tra detti alunni e l’istituto scolastico alla cui attività i medesimi attendono.

Orbene, il legislatore del 1998-2000, nel prevedere un riparto di giu risdizione per settori omogenei di materie con criterio, in verità, non esente da censure di incostituzionalità (cfr. Trib. Roma, Sez. Il, 16 novem bre 2000, in 6 giur, 2001, 72) ha, però, con assoluta chiarezza, lasciato al giudice naturale dei diritti le controversie che attengano alla tutela del cittadino quale fruitore di un servizio pubblico in relazione agli attentati che ai propri diritti possano derivare nello svolgersi del rapporto che viene in essere con la fruizione del servizio stesso.

Né sembra possibile sviire la questione all’esame di questo Giudice riconducendola – come ritengono i resistenti (cfr. pag. 5 della memoria di fensiva depositata in data 14 ottobre 2003) – ad un profilo organizzativo del pubblico servizio di istruzione. A ben vedere, affermare ciò vorrebbe dire che con il ricorso in esame il ricorrente abbia inteso censurare un profilo relativo all’organizzazione dei mezzi nell’ambito di un ufficio pubblico, es sendo appunto mezzi materiali anche quelli facenti parte dell’arredo scola stico, nel cui ambito verrebbero dettate le disposizioni che prevedono l’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche (come si dirà diffusamente di seguito). Tale prospettazione, benché in passato sostenuta in giurisprudenza (cfr. Pret. Roma, 17 maggio 1986, in Ri gufi: siwo/a, 1986, 619), sembra non voler cogliere la vera essenza della questione, elidendo il profilo della lesione seppure prospettata di un diritto assoluto costitu zionalmente tutelato. Evidente forzatura che, di fronte al rilievo in tal senso del resistente in sede di discussione del ricorso, ha spinto il rappresentante dell’Avvocatura dello Stato a contestare che l’assunto difensivo possa essere riassunto nella riconducibilità della questione a meri profili attinenti all’arredo scolastico (cfr. verbale dell’udienza del 15 ottobre 2003).

Non appare pertinente, pertanto, il richiamo a quella giurisprudenza amministrativa per cui «rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice am ministrativo la controversia promossa da genitori e alunni maggiorenni e relativa a provvedimento di carattere organizzativo del servizio scolastico, in quanto l’esclusione della giurisdizione e del giudice amministrativo delle controversie con gli utenti non si estende anche alle ipotesi in cui sono in discussione gli aspetti organizzativi e generali per la prestazione del servizio e quindi anche spaziale entro cui il potere è gestito, tanto più che è som mamente interessante per la collettività, e specialmente per il settore, il modo con cui l’istruzione pubblica è erogata alla generalità dei cittadini» (così Cons. Stato, Sez. IV, 21 febbraio 2001, n. 896). La questione all’esame della giustizia amministrativa riguardava, infatti, un provvedimento ammini strativo avente ad oggetto l’assegnazione di edifici agli istituti scolastici, sic ché, anche laddove si voglia ritenere che tale controversia rientrasse nell’ambito dell’espletamento del servizio pubblico di istruzione (in verità, con evidente dilatazione del concetto di pubblica istruzione), comunque non si trattava di questione riconducibile ad un rapporto privato di utenza, ma appunto come si legge afferente profili organizzativi generali, fun zionali alla prestazione del servizio.

2.2. In verità, a ben vedere, anche laddove nel caso in esame si fosse in presenza secondo la prospettazione di parte resistente – di questione attinente profili organizzatori dell’amministrazione pubblica, ciò non di meno dovrebbe affermarsi la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Come è possibile evincere dal ricorso e come, comunque, precisato dal ricorrente, per il tramite del proprio difensore, all’udienza del 15 ottobre 2003 (cfr. verbale) , la cautela richiesta è funzionale al fruttuoso esercizio dell’azione di responsabilità aquiiana per l’assenta lesione del diritto di li bertà religiosa di cui si invoca la tutela con la reintegrazione in forma speci fica e art. 2058 c.c.. Conseguentemente, tanto l’azione proposta da Axx Smith in proprio, quanto quella proposta da questi quale genitore esercente la potestà sui figli minori, rientrerebbero nell’ulteriore esclusione sancita dalla lettera e) dell’art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998 (e successive modificazioni) rispetto alla previsione della giurisdizione del giudice amministrativo per le controversie relative a servizi pubblici, ossia le azioni risarcitorie.

La circostanza stessa che il rimedio invocato dal ricorrente si concreti in una richiesta di ordinare ai resistenti un j prima in via provvisoria ed urgente e, quindi, in via definitiva, discende dal fatto stesso che venga pro posta un’azione risarcitoria in forma specifica e non può determinare – co me invece ritiene parte resistente – una diversa qualificazione della domanda quale attinente ad un aspetto organizzativo del servizio pubblico, atteso che la reintegrazione in forma specifica implica sempre la condanna ad unj a un iioii j e a un dare da parte del soggetto danneggiante (cfr. Trib. Ve nezia, ord. 14 aprile 2003, n. 214, in AmbieiiteDiiitto.it

Conseguentemente, deve ritenersi sussistere la giurisdizione del giu dice ordinario adito anche in relazione alla domanda cautelare proposta da Axx Smith in proprio, benché in relazione a questi non possa configurarsi certo un rapporto individuale di utenza del servizio pubblico di istruzione con l’Istituto resistente, non essendo questi fruitore di siffatto servizio pub blico presso la Scuola materna ed elementare statale Antonio Silveri di O fena.

3. Esclusa in relazione alla presente controversia la giurisdizione esclusiva dell’autorità giudiziaria amministrativa, è appena il caso di rilevare che può ritenersi pacifica la sussistenza della giurisdizione del giudice ordi nario, vertendosi in materia di diritti soggettivi e, per di più, venendo in ri lievo un diritto di libertà inviolabile e costituzionalmente garantito (cfr. Trib. Roma, Sez. TI, ord. 18 dicembre 2002, in ì2’ìvìv.edslwoia.it Pret. Milano, ord. 15 febbraio 1990, in Foro it., I, 1746; Trib. Milano, 18 dicembre 1986, iii, 1987, I, 2496). Né appare dubitabile che la situazione giuridica soggetti va dedotta dal ricorrente, in proprio e in relazione ai figli minori, sia di di ritto soggettivo, poiché si riconnette in via diretta alla norma costituzionale dell’art. 19, che tutela non solo al libertà di culto, ma anche e come si dirà più ampiamente di seguito la libertà c.d. negativa di religione e la libertà di coscienza in relazione al fenomeno religioso (come sostenuto dalla dottrina e come affermato dalla Corte costituzionale in più decisioni). E comunque, anche scendendo al rango della legislazione ordinaria, posizione di diritto sarebbe quella in capo ai ricorrenti alla luce della disciplina del nuovo con cordato. In tal senso, del resto, si è espressa la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 203 del 1989, orientamento ribadito nella sentenza n. 13 del 14 gennaio 1991 in relazione al diritto di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica.

Ad affermare ciò, del resto, sarebbe sufficiente l’art. 2 della L. 20 marzo 1865, n. 2448, All. E, che devolve alla giurisdizione dell’autorità giu diziaria ordinaria le materie riguardanti un diritto civile o politico (cfr. Pret. Milano, ord. 15 febbraio 1990, cit.).

4. E’ stata in passato controversa, piuttosto, la possibilità di emanare provvedimenti che prevedano un j (come richiesto, appunto, nel caso in esame) ovvero un iioii j da parte della pubblica amministrazione.

A norma dell’art. 4 della L. n. 2248/1865, All. E, nonostante la posi zione di diritto soggettivo del privato che si assuma violata da un atto o da un comportamento della pubblica amministrazione, è infatti vietato al giu dice di sostituirsi all’autorità amministrativa, sicché salvo deroghe espres se non è ammessa, tanto in sede di giudizio ordinario di cognizione quanto in sede cautelare ed urgente, non solo l’adozione di provvedimenti di annullamento, modifica o sospensione di un atto amministrativo, ma an che di un comportamento (come appunto la condanna ad un j o ad un iioiij direttamente incidente nella sfera di discrezionalità della pubblica amministrazione, ossia in quegli atti o comportamenti attuativi dei fini isti tuzionali della pubblica amministrazione.

A fronte di tale divieto, che è logica e necessaria conseguenza della separazione della funzione giurisdizionale dalla funzione amministrativa, oggi sancita dagli artt. 97, 102, 104 e 113, ultimo comma, Cost., la giuri sprudenza di merito ha individuato il presupposto giurisdizionale della ca renza assoluta di potere della pubblica amministrazione come idoneo a ren dere inoperante il divieto di cui all’art. 4 suddetto (cfr. Pret. Monza, 23 marzo 1990, in Foro it., 1990, I, 1745). Tale giurisprudenza evolutiva dei giudici di merito è stata successivamente fatta propria dalla Suprema Corte di Cassazione, che ha affermato come, allorché il privato chieda la tutela di un proprio diritto soggettivo non condizionato dal potere in concreto eser citato dalla pubblica amministrazione, la giurisdizione appartenga al giudice ordinario. Versandosi inoltre in ipotesi di attività materiale lesiva posta in essere dalla pubblica amministrazione in carenza di potere, non opera il di vieto di condanna della stessa ad unfacere (cfr. Cass. civ., S.U., 1° luglio 1997, n. 9557) che è ammessa nella misura in cui la stessa non interferisca su atti discrezionali dell’amministrazione (cfr. Cass. civ., S.U., 29 gennaio 2001, n. 39) e non contrasti con il divieto riguardante la diversa ipotesi di attività rientranti nella sfera dei poteri e delle finalità istituzionali di essa (cfr. Cass. civ., S.U., 30 dicembre 1998, n. 12906).

Orbene, premesso che nel caso all’esame di questo Giudice la con danna alla rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche non determina un’ingerenza nell’attività discrezionale della pubblica amministrazione volta alla realizzazione delle finalità istituzionali della stessa, occorre verificare se nella fattispecie in esame sussista un potere – che non può che essere attri buito da norme di legge, stante il principio costituzionale di legalità dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.) che consenta all’amministrazione scolastica l’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche fre quentate dai minori figli del ricorrente. Escluso ciò, potrà ritenersi che nel giudizio – ordinario e, quindi, anche cautelare d’urgenza – che verta sulla presunta violazione o compressione di un diritto costituzionalmente garan tivo, qual è il diritto alla libertà religiosa, non sussiste il limite interno alla giurisdizione ordinaria che vieta all’autorità giudiziaria ordinaria di emettere un ordine di fare (o di non fare) a carico della pubblica amministrazione, quando quest’ultima non sia dotata di alcun potere ablatorio o compressivo del diritto medesimo (cfr. Pret. Torino, ord. 11 febbraio 1991, in Foro it., 1991, I, 2586; Pret. Torino, ord. 19 luglio 1988, in Foro it., 1988, I, 3343; Cass. civ., S.U., 9 marzo 1979, n. 1463).

5. Secondo il Ministero dell’istruzione (cfr. Nota 3 ottobre 2002 prot. n. 2667), l’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche sarebbe prescritta dall’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924, n 965, recante dispo sizioni sull’ordinamento interno degli istituti di istruzione media, e dall’art. 119 del R. D. 26 aprile 1928 n. 1297, precisamente nella Tabella Callo stes so allegata (Regolamento genera/e sul seri i. dell’istruzione elementare), quanto agli istituti di istruzione elementare.

Si può subito rilevare che nessuna disposizione prescrive l’affissione del crocifisso nelle aule delle scuole materne, mentre è pacifico che anche nell’aula in cui svolge attività didattica il piccolo Khaled, di anni quattro, è esposto il simbolo della croce.

Con riferimento all’altro figlio del ricorrente, Adam, verrebbero in vece in rilievo le disposizioni da ultimo citate, che appunto prescrivono che il simbolo della croce debba far parte dell’ordinario arredamento delle aule scolastiche e che spetta al capo d’istituto (art. 10, comma 3, e art. 119 del R. D. 26 aprile 1928 n. 1297) oggi, a seguito della riforma operata dal D. Lgs. 6 marzo 1998, n. 59, al dirigente scolastico – assicurare la completezza (nonché la buona conservazione) di tutti gli arredi occorrenti. Si tratterebbe di disciplina di rango regolamentare, dunque, in relazione alla quale, peral tro, la stessa pubblica amministrazione si è più volte interrogata circa la permanente vigenza nel nostro ordinamento (si veda anche, in relazione all’esposizione del crocifisso nella aula giudiziarie, il quesito del 29 maggio 1984 prot. n. 612/14-4 posto al Ministero dell’interno dal Ministero di grazia e giustizia).

In particolare, con riferimento alle scuole pubbliche, a seguito dell’entrata in vigore della L. 25 marzo 1985, n. 121 di modifica del concor dato (Ratz7ìca ed eseiw dell’accordo, con protocollo addi firmato a Roma il 18febbraio 198-I, che app oi modz7ìca al Concordato lateninense dell’i i febbraio 1929, tra Li Repubblica italiana e Li Santa Sede), l’allora Ministero della Pubblica Istruzione si è interrogato circa il possibile contrasto con il nuovo quadro normativo in base al quale viene impartito l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

Al riguardo il Consiglio di Stato, Sezione III, con il parere 27 aprile 1988, n. 63/88, ha preliminarmente distinto la normativa riguardante l’affissione del crocifisso nelle scuole da quella relativa all’insegnamento della religione cattolica; ha quindi rilevato che «le due norme citate, di natu ra regolamentare, sono preesistenti ai Patti Lateranensi e non si sono mai poste in contrasto con questi ultimi» e che «Nulla, infatti, viene stabilito nei Patti Lateranensi relativamente all’esposizione del Crocifisso nelle scuole», sicché «le modificazioni apportate al Concordato lateranense, con l’accordo, ratificato e reso esecutivo con la Legge 25 marzo 1985, n. 121, non origina rio, non possono influenzare, né condizionare la vigenza delle norme rego lamentare di cui trattasi»; ha così concluso che le suddette disposizioni de vono intendersi «tuttora legittimamente operanti». Le stesse motivazioni, peraltro, sono state fornite dall’Avvocatura dello Stato di Bologna nel pare re reso in data 16 luglio 2002 (menzionato nella suddetta Nota 3 ottobre 2002 del Ministero dell’istruzione), che ha affermato la permanenza in vigo re ditale disciplina e la non lesività della libertà di religione della stessa nel prevedere l’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche.

Siffatto argomentare è, in verità, eccessivamente semplicistico. Non è necessario un particolare approfondimento, infatti, per rilevare come le norme che prevedono l’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche non siano entrate in contrasto con le disposizioni concordatarie poiché en trambe partono dalla logica della confessione cattolica come istituzione re ligiosa privilegiata.

Un minimo approfondimento della natura stessa della normativa in questione consente, invece, di giungere ad una soluzione del tutto opposta.

Il R.D. 30 aprile 1924, n. 965 estendeva quanto già previsto con ininterrotta continuità da una norma del regolamento per l’istruzione ele mentare (R.D. 15 settembre 1860, n. 4336 di attuazione delle L. 13 novem bre 1859, n. 3725 – c.d. legge Casati), poi ripresa dal Regolamento generale dell’istruzione elementare del 19(1)8 (R.D. 6 febbraio 1908, n. 150). In tale solco si pone, quindi, l’art. 10 del R.D. n. 1297/1928 nel prevedere l’affissione nelle aule delle scuole elementari del crocifisso. Si tratta, quindi, di una normativa regolamentare di esecuzione di una legge che, per quanto laica si voglia ritenere, appartiene comunque ad un sistema costituzionale, quale quello disegnato dallo Statuto Albertino, che all’art. 1 sanciva che la religione cattolica era la sola religione dello Stato.

E benché l’origine della disposizione in parola risalga all’epoca dello Stato liberale, ciononostante la previsione dell’affissione del crocifisso nelle aule scolastiche risponde ad intenti confessionali, come è stato da più parti e autorevolmente osservato dalla dottrina storica. «Dall’unità d’Italia la scuola costituisce [ terreno tradizionale di confronto fra gli interessi ideologici dello Stato e della Chiesa, forse l’oggetto privilegiato delle pretese confessionali e probabilmente, quindi, anche il luogo ove si avverte più forte l’esigenza di laicità». In altri termini, anche all’epoca dello stato libera le, la previsione dell’affissione del crocifisso nella aule della scuola pubblica esprimeva il regime di privilegio accordato alla religione cattolica.

La dottrina giuridica (oltre che storica) indica, poi, nella previsione dell’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche contenuta nei RR. DD. n. 965/1924 e n. 1297/1928, nonché negli altri uffici pubblici (a proposito della presenza del crocifisso nelle aule giudiziarie, si veda la Circolare n. 1867 della Div. III n. 2134 del Reg. Circ. emessa in data 29 maggio 1926), uno dei sintomi più evidenti del neo-confessionismo statale del regime fa scista, che ha nel Concordato del 1929 il suo ideale punto di arrivo. Conclu sioni cui detta dottrina perviene anche sulla scorta del chiaro tenore delle circolari dell’epoca (basti riportare un passo della circolare del Ministero dell’interno del 16 dicembre 1922, indirizzata ai Prefetti, in cui si rileva co me «in questi ultimi anni in molte scuole sono state tolte le immagini del Crocifisso e il ritratto del Re: tutto ciò costituisce aperta e non più oltre tollerabile violazione d’una precisa disposizione regolamentare, offende al tresì, e soprattutto, la religione dominante dello Stato e il principio unitario della Nazione [ diffidandosi «perché siano immediatamente restituiti [ i due simboli sacri alla fede e al sentimento nazionale»).

Premesse le ragioni storiche e l’interesse pubblico perseguito dalla di sciplina in parola, la funzione regolamentare esplicata dai suddetti regi de creti non può non ritenersi superata, a meno di affermare che ci sia un altro interesse pubblico che, sostituendosi al precedente, continui a giustificarne il vigore. Nel caso in esame, però, ciò non può sostenersi, proprio alla luce del nuovo quadro normativo di riferimento disegnato dalle disposizioni dell’Accordo di modifica del concordato, come peraltro correttamente intuito sul finire degli anni ottanta del secolo scorso dall’Amministrazione di grazia e giustizia prima (si veda il citato quesito del 29 maggio 1984) e della pubblica istruzione poi, quest’ultima nel richiedere il citato parere reso dal Consiglio di Stato.

L’esplicita abrogazione del principio della religione cattolica come religione di Stato, contenuta nel punto 1, in relazione all’art. 1, del Proto collo addizionale agli Accordi di modifica del Concordato del 1929, ha sicu ramente introdotto un nuovo assetto normativo che si pone in contrasto insanabile con la disciplina (scolastica e non) che impone l’esposizione del crocifisso. Per quanto l’accordo di revisione del 1984 non contenga alcun riferimento esplicito all’affissione del crocifisso, assorbente è il rilievo che i provvedimenti che ciò prescrivono, peraltro di rango secondario, in quanto intimamente legati al principio della religione di Stato, debbano ritenersi abrogati.

Come noto, l’abrogazione esplicita di un principio giuridico com porta necessariamente e naturalmente l’abrogazione tacita delle disposizioni che vi fanno riferimento, in particolare se si tratta di normativa di rango se condario, che offre una minore resistenza nell’eventuale contrasto determi natosi con l’introduzione di una nuova disciplina della materia, dovendo le disposizioni regolamentari, per loro stessa natura, eseguire il dettato di de terminate disposizioni di legge.

Nel caso del nuovo concordato, poi, l’eliminazione del primo, la sciando intatte le seconde, vorrebbe dire eludere una delle poche novità so stanziali contenute nella riforma sancita dall’accordo di Villa Madama.

Non può negarsi che tanto la dottrina – soprattutto certi studiosi di diritto ecclesiastico – quanto anche la giurisprudenza, ordinaria e ammini strativa, hanno avuto la tendenza a ridimensionare la portata dell’innovazione conseguente all’art. 1 del Protocollo addizionale suddetto. La stessa Corte costituzionale, per ribadire la legittimità costituzionale delle disposizioni del codice penale in tema di reati contro il sentimento religioso, ha precisato, che le stesse «troverebbe tuttora un qualche fondamento nella constatazione, sociologicamente rilevante, che il tipo di comporta mento vietato dalla norma impugnata concerne un fenomeno di malcostu me divenuto da gran tempo cattiva abitudine per molti» (cfr. Corte cost. sentenza n. 925/1988). In altri termini, sebbene non possa ritenersi, nell’ordinamento costituzionale, la Repubblica Italiana come uno stato con fessionale in senso cattolico, tale religione è però professata, nella comunità statale, dalla maggioranza dei suoi cittadini. Così ragionando, però, si conti nua sostanzialmente a considerare la religione cattolica come religione dello Stato.

Come è stato rilevato in dottrina, evocare il criterio della maggioran za, del gruppo (numericamente e culturalmente) prevalente, cui debba guardare il legislatore, in tema di libertà è l’argomento più denso di pericoli per le libertà dei consociati. «Una delle più significative rivoluzioni del ven tesimo secolo è rappresentata dall’esplosione dell’idea democratica: un’idea che trova un’essenziale riferimento nei principi di sovranità della persona umana e di eguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge».

Il principio di uguaglianza assume, inoltre, un significato particolare nelle società plurietniche, culturalmente variegate, dove vi sono delle mino ranze per cui l’eguaglianza «rimane solo saldissimo principio contro ingiu stizie, discriminazioni, razzismi. Diviene l’asse portante per l’affermazione del diritto alla differenza».

In molte norme della Costituzione italiana (artt. 3 e 8, comma 1), ed in verità anche nella comune valutazione dei rapporti sociali, il principio di libertà si pone in diretta connessione con quello di uguaglianza. Ed anche a proposito della libertà di religione è necessario considerare la relazione che sussiste tra i principi di libertà e di uguaglianza. E’ quanto ha ritenuto di re cente la IV Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione con la sen tenza n. 439 del 1° marzo 2000. Richiamandosi anche ad esperienze di altri paesi, il Supremo Collegio ha ritenuto che la rimozione del simbolo del cro cifisso da ogni seggio elettorale si muovesse nel solco tracciato dalla giuri sprudenza costituzionale in termini di laicità e pluralismo, reciprocamente implicantisi.

Vero è che tale decisione fa perno sul concetto di neutralità del pub blico ufficiale, ma essa è solo apparentemente lontana dalla questione all’attenzione di questo Giudice come, invece, ha ritenuto l’Avvocatura nel discutere il presente ricorso poiché, a ben vedere, proprio in conside razione del fatto che la scuola pubblica rientra (espressamente, nella previ sione della lettera e) dell’art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998 e successive modifi cazioni) nel novero dei servizi pubblici, anche l’oggetto del ricorso in esame riguarda la questione della laicità delle istituzioni.

  Alcuni commentatori hanno rilevato criticamente come la conclusio ne cui è pervenuto la Suprema Corte nella decisione sopra riportata tragga origine da una lettura parziale, e per ciò solo non corretta, del concetto di laicità, poiché, come tratteggiato dalla nota sentenza n. 203 del 1989 della Corte costituzionale, laicità non significa indifferenza nei confronti delle re ligioni, ma implica la «garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale», non compor tando tuttavia il rinnegamento o l’abbandono delle proprie radici storico- religiose. Esisterebbe – secondo detta opinione – un’identità italiana, forgiata dai principi del cattolicesimo, che non può essere cancellata, «così come non si possono cancellare la Divina Commedia o gli affreschi di Giotto», che pur nel rispetto delle diverse sensibilità, del multiculturalismo e del concetto di laicità dello Stato, non potrebbe essere intesa quasi come una sorta di onta da cancellare, giacché, anche da un punto di vista pedagogico, il nascondimento di quell’identità costituisce un disvalore che priverebbe la popolazione di fondamentali elementi di identificazione personale e comu nitaria.

Tale ragionamento, cui fa riferimento – e su cui sembrerebbe, in realtà, fondarsi – il parere n. 63/1988 del Consiglio di Stato, è quello diffu samente utilizzato dalla giurisprudenza e dalla dottrina per giustificare nell’attuale regime costituzionale la legittimità delle norme penali a tutela del sentimento religioso. Sennonché, anche tali disposizioni, come quelle relati ve all’esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche, hanno la medesima origine ideologica, trovavano fondamento nella previsione della religione

cattolica come religione di Stato di cui all’art. 1 del Trattato lateranense, ve nuto meno il quale, il permanente vigore è stato motivato con il passaggio della religione cattolica da religione di Stato a fatto culturale e sociale di ri lievo nazionale, procedendo attraverso il concetto di religione della maggio ranza dei cittadini.

E’ questa, in buona sostanza, l’opinione di coloro che ritengono che il perdurante vigore dei provvedimenti che dispongono l’esposizione del crocifisso nelle aule possa desumersi dall’art. 9 dell’Accordo di revisione concordataria del 1984, che prevede l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e riconosce «i principi del cattolicesimo fanno parte del patri monio storico del popolo italiano».

Orbene, non si può negare che tale norma del nuovo concordato ab bia in un certo senso riassunto le due formule precedenti della religione di Stato e della religione della maggioranza dei cittadini nel quadro di un rin novato rapporto fra istituzioni e società civile. Ciò costituisce lo sviluppo di una costruzione giuridica che si fonda su un fatto incontrovertibile, il ruolo storico e quello attuale della Chiesa, e continua a tradursi in un diffuso at teggiamento privilegiato per la religione cattolica. Sennonché, come ha già osservato il Supremo Collegio nella sentenza n. 439/2000, «il riconosci mento contenuto nell’art. 9 1. cit. è privo di valenza generale perché non è un principio fondamentale dei nuovi accordi di revisione ma è funzionale solo all’assicurazione dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche: peraltro, non obbligatorio ma pienamente facoltativo, limitato cioè agli alunni che dichiarino espressamente di volersene avvalere, senza che agli altri possa farsi carico di un onere alternativo (infatti, gli alunni pos sono anche non presentarsi o allontanarsi dalla scuola: corte cost. 14.1.1991, n. 13)». Ritenere la rilevanza sociale e culturale della religione cattolica in quanto religione della maggioranza dei cittadini equivale a stabi lire una perfetta identità tra cultura cattolica e cultura civile nel nostro paese, che in verità non corrisponde neanche al significato della nuova norma concordataria in materia scolastica, la quale, pur tra tante (in parte certamente volute ed in parte in ogni caso inevitabili) ambiguità, fa riferi mento ad un patrimonio storico in cui si collocano anche e non solo i principi del cattolicesimo.

Le giustificazioni addotte per ritenere non in contrasto con la libertà di religione l’esposizione del crocifisso nelle scuole (e negli uffici pubblici), così come di ogni altra forma di confessionalismo statale, sono divenute ormai giuridicamente inconsistenti, storicamente e socialmente anacronisti che, addirittura contrapposte alla trasformazione culturale dell’Italia e, so prattutto, ai principi costituzionali che impongono il rispetto per le convin zioni degli altri e la neutralità delle strutture pubbliche di fronte ai contenuti ideologici.

Per tale ragione, non può concordarsi con quell’opinione che ritiene che il crocifisso potrebbe rimanere nella aule scolastiche «quando l’insieme degli studenti (se maggiorenni, o dei loro genitori se minorenni) di una scuola pubblica vi colgano tutti pacificamente, implicitamente, un comune significato culturale (oltre a quello di fede dei soli cristiani); se viceversa an che un solo alunno ritenga di essere leso nella propria libertà religiosa nega tiva, essi andrebbero rimossi». Proprio perché è in questione non solo la li bertà di religione degli alunni, ma anche la neutralità di un’istituzione pub blica, non è possibile prospettare una realizzazione del principio di laicità dello Stato e, quindi, della libertà di religione dei consociati a richiesta, ma piuttosto deve essere connaturato all’operare stesso dell’amministrazione pubblica.

A ciò si aggiunga che ritenere il crocifisso sia solo un simbolo passi vo, oltre a sviire la forte valenza religiosa per la fede cristiana di tale sim bolo, costituisce una forzatura. Il crocifisso assume, infatti, nella sua sinteti cità evocativa una particolarmente complessa polivalenza significante: se ogni simbolo è costituito da una realtà conoscitiva, intuitiva, emozionale molto più ampia di quella contenuta nella sua immediata evidenza, per il crocifisso ciò si esalta, comprende una realtà complessa, che intrinseca- mente non si può esprimere per tutti nello stesso modo univoco. Appare persino riduttivo affermarne l’ambivalenza di cui si è detto sopra, che, pe raltro, veniva storicamente ricomposta fino a quando la contrapposizione tra cristiani e non cristiani è rimasta comunque circoscritta a coloro che nel crocifisso vi leggano pacificamente un simbolo culturale e cristiani che sottolineano il significato religioso e assolutamente non culturale, ma con fessionale, del simbolo della croce (che a rigore, come è stato osservato in dottrina, «esprimerebbe un conflitto radicale con la cultura, la politica e l’istituzione giudiziaria del tempo e che di conseguenza non potrebbe essere utilizzata per un concordismo con qualsiasi Stato sulla terra, anche col migliore di essi»). Ciò ha consentito – più da parte degli studiosi del diritto ecclesiastico che del pensiero costituzionalistico di ricondurre i profili in dividuali della libertà religiosa ai rapporti tra Stato e culti religiosi, che nell’esperienza storica italiana altro non sono stati che sfumature di un’omogenea tradizione giudaico-cristiana.

La società multietnica odierna introduce, però, delle incrinature che sicuramente sono provocate dalla necessità di contemperare concezioni eti co-religiose fortemente divergenti dalla tradizione culturale italiana, metten do così in luce tutti i limiti di un’impostazione che dei due profili della li bertà di religione, la fede e il culto – peraltro mantenuti con chiarezza di stinti dalla corte costituzionale sin dalle sue prime sentenze -, ha visto pre valere il secondo.

In particolare, nell’ambito scolastico, la presenza del simbolo della croce induce nell’alunno ad una comprensione profondamente scorretta della dimensione culturale della espressione di fede, perché manifesta l’inequivoca volontà – dello Stato, trattandosi di scuola pubblica – di porre il culto cattolico «al centro dell’universo, come verità assoluta, senza il mini mo rispetto per il ruolo svolto dalle altre esperienze religiose e sociali nel processo storico dello sviluppo umano, trascurando completamente le loro inevitabili relazioni e i loro reciproci condizionamenti Come è stato acu tamente osservato in dottrina, «è anche il segno visibile che la scuola di fronte al fatto religioso arretra la sua sfera d’azione, rinuncia alla sua fun zione educativa, compie la precisa scelta di abbandonare il criterio dell’approccio culturale e critico, accogliendo simboli e concetti la cui inter pretazione, quando non è delegata per legge all’autorità ecclesiastica, risulta in ogni caso inevitabilmente riconducibile alla tradizione cattolica per i forti condizionamenti che essa ancora esercita sul corpo sociale ed ai quali è molto difficile sfuggire specie in giovane età».

Alla luce di quanto si è detto, si comprende anche come non possa condividersi la netta distinzione operata dal Consiglio di Stato tra la norma tiva riguardante l’affissione del crocifisso nelle scuole e quella relativa all’insegnamento della religione cattolica. Come era stato correttamente av vertito dallo stesso Ministero della pubblica istruzione, che detto parere aveva richiesto, l’affissione del crocifisso nelle aule è questione non neutra rispetto al problema dell’istruzione o, più in generale, non può essere disso ciato da quello dell’educazione. La presenza del crocifisso nelle aule scola stiche, infatti, comunica un’implicita adesione a valori che non sono real mente patrimonio comune di tutti i cittadini, presume un’omogeneità che, in verità, non c’è mai stata e, soprattutto, non può sicuramente affermarsi sussistere oggi, e che, però, chiaramente tende a determinare, imponendo un’istruzione religiosa che diviene obbligatoria per tutti, poiché non è con sentito non avvalersene, connotando così in maniera confessionale la struttura pubblica scuola e ridimensionandone fortemente l’immagine pluralista. E ciò facendo si pone in contrasto con quanto ha stabilito la Corte costituzionale al riguardo, rilevando come il principio di pluralità debba intendersi quale salvaguardia del pluralismo religioso e culturale (cfr. Corte cost. 12 aprile 1989, n. 2(1)3 e 14 gennaio 1991, n. 13), che può realiz zarsi solo se l’istituzione scolastica rimane imparziale di fronte al fenomeno religioso.

E’ appena il caso di rilevare, seppure in estrema sintesi, che, alla luce di quanto si è detto, parimenti lesiva della libertà di religione sarebbe l’esposizione nelle aule scolastiche di simboli di altre religioni. L’imparzialità dell’istituzione scolastica pubblica di fronte al fenomeno religioso deve rea lizzarsi attraverso la mancata esposizione di simboli religiosi piuttosto che attraverso l’affissione di una pluralità, che peraltro non potrebbe in con creto essere tendenzialmente esaustiva e comunque finirebbe per ledere la libertà religiosa negativa di coloro che non hanno alcun credo. Sebbene non possa negarsi che la contemporanea presenza di più simboli religiosi elide rebbe la valenza confessionale che si è detto avere l’esposizione del solo crocifisso.

In conclusione, ritenuta la mancanza di una norma sia essa di legge che di rango secondario che prescriva l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, considerato conseguentemente che non v’è preclusione alla condanna dell’Amministrazione ad un flicere, premessa la ricostruzione del diritto di libertà nell’attuale assetto costituzionale, ad avviso di questo Giu dice, deve ritenersi che sussista il /ìmius boiii iun per la concessione della cautela invocata dal ricorrente.

6.1. Quanto alla sussistenza dell’imminenza e dell’irreparabiità del pregiudizio lamentato dai ricorrenti, richiesto dall’art. 700 c.p.c., è invece necessario distinguere la posizione del ricorrente in proprio da quella dei fi gli minori. Solo in relazione a questi ultimi, infatti, può ritenersi sussista il requisito dell’imminenza del danno, che consente di accordare l’invocata cautela atipica, e che esso sia di tutta evidenza in considerazione della natu ra del bene giuridico leso (cfr. Pret. Monza, ord. 23 marzo 1990, cit.).

La valutazione della sussistenza del pericolo discende dall’accertata sussistenza dello scuotimento o della crisi del diritto di libertà di religione come si è cercata di delineare sopra.

Se il concetto di pericolo di risolve in un rapporto tra eventi, di cui il primo ossia l’evento lesivo denunciato si è già verificato, e l’altro, inve ce, futuro, nel caso all’esame di questo Giudice il giudizio probabiistico volto a porre in correlazione i due eventi è quanto mai agevole: vi è un gra do di probabilità assai elevato circa il permanere del suddetto simbolo con fessionale nelle aule della scuola pubblica, e quindi anche in quella di Ofena di cui si tratta, proprio in considerazione dell’orientamento espresso dall’amministrazione centrale con la Nota 3 ottobre 2002 prot. n. 2667 e del vincolo che la stessa determina per i dirigenti scolastici; ne consegue che continuerà a perpetrarsi la lesione al diritto inviolabile di religione dei pic coli alunni di fede islamica.

In altri termini, nel caso all’esame di questo Giudice, è la circostanza di fatto pacifica dell’esposizione del crocifisso nelle aule frequentate da Adam e Khaled Smith ad essere di per sé sufficiente per ritenere la sussi stenza dell’imminenza del pregiudizio.

A ciò si aggiunga che se un adulto può – in teoria – essere meno esposto a condizionamenti culturali, i più giovani, e in particolare gli alunni delle scuole elementari e medie, in assenza di convinzioni radicate, tendono a dare al simbolo religioso la valenza che gli è immediatamente propria. Come è stato lucidamente rilevato, affermare il contrario vorrebbe dire dare per scontata la formazione culturale e delle coscienze dei giovani, e quindi ritenere già realizzato lo scopo stesso dell’istruzione pubblica.

Il danno lamentato, poi, è per definizione irreparabile. Come più volte si è ripetuto, si è in presenza di un diritto di libertà assoluto e costitu zionalmente garantito, non suscettibile di essere risarcito in relazione alla le sione medio tempore patita. Non a caso, infatti, la domanda di merito proposta dal ricorrente è di risarcimento in forma specifica attraverso la con danna dell’Istituto convenuto alla rimozione del simbolo della croce, trat tandosi di lesione per definizione non risarcibile in termini economici.

A tal proposito non appare superfluo osservare che la rimozione del crocifisso, che il ricorrente invoca come indispensabile per prevenire la (ul teriore) lesione, è l’unica misura possibile per inibire la lesione del diritto di libertà dei figli minori, poiché l’alternativa sarebbe non far partecipare all’attività didattica i piccoli Adam e Khaled. In relazione al primo, in parti colare, non è neanche rimesso alla discrezione dell’utente (o dei genitori di questo) la scelta se fruire o meno del servizio di istruzione pubblica: infatti, la L. 31 dicembre 1962, n. 1859 prevede l’obbligo e prevede all’art. 8 la re sponsabilità dei genitori o di chi ne fa le veci – anche penale per l’istruzione elementare (art. 731 c.p.) – per l’adempimento dell’obbligo da parte dei figli minori per complessivi dieci anni (cfr. L. 20 gennaio 1999, n. 9).

6.2. Per quanto riguarda, invece, il ricorso presentato da Axx Smith in proprio, la circostanza che lo stesso non attenda ad attività didattica presso la scuola materna ed elementare Antonio Silveri di Ofena, che non abbia alcun obbligo di frequentarla e che possa, quindi, anche sottrarsi alla lesione lamentata non recandosi all’interno delle aule, deve far ritenere che non sussista in relazione alla posizione giuridica soggettiva dello stesso l’imminenza del pregiudizio.

Per tale ragione, questo Giudice deve rigettare il ricorso quanto alla domanda cautelare proposta dal ricorrente in proprio

7. Questo Giudice reputa opportuno chiarire, infine, chi sia il sog getto destinatario del j imposto dalla presente ordinanza.

Come noto, l’art. 21 della L. 15 marzo 1998, n. 59 ha attribuito la personalità giuridica, già prevista per gli istituti tecnici professionali e gli istituti statali, anche tra gli altri ai circoli didattici. In particolare, il comma 7 di detto art. 21 prevede l’autonomia «organizzativa e didattica» degli istituti.

Non possono esservi dubbi, quindi, che soggetto destinatario dell’ordine di rimozione in via cautelare dei crocifissi esposti nelle aule della Scuola materna ed elementare Antonio Silveri di Ofena è l’Istituto com prensivo di scuola materna ed elementare di Navelli, al quale detta scuola appartiene, e non il Ministero dell’istruzione.

8. Quanto alle spese di lite del presente procedimento, è necessario distinguere.

In relazione alla domanda cautelare proposta da Axx Smith in pro prio, in considerazione del rigetto della stessa per mancanza del requisito del pericolo, si deve provvedere con la presente ordinanza alla liquidazione delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 669-sep c.p.c. E questo Giudice reputa sussistere giusti motivi, da individuarsi nella particolare na tura della controversia, per compensarle interamente tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c..

Con riferimento, invece, alla cautela invocata dal ricorrente in nome e per conto dei figli minori, l’adozione di un provvedimento positivo da parte di questo Giudice determina che la statuizione in ordine alle spese è rimessa alla decisione dell’instaurando giudizio di merito.

P.Q.M.

– rigetta il ricorso proposto da Axx Sxx in proprio;

– in accoglimento del ricorso proposto da Axx Sxx quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori Adam Sxx e Khaled Sxx, condanna l’Istituto comprensivo di scuola materna ed elementare di Navelli, in persona del Dirigente scolastico pro temp ore, a rimuovere il crocifisso esposto nelle aule della Scuola statale materna ed elementare Antonio Silveri di Ofena frequentate dai suddetti minori;

– assegna termine di giorni trenta per l’inizio del giudizio di merito;

– compensa interamente tra Axx Sxx, quale ricorrente in proprio, e i resistenti le spese del presente procedimento;

– riserva di provvedere all’esito del giudizio di merito in ordine alle spese del procedimento proposto da Adam Sxx quale esercente la potestà genitoriale sui figli minori Adam Sxx e Khaled Sxx.

SI COMUNICHI.

L’Aquila, 22.10.2003

IL GIUDICE

(dott. Maiio iVtoiitaiiaro)