Imprese ed Aziende

Friday 03 September 2004

I saldi vanno fatti nel periodo indicato dalla legge, anche per i clienti in possesso di carte fedeltà. Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II ter, sentenza n. 6997/2004

I saldi vanno fatti nel periodo indicato dalla legge, anche per i clienti
in possesso di “carte fedeltà”

Tribunale Amministrativo Regionale
del Lazio, Sezione II ter, sentenza n. 6997/2004

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
DEL LAZIO – SEZIONE II ter

Composto dai Signori:

Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO
Presidente rel.

Consigliere Paolo RESTAINO
correlatore

Primo referendario Silvia MARTINO correlatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 508 del 2004 proposto
dalla COIN S.p.A., in persona del legale
rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Enrico Romanelli,
Gabriele Pafundi e Alfredo Bianchini ed elettivamente
domiciliata presso lo studio dei primi due in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14.

CONTRO

– il Comune di Roma, in persona del
Sindaco p.t., rappresentato
e difeso dall’avv. Pietro Bonanni ed elettivamente
domiciliato presso gli studi dell’avvocatura comunale in Roma, via del Tempio
di Giove n. 21;

per l’annullamento

– della determinazione dirigenziale del
Comune di Roma, Dipartimento VIII, n. 26 del 14.1.2004 che dispone la
sospensione per la durata di giorni cinque dell’attività di vendita presso
l’esercizio Coin s.p.a. siton
in Roma, piazzale Appio n. 7 – via Magna Grecia n. 2;

Visto il ricorso con i relativi
allegati;

Visto l’atto di costituzione in
giudizio dell’Amministrazione resistente;

Viste le memorie prodotte dalle
parti;

Visti i motivi aggiunti depositati
dalla ricorrente;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi, alla
pubblica udienza del 16 febbraio 2004, con designazione del Presidente Roberto Scognamiglio relatore della causa, gli avv.ti come da verbale di udienza;

Ritenuto in fatto e in diritto quanto
segue:

FATTO e DIRITTO

1. Con due separati accertamenti
effettuati nell’esercizio commerciale di piazzale Appio, nelle date del 7 e 8
gennaio 2004 il terzo gruppo del Servizio ispettivo annonario del comune di
Roma elevava due distinti processi verbali con i quali contestava
alla ricorrente la violazione degli articoli 46 e seguenti della legge della
regione Lazio 18 novembre 1999 n. 33 e dell’art. 15 del decreto legislativo 31
marzo 1998 n. 114 per avere effettuato una vendita straordinaria di fine
stagione in periodo non consentito.

Invero, ai sensi dell’art. 12 della
legge regionale 25 maggio 2001 n. 12, che modifica il
primo comma dell’art. 48 della citata legge regionale 33 del 1999, in tutto il
territorio della regione le vendite di fine stagione, che riguardano i prodotti
di carattere stagionale o di moda suscettibili di notevole deprezzamento se non
venduti entro un certo periodo di tempo, hanno inizio, per il periodo
invernale, a partire dal secondo sabato del mese di gennaio (nel caso di
specie: 10 gennaio 2004) e possono avere una durata massima di sei settimane
consecutive.

Contro gli anzidetti processi verbali la società COIN proponeva ricorso ai sensi dell’art.
18 della legge 24 novembre 1981 n. 689.

In relazione a questa reiterata condotta il
dipartimento VIII° del comune applicava, con il
provvedimento in questa sede impugnato, la sanzione accessoria della
sospensione dell’attività di vendita al pubblico per avere riscontrato nel caso
in esame la fattispecie della recidiva come definita dall’art. 22, comma
secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114, modificato dall’art. 79,
comma terzo, lettera c), della legge regionale 16 aprile 2002 n. 8.

Ai fini dell’applicazione della anzidetta sanzione accessoria l’amministrazione
comunicata alla ricorrente, con nota del 10 gennaio 2004, l’avvio del
procedimento ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990 n. 241,
conferendo un termine per le controdeduzioni, fissato
per le ore 13,00 del giorno 12 gennaio 2004.

Con il provvedimento impugnato
(determinazione dirigenziale 14 gennaio 2004 n. 26) l’amministrazione, dopo
avere esaminato attentamente la memoria difensiva tempestivamente depositata
dalla società COIN e richiamato un parere dell’avvocatura comunale, espresso
con nota 5 gennaio 2004 n. 265
in relazione ad iniziative di vendita in prossimità
della data prevista per l’inizio delle vendite di fine stagione a favore di una
ristretta cerchia di clienti possessori di apposita
tessera che ne attesta la "fedeltà" (consuetudine agli acquisti nel
medesimo esercizio commerciale), comminava la chiusura dell’esercizio per la
durata di giorni cinque a decorrere dal 19 gennaio 2004.

Contro il detto provvedimento
la società COIN ricorreva con atto notificato il 15 gennaio 2004,
depositato nello stesso giorno lamentando eccesso di potere, sviamento per
irragionevolezza, violazione dell’art. 50 della legge regione Lazio 18 novembre
1999 n. 33, violazione dell’art. 49 della citata legge regionale 33 del 1999 e
difetto di motivazione.

L’esecuzione dell’atto impugnato era
sospesa in via provvisoria con decreto presidenziale 16 gennaio 2004 n. 230.

La ricorrente ha presentato ulteriori motivi di censura entro il termine per ricorrere.

Le parti hanno depositato ampie
memorie a sostengo delle rispettive tesi difensive.

Alla udienza pubblica del 16 febbraio
2004, fissata previa rinuncia delle parti ai termini processuali, il ricorso è
stato trattenuto in decisione.

2. Il commercio è attività di scambio
di merci e capitali esercitata a scopo di lucro ed esplicata
generalmente mediante atti di compravendita. Esso serve da elemento di raccordo
tra la produzione e consumo ed è tipica espressione della libertà di iniziativa economica garantita dalla Costituzione,
soggetta ai limiti e alle limitazioni in presenza dei presupposti indicati
dalla legge ovvero sulla base della legge a tutela di interessi meritevoli di
essere considerati in modo particolare e che rischierebbero di essere
pregiudicati dall’esercizio del commercio senza controlli e rimesso al mero
arbitrio degli operatori.

In questo specifico settore
dell’economia privata la pubblica amministrazione svolge una azione
penetrante di coordinamento, la quale senza giungere a forme di direzione e di
manovra assume concretezza nei poteri di vigilanza e, in taluni casi (per lo
più desueti), di programmazione, che le competono, i quali si concludono con
una valutazione sulla stessa ammissibilità del privato all’esplicazione
dell’attività anzidetta.

Il sistema nella sostanza non è
cambiato anche a seguito della profonda pseudo-liberalizzazione
introdotta dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114 in attuazione dell’art.
4, comma quarto, della legge 15 marzo 1997 n. 59, con la quale, a differenza di altri settori rimasti, per dissonanza legislativa,
soggetti a vincoli, autorizzazioni preventive e altre limitazioni, è stata
sottratta a questo settore la intima razionalità di un vero sistema liberale
volto ad assicurare, nel rispetto della legge, un equilibrio tra quanti
investono la propria esistenza e il patrimonio in una attività che ha notevoli
rilievi di pubblico interesse e che è soggetta (a rischio esclusivo degli
operatori) a un regime di accentuata concorrenza.

Senza considerare i casi eccezionali,
come le limitazioni (disposte, ad esempio, col calmiere, che è un sistema di
contenimento dei prezzi) ovvero il divieto di commercio di determinate merci
(ad esempio, armi da guerra, stupefacenti), l’attività del commercio resta comunque soggetta a una puntuale disciplina per assicurare
alla rete distributiva un assetto ordinato attraverso la realizzazione di
molteplici obiettivi, quali la produttività e l’efficienza dell’intero settore,
la difesa contro azioni fraudolente o di mera turbativa, il rispetto della
concorrenza e l’equilibrio tra le varie forme di offerta, la considerazione
delle situazioni socio-economiche e del territorio eventualmente coinvolto, il
contenimento dei prezzi e, infine, la tutela del consumatore.

E’ nutrito l’art. 2 della legge della
regione Lazio 18 novembre 1999 n. 33, che interessa il caso di specie, laddove
elenca le molteplici finalità perseguite dalle disposizioni che disciplinano le
funzioni e i compiti amministrativi in materia di commercio, nel rispetto dei
principi fissati dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114.

Conviene sin da ora chiarire che tra
la congerie delle disposizioni citate, la maggior parte di esse
non sono poste a tutela diretta del consumatore, bensì ad assicurare l’ordine
nell’esercizio del commercio, dal quale indirettamente trae beneficio lo stesso
consumatore.

3. Una particolare attenzione è
dedicata dal legislatore a forme straordinarie di vendita che, se
incontrollate, possono anche alterare l’equilibrio dell’offerta a danno degli
operatori del settore (gli altri commercianti, i
fornitori, i dipendenti dell’azienda), con possibile (ma ultima) ricaduta
negativa sugli stessi consumatori.

Le forme particolari di vendita,
disciplinate dall’art. 15 del decreto legislativo 114 del 1998 e, nella regione
Lazio, dal capo I° del titolo IV della legge
regionale 33 del 1999, sono le vendite di liquidazione, di fine stagione, le
promozionali e le altre vendite con le quali il dettagliante offre
i prodotti a condizioni favorevoli di acquisto.

Sono, queste, strategie commerciali
che tendono a conseguire un abnorme incremento delle vendite, facendo leva
sulle "condizioni favorevoli di acquisto"
che sono all’evidenza fuori dai confini di quel normale spazio di trattativa
entro il quale il commerciante può muoversi senza rinnegare le finalità del suo
commercio.

E’ noto, infatti, che lo spirito
dell’attività commerciale è quello di offrire un prodotto al consumatore a un prezzo che, oltre a coprire il costo di acquisto, gli
oneri tributari, le spese tutte (locali, utenze, pubblicità, personale) dia il
giusto profitto per remunerare il lavoro e il capitale impiegato.

All’interno di quei confini,
l’autonomia privata consente al commerciante di contrarre gli utili
(abbassando, quindi, il prezzo di vendita) allo scopo di attirare la clientela,
sviandola dalla concorrenza.

Pertanto, lo sconto, l’ampiezza della
dilazione di pagamento, la parziale gratuità della stessa (tasso zero), la
mancata richiesta di anticipo sul prezzo, la rinuncia
(a proprio rischio) alle garanzie (patto di riservato dominio, effetti
cambiari, avallo di terzi, cessione del credito a istituti finanziari), la
gratuità del trasporto a domicilio e del montaggio, le offerte speciali (paghi
due, ne acquisti tre) e le altre (normali) "condizioni favorevoli di
acquisto" che agiscono in definitiva sul prezzo e mirano a prevalere sulla
concorrenza, sono azioni lecite senza possibilità di essere contrastate.

Diverso è il discorso relativo alle
condizioni "troppo" favorevoli di acquisto,
destinate a spiazzare la concorrenza perché capaci di attirare con forza
abnorme la clientela interessata a benefici non consueti.

E’ evidente che in questi casi il
controllo da parte della legge e dell’amministrazione deputata alla disciplina
del commercio si impone in misura maggiore. E’
necessario, infatti, allo scopo di assicurare l’ordine nel settore, accertare
che dietro le operazioni anomale non si nascondino
fini illeciti.

Contrastano tali fini le disposizioni
che pongono limiti ai "richiami" e alle inserzioni pubblicitarie
relative (divieto di riferimento a procedure fallimentari; indicazione del tipo
di offerta di vendita straordinaria, che sono
nominativamente predeterminate dalla normativa) ed esigono particolare
trasparenza nella pubblicità dei prezzi (indicazione del prezzo originario,
della percentuale di ribasso e del nuovo prezzo ribassato).

Il commerciante che
"svende" la propria merce senza una ragione plausibile (cessazione
dell’attività, cessione dell’azienda, riconsegna dei locali, rinnovo delle
attrezzature, smaltimento delle rimanenze di magazzino, alleggerimento delle
scorte che ingombrano i depositi e altro) potrebbe agire per fini che
disturbano la catena commerciale (oggi detta "filiera").

Si pensi al venditore che ha
acquistato dal fornitore un ingente quantitativo di merce, avvalendosi di una
considerevole agevolazione sui tempi di pagamento; che liquida la merce con una
vendita straordinaria per poi sparire in stato di insolvenza.

Il consumatore è involontario quanto
inconsapevole fruitore dei benefici di una truffa
(salvi i casi di incauto acquisto). In primo piano sono, invece, danneggiati
quanti hanno intrecciato rapporti col commerciante disonesto, che con
operazioni azzardate e senza scrupolo disgrega l’ordinato procedere
dell’attività commerciale sulla piazza.

E’ questo il motivo per il quale i
riferimenti alla tutela dei consumatori vanno intesi in modo corretto e, in
ogni caso, collegati a norme specifiche di tutela diretta.

4. Per entrare nel vivo della
controversia, è utile premettere che le vendite di fine stagione (così detti
"saldi") sono indubbiamente operazioni anomale che, mosse dagli scopi
indicati dalla legge (vendita di prodotti di carattere stagionale o di moda,
suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di
tempo), procedono con lo strumento dell’abbassamento anomalo del prezzo
(vendita "sotto costo" o comunque a un prezzo
non sufficientemente remunerativo per tenere in piedi un’attività commerciale).

Gli effetti di simile operazione sono
quelli di un grosso impatto sulla concorrenza a motivo della
forte attrazione di clientela.

Il prezzo è, infatti, il maggior
richiamo del consumatore quando questi propende per il prezzo più conveniente
ovvero presume di essere capace di individuare una
analogia tra prodotti generalmente differenti che vengono proposti a prezzi non
eguali.

Il legislatore disciplina la
fattispecie per evitare che si scateni una "guerra dei prezzi", con
inevitabile disorientamento del consumatore (effetto indiretto) e alterazione
della concorrenza e dell’ordinato assetto dell’apparato distributivo (effetto
diretto).

I saldi di fine stagione sono,
pertanto, disciplinati in maniera omogenea dalle regioni (art. 15, comma sesto,
del decreto legislativo 114 del 1998) e sono consentiti entro un arco di tempo predeterminato.

Nel caso di specie, l’art. 48 della
legge regionale 33 del 1999, come modificato dall’art. 12 della legge regionale
25 maggio 2001 n. 12, fissa due occasioni annuali di vendita di fine stagione
della durata massima di sei settimane consecutive "a
partire dal secondo sabato del mese di gennaio per il periodo
invernale" e del "secondo sabato del mese di luglio per il periodo
estivo".

La vendita di fine stagione deve
essere preceduta da comunicazione al comune, inviata almeno 5 giorni prima
dell’inizio dell’offerta, e contenente le indicazioni elencate nell’art. 48, comma terzo, della citata legge regionale 33 del 1999,
comprese quelle liberamente determinate dal commerciante (art. 12 legge
regionale 12 del 2001).

5. La controversia in esame prende le
mosse dal convincimento della società ricorrente di potere anticipare il
periodo della vendita straordinaria di fine stagione a favore di una propria
selezionata clientela, considerando simile facoltà espressione della libertà di iniziativa economica.

Per questo motivo essa si è opposta
ai due verbali di accertamento di violazione dell’art.
49 della legge regione 33 del 1999 con riferimento all’art. 22 del decreto
legislativo 114 del 1998, elevati dal servizio ispettivo dell’VIII° Dipartimento (commercio, annona e mercati) in giorni
consecutivi (7 gennaio 2004 alle ore 11,00 e 8 gennaio 2004 alle ore 13,00);
nonché dinnanzi a questo giudice amministrativo, al provvedimento indicato in
epigrafe, col quale le è stata comminata – ai sensi dell’art. 50, comma
secondo, della legge regionale 33 del 1999, come modificato dall’art. 79, comma
terzo, lett. c), della legge regionale 16 aprile 2002 n. 8 – la sanzione
accessoria della sospensione dell’attività di vendita per un periodo di giorni 5 a decorrere del 19 gennaio
2004.

L’esecuzione della sanzione è stata
sospesa con decreto cautelare.

6. E’ bene cominciare col chiarire che l’attività promozionale legata all’uso
della speciale "carta-fedeltà" è perfettamente legittima.

La ricorrente, infatti, alla
clientela disposta a declinare le proprie generalità e
a essere iscritta in un elenco che ne attesti una certa assiduità negli
acquisti (senza, peraltro, alcun obbligo di effettuarne) elargisce una serie di
vantaggi: facilitazione di pagamento; servizi aggiuntivi gratuiti (piccole
modifiche di sartoria, cifratura della camicie,
consegna a domicilio, consulenza turistica, parcheggio); accesso al credito
offerto da società finanziarie collegate e in particolare, il beneficio di
sconti sui prezzi di vendita (ad esempio: sconto del 10% all’inizio di stagione
per rinnovare il guardaroba; ulteriore sconto del 5% e del 10% nel caso di
acquisti superiori a un certo importo).

Non vi è dubbio che il sistema della
tessera costituisce una strategia di cura della clientela che ogni impresa, che
intende fornire ai propri clienti l’accesso a particolari vantaggi, è libera di
adottare in qualunque momento dell’anno nell’esercizio della sua autonomia
privata.

A ben vedere, si tratta di piccoli
vantaggi che l’azienda recupera sul prezzo di vendita ovvero su una leggera
contrazione degli utili ben compensata dal possibile incremento delle vendite.

In particolare, la contrazione degli
utili è una scelta di tecnica commerciale indiscutibilmente lecita
dell’imprenditore, che punta ad aumentare il volume degli affari e a mettere
sotto pressione la concorrenza, che si vede costretta ad
adeguarsi al sistema per non essere esclusa dal mercato.

Quanto è stato ora detto non consente di attribuire al sistema della tessera di
fedeltà il carattere di una "vendita promozionale".

Quest’ultima forma di vendita, che ha pure
carattere straordinario, è trattata quando l’azienda
ha necessità di lanciare sul mercato un nuovo prodotto, che la clientela con
difficoltà è disposta ad accettare.

Il motivo della diffidenza può
dipendere dalla circostanza che viene offerto un
prodotto non ancora conosciuto ovvero sull’utilità (vera o solamente fatta
credere) del quale l’utente non ha ancora chiara cognizione.

In simili occasioni il vantaggio di
diffondere il prodotto in vista di future affermazioni compensa il minor
guadagno sin dall’inizio preventivato.

E’ frequente, in questi casi, che lo
sconto ecceda la normale riduzione del prezzo che
ciascun commerciante è disposto a concedere per non disperdere la clientela.

Pertanto, i vantaggi collegati al
possesso della carta riservata alla clientela, frutto di abile
suggestione indotta nei potenziali acquirenti, rientrano in un normalissimo
sistema di sconti, il quale sostituisce il consueto gioco della trattativa,
peraltro poco adatto a operatori della grande distribuzione.

In definitiva, al di fuori dei casi
di vendite straordinarie, il cliente si sente ammesso, con l’uso della carta, a
riduzione di prezzo che non avrebbe potuto ottenere
dalla grande distribuzione (anche se si tratta della stessa riduzione che
otterrebbe presso la piccola distribuzione intavolando trattative dirette con
il commerciante); si sente parte privilegiata della clientela, alla quale
soltanto (illusoriamente) viene accordata una
particolare fiducia, una significativa attenzione, un occhio di tutto riguardo.

Trattandosi di mere suggestioni, risulta evidente quale sia nell’affare il contraente davvero
avvantaggiato.

Una volta
contattato il
"cliente fedele" la possibilità di offrire una vastissima gamma di
prodotti (cosa che può fare solo la grande distribuzione) determina l’accentuarsi
di una propensione all’acquisto che rende concreta quella "fedeltà" e
che, a dire il vero, si basa sul niente, come dimostra il liberissimo accesso
alle stanze segrete dei privilegi.

7. Non altrettanto può dirsi quando le offerte di vendite straordinarie (nelle
diverse tipologie indicate nell’art. 46 della legge regionale 33 del 1999)
integrino per loro stesse un illecito.

Sul punto che le vendite di fine
stagione al di fuori del limitato arco di tempo
consentito dalla legge regionale 33 del 1999 sulla base della attribuzione di
competenze disposte in forza dell’art. 15, comma sesto, del decreto legislativo
114 del 1998, costituiscano un illecito amministrativo non ha mestieri
soffermarsi.

Come pure non è in discussione nel
caso di specie la consapevolezza della ricorrente di quale fosse
il periodo di tempo entro il quale è possibile lanciare una campagna di saldi
di fine stagione nella regione Lazio.

E invero, con lettera del 12 dicembre
2003 il rappresentante del gruppo commerciale comunicava che "nel periodo
che va dal 10 gennaio al 21 febbraio 2004 verrà
effettuata una vendita di fine stagione (saldi) presso il nostro negozio di
Roma, piazzale Appio 7, con sconti alla cassa dal 20% al 50%.

8. La ricorrente sostiene (nel terzo
mezzo di censura con rubrica: "Violazione dell’art. 49 della legge
regionale Lazio 18 novembre 1999 n. 33) che, fermo restando l’obbligo di
restringere entro un arco di tempo predeterminato le
offerte speciali dirette al pubblico indiscriminato, nessuna norma (regionale o
statale) attribuisce carattere di illiceità alle vendite di liquidazione, alle
vendite di fine stagione o promozionali riservate a una limitata categoria di
clientela, selezionata attraverso il rilascio di apposita carta-fedeltà.

In questo caso, continua la ricorrente,
l’offerta speciale può essere lecitamente disposta in qualsiasi momento
dell’anno, come dimostrerebbero le indisturbate iniziative promozionali di una
nota catena di supermercati alimentari che raccoglie
la propria affezionata clientela nel club "spesamica".

Il paragone tentato dalla ricorrente
è inconferente atteso che quello segnalato è un normale caso di
agevolazioni attraverso buoni-sconto, raccolta di punti
("operazioni-premio") e altre iniziative in un settore (alimentare)
nel quale, come pare ovvio, non sono immaginabili vendite…di fine stagione
(come argutamente chiosa in udienza l’avvocato del comune: le mozzarelle a fine
stagione….sanno di stantio!).

E’ pertanto da escludere che la tesi
sostenuta dalla ricorrente abbia serio costrutto.

Questo non tanto con riferimento alla
facilità con la quale è possibile ottenere la carta
(si è detto che è sufficiente declinare le proprie generalità: anche se questo
può non piacere a tutti), quanto al fatto che la carta è pur sempre una
occasione offerta al pubblico. Vero è che non si mette in dubbio la libertà del
gestore di cedere a prezzo vile merce ai propri parenti e amici (anche se
questo non pare agevole quando proprietario
dell’azienda sia una società di grandi dimensioni), ma nel caso di specie la
mera selezione della clientela non pare idonea a denaturare una attività di
vendita al pubblico.

Non vi sono legami personali tra i fruitori della carta e i titolari dell’azienda: il rapporto
con il pubblico permane inalterato, con l’aggravante che distinguere la
clientela come vorrebbe la ricorrente, nel senso che a taluni sarebbero
consentiti acquisti che non sono consentiti ad altri, finirebbe per infrangere
anche l’obbligo generalizzato di vendita al pubblico nel rispetto dell’ordine
temporale delle richieste ai sensi dell’art. 3 del decreto legislativo 114 del
1998. La libertà di iniziativa economica non giunge
fino al punto di inventare una categoria di non-pubblico tra il pubblico dei
consumatori.

Per superare l’attaccamento eccessivo
dimostrato dalla ricorrente alla propria tesi, è sufficiente trasferirsi nel
vicino campo dell’illecito penale.

E intuibile quanto basso possa essere
il costo della merce ricettata, commisurato al mero compenso corrisposto al
ladro per la sua (illecita) prestazione.

Sulla merce ricettata il rivenditore
può agevolmente spuntare prezzi davvero imbattibili.

Si immagini, a questo punto, una azienda
che lontana dall’offrire merce ricettata al pubblico, la riservi in esclusiva
alla schiera della propria affezionata clientela opportunamente selezionata:
l’illecito penale rimane; così come, nel caso in esame, l’illecito
amministrativo non viene meno.

Solo per completezza (perché è fatto
estraneo alla controversia) va detto che l’ulteriore
agevolazione offerta esclusivamente ai tesserati "Serate Coincard", durante le quali "i negozi resteranno
aperti in orari speciali: così potrai fare aquisti in
tutta tranquillità e con lo sconto del 10%; riceverai di volta in volta un
invito personale con la data e l’orario di apertura riservato" stride
rozzamente contro l’obbligo degli orari di vendita, la violazione dei quali il
comune ha l’obbligo di sanzionare con fermezza.

Il tesseramento non è atto idoneo a
trasfigurare il pubblico dei consumatori.

9. E’ il momento di affrontare la
controversia sulla base delle censure proposte non senza chiarire in
preliminare che oggetto dei rilievi dell’amministrazione non è il sistema degli
sconti praticati tutto l’anno a vantaggio dei clienti tesserati, bensì la
violazione dei limiti temporali entro i quali sono consentite
nella regione Lazio le vendite straordinarie di fine stagione nel periodo
invernale 2004.

Non può, pertanto, essere seguita la ricorrente quando contesta all’amministrazione di confondere
il sistema degli sconti e vantaggi che il programma della "coincard" riserva tutto l’anno alla propria clientela
selezionata (vantaggi dai quali è escluso il pubblico non tesserato) con
l’anticipo dei saldi semplicemente perché gli ispettori avrebbero accertato
l’esistenza del detto sistema in due giorni (7 e 8 gennaio 2004) nei quali i
saldi di fine stagione non sono consentiti secondo le inequivocabili
indicazioni dell’art. 12 della legge regionale 25 maggio 2001 n. 12 (di
modifica dell’art. 48, comma primo, della legge regionale 33 del 1999).

E’ il caso di osservare, a questo
proposito, che non è richiesta alcuna deliberazione comunale per fissare
termini già predeterminati rigidamente dalla normativa regionale.

Ancora come considerazione
preliminare è da ricordare da un lato come sia stata
la stessa ricorrente a comunicare la data di inizio dei propri saldi a
decorrere dal 10 gennaio 2004 (lettera del 12 dicembre 2003), dall’altro come
sia propria della strategia di vendita della ricorrente l’illecita
anticipazione dei saldi ("una speciale anteprima dei saldi invernali e di
quelli estivi, che ti permette di scegliere tra tanti capi già scontati
segnalati con il cartellino "vantaggio COINCARD": si legge
nell’opuscolo "Coincard, un mondo di
privilegi").

Né può sfuggire che gli sconti offerti
nella pure dichiarata anticipazione dei saldi, sia pure a favore dei soli
clienti tesserati, sono di entità (dal 20% al 50%) che
non si limitano agli sconti strimenziti offerti tutto
l’anno agli ipotetici clienti fedeli (dal 5% al 10%).

Giova, infine, osservare che nessun
legittimo affidamento può derivare alla interessata
dalle inadempienze dell’amministrazione comunale, la quale non sarebbe mai
intervenuta in via preventiva dinanzi agli illeciti vantaggi publicizzati "in modo chiaro e inequivocabile, alla
luce del sole e senza che le fosse mai stata contestata la legittimità di
questo sistema di sconti" ovvero dai ritardi, se non dalle omissioni nella
definizione dei ricorsi promossi dalla stessa avverso precedenti verbali di
accertamento del 2000 e del 2001.

Nessun beneficio può essere reclamato
sulla base della efficienza della amministrazione
comunale.

10. Dopo le ampie premesse, rese
necessarie per inquadrare la fattispecie in esame, si riferisce che è impugnato
il provvedimento del dipartimento VIII indicato in epigrafe col quale,
constatata la persistenza della violazione delle disposizioni in materia di
vendite straordinarie di fine stagione (come risulta
da due processi verbali elevati nelle date del 7 e 8 gennaio 2004, nei quali
era stata accertata la illecita anticipazione dei saldi di fine stagione)
veniva comminata, nella misura minima, la sanzione accessoria della sospensione
dell’attività di vendita prevista dall’art. 50, comma secondo, della legge
regionale 18 novembre 1999 n. 33, introdotto dall’art. 79, comma terzo, lett.
c), della legge regionale 16 aprile 2002 n. 8.

Dopo avere ricordato di avere
proposto immediatamente (in data 8 e 9 gennaio) due distinti ricorsi ai sensi
della legge 24 novembre 1981 n. 689 avverso rispettivamente il primo e il
secondo verbale del servizio ispettivo annonario, la ricorrente espone di avere ricevuto comunicazione del 10 gennaio 2004
di avvio del procedimento di irrogazione della sanzione accessoria con
assegnazione del termine per dedurre entro le ore 13,00 del giorno 12 gennaio
2004.

Nei pur ristretti termini concessi,
la ricorrente presentava ampia memoria nella quale contestava la legittimità
dell’iniziativa capitolina.

Con il provvedimento impugnato,
adottato il 14 gennaio 2004, l’amministrazione, assumendo di avere esaminata
attentamente la memoria difensiva della interessata,
comminava la sospensione dell’attività di vendita per la durata di giorni
cinque a decorrere dal 19 gennaio 2004.

Avverso il detto provvedimento
la ricorrente muoveva con un primo atto, notificato il 15 gennaio 2004 a mezzo autorizzato di
fax e depositato lo stesso giorno, quattro motivi di doglianza, ai quali
seguivano altri motivi notificati il 4 e 5 febbraio 2004 e altri ancora il 13
febbraio 2004, impropriamente definiti "motivi aggiunti", atteso che
si tratta di ulteriori motivi di ricorso notificati entro il termine di
decadenza per impugnare il provvedimento del 14 gennaio 2004.

Il Collegio ritiene corretto seguire,
nell’esame delle doglianze, l’ordine proposto dalla ricorrente.

11. Con il primo mezzo di censura
(eccesso di potere; sviamento per irragionevolezza) la ricorrente si duole
della precipitosità del procedimento in assenza di una esigenza che imponesse l’irrogazione della sanzione
entro il brevissimo termine di appena undici giorni dalla commissione del primo
illecito, con provvedimento adottato con il fiato sul collo dopo soli sette
giorni.

Sarebbe evidente lo sviamento di
potere perché da un lato il procedimento sanzionatorio è stato adottato senza
consentire una adeguata difesa e senza che l’urgenza e
la ristrettezza dei tempi fosse altrimenti giustificata; dall’altro perché la
sanzione è stata comminata al manifesto scopo di arrecare alla società un danno
maggiore di quello che in ogni caso sarebbe inferto con la chiusura in
qualsiasi periodo dell’anno, in luogo di quello artatamente prescelto dei saldi
invernali, nel quale il movimento commerciale che in quel periodo si determina
è notoriamente intenso.

La ricorrente ha perfettamente
ragione.

E’ vero che quando irroga
la sanzione di sospendere l’attività commerciale l’amministrazione non è tenuta
a scegliere in concreto i giorni della sospensione per non produrre danni
eccessivi alla azienda.

La amministrazione non potrebbe, ad
esempio, disporre la sospensione per i primi giorni di freddo e pioggia,
considerato il naturale rallentamento degli affari in giornate che non invitano
il pubblico a dedicarsi agli acquisti.

Se questo è vero, è vero anche che la
sanzione deve essere applicata alla conclusione (normale; entro i tempi tecnici
necessari) del relativo procedimento, senza inspiegabili e inconsuete
precipitazioni per provocare dolosamente al soggetto sanzionato un danno
maggiore di quello dovuto.

Nel caso di specie è fin troppo
evidente la deliberata scelta dell’amministrazione di affrettare la conclusione
del procedimento senza alcun motivo per colpire l’azienda proprio durante il
periodo dei saldi, notoriamente ricco per gli affari
di questo genere.

E’ il caso di ricordare che la stessa
ricorrente aveva preannunciato in data 12 dicembre
2003 la vendita di fine stagione per l’arco di tempo dal 10 gennaio al 21
febbraio 2004.

Pertanto, già da quella data
l’amministrazione, a perfetta conoscenza del programma di anticipo
dei saldi largamente diffuso con mezzi pubblicitari, avrebbe dovuto diffidare
la società a correggere l’iniziativa con provvedimento da valere, a tutti gli
effetti, come diffida e avvio del procedimento, sia pure sotto condizione
dell’accertamento della effettiva anticipazione.

Né è possibile negare l’intendimento
dell’amministrazione quale risulta dal complessivo
atteggiamento del dipartimento VIII, portato avanti da uno zelante funzionario
e avallato dai vertici, ai quali l’esperienza avrebbe dovuto suggerire che in
ogni occasione l’amministrazione deve agire con distacco e imparzialità, senza
farsi coinvolgere da spinte emotive originate piuttosto dalla incapacità di
applicare le norme nel rispetto dei canoni di buona amministrazione.

E’ difatti l’eccesso di potere, non
la violazione di legge, che vizia il procedimento sanzionatorio portato avanti
con rapidità ingiustificata per raggiungere lo scopo di produrre un danno
aggiuntivo (non previsto dalla normativa) attraverso la chiusura dell’esercizio
proprio nei giorni di maggiore affluenza di pubblico e con disprezzo dei più
elementari diritti del soggetto (sia pure giustamente) da colpire.

Non vale, è ovvio, rispondere che la
ricorrente, pure stretta in tempi giugulatori, ha comunque adempiuto e che, pertanto, non ha motivo di dolersi
contro la ristrettezza dei tempi concessi per le difesa.

La poderosa dimensione dell’azienda
ha consentito a quest’ultima di non essere messa
all’angolo, ma l’inusitata ristrettezza dei tempi rimane nel caso di specie
come sintomo dell’animo di nuocere che ha mosso
l’ufficio con interventi di una tempestività poco usuale nel costume
dell’amministrazione capitolina.

E’ sufficiente leggere la nota 23
gennaio 2004 n. 2830 del dipartimento VIII, nella quale si offre una lettura
della legge regionale 33 del 1998 che impinge in
motivazioni pseudo – sociali, laddove si immagina che l’obiettivo della norma sia quello di
"mettere in condizione tutti i consumatori di acquistare qualsiasi tipo di
prodotto, anche quelli più costosi".

In particolare, dimenticando l’esigenza
del venditore di smobilitare il capitale investito in prodotti usciti dal
mercato (perché passati di moda o espressione di tecniche superate)
l’amministrazione attribuisce alle liquidazioni di fine stagione il significato
di un "pratica" che dovrebbe avere un "risultato sociale",
come tale da non asseverare alla "logica privata di chi vende solo a chi
può permetterselo".

Pertanto, riservare ad alcuni la
possibilità di usufruire di sconti per l’acquisto di prodotti "di
carattere stagionale o di moda, suscettibili di notevole deprezzamento se non
venduti entro un certo periodo di tempo, implica la impossibilità
per gli altri consumatori di accedere a detti prodotti e, comunque, la
possibilità di accedervi solo nel caso che gli stessi risultino invenduti ai
consumatori privilegiati".

Considerazioni fuori luogo, come
l’invocazione di un "segnale forte che questa amministrazione
vuole dare al mondo del commercio", che attraverso la carta fedeltà
"o altro analogo stratagemma" seleziona la propria clientela e
rischia di "fare regredire il commercio a una pratica senza alcun risvolto
sociale".

Se questo è lo spirito col quale è stato affrontato l’affare, si capisce che l’esame
della memoria difensiva depositata dalla ricorrente in data 12 gennaio 2004
(così recita il quinto capoverso delle premesse dell’atto impugnato) è stato tutt’altro che "attento" e pieno di pregiudizi.

Adeguate correzioni agli eccessi
degli uffici sono introdotte dalle misurate difese dell’Avvocatura comunale,
alla quale va dato atto di avere ricondotto la controversia entro i giusti
limiti.

11. Il vizio del procedimento
accertato al paragrafo precedente assorbe le ulteriori
censure proposte in ricorso (nonché nei motivi aggiunti) e, in particolare, la
seconda censura di violazione dell’art. 50 della legge regionale 33 del 1999
con riferimento alla sussistenza della recidiva.

Sul tema la ricorrente tornerà con i
secondi motivi aggiunti notificati il 13 febbraio 2004.

D’altra parte la ricorrente ha ora
disponibile i tempi materiali per apportare i necessari correttivi alle
violazioni accertate e certamente si asterrà dal proseguire nel suo
comportamento illecito in occasione della prossima tornata di saldi del mese di luglio 2004.

Infatti, l’annullamento dell’atto
impugnato in questa sede per l’uso distorto di un potere del quale
l’amministrazione certamente dispone non elimina il fatto materiale che, se
reiterato, nel corso dell’anno (ovviamente non necessariamente inteso come anno
solare, ma come arco di tempo di dodici mesi), darà
motivo all’amministrazione stessa, questa volta svincolata da obblighi di avvio
del procedimento o di ingiunzioni a porre fine all’attività illecita (si
ricordi che il sistema dell’anticipo dei saldi è strategia commerciale
dichiarata), di intervenire in presenza di una accertata recidiva e con la
sanzione che non avrebbe più senso limitare alla misura minima, attesa la
illiceità dell’eventuale insistenza del comportamento della ricorrente, la
quale dimostrerebbe in tale caso una inequivocabile pervicace volontà di
violare la legge e turbare l’ordinato assetto della concorrenza nel commercio.
Le restanti censure restano assorbite.

Le spese del giudizio possono essere
compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale
del Lazio sez. II ter, ACCOGLIE il ricorso in
epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato in questa sede.

Spese compensate.

Così deciso in Roma
dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione seconda ter – nella camera di consiglio del 16 febbraio 2004 con l’intervento dei signori
magistrati elencati in epigrafe.

Consigliere Roberto SCOGNAMIGLIO
Presidente estensore:

Depositata in Segreteria il 15 luglio
2004