Penale

Friday 13 February 2004

False generalità . Per condannare, la Cassazione non ritiene necessaria la prova dell’ identità reale dell’ imputato. Cassazione Sezione quinta penale (up) sentenza 22 ottobre 2003-5 febbraio 2004

False generalità. Per condannare, la Cassazione non ritiene necessaria la prova dell’identità reale dell’imputato

Cassazione – Sezione quinta penale (up) – sentenza 22 ottobre 2003-5 febbraio 2004

Presidente Calabrese – relatore Sica

Pg De Sandro – ricorrente Pm in proc. Ali Rafour

Ritenuto in fatto

Il giudice monocratico del Tribunale di Bergamo, con sentenza resa in data 5 dicembre 2002 mandava assolto il sedicente Ali Refour, imputato del reato di cui agli articoli 81 cpv e 495 Cp, per avere rilasciato, in diverse occasioni, false generalità alla Questura di Bergamo e ai Carabinieri di Zogno e Begamo, perché il fatto non sussiste.

Propone ricorso immediato per cassazione il Pm presso il Tribunale di Bergamo deducendo la violazione dell’articolo 606, lettera b) Cpp, atteso che almeno due delle tre generalità rilasciate dall’imputato erano false, per cui, anche se non si era potuto stabilire quali generalità fossero vere, tale certezza era sufficiente per pervenire alla condanna dell’imputato.

Concludeva per l’annullamento della sentenza.

Considerato in diritto

Il ricorso merita accoglimento.

È evidente l’errore in cui è incorso il giudice nell’applicazione dell’articolo 495 Cp.

In punto di fatto risulta dalla sentenza impugnata che l’imputato “dall’elenco dei precedenti dattiloscopici” sottoposto al rilievo delle impronte digitali ed al confronto computerizzato delle stesse, in tre distinte occasioni, ha declinato tre diverse generalità.

Lo stesso giudicante riconosce che tali dichiarazioni sono affette da falsità, in quanto l’imputato non è in possesso di documenti di identificazione né risulta altrimenti la sua identità anagrafica, per cui non può dirsi raggiunta la prova di quale delle tre generalità declinate sia quella falsa.

Secondo il giudicante era onere dell’accusa fornire la prova che le generalità dichiarate il 21 marzo 2000 e 1 giugno 2000 fossero false.

Si osserva.

Nella specie, è certa l’identità fisica dell’imputato, identificato attraverso l’esame delle impronte digitali e il confronto computerizzato delle stesse, come la persona che in tre distinte occasioni aveva fornito diverse e false generalità, mentre non si conosce la sua identità anagrafica.

Tuttavia quest’ultima, una volta che sia controllabile l’identità fisica del dichiarante-imputato-indagato, non pregiudica lo svolgimento di atti di indagine e non rileva processualmente, rendendo possibile il compimento di atti nel procedimento penale, anche se sussiste incertezza sulla identità anagrafica dello stesso (Cassazione sezione quinta, 18 gennaio 1999, Hodja; sezione terza, 30 settembre 1997, El Hatimi).

Infatti, l’erronea indicazione o l’incertezza sulla individuazione anagrafica dell’imputato, accompagnata dalla certezza sulla identità fisica del soggetto nei cui confronti si procede, si dimostra irrilevante, potendosi sempre procedere alla rettifica delle generalità nelle forme previste dall’articolo 130 Cpp (Cassazione, sezione prima, 17 novembre 1997, Mansure).

In tema di prova, invece, in ordine al reato di false dichiarazioni sulla propria identità di cui all’articolo 495 (e 496) Cp; occorre distinguere il caso in cui un soggetto abbia fornito false generalità in una o più occasioni.

Nel primo caso, allorquando rimangono ignote le reali generalità dell’agente, non è possibile pervenire ad una dichiarazione di colpevolezza, presumendo che siano false proprio le generalità fornite in sede di identificazione (Cassazione, sezione quinta, 20 settembre 2000, Lemrbi) e l’imputato va prosciolto per essere ignoti gli autori del reato.

Viceversa, quando l’imputato abbia fornito in due o più occasioni generalità differenti, l’imputato non può essere prosciolto ritenendosi insussistente il fatto-reato, in quanto sia rimasta ignota l’identità anagrafica.

In tale ipotesi, è evidente che l’agente, almeno una volta, ha fornito false generalità.

Nella specie, il soggetto processato, del quale è certa l’identità fisica attestata dai rilievi dattiloscopici ha declinato false generalità, in data 21 marzo 2000, 1 giugno 2000 e 19 giugno 2000, per cui “fermo restando che potrebbero essere tutti non corrispondenti al vero” deve considerarsi raggiunta la prova della falsità quantomeno con riferimento a due di esse, non rilevandosi necessario accertare se e quali generalità siano vere.

Pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Bergamo, che nel procedere a  nuovo esame dovrà attenersi ai principi di cui sopra.

Visto l’articolo 623, lettera d) Cpp.

PQM

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Bergamo per nuovo esame.