Penale

Thursday 29 April 2004

Evasione fiscale. Pavarotti se la cava con la prescrizione. Corte d’ appello di Bologna – sentenza 17 marzo-21 aprile 2004, n. 788

Evasione fiscale. Pavarotti se la cava con la prescrizione

Corte d’appello di Bologna – sentenza 17 marzo-21 aprile 2004, n. 788

Presidente Guarino – Estensore Nunziata

Imputato Pavarotti

Svolgimento del processo

a) Introduzione

Il Pg ha appellato la sentenza del Tribunale Monocratico di Modena che ha per oggetto la violazione dell’articolo 4 D.Lgs 74/2000 (dichiarazione dei redditi infedele) originariamente contestata in due capi di imputazione provenienti da due diversi procedimenti riferiti ai periodi di imposta rispettivamente 1989-1991 e 1990-1992-1993-1994-1995.

Il giudice di primo grado ha ritenuto che la violazione dell’articolo 4 D.Lgs 74/2000 integri due diverse ipotesi di reato con riferimento a due diverse condotte poste in essere dal Pavarotti a seconda che si tratti o meno di redditi che comportino l’obbligo della tenuta delle scritture contabili:

in relazione alla imputazione riferita ai redditi di capitale, da fabbricati e diversi (che non comportano obbligo di annotazione nelle scritture contabili) il giudice di primo grado ha pronunziato sentenza di assoluzione con la formula “il fatto non è più previsto dalla legge come reato”,

in relazione a quella riferita ai redditi di lavoro autonomo derivati dall’esercizio di attività artistica (con obbligo di tenuta delle scritture), ha disposto la rimessione degli atti al Pm in quanto il fatto (originariamente qualificato come articolo 4 del D.Lgs 74/2000) è stato ritenuto in sentenza diverso da quello per cui vi fu rinvio a giudizio, essendo stato individuata la più favorevole ipotesi prevista dall’articolo 1 comma VI legge 516, non contestata all’imputato.

Il giudice di primo grado è pervenuto a questa conclusione avendo dimostrato con articolata motivazione la fittizietà della residenza del Pavarotti a Montecarlo (pagg. 3/42) e posto in evidenza che, ancorché risulti accertato che egli risiedeva di fatto più spesso a New York, aveva avuto riguardo a non assumere la qualità di soggetto fiscalmente residente negli Usa e dichiarato all’autorità fiscale statunitense che la sua residenza era in Italia in via Giardini n. 941 di Modena, dove in effetti aveva mantenuto il centro prevalente dei propri interessi economici e affettivi (v. pag.33, 39/42 sentenza appellata) e dove venivano destinati per essere goduti i ricavi prodotti negli Usa.

Ha ritenuto doversi qualificare (pagg. 43/68) tale comportamento come elusivo e non già come fraudolento (pag.54, 57) e, sulla base di tale considerazione ha escluso che esso possa integrare l’ipotesi criminosa contestata di cui all’articolo 4 D.Lgs 74/2000 (dichiarazione infedele).

b) Le imposte accertate e definite

  redditi dichiarati

  maggior reddito accertato

  redditi definiti   x adesione

1989  

   2.568.353.000

     

1990

   2.660.000

   7.954.660.000

   930.730.000

1991  

   7.408.837.000

  1992

   3.848.000

  10.118.648.000

  1.071.612.000

1993

  17.098.000

   9.699.313.000

  1.656.845.000

1994

  18.429.000

   4.010.126.000

  1.963.989.000

1995

  19.562.000

  10.296.826.000

  3.858.602.000

    52.056.763.000

  19.458.968.000

c) Cronologia processuale

30 giugno 1996 data di cessazione della condotta criminosa

28 novembre 1997 verbali di accertamento di imposta relativi al 1989 e 1991

14 aprile 1998 Richiesta di archiviazione per i reati di cui

– all’articolo 1 comma I legge 516/82 rif. periodi di imposta 1989/1995

– all’articolo4 lettera f) legge 516/1982 rif. periodi di imposta 1989/1995

con successiva avocazione da parte del Pg

decisione della Commissione Tributaria di I grado sul 1989 e 1991

17 dicembre 1998 verbale di accertamento di imposta per il 1990

9 marzo 1999 reiezione da parte del Gip della richiesta di trasmissione degli atti al Pm e provvedimento diretto alla esecuzione di nuove indagini

19 luglio 1999 esecuzione della rogatoria negli Usa

21 dicembre 1999 verbale di accertamento di imposta relativo al 1993

24 gennaio 2000 decisione della Commissione Tributaria di II grado (1989-1991)

17 marzo 2000 verbali di accertamento di imposta relativi al 1994 e 1995

6 aprile 2000 provvedimento Pm di acquisizione di documentazione bancaria,

15 luglio 2000 istanza di conciliazione giudiziale (articolo 48 D.Lgs 546/92) relativa al 1993,

e di accertamento per adesione per il 1994 e 1995

16 febbraio 2001 rinvio a giudizio per il delitto previsto dall’articolo 4 D.Lgs 74/2000

2 maggio 2001 inizio processo I grado

19 ottobre 2001 sentenza I grado

I motivi di impugnazione del Pg

Il P.G. ha proposto appello sulla base delle seguenti argomentazioni:

la pubblica accusa ha ritenuto che i fatti integrino la fattispecie criminosa di cui all’articolo 4 lettera f) legge 516/82 “ponendo in essere comportamenti fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento di fatti materiali” (secondo il testo della norma formulato con la legge 154/1991),

integrano la fraudolenza sia comportamenti positivi (ogni mezzo artificio o malizioso espediente) che comportamenti omissivi idonei a mascherare fatti materiali che rappresentino una realtà fiscalmente rilevante secondo una valutazione da eseguire ex ante, compreso ogni falso materiale o ideologico diverso da quelli integranti autonomamente altre ipotesi criminose;

la nozione di elusione fiscale – peraltro definita dall’articolo 37bis introdotto dal D.Lgs 358/97 – deve essere necessariamente ricavata a contrario escludendosi da essa tutti i casi in cui il comportamento insidioso o malizioso assuma i caratteri della fraudolenza penalmente rilevante;

integrano la fraudolenza e non l’elusione i mascheramenti attuati mediante contratti o documenti che, ancorché non falsi, sono idonei ad ingannare il fisco in quanto sottintendono una realtà ben diversa da quella apparente e sono sorretti dal solo scopo di evitare l’imposizione fiscale;

se l’iscrizione all’Aire del Pavarotti e la sua determinazione di trasferirsi nel Principato di Montecarlo realizzava un comportamento costituzionalmente garantito, ancorché elusivo perché originato dalla volontà di sottrarsi al pagamento delle imposte, nel momento in cui questo comportamento non è stato accompagnato dal reale trasferimento, la denunzia anagrafica ha assunto un carattere fittizio e quindi fraudolento ex articolo 4 lettera f), in quanto realizzata attraverso mendacio e, quindi, si pone come un “comportamento attivo consistente nell’affermare come esistente una circostanza non rispondente a verità o viceversa”,

poiché non eseguita ex ante (al momento della realizzazione della condotta), è erronea la valutazione del giudice di primo grado secondo cui tale comportamento si sia dimostrato non idoneo ad ostacolare l’accertamento da parte degli uffici finanziari;

l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui il trasferimento di residenza crea una presunzione semplice che può essere superata con normali metodi di indagine, è contraddetta dalla complessità dell’indagine svolta che ha richiesto la ricostruzione di complessi rapporti e rogatorie internazionali,

la complessità della indagine ha anche impedito di accertare più approfonditamente la formazione all’estero di redditi di capitale o comunque di natura diversa da quelli percepiti per prestazioni artistiche o diritti di autore,

vi è un rapporto di continenza tra l’articolo 4 lettera f) legge 516/82 e l’articolo 4 della legge 74/2000, in quanto la mera indicazione nella dichiarazione dei redditi di elementi attivi inferiori a quelli effettivi comprende in sé anche la condotta prevista dall’articolo 4 lettera f) legge 516;

il Pavarotti non era obbligato alla tenuta delle scritture contabili dal momento che svolgeva la sua attività all’estero. Tale effetto era stato realizzato con mezzi fraudolenti ed in particolare con artificio di figurare residente a Montecarlo. La mancata istituzione delle scritture contabili è quindi la conseguenza di tale comportamento fraudolento e non può essere ridotta, come ha fatto il giudice di primo grado a mera violazione dell’articolo 1 comma VI legge 516 che oggi costituisce un mero illecito amministrativo,

sulla base di tali considerazioni ha chiesto la condanna dell’imputato per i fatti addebitatigli nel capo di imputazione in quanto norma posta in continuità normativa con il delitto previsto e punito dall’articolo 4 n.7 legge 516.

Il reato, ove ritenuto sussistente e qualificabile nei sensi indicati dal Pg, sarebbe da dichiararsi, comunque, estinto per effetto del decorso della prescrizione, dal momento che sotto il profilo della prescrizione e della entità della pena costituisce norma più favorevole quella prevista dall’articolo 4 D.Lgs 74/2000, la cui prescrizione è di cinque anni e, con l’interruzione,di sette anni e mezzo.

Le acquisizioni processuali

a) I documenti

Nel corso del dibattimento sono stati acquisiti tra gli altri i seguenti documenti prodotti dal Pm:

le due sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciale e Regionale di Modena riferite al periodo di imposta 1989,

il verbale di interrogatorio del Pavarotti,

gli avvisi di accertamento di imposta relativi al 1989/1995,

gli atti relativi alla conciliazione giudiziale ex articolo 48 D.Lgs 546/92 relativa al periodo di imposta 1993

gli atti relativi alla proposta di accertamento per adesione relative ai periodi di imposta 1994 e 1995,

le dichiarazioni dei redditi Usa prevista per gli stranieri non residenti dal 1990 al 1995

documentazione relativa alla movimentazione bancaria.

Dai verbali di accertamento redatti dagli uffici finanziari risultano le seguenti prestazioni artistiche e sponsorizzazioni rese in Italia:

25-26 ottobre 1989 contratto con il Teatro Comunale di Bologna

rilascio quietanza al Teatro Comunale di Bologna

contratto con il Teatro dell’Opera di Roma

25 maggio 1999/24 giugno 1990 rappresentazione del Trovatore all’Opera di Firenze

concerto a Roma (Terme di Caracolla)

concerto a Bologna

Messa di Requiem a Verona

concerto a Firenze

11-22 dicembre 1990 rappresentazione della Tosca all’Opera di Roma

20 aprile 1991 contratto con Associazione Teatri di Reggio Emilia

  contratto teatro della Scala di Milano

25-27 settembre 1992 concerto a Modena

12 novembre 1992/22 dicembre 1992 rappresentazione Don Carlos alla Scala di Milano

18 settembre 1993 contratto Lavazza per sponsorizzazione del valore di 500.000 $

contratto con il San Carlo di Napoli

contratto per tre rappresentazione Requiem con Comunale di Firenze

9 novembre 1994 contratto con San Carlo di Napoli

1° marzo 1995 contratto con teatro Regio di Torino

Nei verbali di accertamento relativi ai periodi di imposta 1993-95 si dà atto che sono state operate in Italia nei confronti del Pavarotti ritenute a titolo di imposta nell’erroneo presupposto della residenza all’estero del percipiente. Gli uffici finanziari hanno accertato essere stati eseguiti pagamenti a favore del Pavarotti sui quali risultano essere state eseguite ritenute del 20% a titolo di imposta nelle misure che seguono:

– 26.1.89 sei rappresentazioni di Un Ballo in Maschera al Teatro Comunale di Bologna

fatture del 15 e 22 febbraio 1989

ritenute 20% lire 34.753.120+7.500.000

(accredito diretto su c/c del Pavarotti)

– 25.5.90/24.6.90 rappresentazione del Trovatore all’Opera di Firenze

ritenute lire 45.012.076

– 11/22.12.90 rappresentazione della Tosca all’Opera di Roma

ritenute lire 27.130.023

– 20.4.1991 contratto con Associazione Teatri di Reggio Emilia

ritenute lire 25.216.459

(previa autofatturazione n.103 del 29.4.1991)

(pagamento diretto al Pavarotti con assegno bancario)

– 12.11.92/22.12.92 rappresentazione Don Carlos alla Scala di Milano

ritenute lire 26.432.391

– 18.9.1993 il contratto per la sponsorizzazione Lavazza viene regolato

con autofatturazioni 30.9.93, 15.6.94 e 26.9.95 (tramite Film 7 International)

il pagamento è diretto sui conti del Pavarotti

ritenute lire 159.700.000+2.000.000+159.500.000

  – 23.5.94/4.6.94 rappresentazione Messa in Requiem al Comunale di Firenze

Pagamento diretto sui conti del Pavarotti

ritenute lire 21.137.073

– 14.11.94/20.12.94 recital + Ballo in Maschera al San Carlo di Napoli

pagamento diretto sui conti bancari di Pavarotti

ritenute lire 7.748.752×2 + 37.470.937

La Società Italiana Autori ed Editori ha comunicato agli uffici finanziari di avere corrisposto al Pavarotti diritti per i quali aveva operato ritenute nella misura del 15%.

Sono stati inoltre prodotti dalla difesa numerosi documenti diretti a dimostrare l’effettività della residenza all’estero del Pavarotti, dai quali si evince:

la proprietà da parte del Pavarotti di tre appartamenti al Central Park di New York,

la proprietà di tre appartamenti a Montecarlo, che sono stati indicati dall’ufficio finanziario delle dimensioni di 70/90 mq, mentre la difesa ha dimostrato con perizia giurata che uno di essi è delle dimensioni di 140 mq con vista sul mare.

Sono stati prodotti nel corso del dibattimento altri documenti:

documentazione trasmessa agli uffici finanziari dall’Austria, Francia, Canada, Brasile, Singapore, etc.;

tabulati relativi all’utenza del cellulare del Pavarotti prodotti da parte del cap. Pisani;

tabulato telefonico prodotto dalla difesa dell’imputato.

b) Le testimonianze

Il funzionario delle imposte dott. Matteo Cotroneo, che diresse gli accertamenti tributari, ha dichiarato al dibattimento che:

anche se la maggior parte delle prestazioni artistiche del Pavarotti erano state svolte all’estero, egli avrebbe dovuto farne oggetto di dichiarazione fiscale in Italia in quanto soggetto fiscalmente residente, salvo a detrarre dal calcolo della relativa imposta quanto aveva già pagato all’estero al fine di evitare la doppia imposizione;

risultano prestazioni artistiche rese dal Pavarotti in Italia a Bologna nel 1989, al Teatro comunale di Firenze nella primavera del 1990, alla Scala di Milano ed un contratto stipulato con il Teatro Regio di Torino;

Pavarotti aveva in essere anche alcuni contratti in Italia per la cessione dei diritti di immagine come quello con la ditta Guaber di durata decennale relativo al marchio creato “per dare il nome di un profumo” e le relative royalties venivano riconosciute ad una società estera, la Word Wilde Concert Corporation di New York. Originariamente il contratto prevedeva compensi diversi alla società (50.000 dollari) e a Pavarotti (250.000 dollari), poi modificato con una rettifica che prevedeva il pagamento dell’intero compenso alla società estera;

il Pavarotti presentò dichiarazioni dei redditi in Italia in relazione ai redditi di capitale e da fabbricati, omettendo la indicazione dei redditi relativi alle sue prestazioni artistiche;

risultano presentate dichiarazioni dei redditi anche negli Stati Uniti, ma non risulta se in Francia il Pavarotti abbia o meno presentato dichiarazione dei redditi, essendo obbligatoria per le prestazioni rese in quel paese. Per gli altri paesi di nessuna informazione in proposito dispone l’ufficio finanziario e si sconosce se il regime di quei paesi ne preveda l’obbligo;

in base all’articolo 15 comma IV del Dpr 917/86 l’Amministrazione non era tenuta a scaricare le imposte pagate negli Stati Uniti in quanto il relativo reddito non era stato dichiarato. In sede di definizione in via conciliativa dei contesti, però, il reddito accertato era stato notevolmente ridotto tenendo conto indirettamente non solo delle spese, pur non documentate, ma anche delle imposte pagate negli Usa;

i periodi imposta 1989 e 1991 erano stati definiti con decisioni delle Commissioni Tributarie di conferma di quanto accertato dall’ufficio, mentre per i residui periodi di imposta il reddito era stato definito con procedura transattiva cui si era pervenuti in accordo con il contribuente;

le prestazioni artistiche rese in Italia e le royalties relative ad esse percepite nel 1993, 1994 e 1995 avevano dato luogo ad altrettanti accertamenti,

il Pavarotti ha conciliato tutti i contesti fiscali pendenti sino al 1998 e dal 1999 presenta la dichiarazione in Italia anche con riferimento alle le sue prestazioni artistiche rese all’estero;

Egli direttamente o tramite le sue società possedeva numerose proprietà immobiliari in Modena ed una villa a Pesaro;

è stata accertata la partecipazione del Pavarotti in 12 società operanti in Italia, nelle quali il medesimo è rimasto socio unico dal 1995 a seguito della separazione dalla moglie;

molte di tali società sono semplicemente proprietarie di immobili, tra esse la “Scuola Cantorum” proprietaria degli immobili di via Giardini 941;

risulta essere stato interessato anche a società estere

Pavarotti si serviva in Italia di sette banche tutte dell’Emilia Romagna;

Sono stati accertati accreditamenti provenienti da attività concertistica sui conti bancari italiani;

i redditi sino al 1992 sono stati determinati sulla base della acquisizione della documentazione bancaria relativa ai cc/cc. Non si è tenuto conto ovviamente degli accrediti relativi ai movimenti finanziari, delle operazioni di giroconto e, comunque, delle imputazioni che la parte aveva escluso essere fonte di reddito prodotto.

in sede di definizione degli accertamenti con riferimento alle royalties percepite dalla Decca di Londra, che sono imponibili solo in Inghilterra, le informazioni erano state trovate solo dalle dichiarazioni rese dal contribuente in sede di definizione dell’accertamento,

il compenso per le prestazioni era mediamente di 50 milioni per sera;

per le prestazioni artistiche rese in Austria, Francia, Germania, Giappone, Brasile e Canada l’amministrazione ha potuto disporre di informazioni acquisite presso detti stati,

alcuni stati esteri hanno comunicato che il compenso pagato in relazione ad alcuni spettacoli veniva versato a società tra cui la Word Wilde Concert Corporation di New York facente capo al Pavarotti (in una occasione al sig. Tibur Rudas, manager, organizzatore degli spettacoli e rappresentante del Pavarotti),

le comunicazioni si riferiscono al compenso complessivo pagato, comprensivo anche di quanto dovuto per prestazioni diverse da quelle rese dal Pavarotti;

per alcune prestazioni rese all’estero i pagamenti venivano eseguiti su banche estere o su dipendenze estere di banche italiane e si ritiene che da esse provenissero alcuni degli accreditamenti sulle banche italiane.

La dott.ssa Silvia Marcelli, Dirigente dell’Ufficio Contenzioso della Direzione dell’Emilia Romagna, ha riferito che:

è stato accertato che negli anni presi in considerazione la famiglia del Pavarotti (moglie e figli) risiedeva in una sorta di villaggio posto in via Giardini di Modena composto da una quindicina di unità immobiliari con annesso parco di proprietà sino a tutto il 1995 del Pavarotti e della moglie nella misura del 50% ciascuno;

è stato accertato che il Pavarotti si recava spesso anche nella tenuta di Pesaro, anch’essa di proprietà;

nel 1984 il Pavarotti si era iscritto nelle liste dell’Aire denunziando di avere trasferito la propria residenza a Montecarlo;

era stato escluso che Montecarlo potesse essere la sua effettiva sede di residenza in quanto estranea ai suoi interessi familiari e di lavoro;

la sua sede principale di lavoro come cantante lirico era New York e non risultava che avesse in Italia una sede principale di lavoro;

ciò nonostante egli, in quanto fiscalmente residente in Italia, era obbligato alla tenuta di scritture contabili.

Il Capitano GdF Michele Pisani, che aveva eseguito ulteriori accertamenti disposti dal Gip, ha riferito che:

era risultato che il Pavarotti convergeva nelle sue dimore di Modena e di Pesaro ogni volta che gli impegni internazionali glielo consentivano per periodi più lunghi d’estate e brevi nel corso dell’anno;

egli operava su dieci cc/cc bancari, di cui sette italiani, dei quali cinque su sportelli di Modena, uno di Casalecchio di Bologna ed uno di Verona;

la srl Club Europa (posseduta dalla Sporting di cui era azionista il Pavarotti) curava il Centro Ippico creato nel parco annesso alla abitazione di via Giardini. L’amministratore Canarini aveva riferito in sede di indagini che rendicontava costantemente al Pavarotti raggiungendolo in qualsiasi parte del mondo per telefono ovvero in occasione delle riunioni del Consiglio di Amministrazione cui sempre partecipava;

in analogo modo indiretto il Pavarotti seguiva l’attività della Pavarotti International Horse Show srl che organizzava annualmente la manifestazione annessa al concorso ippico;

era stata identificata l’utenza cellulare 335/220341 del Pavarotti intestata al Canarini, dalla quale sono risultate telefonate in partenza dall’Italia per poco più di 150 giorni. Aggiungendo ai giorni delle telefonate quelli diversi, che risultano da atti ufficiali, si ha un totale di 167 giorni nel 1995 e di 98 giorni nel 1996;

su richiesta della difesa dell’imputato il cap. Pisani ha citato le dichiarazioni del Casarini del 10/6/99 secondo cui l’unica utenza che gli apparteneva era il n.335/341931;

non sono state identificate altre utenze cellulari intestate direttamente al Pavarotti;

i suoi manager erano tutti stranieri: Herbert Breslin di New York per le pubbliche relazioni, Helliot Hoffman di New York per gli accordi contrattuali e Ribor Rudas della California quale produttore;

sulla base del soggetto bonificante è stato possibile attribuire i versamenti sui cc/cc a prestazioni rese dal Pavarotti. Altri accrediti sui cc/cc invece provenivano da operazioni di giroconto da conti esteri;

la documentazione bancaria di supporto che dimostra la provenienza degli accrediti è conservata dalla GdF e tenuta a disposizione dell’Ag.

Il col. GdF Giovanni Mainolfi ha ricordato che gli artisti sono tenuti alla tenuta di una contabilità semplificata prevista dall’articolo 19 Dpr 600/1973 se residenti in Italia anche in relazione ai redditi prodotti all’estero, che sono tenuti quindi alla denunzia dei redditi derivati da spettacoli svolti in Italia ed all’estero e di quelli relativi ai diritti di autore percepiti anche all’estero dalle case discografiche, ma ha anche riferito che a suo parere mancando il presupposto formale della residenza in Italia questo obbligo potrebbe essere considerato dubbio, tranne che con riferimento ad una annualità, in relazione alla quale – considerati i dati dei tabulati telefonici, le presenze in clinica ed il compimento di atti ufficiali – è stata accertata la presenza in Italia per oltre 180 giorni.

Il teste Casarini ha riferito di essere l’uomo di fiducia del Pavarotti dall’ottobre 1995 con l’incarico di pensare a tutto ciò che lo riguarda a parte il campo artistico; che sino al 1995 la manifestazione ed il concorso ippico e tutto il testo veniva seguito direttamente dalla moglie di Pavarotti; di non avere avuto mai la disponibilità del numero di cellulare del Pavarotti e di avere avuto come propria utenza cellulare solo il 335/341931; di averlo incontrato in media non più di 10 volte all’anno in Italia o all’estero; che egli custodisce l’autovettura che il Pavarotti usa quando è a Modena; che su tale autovettura è installata un telefono fisso, che utilizza la scheda 335/220341, che è rimovibile. Ha dichiarato che l’autovettura veniva utilizzata talvolta da lui o dalla Nicoletta Mantovani.

La teste Marcela Ignacio Domingo ha dichiarato di essere stata la domestica presso l’abitazione di via Giardini dove riceveva disposizioni dalla moglie del Pavarotti e dove ha dichiarato di averlo visto solo poche volte, di avere ricevuto e consegnato alla signora la posta che a quell’indirizzo veniva inviata al Pavarotti.

La teste Galli Silvia, che quale titolare della ditta Simmetrie aveva seguito l’organizzazione della manifestazione Pavarotti International negli anni 1993, 1994 e 1995, ha riferito che contattava il Pavarotti direttamente nell’abitazione di via Giardini o in quella di Pesaro, dove comunque era presente per brevi periodi, nelle festività di Natale e Pasqua e durante l’estate; altrimenti lo raggiungeva telefonicamente ove si trovava in giro per il mondo; che al 90%, quando lo chiamava, al cellulare rispondeva direttamente lui; ha dichiarato, però, di non ricordare il numero di cellulare che utilizzava quando egli si trovava in Italia o in Europa, ma ha ricordato di averlo riferito alla GdF (sul cui verbale acquisito agli atti risulta il n. 335/220341) per averlo ricavato dal proprio archivio d’ufficio, avendo cessato al tempo dell’interrogatorio la sua collaborazione con il Pavarotti da qualche anno. La Galli, affermando di non avere mai dovuto chiamare il Pavarotti presso il dott. Strada, ha smentito la affermazione di questi secondo cui era lui ad ospitare presso la propria abitazione il Pavarotti quando si trovava a Modena.

La teste Corvini Maria Franca ha datato la crisi del matrimonio del Pavarotti con la moglie ad una decina di anni prima del processo. In particolare cominciarono ad incrinarsi nel 1990, tra il 1992 ed il 1993 iniziò la relazione con la Nicoletta Mantovani e la separazione dalla moglie avvenne nel 1993. In vista della separazione aveva intenzione di ristrutturare la Casina Rossa, i cui lavori rimasero, però, bloccati per lungo tempo.

La teste Nicoletta Mantovani ha riferito che:

la relazione con Pavarotti ebbe inizio nel settembre 1993 lavorando per la ditta Simmetrie della sig.ra Galli dopo un paio di settimane che si erano conosciuti. E di avere iniziato a convivere poco dopo presso l’appartamento di Montecarlo, poi a New York e tornando in Italia ogni 4 o 5 mesi.

da allora il ritorno in Italia si accompagna a permanenze presso l’abitazione del dott. Strata o nella villa di Pesaro. In tali occasioni e quando la teste si trova anche da sola in Italia per motivi di lavoro utilizza l’autovettura italiana del Pavarotti tg. Montecarlo.

ha inoltre riferito che il Pavarotti non è fiscalmente residente negli Usa e che lei stessa ed il Pavarotti hanno sempre fatto molta attenzione ad evitare di essere presenti a New York per più di 180 giorni all’anno per evitare di assumervi la residenza fiscale, essendo peraltro la locale amministrazione molto rigida in materia;

l’attività concertistica del Pavarotti si svolge per il 90% all’estero (in prevalenza a New York e Londra) ed i concerti sono accompagnati da prove che possono durare da 2 giorni per i concerti a due settimane per la ripresa di stagioni liriche a 40 giorni in caso di nuovi allestimenti.

Il teste Tibur Rudas, sentito per rogatoria internazionale, ha dichiarato che:

dal 1989 al 1995 ha organizzato i concerti e le manifestazioni per conto del Pavarotti, incassando come società Rudas Theatrical Organizzation del Nevada Inc. i relativi introiti anche per le prestazioni canore rese dal Pavarotti, al quale versava i suoi compensi accreditandoli alla società Word Wilde Concert di New York Inc., società alla quale era interessato il Pavarotti, con la quale veniva stabilito il contratto di prestazione d’opera Il rappresentante di tale società è Breslin.

Il teste Herbert Breslin, anch’egli sentito per rogatoria, ha dichiarato:

di essere il manager esclusivo del Pavarotti per gli Usa e in Canada, di lavorare come libero professionista servendosi della società Herbert Breslin Incorporated,

il Pavarotti in Italia era affiliato alla Stage Door che conduceva molte trattative per suo conto i n merito agli spettacoli in Europa,

la Word Wilde Concert Corp di New York Inc. di cui il Breslin figura come unico azionista, è la società creata per occuparsi di tutte le questioni finanziarie del Pavarotti in Usa e in Canada, sicché tutto il reddito del Pavarotti relativo agli ingaggi negli USA e in Canada è passato per la Word Wilde Concert Corp , esclusi i diritti discografici,

nulla ha saputo dire delle modalità di percezione dei redditi provenienti dalle incisioni, tranne per quanto riguarda i diritti relativi al concerto dei tre tenori del 1990 o 1991 per il quale è stato riconosciuto al Pavarotti un premio di un milione e mezzo o due milioni e mezzo di dollari ripartito nell’arco di otto anni, anch’esso inizialmente transitato tramite la Word Wilde Concert;

è possibile che il Pavarotti nel 1989 abbia percepito anche 500.000 dollari come diritti di autore, non transitati tramite la Word Wilde Concert;

i diritti relativi al contratto relativo al marchio “Luciano Pavarotti” su un profumo, decorrenti dall’inizio del 1994, pari a 300.000 dollari all’anno per 50.000 dollari restavano alla Word Wilde Concert Corp, mentre tale società ne corrispose gli altri 250.000 dollari al Pavarotti versandoglieli in un’unica soluzione;

Tutti i contratti degli enti lirici sono stipulati con la Word Wilde Concert Corp, tranne quelli eseguiti in Europa;

Gli altri concerti fuori degli USA saranno stati 5 o 6 nel 1989 con un ricavo che può essere stato di 500.000 dollari;

la Word Wilde Concert Corp ha percepito i compensi relativi ai concerti di Pavarotti calcolati sommando gli importi risultanti dai contratti, comprensivi delle spese di alloggio, vitto, divertimenti, abbigliamento, viaggi e medici collegate alla sua attività che ammontano a circa il 50% di quanto incassato dalla Word Wilde,

Tali spese nel 1989 compresero 100.000 dollari per l’affitto dell’appartamento, 50.000 per il vestiario, 125.000 per viaggi, 100.000 dollari per spese di divertimento e vitto anche per le persone che erano in sua compagnia,

Il Pavarotti ha percepito dalla società, nel 1989 e negli anni successivi, una retribuzione di 15.000 dollari al mese. Nel 1990 risulta avere percepito negli Usa un reddito di 295.000 dollari per effetto dello stipendio al quale venne aggiunto una specie di premio accordatogli quell’anno ed anche negli anni successivi.

– Le somme dovute al Pavarotti dalla Word Wilde Concert Corp venivano bonificate su un c/c bancario di una banca di Bologna o di Modena.

Il teste Elliot Hoffman, sentito anch’egli per rogatoria negli Usa, ha prodotto le fotocopie delle dichiarazioni dei redditi del Pavarotti in Usa dal 1989 al 1995 ed dichiarato:

di essere stato il legale del Pavarotti e di essersi occupato dei contratti,

Sino al 1994/1995 tale attività per l’Europa era svolta dalla Stage Door Managment,

il Pavarotti non ha risieduto negli Usa più di 90 giorni all’anno,

Il Pavarotti ha sempre presentato dichiarazione fiscale annuale negli Usa come straniero non residente e sino al 1995 è stato anche sottoposto a verifica fiscale;

Pavarotti nel 1990 ha dichiarato un reddito prodotto in Usa di 338.549 dollari cui vanno aggiunti i 400 o 500.000 dollari incassati per diritti discografici dalla Decca in Inghilterra, ed il premio per il concerto dei tre tenori inciso nel 1990 a Roma, per il quale la Decca gli ha riconosciuto un milione o due milioni e mezzo di dollari ripartiti in otto anni;

Nel 1991 il reddito lordo dichiarato dal Pavarotti fu di 419.816 dollari,

Nel 1992 il reddito lordo dichiarato dal Pavarotti fu di 394.994 dollari,

Nel 1993 il reddito lordo dichiarato dal Pavarotti fu di 222.865 dollari,

Nel 1994 il reddito lordo dichiarato dal Pavarotti fu di 991.432 dollari,

Nel 1995 il reddito lordo dichiarato dal Pavarotti fu di 349.575 dollari,

Il contratto di Pavarotti con la Word Wilde Concert Corp prevede il diritto di esclusiva sulle sue prestazioni negli Usa dietro compenso fisso di 15.000 dollari mensili cui si aggiunge un premio variante dai 150.000 ai 250.000 dollari all’anno variante in ragione dei risultati realizzati nel corso dell’anno, con assunzione a carico della società di tutte le spese relative al concerto e relative alla permanenza negli Usa del Pavarotti,

Negli anni 1994 e 1995 il Pavarotti incassò anche 250.000 dollari per anno in relazione ai diritti di marchio su un profumo prodotto in Italia,

Il cachet normale per un concerto negli Usa del Pavarotti è di 500.000 dollari,

Generalmente le sue spettanze venivano rimesse ad una banca di Modena. Una volta chiese che fossero incassati negli Usa,

Sui pagamenti corrisposti negli Usa al Pavarotti viene applicato un 30% di ritenute, sicché egli riceveva netti 10.500 dollari mensili (lordi 180.000 annui pari a 125.000 netti da imposte).

c) Le valutazioni in fatto

Il dott. Cotroneo ha chiarito di avere inteso che la residenza andava accertata in relazione alla presenza in Italia per almeno 183 gg. nel corso del periodo di imposta, non tanto della persona fisica del contribuente, quanto piuttosto, secondo la definizione fornitane dalla Corte di Cassazione, dei suoi interessi economici, sociali e familiari. La Corte ritiene giuridicamente corretta tale valutazione facendo proprie le valutazioni svolte in proposito nella sentenza appellata.

Il col. Mainolfi ha espresso l’avviso che il presupposto della residenza ai fini dell’obbligo di dichiarazione presuppone un accertamento in fatto, mentre ai fini della valutazione relativa alla tenuta dell’obbligo della contabilità debba aversi riguardo alla residenza formale. La Corte ritiene tale assunto privo di fondamento giuridico rilevando, peraltro, come l’obbligo di tenuta della contabilità sia soltanto uno solo dei caratteri che contribuisce a definire il regime fiscale dei redditi da lavoro autonomo.

La difesa dell’imputato ha sostenuto essere provata la presenza in Italia del Pavarotti – desunta dai soli verbali delle undici sue società – per tre giorni nel 1988, sette giorni nel 1989, undici nel 1990, nove nel 1991 e otto nel 1992. Ha anche dimostrato la contemporanea esecuzione di atti dispositivi del Pavarotti compiuti in Italia (finanziamenti per somme consistenti a società, accrediti bancari dai conti italiani, etc.) e l’esecuzione di concerti in varie parti del mondo. Imbarazzante la circostanza della stipula di atti notarili che contemplavano la presenza del Pavarotti in Italia nei giorni in cui risultano eseguiti suoi concerti all’estero.

Rileva la Corte che, comunque, tali circostanze risultano del tutto irrilevanti posto che la partecipazione alle assemblee societarie non è significativa, che le disposizioni relative ad operazioni bancarie possono essere accettate anche via fax o a mezzo telefono ed esiste la facoltà di delegare alla cura dei propri interessi persona di fiducia a prescindere dal luogo ove si abbia la residenza. Le circostanze dedotte dimostrano, però, che la presenza fisica all’estero per motivi di lavoro si accompagnava alla contemporanea cura degli interessi economici e societari esistenti in Italia a testimonianza dell’esistenza di un cordone ombelicale imprescindibile ed attuale con gli interessi conservati nel suo paese di origine.

La difesa dell’imputato ha anche evidenziato che mentre nei riferimenti dell’ufficio finanziario sono elencate solo le date dei concerti, questi solitamente venivano preceduti da prove in loco, circostanza questa che aumenta notevolmente le presenze del Pavarotti all’estero. Ha evidenziato, inoltre, che il Pavarotti non aveva in Italia un ufficio o un professionista incaricato di curare la promozione delle sue attività artistiche né una casa discografica che ne curasse le registrazioni, circostanze confermate dal dott. Cotroneo, dal Breslin e dall’Hoffman.

La difesa dell’imputato ha anche provato in via testimoniale e documentale che il Pavarotti era seguito da alcuni medici specialisti di vari paesi presso i cui studi esteri egli si recava periodicamente. Ma anche questa circostanza è assolutamente irrilevante nel definire il luogo di residenza o di domicilio per una persona che in sostanza si considera e vive come cittadino del mondo intero. A maggior ragione non può essere utilizzata al fine di identificare il luogo di residenza fiscale in uno stato piuttosto che in un altro.

Buona parte delle acquisizioni documentali e degli esami dibattimentali su impulso della difesa è stata rivolta all’accertamento del valore, della tipologia e della natura degli appartamenti posseduti dal Pavarotti a New York ed a Montecarlo. Anche tali approfondimenti a giudizio di questa Corte eccedono l’ambito di interesse di questo processo, posto che la volontà di porre la propria residenza in un paese piuttosto che in un altro prescinde dalla volontà di acquistarvi un appartamento in proprietà per farne la propria abitazione, è compatibile anche con la scelta di risiedere in albergo o in un appartamento preso in locazione e non può comunque essere posta in relazione alle dimensioni dello stesso, una volta dimostrato che esso risponde comunque alle esigenze di curare in una determinata sede i propri interessi economici, sociali e familiari.

Il soggetto fiscalmente residente

a) Nozione

La nozione di residenza fiscale non equivale di per sé alla nozione di residenza in senso civilistico ed amministrativo, anche se da tali nozioni trae argomenti significativi per la sua definizione. Interagiscono con esse le norme interne e le convenzioni internazionali ratificate in Italia aventi ad oggetto la localizzazione ed il trattamento del reddito.

Il presupposto per l’applicazione delle norme fiscali e penali fiscali non è, dunque, solo la residenza in Italia bensì la posizione di soggetto fiscalmente residente in Italia, la cui definizione è data non solo dall’articolo 2 cpv del Tu 917/86 (“ai fini delle imposte sul reddito si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta….hanno nel territorio dello stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”), ma dall’intero sistema normativo comprese le convenzioni internazionali intervenute tra l’Italia e vari stati esteri che regolano il principio della doppia imposizione, tra le quali quelli stipulate con gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra. Peraltro lo stesso Dpr 600/73 all’articolo 75 prevede che, in linea generale, in caso di incoerenza tra norme nazionali ed accordi internazionali resi esecutivi in Italia, prevalgano le disposizioni contenute in questi ultimi, fatta eccezione per le disposizioni più favorevoli per il contribuente contenute nel Dpr 917/86 (v. articolo127 stesso Dpr).

Gli elementi richiamati dal citato articolo 2 legge 917/86 che determinano la residenza di un soggetto sono dunque:

1. l’iscrizione anagrafica,

2. il domicilio, ossia la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, 1° comma, Cc)

3. la residenza di fatto, ossia la dimora abituale (articolo 43 2° comma, Cc).

È sufficiente che ai fini delle imposte dirette sussista uno solo dei requisiti previsti dalla norma affinché un soggetto debba essere considerato fiscalmente residente.

Con la legge 448/98, il legislatore ha introdotto l’articolo 2bis Dpr 917/86 e disciplinato espressamente le ipotesi di trasferimento fraudolento della residenza all’estero:

“Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale”.[i]

Tale norma ha solo consolidato due principi del nostro sistema giuridico già ribaditi da copiosa giurisprudenza: quello secondo il quale la nozione di residenza dal punto amministrativo può non coincidere con quella rilevante sul piano civilistico e fiscale, che va verificata in fatto, e quello secondo il quale la residenza non si perde per il solo effetto del dato apparente dell’iscrizione anagrafica in un altro stato.

L’articolo 2 cit. regola la condizione elementare in cui la pretesa dello Stato si basi sul doppio collegamento territoriale, sulla base del luogo di produzione del reddito, e personale, sulla base dello statuto originario della persona. Quando, invece, in relazione a un reddito prodotto su base internazionale il presidio dei due soli criteri di collegamento indicati diventa insufficiente, entrano in gioco i criteri sussidiari previsti e disciplinati dallo stesso codice civile e da una normativa integrativa.

La regola generale di carattere sussidiario chiamata a coordinare gli elementi di disomogeneità di sistemi impositivi diversi con i quali si trova contemporaneamente ad interagire il contribuente è basata sul principio che tende a salvaguardarlo dal rischio di esporre lo stesso reddito ad una doppia imposizione, cioè alla imposizione di più Stati.

Ma l’affermazione di questa regola di salvaguardia comporta come logico corollario l’affermazione del principio secondo il quale il contribuente che è esposto al potere impositivo di stati diversi, deve, comunque, soddisfare la pretesa di uno degli stati che hanno titolo a vantare nei confronti del suo reddito complessivo il prelievo fiscale.[ii]

La sentenza appellata ha affermato con grande lucidità il diritto costituzionale di emigrazione previsto dall’articolo 35 Costituzione e, quindi, la piena potestà di qualsiasi cittadino italiano di sottrarsi al regime fiscale dello stato italiano, ma per effetto delle convenzioni internazionali e dell’inciso dello stesso articolo 35 (“salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale”), quel diritto è assicurato solo nella misura in cui ci si sottoponga al potere impositivo di altro Stato.

Anche se il fondamento per l’esercizio del potere impositivo nel nostro sistema è la residenza e non già la cittadinanza, è da questa che traggono comunque radice e fondamento gli obblighi e i doveri di solidarietà sociale cui fanno riferimento gli articoli 35 e 53 Costituzione Tali obblighi, coniugati con quelli previsti dal sistema delle convenzioni bilaterali, assicurano comunque il dovere dell’individuo che produce reddito di sottoporsi all’imposizione diretta di un paese con il quale egli intenda stabilire una relazione di sudditanza fiscale.

Se il diritto di emigrazione non comporta automaticamente il venir meno del dovere di solidarietà stabilito dall’articolo 53 Costituzione (“Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”), il potere impositivo dello stato italiano decade solo per effetto della imposizione da parte dello stato estero in conseguenza del divieto di doppia imposizione, fermo restando ovviamente il diritto di ogni cittadino italiano di rompere ogni rapporto con lo stato italiano, anche rinunziando eventualmente alla cittadinanza originaria ovvero acquisendo quella dello stato estero. Mantenendo, invece, integro l’originario rapporto egli si espone necessariamente alla conseguente regolamentazione della apposita convenzione internazionale secondo il principio della world wide taxation.

La scelta di iscriversi all’Aire e di assumere la residenza anagrafica in un paese straniero, secondo l’interpretazione più volte ribadita dalla Corte di cassazione (vedansi in proposito ampi richiami nella sentenza appellata), non comporta automaticamente la perdita della qualità di soggetto fiscalmente residente in Italia.

Tale assunto non si fonda tanto sulla normativa relativa all’iscrizione all’Aire prevista dall’articolo1 comma 8 legge 470/88 (“non sono iscritti nelle anagrafi di cui al presente articolo 1 [Aire] i cittadini che si recano all’estero per cause di durata limitata non superiore a dodici mesi”), quanto piuttosto sulla considerazione che l’iscrizione non determina una situazione di “presunzione assoluta”.

Premessi questi principi, le seguenti norme contribuiscono a definire la nozione di residenza fiscale in tutti i casi dubbi:

Articolo 58. Dpr 600/73 (in ambito nazionale)

“Agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un comune dello stato,giusta le disposizioni seguenti.

Le persone fisiche residenti nel territorio dello stato hanno il domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritte. quelle non residenti hanno il domicilio fiscale nel comune in cui si è prodotto il reddito o,se il reddito è prodotto in più comuni,nel comune in cui si è prodotto il reddito più elevato “

Articolo7 direttiva Cee n.182/1983 (in ambito comunitario)

“…nel caso di una persona i cui legami familiari siano situati in un luogo diverso da quello dei suoi legami personali e che pertanto sia indotta a soggiornare alternativamente in luoghi diversi situati in due o più stati membri, si presume che la residenza normale sia quella del luogo dei legami personali, purché tale persona vi torni regolarmente”.

Articolo4 Modello Ocse (in ambito internazionale)[iii]

“Residenza

1. Ai fini della presente convenzione, l’espressione “residente di uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato, a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, o di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono imponibili in questo Stato soltanto per il reddito derivante da fonti situate in detto Stato, o per il patrimonio ivi situato.

2. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati contraenti, la sua situazione è determinata nel seguente modo:

a) detta persona è considerata residente dello Stato contraente nel quale dispone di un’abitazione permanente; se essa dispone di un’abitazione permanente in ciascuno degli Stati contraenti, è considerata residente dello Stato contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);

b) se non si può determinare lo Stato contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non dispone di un’abitazione permanente in alcuno degli Stati contraenti, essa è considerata residente dello Stato contraente in cui soggiorna abitualmente;

c) se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati contraenti, ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato contraente del quale ha la nazionalità”.

Sulla base di tutta la normativa esaminata va, dunque, rilevato che a giustificare la relazione a fini fiscali con lo Stato concorrono due elementi: quello oggettivo della stabile permanenza e quello soggettivo della volontà di rimanervi. La nozione di stabile permanenza presuppone la relazione di fatto di una abitazione permanente e di un soggiorno abituale, alla quale può accompagnarsi la relazione costituita dalla sede degli interessi vitali. La volontà di stabilizzazione deve essere evidentemente riferibile all’anno in corso e si presume fino a prova contraria. Il contrario si desume da fatti univoci che evidenzino la precarizzazione del rapporto di fatto.

E, quando il collegamento del residente con il territorio è rappresentato dal domicilio, l’espressione “per la maggior parte del periodo di imposta” che giustifica l’imponibilità (pari a 6 mesi più un giorno, ossia 183 giorni) va riferita alla specificità del presupposto di fatto (e quindi anche ai soli interessi vitali) e non presuppone anche – come impropriamente è stato riferito dal col. Mainolfi – un contemporaneo ancoraggio materiale con il territorio (permanenza di fatto) protratto per lo stesso arco temporale. E nel caso in cui i criteri tradizionali non siano sufficienti ad instaurare la relazione con lo Stato, il Modello Ocse rimanda al criterio della nazionalità d’origine.

Le convenzioni bilaterali ratificate

Questi principi, in quanto recepiti da convenzioni bilaterali ratificate, costituiscono parte integrante dell’ordinamento giuridico italiano.

La storia particolare del Pavarotti rende di più agevole soluzione la sua condizione di soggetto fiscalmente residente in Italia, dal momento che egli proponendosi come residente a Montecarlo, paese dove con certezza non aveva stabilito la propria residenza di fatto e il centro dei propri interessi di lavoro, economici e familiari, ha lasciato sopravvivere sotto tutti gli effetti la propria condizione di soggetto fiscalmente residente in Italia per avere ivi conservato un proprio domicilio.

La direttiva Cee, anche se adottata con riferimento all’ambito comunitario, integra la normativa civilistica e convenzionale attribuendo, in caso di soggiorno alternativo in più paesi, rilievo prevalente al “luogo dei legami personali” alla sola condizione che il soggetto “vi torni regolarmente”. La sua portata al di fuori dell’ambito Cee si giustifica con il fatto che essa recepisce, con altre parole ed in modo più efficace, un principio vigente in ambito internazionale, già affermato nelle convenzioni bilaterali e recepito attraverso esse nell’ordinamento italiano.

Nella sostanza si è andato affermato il principio secondo il quale, allorché non sia agevole la identificazione dello Stato di riferimento per la applicazione dell’imposta sul reddito, il luogo di residenza fiscale ai fini della imposta sul reddito va desunto dal luogo ove il reddito è destinato ad essere goduto. Questo principio era stato già affermato nella convenzione sulla doppia imposizione con gli Usa (articolo VI della Convenzione di Washington del 30.3.1955 ratificata con legge 943/56 in GU n. 212 del 25/08/1956):

“Se uno degli stati contraenti applica un’imposta commisurata al patrimonio e al reddito, un’impresa dell’altro stato contraente… è soggetta a questa imposta per la parte che è commisurata al patrimonio…destinato o impiegato nel primo stato per lo svolgimento della sua attività….”.

La successiva convenzione con gli Usa del 17.4.1984 ratificata con legge 763/85 (in G.U.n.32 del 8.2.1986), vigente al tempo dei fatti[iv] ha più analiticamente articolato le nozioni di soggetto fiscalmente residente e disciplinato la posizione del lavoratore autonomo operante in sistemi fiscali concorrenti:

“Articolo 4 -Residenti

1. Ai fini della presente convenzione, l’espressione “residente di uno stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto stato, è assoggettata ad imposta nello stesso stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione, della sua costituzione o di ogni altro criterio di natura analoga…..

2. Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona fisica è considerata residente di entrambi gli stati contraenti, la sua situazione è determinata nel seguente modo:

a) detta persona è considerata residente dello stato nel quale ha una abitazione permanente; quando essa dispone di una abitazione permanente in entrambi gli stati, è considerata residente dello stato nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette (centro degli interessi vitali);

b) se non si può determinare lo stato nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha una abitazione permanente in alcuno degli stati, essa è considerata residente dello stato in cui soggiorna abitualmente;

c) se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli stati ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello stato del quale ha la nazionalità;

Articolo 14 – Professioni indipendenti

1. I redditi che una persona fisica residente di uno stato contraente ritrae dalla prestazione di servizi personali a carattere indipendente sono imponibili soltanto in detto stato, a meno che tali servizi non siano prestati nell’altro stato contraente e

a) la persona fisica disponga abitualmente in detto altro stato di una base fissa per l’esercizio delle sue attività, ma in tal caso i redditi sono imponibili in detto altro stato unicamente nella misura in cui sono attribuibili a detta base fissa; o

b) la persona fisica soggiorna in detto altro stato per un periodo o periodi che oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato.

2. L’espressione “servizi personali a carattere indipendente” comprende, pur senza esservi limitata, le attività di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo e pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili.”

Articolo 17 – Artisti e sportivi

1. Nonostante le disposizioni degli articoli 14 (professioni indipendenti) e 15 (lavoro subordinato), i redditi che un residente di uno stato contraente ritrae dalle sue prestazioni personali svolte nell’altro stato contraente in qualità di artista dello spettacolo, come artista di teatro, di cinema, della radio o della televisione, o come musicista, o in qualità di sportivo, sono imponibili in detto altro stato se:

a) l’ammontare degli introiti lordi percepiti da detto artista o sportivo, comprese le spese rimborsategli o sopportate per suo conto, in relazione a tale attività eccede dodicimila dollari usa ($12.000) o il suo equivalente in lire italiane nell’anno fiscale considerato; o

b) detto artista o sportivo soggiorna in tale altro stato per un periodo o periodi che oltrepassano in totale 90 giorni nell’anno fiscale considerato.

2. Quando il reddito proveniente da prestazioni che un artista dello spettacolo o uno sportivo svolge personalmente ed in tale qualità è attribuito non a lui stesso ma ad un’altra persona, detto reddito può essere tassato nello stato contraente in cui le prestazioni dell’artista o dello sportivo sono svolte, nonostante le disposizioni degli articoli 7 (utili delle imprese), 14 (professioni indipendenti) e 15 (lavoro subordinato). Ai fini di quanto precede, il reddito di un artista o di uno sportivo non si considera attribuito ad un’altra persona se l’artista o lo sportivo prova che né egli né persone a lui legate da vincoli di parentela partecipano direttamente o indirettamente agli utili di detta altra persona in qualsiasi maniera, ivi compresa la percezione di compensi differiti, di gratifiche, di onorari, di dividendi, di utili derivanti dalla partecipazione a società di persone o altre distribuzioni di utili.”

Quale che sia il criterio che viene seguito, certamente nel momento in cui il Pavarotti appariva come residente nel Principato di Montecarlo e doveva invece considerarsi di fatto ancora residente in Italia, egli aveva tanto a Modena quanto a New York una dimora abituale, negli Usa aveva il centro rilevante dei propri interessi di lavoro e di produzione del reddito, in Italia il centro dei propri legami affettivi e il luogo ove riversava tutti i propri ricavi prodotti negli Usa ed in qualsiasi altra parte del mondo.

La sua situazione si sarebbe oggettivamente prestata a dubbi di identificazione del luogo di residenza fiscale (Usa o Italia), ove egli stesso non avesse liberamente scelto di sottrarsi alla normativa fiscale statunitense evitando la sua permanenza negli Usa per un periodo superiore ai 90 gg. all’anno, dirottando i suoi redditi su un soggetto terzo (la Word Wilde Concert Corp Inc.) e dichiarando alla autorità fiscale di quel paese di essere residente in Italia.

Per quanto il Pavarotti non possedesse quote della Word Wilde Concert Corp Inc, egli riceveva da tale società, oltre ad un onorario mensile fisso, una quota proporzionale ai maggiori ricavi percepiti in relazione alle sue prestazioni e la società si faceva carico di tutte le sue spese anche voluttuarie eseguite negli Usa, circostanza che conferisce alla società il carattere di mediatore con potere marginale e che giustifica ai sensi dell’articolo 14 della convenzione l’assoggettabilità al potere impositivo dell’altro stato contraente (nella specie l’Italia).

E, difatti, anche nel caso in cui fosse ritenuta fraudolenta la dichiarazione di soggetto fiscalmente non residente resa all’autorità fiscale statunitense[v], egli non si sarebbe posto automaticamente in una sorta di condizione di apolide fiscale o di evasore sottrattosi alla legislazione Usa (certamente più severa di quella italiana), bensì nella condizione di soggetto che ha lasciato prevalere il criterio assorbente della nazionalità, del luogo di destinazione dei propri redditi e di prevalenza dei legami personali, esponendosi liberamente alla imposizione fiscale italiana.

È stato accertato nel corso del presente processo che un’altra rilevante fonte di reddito per il Pavarotti erano le royalties percepite dalla casa discografica inglese (la Decca di Londra) . Anche con la Gran Bretagna vige una convenzione bilaterale, nella specie stipulata il 21.10.1988 sul divieto della doppia imposizione (ratificata con la legge 329/90). L’articolo12 della convenzione, che – riproducendo esattamente l’analogo articolo del Modello Ocse – disciplina proprio il caso dei diritti discografici, esclude che tale attività possa giustificare un potere impositivo di carattere generale ed afferma che tale potere continua ad appartenere al paese di residenza identificabile secondo i criteri già esposti:

“Articolo12 – I canoni provenienti da uno stato contraente e pagati ad un residente dell’altro stato contraente sono imponibili in detto altro stato.

Tuttavia, tali canoni possono essere tassati anche nello stato contraente dal quale essi provengono ed in conformità alla legislazione di detto stato, ma, se la persona che percepisce i canoni ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere l’8 per cento dell’ammontare lordo dei canoni.

Ai fini del presente articolo il termine “canoni” designa i compensi di qualsiasi natura corrisposti per l’uso o la concessione in uso di un diritto di autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche (comprese le pellicole cinematografiche e le pellicole o registrazioni per trasmissioni radiofoniche o televisive), di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti, nonché per l’uso o la concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico.”

Il regime tributario convenzionale delle royalties di fonte internazionale prevede il concorso delle pretese impositive dello Stato della fonte e dello Stato della residenza: in particolare gli articoli 10 e 11 del Modello Ocse dispongono che i dividendi e gli interessi siano assoggettati ad imposizione nello Stato di residenza del percettore dei redditi medesimi; i medesimi articoli altresì prevedono che detti redditi possano essere assoggettati ad imposizione anche nello Stato della fonte (nello Stato cioè dove è sita l’attività produttiva del reddito) sotto forma di ritenuta[vi], ma nell’ambito di precisi limiti di soglia.

L’applicazione di un regime tributario del paese di residenza è subordinata alla circostanza che il beneficiario effettivo (“beneficial owner”) sia il percettore delle stesse, escludendo la ricorrenza di tale principio solo in presenza di un intermediario o agente che si sia interposto tra il soggetto erogante il reddito e l’effettivo beneficiario. Tuttavia il Comitato sugli Affari Fiscali dell’Ocse, nel 1987[vii] e l’articolo 17 della convenzione con gli Usa hanno escluso che possa essere considerato beneficiario effettivo dei redditi il soggetto terzo che, benché intestatario, abbia solo un potere marginale, che lo renda mero fiduciario o amministratore nell’interesse e per conto del soggetto interessato. Si tratta di un principio generale, che nella maggior parte delle convenzioni internazionali in materia di doppia imposizione sottoscritte dall’Italia (45 su 58 alla data del 31.12.1996) valorizza la posizione del beneficiario effettivo del reddito. In base a tale principio (cd. “bona fide commercial purpose test”) nel caso di interposizione di società è necessario verificare se questa sia l’effettiva beneficiaria dei redditi percepiti e se sussistano valide motivazioni di ordine economico e commerciale per giustificare l’esistenza della società interposta.

Tale principio trova un riscontro nella normativa fiscale italiana ed in particolare all’articolo 37 comma III del Dpr 600/73 (introdotto dal Dl 69/1989) che recita:

“In sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiano titolari altri soggetti quando sia dimostrato….che egli ne sia l’effettivo possessore per interposta persona”.

La previsione di una apposita normativa convenzionale, con una portata complementare a quella interna, tende a colpire anche quelle operazioni transnazionali eseguite per il tramite di strutture “ponte” che, pur apparentemente lecite, evidenziano rapporti economico-giuridici anomali perché privi del necessario requisito della “realità”. Peraltro il principio che tende a far prevalere la sostanza sulla forma nei rapporti di natura fiscale è pienamente recepito anche negli ordinamenti fiscali statunitense e britannico[viii].

Il problema se il Pavarotti fosse o meno fiscalmente residente in Italia si risolve, dunque, con la constatazione che egli non si è fatto carico di sottoporsi autonomamente alla normativa fiscale di altro paese, in presenza di una situazione di domicilio di fatto in Italia, condizione che lo espone automaticamente al regime fiscale italiano.

Gli obblighi fiscali del lavoratore autonomo residente

L’obbligo di tenuta della contabilità

Al fine di verificare se sussistano gli estremi del reato contestato, dopo avere identificato la posizione giuridica dell’imputato sotto il profilo fiscale, è necessario chiarire quali fossero gli adempimenti fiscali cui egli era tenuto e quali siano stati gli eventuali comportamenti alternativi da lui posti in essere:

– il Pavarotti era obbligato alla tenuta di documentazione contabile nella sua qualità di esercente l’attività artistica di cantante lirico, in quanto fiscalmente residente in Italia (articolo19 Dpr 600/73),

– poiché i compensi percepiti erano superiori ai 360 milioni annui a partire dal 1.1.1991[ix] andava applicato il comma IV dell’articolo 19 Dpr 600/1973 che stabilisce il regime della contabilità ordinaria in luogo di quella semplificata con obbligo di tenuta di un registro cronologico contenente le annotazioni delle “movimentazioni finanziarie inerenti l’esercizio dell’arte o della professione compresi gli utilizzi delle somme percepite ancorché estranei all’esercizio dell’arte o professione nonché gli estremi dei conti correnti bancari utilizzati per le movimentazioni predette”,

nelle dichiarazioni fiscali annuali presentate dal Pavarotti in Italia era indicata la residenza fittizia e la sua condizione di soggetto fiscalmente non residente,

– l’unico documento posto in essere dal Pavarotti ai fini fiscali per giustificare la mancata tenuta delle scritture contabili in Italia è quello anagrafico, che ha documentato la sua residenza apparente nel Principato di Monaco ed attuato il mascheramento giuridico di quella reale mantenuta negli Usa e in Italia. Tale comportamento è da ritenersi fraudolento[x] dal momento che lascia presumere la scelta di contribuire con i propri redditi alle spese sociali nel paese di elezione anagrafica e dissimula la permanenza dei doveri di solidarietà fiscale verso i paesi con i quali manteneva una relazione fiscalmente rilevante. La conservazione di tale documento anagrafico era obbligatoria perché diretta a giustificare dinanzi alla amministrazione finanziaria italiana la propria condizione di soggetto non sottoposto all’obbligo di tenuta della contabilità,

il Pavarotti, facendo transitare i proventi dei concerti attraverso la Word Wilde Concert Corp Inc., ha anche posto in essere negli Usa una condotta diretta a mascherare la diretta percezione dei proventi delle sue prestazioni artistiche (“beneficial owner”) e la loro effettiva destinazione verso i cc/cc italiani. Egli, al fine di giustificare la assoggettibilità di quei proventi alla esclusiva imposizione Usa in base all’articolo 17 della convenzione, ha dissimulato l’effettivo ruolo svolto da quella società di mero intermediario con poteri marginali, condizione che lo stesso articolo 17 ed il deliberato del 1987 del Comitato sugli Affari Fiscali dell’Ocse non autorizzano ad equiparare a quella di beneficiario effettivo dei redditi, restituendo piena efficacia alla prima parte dell’articolo 14 che impone la imponibilità nel paese di residenza,

– la fittizia residenza fiscale in Montecarlo ed il comportamento dissimulatorio posto in essere negli Usa hanno determinato rispetto all’amministrazione finanziaria italiana una oggettiva situazione di ostacolo all’accertamento delle imposte sui redditi, dal momento che anche le informazioni di rilevanza fiscale Usa, per effetto delle stesse convenzioni bilaterali e del Modello Ocse, avevano pieno titolo ad essere utilizzate dall’amministrazione finanziaria italiana[xi],

in base all’articolo 25 comma primo del Dpr 600/73 gli enti lirici italiani avrebbero dovuto operare una ritenuta del 19% a titolo di acconto in relazioni alle prestazioni rese dal Pavarotti in Italia, essi invece sono stati indotti ad operare una ritenuta a titolo definitivo nella misura del 20% essendosi il Pavarotti ad essi proposto come soggetto non residente,

la fittizia residenza all’estero ha determinato false rappresentazioni sulle scritture contabili degli enti lirici italiani, i quali o annotarono fatture di soggetti giuridici diversi da esso Pavarotti o, comunque, annotarono nella propria contabilità autofatturazioni relative alle sue prestazioni con ritenuta a titolo definitivo in conseguenza della qualificazione del Pavarotti come persona non residente in Italia (vedasi in proposito i verbali di accertamento delle imposte acquisiti agli atti). Entrambe le modalità hanno di fatto realizzato la emissione di fatture (o di autofatture) per operazioni in tutto o in parte inesistenti,

la normativa fiscale, nel caso di transazioni intervenute tra soggetto obbligato alla tenuta della contabilità e soggetto non obbligato o che comunque non rilascia fatture, prevede il ricorso alla autofatturazione da parte del primo, ai sensi del combinato disposto degli articoli 17 comma III e 21 comma V Dpr 633/72.

L’autofatturazione in tal modo esprime i riferimenti soggettivi ed i dati contabili di una operazione imponibile, contribuisce a formare la cosiddetta documentazione di supporto necessaria a ricostruire il volume di affari di entrambi i contraenti, assume una significativa rilevanza nella esecuzione dei controlli incrociati. Anche se la sua formazione compete ad uno solo dei soggetti contraenti, la sua capacità documentativa è strumentale anche per l’altro,

Il Pavarotti, in quanto lavoratore autonomo fiscalmente residente, era obbligato alla conservazione ed alla esibizione all’amministrazione finanziaria di tutte le scritture contabili di cui è obbligatoria la conservazione: tra queste vanno annoverati gli estratti conti bancari italiani (tutti identificati)[xii] che documentavano la percezione dei ricavi delle prestazioni rese all’estero e delle royalties percepite e copia delle fatture o autofatture comunque riferibili alle prestazioni da lui rese. Il dott. Vanni Trombetta, rappresentante nominato dal Pavarotti per assisterlo in sede di verifica fiscale, si è sottratto all’obbligo di esibire tale documentazione (certamente esistente) dichiarando di non avere conoscenza della sua esistenza. Tale condotta realizza di fatto un occultamento della documentazione contabile che astrattamente avrebbe potuto assumere rilievo penale o, quanto meno, di violazione sanzionata in via amministrativa ai sensi dell’articolo 45 Dpr 633/72.

b) La nozione di “scritture contabili obbligatorie”

La possibilità di applicazione delle varie ipotesi previste dal D.Lgs 74/2000 è legata alla incidenza o meno della condotta su “scritture contabili” e “scritture contabili obbligatorie” dalle quali sia rilevabile una falsa rappresentazione.

La nozione di scritture contabili ha una portata molto vasta tale da comprendere ogni scrittura rilevante ex articolo 2214 Cc, comprese quelle ausiliarie.

Con il termine scritture contabili obbligatorie si intendono, invece, quelle scritture più direttamente rivolte a racchiudere la contabilità dell’attività imponibile svolta, cioè dell’insieme ragionato e coordinato dei dati espressivi delle relative vicende economiche destinati ad essere rappresentati all’amministrazione finanziaria. La nozione di scritture contabili obbligatorie, piuttosto che il supporto cartaceo, esprime il dato contabile sostanziale generalmente incorporato nei “libri e registri vidimati e bollati”, ma eventualmente espresso in via sostitutiva anche in modo informale su supporti non convenzionali che ne tengano luogo.

Ove, invece, le scritture formali siano accompagnate da una parallela contabilità nera, questa rappresenta solo la prova della fraudolente rappresentazione sulle scritture contabili obbligatorie[xiii]. La sua esistenza assume, comunque, una autonoma rilevanza fiscale in quanto la sua pertinenza con l’attività svolta e la sua funzionalità al fine della ricostruzione dei redditi e del volume degli affari, ne impone l’obbligo di conservazione al pari di ogni altra scrittura ausiliaria.

Agli effetti penali il D.Lgs 74/2000 attribuisce una diversa rilevanza:

alle scritture contabili obbligatorie, prevedendo all’articolo 3 la punibilità delle false rappresentazioni operate su di esse,

alle fatture o loro equivalenti, prevedendo all’articolo 2 e 8 la punibilità delle indicazioni di dati non veritieri operate su di esse,

– ed alle scritture di cui è obbligatoria la conservazione, prevedendo all’articolo 10 la punibilità del loro occultamento o della loro distruzione.

In linea generale il Pavarotti, in quanto soggetto fiscalmente residente in Italia ed esercente una attività di lavoratore autonomo, era obbligato alla tenuta di una contabilità. Ma a prescindere dal rispetto di tale obbligo, egli era comunque tenuto alla conservazione di tutti gli altri documenti rilevanti ai fini contabili, che egli – pur avendo violato l’obbligo di tenuta della contabilità – era comunque obbligato a conservare e tenere a disposizione dell’amministrazione finanziaria.

L’articolo 13 del Dpr 600/73 recita: “sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili….e) le persone fisiche che esercitano arti o professioni ai sensi dell’articolo 49 Dpr 917/1986”.

L’articolo 22 comma II e III del Dpr 600/73 dispone altresì: “Le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali devono essere conservate sino a quando non siano definiti gli accertamenti. Fino allo stesso termine devono essere conservati…gli originali delle lettere, dei telegrammi, e delle fatture ricevuti e le copie delle lettere e dei telegrammi spediti e delle fatture emesse”.

Analoga nozione ne dà l’articolo 45 Dpr 633/72 in materia di Iva estendendone la portata a qualsiasi documentazione “di cui comunque risulti l’esistenza” o “che sia richiesta ai fini delle ispezioni e delle verifiche”.

La disposizione non è riferita alla sola documentazione di cui è obbligatoria la conservazione ai fini fiscali, ma a qualsiasi documento che può essere rilevante ai fini della quantificazione delle imposte.

La valutazione degli aspetti penali

a) Le varie ipotesi di infedele dichiarazione nel D.Lgs 74/2000

Le argomentazioni della sentenza appellata e l’impegno del Pm sono stati tutti rivolti a verificare la sussistenza del presupposto di imposta della residenza fiscale in Italia e se si fossero realizzati gli elementi costitutivi del delitto di cui all’articolo 4 D.Lgs 74/2000.

Nonostante dopo il rinvio a giudizio l’originaria imputazione di cui all’articolo 4 lettera f) legge 516/82 sia stata sostituita con quella dell’articolo 4 D.Lgs 74/2000, nella contestazione in fatto – supponendo una continuità normativa tra la frode fiscale prevista dalla legge 516 e l’articolo 4 D.Lgs 74/2000 – sono rimasti gli elementi costitutivi della ipotesi originaria descritti con le parole “iscrivendosi all’Aire del Principato di Monaco e stabilendo fittiziamente la propria residenza”.

Questa Corte ritiene che correttamente la sentenza di primo grado abbia implicitamente ritenuto che tali elementi della contestazione, isolatamente considerati, siano insufficienti ad integrare gli elementi di fraudolenza rilevanti ex articoli 2 e 3 del D.Lgs 74/2000. Per contro la sentenza, per quanto brillante ed analitica in ordine alle ragioni che dimostrano che il Pavarotti era fiscalmente residente in Italia, non è condivisibile in ordine alla mancata individuazione degli elementi costitutivi del delitto di cui all’articolo 4 D.Lgs 74/2000.

Il delitto di cui all’articolo 4 D.Lgs 74/2000 è reato di pura condotta, consistente nella cosciente e volontaria presentazione di dichiarazione infedele, contenente cioè l’indicazione di elementi attivi o passivi del reddito diversi da quelli reali, a condizione del superamento di determinate soglie riferite all’imposta evasa.

Una volta accertata la condizione del Pavarotti di persona fiscalmente residente in Italia, è davvero arduo sostenere la tesi secondo cui il carattere elusivo della residenza all’estero possa escludere la punibilità per infedele dichiarazione. L’infedeltà nel delitto contestato va individuata nella sola non corrispondenza a realtà di quanto dichiarato: la non fedeltà della dichiarazione, prevista dalla legge come reato, non può essere resa inefficace in forza di una asserita finalità elusiva della condotta, quasi che questa si configuri sempre ed inevitabilmente come una volontà diversa o più sfumata di quella di sottrarsi al pagamento delle imposte.

È risultato, difatti, provato pacificamente (ed ammesso anche nella sentenza appellata) che il Pavarotti aveva operato la scelta della residenza a Montecarlo proprio nella supposizione di potersi con ciò sottrarre al pagamento delle imposte in Italia. Come esattamente ha osservato il Pg, la scelta di spostare la residenza a Montecarlo – di per sé legittima e qualificabile come comportamento elusivo – è cosa completamente diversa dalla scelta di sottrarsi al pagamento delle imposte nel luogo di domicilio effettivo avvalendosi di quella scelta. Ci si sarebbe aspettato che il Pavarotti, per sottrarsi al pagamento delle imposte in Italia, si fosse anche trasferito effettivamente all’estero sottoponendosi al regime fiscale del paese di adozione, come hanno fatto tanti altri cittadini italiani dalle consistenti risorse economiche. Invece egli ha svolto il proprio lavoro prevalentemente negli Usa, ove ha fatto di tutto per risultare fiscalmente non residente e si è sottratto al pagamento dell’imposta complessiva sul reddito in quel paese facendo figurare di essere fiscalmente residente in altro paese.

Nella sentenza appellata si fa un’altra affermazione non condivisibile, quando si afferma che la residenza fittizia all’estero non ha avuto la idoneità ad ostacolare l’attività di accertamento dell’amministrazione finanziaria. E, difatti, a parte la valutazione di merito, l’asserita inidoneità non costituisce elemento costitutivo del reato di cui all’articolo 4 D.Lgs 74/2000, in quanto il suo momento consumativo precede ed è indipendente dalla fase dell’accertamento dell’imposta, necessaria solo per verificare il superamento della soglia di punibilità.

Ed ancora. La corrispondente condotta che costituiva reato sotto la vigenza della legge 516/1982 era la contravvenzione prevista dal capoverso dell’articolo 1 cpv lettera a), che prevedeva come reato l’omessa annotazione di elementi positivi del reddito nei registri obbligatori e non già dall’articolo 4 lettera f) della legge 516/82 (di tale affermazione si darà conto più ampiamente in seguito). Ed anche se si considerasse questa ipotesi criminosa (articolo4 lettera f) l’antecedente logico dell’articolo 4 D.Lgs 74/2000, il requisito della idoneità ad ostacolare l’accertamento non sarebbe comunque riferito all’accertamento dell’imposta, bensì all’accertamento di fatti materiali in quanto dissimulati mediante comportamenti fraudolenti.

Né l’ipotesi di cui all’articolo 1 cpv legge 516/1982 né quella di cui all’articolo 4 D.Lgs 74/2000 sono caratterizzati da elementi di fraudolenza. Tuttavia il P.G. ha sottolineato che risulta contestato nel capo di imputazione un “comportamento fraudolento idoneo ad ostacolare l’accertamento di fatti materiali”. Tale correlazione è stata giustificata dalla supposizione della esistenza di una situazione di continuità normativa rispetto alla ipotesi di cui all’articolo 4 lettera f) legge 516/1982.

Il problema di diritto che qui interessa è, comunque, verificare se la condotta prevista dall’articolo 4 lettera f) legge 516/1982 trovi come ipotesi corrispondenti nel D.Lgs 74/2000, in relazione di continuità normativa, anche le ipotesi alternativamente previste, a seconda di come si atteggino i caratteri della fraudolenza, dagli articoli 2 o 3 D.Lgs 74/2000.

L’applicabilità delle ipotesi criminose di cui agli articoli 2 e 3 è subordinata al fatto che si tratti di redditi di impresa o di lavoro autonomo e che la fraudolenza si basi su una falsa rappresentazione contenuta nella documentazione contabile. Nell’articolo 2 la condotta si consuma con la indicazione in dichiarazione di elementi passivi fittizi risultanti da fatture o documenti equivalenti, nell’articolo 3 si consuma con la indicazione sulle scritture contabili obbligatorie di elementi di reddito fittizi per effetto di altri comportamenti fraudolenti.

Le ipotesi previste dagli articoli 2, 3 e 4 sono complementari: l’articolo 3 è applicabile solo nel caso in cui la dichiarazione fraudolenta non sia già punibile per effetto dell’applicazione dell’articolo 2 (“Fuori dei casi previsti dall’articolo 2…”); l’articolo 4 solo nel caso in cui la dichiarazione infedele non sia già punibile per effetto dell’applicazione degli articoli 2 e 3 (“Fuori dei casi previsti dall’articolo 2 e 3…”).

Questa formulazione normativa prevede, dunque, tre distinte ipotesi di reato a strutturazione progressivamente sempre meno articolata sino ad arrivare all’articolo4, con un parallelo diverso effetto anche delle soglie, che nell’articolo2 svolgono solo la funzione di attenuante e negli articoli 3 e 4 sono articolate con parametri di soglie di punibilità via via superiori.

Da tale strutturazione normativa a cerchi concentrici (e con possibilità di alternatività tra l’articolo 2 e l’articolo3) si deduce la volontà del legislatore di considerare unitario il criterio di lettura ed interpretazione dei tre reati e di coprire tutte le possibili ipotesi di comportamenti che possono contribuire alla formazione di una dichiarazione infedele: dalla fraudolenza minima del falso ideologico puro e semplice o del mendacio che realizza l’ipotesi di cui all’articolo 4 a quella più insidiosa della falsa fatturazione che realizza l’ipotesi di cui all’articolo 2. La stessa rubrica dell’articolo 3 (“dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”) sta a testimoniare il carattere residuale della frode prevista da tale norma, anche se la strutturazione della relativa condotta criminosa rimane sempre ancorata ai limiti di una falsa rappresentazione manifestatasi su scritture contabili obbligatorie.

Questo limite esprime la stessa preoccupazione che, a seguito della pronunzia della sentenza della Corte Costituzione n.35 del 28.1.1991, portò il legislatore alla riformulazione del previgente delitto di frode fiscale previsto dall’articolo 4 n.7 legge 516 con la ipotesi di cui all’articolo 4 lettera f) (introdotta con la legge 154/91) e la introduzione nella struttura del reato del requisito della materialità della falsa rappresentazione.

Nel D.Lgs 74/2000 questa materialità è stata ulteriormente rafforzata con la previsione di una falsa rappresentazione che deve manifestarsi esclusivamente su scritture contabili obbligatorie. In entrambi le ipotesi criminose, comunque, il legislatore attraverso strumenti diversi di tecnica legislativa ha voluto evitare di esporre al rischio di incriminazione per frode fiscale tutte quelle situazioni di soggettiva interpretazione di elementi contabili che la normativa fiscale consente attraverso valutazioni di valore. Ma, come vedremo, le formule normative adottate comportano sul piano pratico conseguenze applicative diverse.

Per converso è stata maggiormente specificata dal D.Lgs 74/2000 la portata della ipotesi di frode fiscale per effetto di false fatturazioni di cui all’articolo 2, estendendola ad ogni documento “detenuto a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria”. L’articolo 1 lettera a) D.Lgs 74/2000 ha, inoltre, ulteriormente precisato concetti già evidenziati dalla giurisprudenza[xiv], indicando come documenti per operazioni inesistenti anche quelli che riferiscono la prestazione fiscalmente rilevante a soggetti diversi ed a falsità parziali (“in tutto o in parte”).

Il quadro complessivo delle possibili violazioni complementari è completato con la previsione delle ipotesi di cui agli articoli 8 (emissione di fatture per operazioni inesistenti) e 10 (occultamento o distruzione di documenti di cui è obbligatoria la conservazione), che si differenziano dai primi solo perché la loro consumazione prescinde dalla presentazione della dichiarazione.

In particolare il delitto di cui all’articolo 3 D.Lgs74/2000

L’articolo 3 del D.Lgs 74/2000 prevede come elementi costitutivi una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento. Si tratta della descrizione di condotte criminose distinte realizzabili in momenti logici diversi: la falsità nelle scritture contabili obbligatorie indica l’antecedente materiale diretto della dichiarazione infedele, il riferimento al mezzo fraudolento indica il meccanismo artificioso creato a monte a supporto del dato falso inserito in contabilità. Perché si realizzi l’ipotesi di cui all’articolo 3 è necessario sia posta in essere una condotta finale (dichiarazione non veritiera) che di fatto sfrutti gli elementi di falsa rappresentazione operati, anche da terzi, nelle fasi precedenti. I termini “sulla base” e “avvalendosi” non descrivono una azione positiva svolta necessariamente dallo stesso autore del reato nelle fasi che precedono il momento consumativo costituito dalla formazione della dichiarazione dei redditi, quanto piuttosto il recepimento del risultato di condotte autonome che potrebbero, ad esempio, essere state poste in essere anche da un precedente amministratore della medesima società. Ovviamente è sempre necessario che la persona fisica, cui il reato viene attribuito, ne abbia consapevolezza e che esista una relazione di strumentalità tra le false rappresentazioni eseguite sulla documentazione di supporto (o gli altri mezzi fraudolenti posti in essere) e la dichiarazione non fedele.

Va, però rilevato che la D.Lgs 74/2000, pur avendo ridimensionato le possibilità di concorso di reati per l’emittente e l’utilizzatore di fatture per operazioni inesistenti, non ha inciso più di tanto sulla operatività degli articoli 48 e 110 Cp in relazione a tutte le fattispecie da essa disciplinate, sicché non sembra possa condividersi una interpretazione delle ipotesi criminose esaminate che ne circoscriva l’applicazione ai casi in cui la falsa rappresentazione si manifesti solo sui documenti contabili o le scritture contabili obbligatorie dello stesso contribuente che si sia avvalso della falsa rappresentazione.

Se è pur vero che in tal senso devono essere lette le norme esaminate, l’effetto estensivo della punibilità in conseguenza degli articoli 48 e 110 Cp conserva tutta la sua portata. Il coinvolgimento del contribuente con il quale si pone in essere una transazione può essere basato sul contributo consapevole di questi (articolo 110 Cp) o su un suo coinvolgimento inconsapevole per essere stato egli tratto in inganno (articolo 48 Cp). Entrambi i reati previsti dagli articoli 2 e 3, quasi a sottolineare la maggiore possibilità di estensione della relativa sfera di operatività, utilizzano il termine “avvalendosi” per indicare la relazione più sfumata possibile tra la falsa rappresentazione e la documentazione dalla quale sono tratti i dati fittizi.

Tale interpretazione è coerente tanto con la volontà del legislatore di coprire con ipotesi complementari tutte le possibili ipotesi di falsa rappresentazione espressa sul piano documentale, quanto il principio ispiratore degli accertamenti fiscali basato sulla possibilità di eseguire controlli incrociati che consentono l’utilizzazione nei confronti di un contribuente anche di documenti acquisiti presso altro contribuente.

Peraltro la legge delega 25.6.1999 n.205 sulla base della quale è stato emanato il D.Lgs n.74/2000 prevedeva all’articolo 9 comma II lettera a n.1 che la nuova legge introducesse una ipotesi di reato diretta a punire “le dichiarazioni annuali fraudolente fondate su documentazione falsa ovvero su altri artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile”. Ne consegue che la formulazione dell’articolo 3 D.Lgs 74/2000 che circoscrive, invece, l’ipotesi residuale di frode fiscale ai casi in cui la falsa rappresentazione si manifesti solo nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti non risulta rispettosa dei termini della delega che ha previsto gli altri artifici come elementi alternativi rispetto alla predisposizione di documentazione falsa. Ne consegue che, a parte la possibilità di intendere la “e” dell’articolo 3 in senso disgiuntivo[xv], l’unica interpretazione possibile della norma delegata è quella idonea a colmare questo vizio d’origine mediante il correttivo interpretativo attuato mediante il ricorso ai criteri generali del diritto penale.

Aderendo ad una interpretazione letterale dell’articolo 3, questa Corte ha ritenuto che il solo fatto di porre in essere una falsa rappresentazione in grado di giustificare la mancata tenuta delle scritture contabili, non possa essere considerata alla stregua di una falsa rappresentazione in grado di incidere sulla fedeltà delle scritture contabili obbligatorie (articolo3: “sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie”), anche se il documento esterno alle scritture contabili obbligatorie, in grado di giustificarne la mancata tenuta (la attestazione di residenza fittizia nel Principato di Montecarlo), costituisce l’elemento materiale che di fatto ne ha evitato la formazione con effetti fraudolenti che, però, non si sono espressi sulle scritture contabili obbligatorie. La Corte non ritiene che la falsa rappresentazione in esso contenuta tenga luogo della assenza della documentazione contabile che esso serviva a giustificare.

La norma penale di tutela rispetto alle false rappresentazioni non estende i suoi effetti al documento che ne nega l’esistenza, perché il legislatore ha circoscritto la portata residuale dell’articolo 3 (“dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”) con un ancoraggio preciso ed esplicito alle scritture contabili obbligatorie che consente di circoscrivere l’essenzialità di quest’elemento alla sola ipotesi in cui delle scritture contabili obbligatorie siano state effettivamente poste in essere.

Sotto altro profilo, però, una falsa rappresentazione e comportamenti fraudolenti, potrebbero assumere egualmente rilievo penale, in quanto eseguiti sulle scritture contabili degli altri contribuenti coinvolti nelle transazioni economiche poste in essere dall’imputato, ove risultino comunque riconducibili alla condotta ed alla volontà del contribuente fittiziamente propostosi come residente all’estero.

Nel caso di specie gli enti lirici italiani, in occasione dei concerti del Pavarotti o hanno annotato sulle proprie scritture contabili obbligatorie fatture emesse da soggetti diversi (e quindi da considerarsi inesistenti) o hanno comunque dovuto autofatturare le prestazioni rese dal Pavarotti indicandolo come non residente, comportamento che realizza oggettivamente una falsa rappresentazione nella documentazione di terzi, generata dalla induzione in errore posta in essere dal Pavarotti.

E, come si è già detto, la falsa rappresentazione può riguardare non necessariamente la effettiva verificazione delle prestazioni o il nominativo di chi le ha rese, ma anche i dati di carattere fiscale idonei a identificare il soggetto passivo di imposta. Nel caso di specie indicando come prestatore del servizio un soggetto non residente, i beneficiari dei servizi resi dal Pavarotti sono stati obbligati ex articolo 25 comma II Dpr 600/1973 ad operare una ritenuta a titolo di imposta e non già a titolo di acconto sui compensi erogati.

In entrambi tali casi si suppone che gli artifici siano stati posti in essere attraverso le scritture contabili obbligatorie di contribuenti diversi, circostanza di cui non si fa cenno nella contestazione formale e che non consente di ritenerli assorbiti nella contestazione del fatto per la quale l’imputato è stato tratto a giudizio, esplicitamente circoscritta alla fittizia iscrizione all’Aire. E non sono stati, comunque, neanche compiutamente documentate tali diverse false rappresentazioni concorrenti, non essendo stati acquisiti i supporti documentali in cui le false rappresentazioni sono state incorporate, sicché non può affermarsi nei confronti del Pavarotti la responsabilità per i diversi reati previsti dagli articoli 2 e 3 D.Lgs 74/2000, ovvero per le ipotesi di reato più favorevoli previste dall’articolo 4 lettera d) ed f) che, sotto diverso profilo, ne costituivano l’antecedente sotto la vigenza della legge 516/1982.

Nonostante al momento della entrata in vigore del D.Lgs 74/2000 il Pavarotti non fosse stato ancora rinviato a giudizio e non fossero state ancora completate le indagini, nessun accertamento fu a suo tempo svolto per verificare le reali modalità di pagamento delle prestazioni artistiche da lui rese in Italia.

Questo processo ha risentito di un prassi frequente nelle indagini penali di natura fiscale, ove gli sforzi dell’amministrazione finanziaria sono tutti rivolti alla individuazione degli elementi che possano supportare una rettifica dell’accertamento di imposta. Encomiabile l’impegno profuso nel caso di specie dalla amministrazione in tal senso. Ma se, sotto il profilo penale, tale azione dell’amministrazione è idonea a concretare una notizia di reato per le ipotesi di reato meno complesse (in particolare per l’ipotesi base di dichiarazione infedele direttamente collegabile all’atto di rettifica dell’accertamento dell’imposta), non è di per sé sufficiente a consentire l’accertamento della sussistenza di tutte le possibili ipotesi di reato configurabili, né in particolare di quelle più complesse e di conseguenza più gravi.

Quando le ipotesi di reato astrattamente applicabili si prospettano più complesse, le indagini di natura penale devono rivolgersi anche alla ricerca di tutti gli aspetti contabili e documentali che possono essere stati inficiati da false rappresentazioni o da modalità operative fraudolente, compresa la identificazione di quei comportamenti intesi ad ostacolare la ricostruzione dei redditi e ad occultare la documentazione contabile posti in essere nel corso della verifica.

Nella prassi accade spesso che, invece, questo tipo di indagini che non sono strettamente essenziali alla attività di istituto di natura amministrativa degli uffici finanziari e della polizia tributaria, non vengono svolte ed alla loro mancanza non fanno seguito ricerche mirate da parte del Pm nel corso della indagine penale.

Nel caso del Pavarotti non risulta accertato con quali specifiche modalità furono documentate ed annotate dagli enti lirici italiani le erogazioni di danaro versate al Pavarotti in relazione alle prestazioni artistiche da lui rese in Italia. Le indicazioni fornite in proposito sono generiche ed approssimative, non risulta acquisita e prodotta come prova al dibattimento la relativa documentazione, e, soprattutto, non risultano contestate neanche in fatto tali ulteriori modalità artificiose e la loro rilevanza ai fini della formazione delle infedeli dichiarazioni dei redditi.[xvi]

La norma più favorevole ex articolo 2 comma III Cp

a) I principi della legge delega in ordine alla disciplina transitoria

La legge penale fiscale 74/2000 ha abrogato la legge 516/1982 e, quindi, anche l’ipotesi criminosa di frode fiscale disciplinata dall’articolo 4 lettera f) originariamente contestata al Pavarotti.

Non ha però introdotto una disciplina transitoria, sicché essendo il D.Lgs 74/2000 intervenuto a disciplinare la stessa materia ed a riformulare le stesse ipotesi criminose, occorre verificare per ciascuna di esse se il legislatore abbia inteso escludere o meno l’esistenza di una continuità normativa con la legge 516/82.

Per la verità non si comprende il motivo per cui, una volta abolito il principio della ultrattività della legge fiscale (articolo 20 legge 4/1929), il legislatore non abbia sentito il bisogno di regolare con una disciplina transitoria un passaggio normativo così delicato, essendo peraltro chiaro che la previsione di elementi costitutivi aggiuntivi per le nuove ipotesi di reato, avrebbe necessariamente comportato per molti processi la retrocessione alla fase delle indagini e/o la necessità di nuova contestazione di elementi di fatto che, pur normalmente sussistenti, nella precedente fase processuale non vi era necessità di contestare.

E, nonostante la prevedibile necessità di questi adempimenti suppletivi, con la nuova legge si è disposta per buona parte dei reati (quelli di più frequente applicazione anche se meno gravi) la riduzione del termine di prescrizione (con l’interruzione da nove anni a sette anni e mezzo), pur avendo presente che i processi penali fiscali traggono normalmente origine da notizie di reato acquisite a seguito di accertamenti di imposta compiuti ad anni di distanza dalla presentazione della dichiarazione (articolo43 Dpr 600/73: “entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quella di presentazione della dichiarazione). E, poiché gli accertamenti di imposta vengono normalmente eseguiti dagli uffici finanziari al limite del termine consentito, per buona parte dei reati previsti dalla nuova legge restano solo due anni per la celebrazione dei tre gradi di giudizio.

Il legislatore non ha considerato che passando da un sistema diretto a colpire comportamenti prodromici (legge 516/82) ad un sistema basato sul superamento di soglie di punibilità rapportato all’imposta evasa (entro certi limiti equiparabile a quello vigente prima della legge 516/1982), avrebbe dovuto introdurre anche un corrispondente meccanismo di calcolo della prescrizione che tenesse conto della impossibilità di intercettare tempestivamente tutte le notizie di reato provenienti con tanto ritardo dalla amministrazione. Se è pur vero che la pregiudiziale tributaria non avrebbe potuto essere comunque riproposta, perché di essa ha fatto giustizia la Corte Costituzionale, nessun ostacolo vi sarebbe stato ad una prescrizione decorrente dal momento in cui l’imposta è naturalmente destinata a diventare definitiva per effetto del decorso del termine utile per l’accertamento previsto dall’articolo 43 Dpr 600/73.

La tecnica legislativa utilizzata con la abrogazione della legge 516/1982 e la mancata previsione di norme transitorie[xvii], ha alimentato l’illusione di una sostanziale depenalizzazione riferibile a quasi tutti i reati fiscali per violazione della normativa sulle imposte dirette e sull’Iva commessi sino a tutto il 14 aprile 2000 generando tutta una serie di conflitti giurisprudenziali relativi alla possibilità o meno di applicazione dell’articolo 2 comma III Cp

Una illusione destinata a cadere di fronte a quanto stabilito dall’articolo16 della legge delega 205/1999 che nelle disposizioni finali aveva stabilito:

“In sede di emanazione dei decreti legislativi di cui agli articoli 1, 9 e 10, il Governo è altresì delegato….ad emanare le norme di attuazione delle disposizioni contenute nella presente legge, le norme di coordinamento con tutte le altre leggi dello Stato, nonché le norme di carattere transitorio”

Il legislatore delegante aveva affermato l’esigenza di regolare il passaggio tra le due normative con disposizioni di carattere transitorio. Ne consegue che in assenza di una normativa transitoria specifica, devono trovare applicazione le disposizioni di cui all’articolo 2 comma III Cp sulla successione delle leggi nel tempo, avendo il legislatore delegante implicitamente stabilito l’esigenza di regolare tale passaggio secondo i principi generali.

La Corte osserva che tra le molteplici possibili interpretazioni da adottare debba essere comunque privilegiata quella rispettosa dei principi stabiliti dalla legge delega.

Rileva, altresì, come alcune delle discutibili soluzioni formulate dalla giurisprudenza abbiano realizzato effetti equiparabili a quelli di un provvedimento di amnistia, perché, pur essendo previste dalla nuova legge corrispondenti figure criminose – sia pure diversamente formulate – ed essendo imposto un regolamento transitorio tra vecchia e nuova normativa, queste sono state ritenute completamente autonome e distinte da quelle previste dalla precedente legge 516/82 che sono state ritenute di conseguenza non più previste dalla legge come reato.

Ma tali soluzioni non possono trovare accoglimento perché, dopo la revisione costituzionale disposta con la legge 1/1992, i provvedimenti ablativi della punibilità di ipotesi di reato sopravviventi nel sistema normativo possono essere adottati solo con la apposita procedura prevista dall’articolo 79 Costituzione in tema di amnistia ed indulto, che nel caso di specie non risulta adottata. Né il Parlamento aveva il potere di realizzare surrettiziamente con le normali procedure di cui all’articolo 72 Costituzione una sorta di amnistia mascherata eludendo la apposita procedura costituzionale introdotta con la legge costituzionale 1/1992.

A fronte di una pluralità di possibili interpretazioni, ne deriva quindi, anche sotto questo profilo, la necessità di privilegiare quelle rispettose del dettato costituzionale rivolta a salvaguardare la sopravvivenza della normativa abrogata nei limiti consentiti dall’articolo 2 comma III Cp.

b) La disciplina transitoria in ordine alla ipotesi di cui all’articolo 1 cpv legge 516/82

Hanno riconosciuto una situazione di continuità normativa tra le ipotesi previste dall’articolo 4 lettera d) ed f) legge 516 e gli articoli 2 e 3 del D.Lgs 74/2004 le seguenti pronunzie della Corte di Cassazione:

Cassazione Pen. Sezione terza, Sentenza 33887/01 Rv. 220045

  “In materia di reati finanziari, tra il reato già previsto dall’articolo 4 lettera f) del Dl 429/82, convertito con legge 7 agosto 1982 n. 516, che prevedeva il fatto di chi, al fine di evasione fiscale, indicava nella dichiarazione dei redditi (ovvero nel bilancio o rendiconti allegati) componenti positivi o negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, utilizzando documenti ideologicamente falsi o ponendo in essere altri comportamenti idonei ad ostacolare l’accertamento dei fatti, e la nuova fattispecie di cui all’articolo 3 del D.Lgs 10 marzo 2000 n. 74 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) sussiste continuità normativa, atteso che il bene tutelato è il medesimo, cioè il corretto esercizio della funzione di accertamento fiscale, ed analoghe sono le modalità di aggressione al bene, realizzata con una dichiarazione fiscale fraudolenta mediante l’artificio documentale di occultare elementi reddituali.”

Sezione terza, Sentenza 6228/00 (Ud. 27/04/2000 n.01651 ) Rv. 217015 [xviii]

“In tema di reati finanziari il fatto normativamente previsto dall’articolo 2 del D.Lgs 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) è riconducibile alla precedente fattispecie di cui all’articolo 4 lettera d) legge 516/82 (utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) anche sotto il profilo soggettivo, in quanto la volizione dell’elemento specializzante (utilizzazione in dichiarazione) è insita almeno a titolo di dolo eventuale nell’azione posta in essere, tanto più che l’indicazione in dichiarazione costituisce accadimento normale e prevedibile della utilizzazione ed è ricompresa quale progressione logica della disciplina del precedente precetto (di cui all’articolo 4 cit.).”

In esse si prende atto di una diversa strutturazione tra vecchia e nuova normativa, precisandosi nella prima sentenza che “il bene tutelato è il medesimo, cioè il corretto esercizio della funzione di accertamento fiscale, ed analoghe sono le modalità di aggressione al bene”, e ancora più esplicitamente nella seconda sentenza che: “la volizione dell’elemento specializzante (utilizzazione in dichiarazione) è insita almeno a titolo di dolo eventuale nell’azione posta in essere, tanto più che l’indicazione in dichiarazione costituisce accadimento normale e prevedibile della utilizzazione ed è ricompresa quale progressione logica della disciplina del precedente precetto”.

Gli argomenti svolti in tali sentenze contraddicono quelli posti a supporto della sentenza pronunziata dalla Corte di cassazione (Sezione terza 9243/00, Sezione quarta 35581/03) ) che ha, invece, negato l’esistenza di una continuità normativa tra l’articolo 1 cpv legge 516/82 e l’articolo4 del D.Lgs 74/2000 e quelli svolti nella sentenza n.35 del 15.1.2001 delle Su, che ha negato continuità normativa addirittura tra il reato previsto dall’articolo 1 primo comma legge 516/82 e l’articolo5 D.Lgs 74/2000, la cui condotta si sostanzia in entrambi i casi nella omessa presentazione della dichiarazione.

Per quanto riguarda l’articolo 1 cpv legge 516/1982 osserva questa Corte che questa contravvenzione non identificava nella presentazione della dichiarazione infedele il momento essenziale e consumativo del reato solo per effetto dell’anticipazione, voluta dal legislatore, della condotta punitiva ad un momento che non rendesse necessario al giudice quantificare l’imposta evasa (la situazione è analoga a quella esaminata dalla citata sentenza n.6228 a proposito del reato di annotazione di fatture per operazioni inesistenti).

L’evento naturalistico negli articoli 1 cpv legge 516/82 e 4 del D.Lgs 74/2000 è lo stesso: la sottrazione di ricavi al pagamento dell’imposta sui redditi da parte di un imprenditore o di un lavoratore autonomo. L’anticipazione del momento consumativo fu determinata dall’esigenza di semplificare le modalità di accertamento secondo una tecnica normativa che ha informato l’intera legge 516, rivolta a punire i comportamenti prodromici alla dichiarazione infedele con la previsione di reati a consumazione anticipata. L’argomento utilizzato nella sentenza n.6228 è che la dichiarazione dei redditi nella nuova normativa è “ricompresa quale progressione logica della disciplina del precedente precetto”.

Peraltro la interpretazione seguita da altre sentenze della Corte di cassazione ha ribaltato inopinatamente e senza un convincente supporto motivazionale tutta la precedente giurisprudenza intervenuta a disciplinare in settori diversi del diritto penale casi analoghi in materia di applicazione dell’articolo 2 comma III Cp, le cui più significative pronunzie sono cristallizzate nelle seguenti massime:

Cassazione Pen. Sezione sesta, Sentenza 2328/98 (Ud. 14/01/1998 n.00026 ) Rv. 209781

“In tema di abuso di ufficio, a seguito della nuova formulazione dell’articolo 323 Cp ad opera della legge 16 luglio 1997, n. 234, occorre verificare, in base all’articolo 2 Cp, riguardante la successione delle leggi penali nel tempo, se le condotte contestate all’imputato sulla base della fattispecie previgente siano tali da integrare reato anche in base al nuovo testo del predetto articolo; e ciò tenendo presente che la nuova fattispecie, al fine di realizzare una maggiore tipicizzazione della condotta del pubblico ufficiale, richiede specificatamente che questi abbia agito intenzionalmente in violazione di leggi o di regolamenti; che essa configura ora un reato di evento, postulando che il comportamento del pubblico ufficiale abbia determinato un ingiusto vantaggio patrimoniale per sè o per altri ovvero un danno ingiusto per altri; che essa contempla la sussistenza del carattere patrimoniale del vantaggio ingiusto, mentre tale carattere, prima della novella, valeva solo a contraddistinguere la ipotesi più grave di cui al comma secondo dell’articolo 323 Cp previgente.”

Sezione quinta, Sentenza 518/94 (Ud. 09/12/1993 n.01844 ) Rv. 196465

“In tema di emissione di assegno senza provvista, la nuova disciplina sanzionatoria dell’assegno bancario, di cui alla legge 15 dicembre 1990, n. 386 ha introdotto modifiche rilevanti al sistema previgente, eliminando tra l’altro la figura dell’aggravante speciale della “maggiore gravità del caso”, in relazione alla quale l’abrogato articolo 116 Rd 1736/33 comminava, congiuntamente, la pena detentiva e quella pecuniaria, conferendo rilievo alla mancanza di provvista al momento della presentazione del titolo all’incasso (e non più a quello della negoziazione) e prevedendo la reclusione in via alternativa alla multa. La mera modifica della struttura del reato, che si desume pure dall’articolo 11 della suddetta legge, che prevede l’applicazione della nuova normativa ai fatti commessi sotto la vigenza delle precedenti disposizioni, comporta che il fenomeno non vada inquadrato nell’“abolitio criminis”, ma in quello della successione delle leggi penali, disciplinato dall’articolo 2, terzo comma Cp. Nell’ipotesi di fatti commessi nel vigore delle precedenti norme, trova, pertanto, applicazione la legge più favorevole al reo, che va stabilita in concreto. (Fattispecie nella quale la norma più favorevole è stata individuata nell’articolo 116 Rd 1736/33, in ragione del migliore trattamento sanzionatorio).”

Sezione terza, Sentenza 18193/02 (Ud. 12/03/2002 n.00589 ) Rv. 221943

“La disciplina relativa alla successione delle leggi penali (articolo 2 Cp) non si applica alla variazione nel tempo delle norme extra-penali e degli atti o fatti amministrativi che non incidono sulla struttura essenziale e circostanziata del reato, ma si limitano a precisare la fattispecie precettiva, delineando la portata del comando, che viene a modificarsi nei contenuti a far data dal provvedimento innovativo; in detta ipotesi, rimane fermo il disvalore ed il rilievo penale del fatto anteriormente commesso…”

Lo spostamento del momento di consumazione del reato, realizzato con il D.Lgs 74/2000, ha lasciato intatto il bene giuridico tutelato, ne ha solo ridotto l’ambito di applicazione escludendo la possibilità di punizione per il caso in cui il fatto non si sia tradotto in una dichiarazione infedele e per il caso in cui la dichiarazione infedele non sia stata presentata volontariamente dal contribuente. Inoltre ne è stato aggravato il trattamento sanzionatorio, anche attraverso la trasformazione da contravvenzione in delitto. Ed a questo proposito è pacifica la giurisprudenza della Corte di cassazione in ordine al fatto che la sola trasformazione del reato da contravvenzione in delitto o viceversa non impedisce la possibilità di ravvisare una ipotesi di continuità normativa:

Sezione prima, Sentenza 40915/03 (Cc. 02/10/2003 n.00866 ) Rv. 226475

“L’individuazione, tra una pluralità di disposizioni succedutesi nel tempo, di quella più favorevole al reo, va eseguita non in astratto, sulla base della loro mera comparazione, bensì in concreto, mediante il confronto dei risultati che deriverebbero dall’effettiva applicazione di ciascuna di esse alla fattispecie sottoposta all’esame del giudice. (Nella specie, relativa al reato di violazione del divieto di accesso ai luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive – qualificato come contravvenzione e punito con pena esclusivamente detentiva dall’articolo 6 della legge 401/89 nel suo testo originario, ma configurato come delitto punito con pena detentiva della stessa durata, alternativa a quella pecuniaria, nella versione di tale articolo modificata dal Dl 336/01, convertito con modificazioni nella legge 377/01 -, la Corte ha giudicato corretto l’operato del giudice di merito che aveva ritenuto in concreto più favorevole al reo l’applicazione della precedente normativa, la quale configurava il reato come contravvenzione, ma senza prevedere la pena pecuniaria alternativa a quella detentiva). “

La Corte di cassazione in numerose precedenti pronunzie ha sostenuto che l’esistenza o meno una situazione di continuità normativa tra la vecchia e nuova legge penale non va valutata in astratto e che occorre procedere, invece, ad una valutazione caso per caso tenendo conto degli elementi di fatto contestati. Da ciò si deduce che non è possibile dedurre dalle pronunzie intervenute in materia principi di diritto validi per i tutti i casi:

Sezione terza, Sentenza 7632/00 (Ud. 31/05/2000 n.02164 ) Rv. 216995

“Qualora un fatto ricada sotto le previsioni incriminatrici del d.legge 429/82 (conv. in legge 516/82) e del successivo D.Lgs 74/2000, deve procedersi all’individuazione della legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, tenendo conto che non possono configurarsi le disposizioni più favorevoli della nuova e della vecchia legge. È necessario, invece, applicare integralmente quella delle due che, nel suo complesso, risulti più favorevole e la relativa valutazione non può essere condotta in astratto, perché entrambe le leggi tra cui si pone il raffronto contengono disposizioni più favorevoli e disposizioni sfavorevoli. “

Non risultano condivisibili, di conseguenza, le massime con le quali la Corte di Cassazione ha escluso continuità normativa tra la contravvenzione di cui all’articolo 1 cpv della legge 516/82 e l’articolo 4 D.Lgs 74/2000. Anche le motivazioni di queste sentenze sembrano eccessivamente semplificatorie avendo fatto riferimento alla sola diversa struttura del reato in quanto contravvenzionale rispetto alla nuova ipotesi delittuosa. Non pare, ad esempio, abbiano affrontato il caso in cui vi sia la prova della presentazione della dichiarazione, della sussistenza del dolo e che tali elementi risultino nella contestazione del fatto, problema, invece, univocamente risolto in altre sentenze affermative della continuità normativa.

La condotta descritta dall’articolo 4 D.Lgs 74/2000 (indicazione nella DU di elementi attivi o passivi infedeli) può essere commessa solo attraverso la loro omessa annotazione nelle scritture contabili, tant’è che la lettera b) dello stesso articolo 4 D.Lgs 74/2000, nello stabilire la soglia di punibilità, fa specifico riferimento alle “omesse annotazioni”. Per contro, l’articolo 1 della legge 516/82 al comma IV aveva previsto espressamente una causa di non punibilità nel caso in cui i corrispettivi non annotati fossero stati poi inseriti nella dichiarazione dei redditi e le relative imposte fossero state pagate. In tal modo risulta chiaro che l’ipotesi contravvenzionale dell’articolo 1 cpv legge 516/82 attribuiva rilevanza nella struttura del reato anche alla dichiarazione dei redditi ed al calcolo dell’imposta. Non è, dunque, esatto affermare che questi due elementi costitutivi della norma successiva siano estranei alla norma anteriore.

c) Le pronunzie delle Su in materia

Ed al fine di evitare equivoci riferimenti giurisprudenziali, occorrerà una rivisitazione complessiva delle pronunzie sull’argomento delle Su, una cui superficiale lettura potrebbe destare alcune perplessità.

La prima di tali sentenze riferita al rapporto tra articolo 4 lettera d) legge 516/82 e l’articolo 2 D.Lgs 74/2000, contrariamente a quanto comunemente si ritiene, non nega affatto l’esistenza di un rapporto di continuità normativa tra vecchia e nuova normativa a condizione che siano identificabili nella contestazione o siano integrati i nuovi elementi introdotti nella struttura del reato. In tal senso il principio massimato:

Cassazione Su Sentenza 27/2000 Rv. 217031

“In tema di reati fiscali, in seguito all’introduzione della nuova ipotesi criminosa di dichiarazione fraudolenta ad opera dell’articolo 2 Dl 74/2000 ed all’ “abolitio criminis” disposta dal successivo articolo 25, le condotte di utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, già punite dall’articolo 4, lettera d), d.legge 429/82, convertito in legge 516/82, in quanto meramente prodromiche o strumentali rispetto alla fraudolenta indicazione di elementi passivi fittizi in una delle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto non sono più, di per sé, penalmente rilevanti, non potendo in alcun modo essere ricondotte nella previsione della più recente disposizione incriminatrice che individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica della fattispecie ed il momento in cui si verifica la lesione dell’interesse erariale all’integrale riscossione delle imposte; tuttavia, qualora i dati delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti siano stati recepiti dal contribuente nella dichiarazione annuale dei redditi, della quale costituiscano il supporto fraudolento per la mendace indicazione di componenti negativi in misura diversa da quella effettiva, tale condotta – già sanzionata dall’articolo 4, lettera f), d.legge 429/82, convertito in legge 516/82 – rimane interamente compresa nella nuova ipotesi criminosa e conserva, pertanto, rilievo penale, con l’ulteriore conseguenza che, in applicazione della disciplina sulla successione di leggi penali nel tempo di cui al terzo comma dell’articolo 2 Cp, il trattamento sanzionatorio per i fatti anteriormente commessi deve essere individuato in quello più favorevole al reo. (Nell’occasione la Corte ha precisato che la previsione di cui all’articolo 4, lettera f), d.legge 429/82, convertito in legge 516/82 si atteggia come “lex mitior” rispetto a quella di cui all’articolo 2, comma 1, Dl 74/2000 sotto il profilo dell’entità della sanzione e del termine prescrizionale, a meno che non ricorra l’ipotesi attenuata di cui al successivo comma 3 del medesimo articolo).”

La relativa motivazione chiarisce più efficacemente il principio di diritto affermato:

“La questione controversa sottoposta all’esame delle Su consiste nello stabilire se il delitto finanziario contestato agli imputati come violazione dell’articolo 4, comma 1 lettera d), d.legge 429/82 conv. in legge 516/82 (utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti) conservi tuttora rilevanza penale, nonostante l’espressa abrogazione. Sul tema si contrappongono due indirizzi interpretativi nella giurisprudenza di legittimità.

Da un lato, si ravvisa una sorta di continuità normativa fra l’ipotesi sanzionata dall’articolo 4 lettera d) legge 516/82 e la nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2 D.Lgs 74/2000 (Cassazione, Sezione terza, 27 aprile 2000, Bellavia), sull’assunto che la dichiarazione annuale fraudolenta contemplata da quest’ultima disposizione costituisce un “elemento specializzante” della pregressa ipotesi di frode fiscale, la cui volizione e rappresentazione è già insita nella condotta utilizzatrice, almeno a titolo di “dolo eventuale”.

Si afferma, in senso contrario, che l’originaria fattispecie prevista dall’articolo 4 lettera d) legge 516/82 di utilizzazione, consistita nella detenzione a fine di prova o nella registrazione nelle scritture contabili obbligatorie di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, che non abbiano però costituito il supporto documentale per l’indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione fraudolenta, resta priva, di per sé sola, di rilevanza penale e non è più configurabile come reato, poiché la sanzione, secondo la chiara formulazione dell’articolo 2 D.Lgs 74/2000, risulta oggi ancorata esclusivamente al momento della dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, nel quale si realizza il presupposto obiettivo dell’evasione d’imposta e la concreta offesa degli interessi connessi al prelievo fiscale (Cassazione Sezione terza 10 luglio 2000 Baietta, Sezione terza 31 maggio 2000 Bosco, 18 maggio 2000 Dall’Anese, 2 maggio 2000 Rasi)…..

Il problema dell’individuazione della norma incriminatrice applicabile ai fatti anteriormente commessi dev’essere risolto alla stregua delle regole fondamentali del diritto intertemporale in materia penale dettate dall’articolo 2 Cp, che, ispirandosi al superiore canone del favor rei, differenzia l’ipotesi della vera e propria abolitio criminis (comma 2) da quella della successione di leggi penali incriminatrici (comma 3)….

È assolutamente pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che per risolvere i complessi dubbi interpretativi circa la concreta configurabilità della prima o della seconda ipotesi non sia affatto sufficiente l’uso da parte del legislatore di un’espressa formula abrogativa rispetto a preesistenti fattispecie incriminatrici, perché, in tanto può dirsi che si sia realizzata una vera e propria abolizione del reato, in quanto per l’oggettiva perdita di disvalore del fatto il legislatore sia pervenuto ad una valutazione di totale inoffensività e di piena liceità della condotta originariamente incriminata (cfr., per talune recenti, sia pure contraddittorie, applicazioni del principio, Cassazione, Sezione prima, 11 aprile 2000, Hattab, rv. 216020 – Sezione sesta, 28 gennaio 2000, Marini, rv. 15738 – Sezione quinta, 14 ottobre 1999, Ghezzi, rv. 215043 – Sezione prima, 12 gennaio 1999, Gastaldi, rv. 212634).

Deve invece riconoscersi un fenomeno successorio, con conseguente applicazione dell’articolo 2 comma 3 Cp, quando, all’esito della comparazione e del raffronto tra gli elementi strutturali del contenuto normativo delle fattispecie incriminatrici, persiste, anche se mutato, il giudizio di disvalore astratto per effetto di un nesso di continuità ed omogeneità delle rispettive previsioni, e il significato lesivo del fatto storico sia riconducibile nel suo nucleo essenziale, secondo le regole proprie del concorso apparente di norme, ad una diversa e più mite categoria d’illecito, tuttora penalmente rilevante, nonostante ed anzi proprio in conseguenza dell’intervento legislativo che, benché formalmente abrogativo, di fatto modifica l’ambito di applicabilità della previgente e diversa norma incriminatrice.

In tal caso, i fatti integranti reato sotto il vigore della precedente previsione possono continuare ad esserlo alla stregua del nuovo disposto normativo sempre che gli elementi costitutivi del nuovo reato siano stati chiaramente enunciati nell’imputazione contestata all’imputato, eventualmente anche a seguito di rituale modificazione della contestazione (Cassazione, Su, 20 giugno 1990, Monaco)……

La nuova fattispecie di dichiarazione fraudolenta di cui all’articolo 2 D.Lgs 74/2000 “assorbe” l’ipotesi prodromica di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, già sanzionata dall’articolo 4 lettera d) legge 516/82, perché, pur contenendo alcuni elementi descrittivi del fatto già previsti dalla norma preesistente, presenta tuttavia ulteriori elementi non riconducibili alla precedente figura, postulando in particolare l’“indicazione” in dichiarazione di elementi passivi fittizi, non richiesta invece dall’articolo 4 lettera d) legge n. 516. Non mero “elemento specializzante”, quest’ultimo, virtualmente compreso nella condotta di “utilizzazione” sotto il profilo del “dolo eventuale” (come si sostiene impropriamente nella citata sentenza Cassazione, Sezione terza, 27 aprile 2000, Bellavia), ma eterogeneo rispetto alla previgente previsione incriminatrice…….

Rispetto ai procedimenti penali in corso, come la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire in relazione ad altri casi di successione di norme incriminatici, i fatti integranti reato sotto il vigore della precedente previsione possono continuare ad esserlo alla stregua di quella nuova qualora, in concreto, gli elementi costitutivi del nuovo reato siano stati chiaramente enunciati nell’imputazione contestata all’imputato anche a seguito di rituale modificazione della contestazione (Cassazione, Su, 20 giugno 1990, Monaco)…..

E però, qualora i dati delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti, utilizzati in corso d’anno, fossero stati recepiti dal contribuente nella successiva dichiarazione annuale dei redditi della quale avessero costituito il supporto fraudolento per la mendace indicazione di componenti negativi di reddito in misura diversa da quella effettiva, dottrina e giurisprudenza ritenevano integrato, nel vigore della precedente disciplina, in concorso con l’autonoma ipotesi di cui all’articolo 4 lettera d), anche il diverso e autonomo delitto di frode fiscale ex articolo 4 lettera f) legge 516/82.

Orbene, per quest’ultima fattispecie ben può ravvisarsi, stante l’omologa strutturazione e la sovrapposizione delle due previsioni punitive (salvo per quanto attiene all’estensione dell’attuale incriminazione alla dichiarazione annuale Iva, rispetto alla quale non è configurabile un rapporto di successione modificativa tra leggi), una continuità normativa d’illecito con la nuova ipotesi dell’articolo 2 comma 1 D.Lgs 74/2000, rispetto alla quale la prima s’atteggia anzi come lex mitior per i profili del trattamento sanzionatorio e dei termini prescrizionali, sempre che non ricorra l’ipotesi attenuata prevista dall’articolo 2 comma 3 del medesimo decreto…..

Di talché, per i processi penali in corso nei quali non risulti contestato anche il delitto di frode fiscale di cui alla lettera f), bensì solo quello di cui alla lettera d) dell’articolo 4 legge 516/82, mentre emerga ex actis il riflesso della condotta di utilizzazione in una fraudolenta dichiarazione dei redditi, resta riservato alla pubblica accusa la potestà di contestazione del fatto “nuovo” attinente al momento dichiarativo, con le relative conseguenze delineate sul terreno processuale dagli articoli 423 comma 2 e 518 segg. Cpp: ovviamente, sub specie dell’ipotesi più favorevole al reo che potrà essere, di volta in volta, quella di cui all’articolo 4 lettera f) legge 516/82, ovvero quella dell’articolo 2 comma 3 D.Lgs 74/2000……”

Nella successiva pronunzia delle Su 35/2001 (Rv. 217374) viene, invece, affermato un principio che sembra contraddire quanto già affermato nella sentenza n.27:

“….Nel senso che non è figurabile un rapporto di continuità tra la contravvenzione di cui all’abrogato articolo 1, primo comma, Dl 429/82, convertito con modificazioni nella legge 516/82 ed il delitto di cui all’articolo 5 D.Lgs 74/2000, si sono espresse Cassazione, Sezione terza, 5 luglio 2000 (dep. 29.09.2000), n. 2705, Grotti. Secondo tali decisioni non è configurabile un rapporto di continuità fra la contravvenzione di cui all’abrogato articolo 1, primo comma, legge 516/82 ed il delitto di cui all’articolo 5 dell’attuale D.Lgs 74/2000. L’assenza di continuità tra le due fattispecie viene principalmente ravvisata nel fatto che – pur prevedendo entrambe le norme come reato la mancata presentazione di una delle prescritte dichiarazioni annuali in materia di imposte dirette o imposta sul valore aggiunto – esse sono diversamente caratterizzate e dette diversità attengono ad elementi costitutivi tipici che disegnano l’identità del “fatto”. Si tratta della natura dell’illecito contemplato dalle due norme – contravvenzione nella vecchia norma, delitto nella nuova – e della previsione in quest’ultima del dolo specifico preordinato alla realizzazione dell’evento, costituito dall’evasione d’imposta in misura non inferiore a lire 150 milioni.

Secondo un diverso orientamento, invece, la continuità normativa tra la vecchia e la nuova normativa non è esclusa: dalla diversa natura dell’illecito (contravvenzione nella previgente normativa, delitto in quella vigente); dall’innalzamento delle soglie di punibilità; dalla previsione del dolo specifico (cfr. Sezione terza, 28 aprile 2000, Masengo, dep. 14 giugno 2000, n. 1666; Sezione terza, 9 maggio 2000, Ceraso, dep. 1804/00). L’omessa dichiarazione integra gli estremi del reato ora punito dall’articolo 5 D.Lgs 74/2000, solo se ed in quanto abbia determinato una evasione d’imposta superiore a lire 150 milioni, mentre, nel caso in cui detta soglia non viene raggiunta, il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

La mancata presentazione della dichiarazione in materia di imposte dirette o dell’Iva, le norme in questione sono diversamente caratterizzate, attenendo le divergenze ad elementi costitutivi tipici che disegnano l’identità del fatto, costitutivi, quanto alla nuova normativa, dal dolo specifico di evadere l’imposta, dalla volizione di un evasione di imposta superiore a lire 150 milioni, dall’evento di danno per l’erario, costituito dall’evasione effettiva di lire 150 milioni, mentre la previgente normativa sanziona la semplice condotta omissiva, anche se connessa a mera colpa, commisurando la pena non all’ammontare dell’imposta evasa, ma all’ammontare degli imponibili non dichiarati.

……a differenza del previgente reato contravvenzionale, il nuovo delitto di omessa dichiarazione prevede il dolo specifico dell’evasione dell’imposta nell’ammontare stabilito dalla legge, che deve formare oggetto di contestazione specifica. Ciò impedisce la possibilità di valutare a posteriori se il fatto, già integrante una contravvenzione punibile sia a titolo di colpa che di dolo, sia stato posto in essere allo scopo di perseguire un risultato di evasione, non potendosi attribuire rilevanza ad un elemento costitutivo del reato non previsto dalla originaria fattispecie……

Ciò posto, è impraticabile l’orientamento giurisprudenziale che sostiene la continuità tra le due fattispecie, considerato che detta continuità concerne ipotesi di passaggio da una norma speciale a una norma generale ove quest’ultima comprenda il contenuto tipico della precedente, ma non l’ipotesi contraria costituita dal passaggio, come nel caso in esame, da una norma generale ad una norma speciale che introduce elementi nuovi caratterizzanti non previsti dalla norma previgente.”

I limiti del devoluto

La legge penale fiscale 74/2000 ha abrogato la legge 516/82 e, quindi, anche l’ipotesi criminosa di frode fiscale disciplinata dall’articolo 4 lettera f) originariamente contestata al Pavarotti.

L’evento naturalistico così come contestato in fatto, anche se qualificato nel capo di imputazione come violazione dell’articolo 4 D.Lgs 74/2000, è stato valorizzato nei motivi di impugnazione come ipotesi di frode fiscale disciplinata dalla legge 516/1982 in relazione alla fittizia iscrizione all’Aire. Il Pg non ha ritenuto di estendere le proprie doglianze anche agli altri fatti cui si fa cenno nei verbali di accertamento redatti dall’Amministrazione finanziaria diversamente integranti gli elementi costitutivi dei delitti previsti dall’articolo 4 lettera d) ed f) legge 516/1982 (ovvero dagli articoli 2 e 3 D.Lgs 74/2000), ritenendo evidentemente che si tratti di fatti ai quali non sia possibile attribuire rilievo in quanto non contestati o non adeguatamente documentati nel corso dell’istruttoria dibattimentale.

I limiti imposti dall’effetto devolutivo dell’appello impongono di conseguenza alla Corte di non attribuire ad essi autonomo rilievo penale in questo processo, neanche attraverso la loro rivalutazione come corredo fenomenologico del fatto contestato[xix], che deve pertanto rimanere circoscritto alle doglianze espresse dal Pg rigidamente aderenti ai fatti descritti nel capo di imputazione. Diversamente verrebbe ad attuarsi una vera e propria variazione degli elementi essenziali dell’addebito ed una conseguente violazione della regola processuale che impone che l’imputato sia posto in condizione di potersi difendere rispetto ad un addebito chiaramente prospettato dalla pubblica accusa.

Pur essendo stato il fatto qualificato nei motivi di impugnazione come ipotesi di reato diversa (articolo 4 D.Lgs 74/2000), che non prevede nella sua struttura gli artifici e la fraudolenza, il Pg, appellando, ha fatto riferimento proprio agli elementi di fraudolenza contestati nel capo di imputazione (falsa residenza fiscale), che fanno parte della fattispecie di cui all’articolo 4 lettera f) legge 516/82 ed integrano l’evento naturalistico rimasto immutato sin dall’inizio dell’indagine. Peraltro la stessa sentenza appellata ha ampiamente motivato proprio in ordine alla insussistenza dell’elemento della fraudolenza e su questo punto la Procura Generale ha chiesto con fondate argomentazioni un riesame del merito del fatto contestato.

La Corte ritiene che non sussistano elementi per la conferma della assoluzione nel merito pronunziata dal giudice di primo grado, dal momento che essa si basa su un assunto erroneo, avendo definito la condotta contestata come elusiva senza rilevarne gli elementi di fraudolenza rilevanti agli effetti dell’articolo 4 lettera f) legge 516 e rivalutabili anche ai soli limitati effetti della falsità della dichiarazione dei redditi integrante l’elemento costitutivo del delitto di cui all’articolo 4 del D.Lgs 74/2000.

Il fatto sottoposto all’attenzione di questa Corte rimane il comportamento posto in essere dal Pavarotti con la creazione di una residenza fittizia a Montecarlo e lo sfruttamento fraudolento dei suoi effetti attraverso comportamenti successivamente posti in essere. Questa condotta, come emersa al dibattimento, evidenzia che la scelta della iscrizione all’Aire non si limitò ad una semplice attività di elusione fiscale, ma fu accompagnata da un complesso di comportamenti posti in essere anche negli Usa diretti a realizzare un mascheramento di più ampia portata – nelle pagine precedenti descritto ed analizzato – della propria condizione di soggetto fiscalmente residente in Italia ed obbligato al pagamento delle imposte sui redditi nel suo paese di origine. Come già chiarito, tale comportamento, pur rilevante agli effetti dell’articolo 4 lettera f) legge 516/1982, non contribuisce ad integrare nessuna delle nuove ipotesi di reato previste dagli articoli 2 e 3 del D.Lgs 74/2000, sicché trova come ipotesi corrispondente nella nuova normativa solo quella meno grave prevista dall’articolo4 D.Lgs 74/2000 applicabile al caso concreto ex articolo 2 comma III Cp.

La Corte ritiene che non sia corretto sul piano giuridico sostenere che se vi è elusione non può esservi reato. Non vi è reato solo se un comportamento elusivo non si accompagni ad ulteriori condotte (commissive od omissive) che integrino gli estremi di reato. La finalità elusiva non ha una portata esimente e non può annullare la significatività di elementi di reato che vengano eventualmente riscontrati. Anzi è la dedotta finalità elusiva che, in presenza di atti fraudolenti costituenti elementi oggettivi di reato, manifesta il suo carattere pretestuoso e la vera natura del proposito perseguito.

In linea generale viene definita come elusione fiscale quel comportamento del contribuente diretto a sottrarsi al pagamento delle imposte ricorrendo a categorie formali che rendono legittimo il mancato pagamento delle imposte. Ma un comportamento di tale natura può essere considerato fiscalmente elusivo solo se non integri di per sé gli estremi di una violazione fiscale o non si accompagni ad altri comportamenti che unitariamente considerati integrino gli estremi di un reato.

Si tratta, dunque, di ipotesi che è possibile definire solo in via residuale quando l’originaria condotta elusiva non sia accompagnata da comportamenti inquadrabili in una ipotesi di reato. Certamente non è giuridicamente corretto il ragionamento inverso seguito dal Tribunale, secondo il quale la finalità elusiva annullerebbe ogni rilievo penale di comportamenti che si prospettano come fraudolenti. L’elusione fiscale non è una categoria giuridica né tanto meno un istituto che può assumere rilievo sul piano penalistico. È, invece, un fenomeno economico talvolta sintomatico di una situazione che ad una più attenta e penetrante indagine di fatto può rivelare condotte concorrenti che fanno emergere, come nel caso di specie, i caratteri della fraudolenza.

Né la Corte ritiene possa giustificarsi una ricostruzione del fatto che consenta di considerare autonomamente e separatamente comportamenti posti in essere in tempi diversi (l’iscrizione all’Aire ed il comportamento fiscale mantenuto dal 1989 al 1996) senza una loro valutazione unitaria, poiché solo una valutazione a posteriori è in grado di fornire gli elementi di valutazione per comprendere se l’originaria iscrizione all’Aire posta in essere nel 1984, pur originariamente posta in essere per finalità esclusivamente elusive, sia stata poi sfruttata per dare forza e sostanza e successivi comportamenti di carattere fraudolento.

La frode fiscale disciplinata dalla legge 516/82 è punita con pena più grave (pena massima 5 anni) rispetto alla ipotesi disciplinata dall’articolo 4 del D.Lgs 74/2000 (pena massima 3 anni) che ha, peraltro, un termine di prescrizione ordinaria di 5 anni (con l’interruzione 7 anni e mezzo) [xx] già interamente decorso, risultando i fatti contestati commessi nel giugno 1996.

Quanto all’altro punto della sentenza, che è pervenuta alla assoluzione del Pavarotti in relazione alla dichiarazione infedele di redditi per i quali non vi era obbligo di tenuta della contabilità (redditi di capitale, redditi fondiari e redditi diversi), rileva la Corte che trattasi di condotta non compresa nella descrizione del fatto contenuta nel capo di imputazione, che fa esclusivo riferimento a redditi derivati da prestazioni artistiche, per le quali, in quanto riferiti a soggetto fiscalmente residente in Italia, vi è obbligo di tenuta della contabilità. Peraltro in relazione ai redditi per i quali non vi è obbligo di tenuta della contabilità – limitatamente ai periodi di imposta 1993,1994 1995 – in base all’articolo 2 comma III del D.Lgs 218/97 la punibilità è esclusa allorché sia intervenuta conciliazione amministrativa o accertamento definitivo con adesione.

Ciò premesso, poiché i fatti originariamente contestati come frode fiscale sono attualmente puniti in base alla ipotesi più favorevole prevista dall’articolo 4 D.Lgs 74/2000 e la prescrizione di tale ipotesi criminosa è già decorsa, ne va dichiarata l’estinzione ex articolo 157 Cp.

PQM

Visti gli articoli 157 Cp e 605 Cpp, in riforma della sentenza del Tribunale di Modena in data 19 ottobre 2001 appellata dal Pg, dichiara non doversi procedere nei confronti di Pavarotti Luciano in ordine ai reati qualificati come violazione dell’articolo 4 legge 74/2000, per essere gli stessi estinti per prescrizione.

[omissis]