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Wednesday 18 November 2015

“Entro e spacco tutto!” I limiti del danneggiamento aggravato

(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 42581/15; depositata il 22 ottobre)

È pacifico che alla luce della pluralità delle condotte tipizzate dall’articolo 614 c.p., secondo cui il reato si configura sia in caso di introduzione (comma 1) che di trattenimento (comma 2) nel luogo di privata dimora altrui, l’aggravante di cui all’ultimo capoverso ricorrono qualvolta la violenza si manifesti in uno qualsiasi dei diversi momenti nei quali si estrinseca e si svolge la fase esecutiva del reato, e pertanto anche quando la violenza sulle cose o alle persone non sia usata inizialmente per l’illecita introduzione ma successivamente per intrattenersi nel domicilio contro la volontà dell’avente diretto; di talché da detta condotta può considerarsi esclusa la sola violenza esercitata non per entrare o intrattenersi nell’altrui abitazione ma per commettere altro reato, con la conseguenza di rendere detta condotta aggravata i sensi dell’articolo 61 n. 2 del codice penale e rendere il reato procedibile a querela.

 

Il caso, di per sé semplice, è costituito dall’accesso intervenuto in area di pertinenza di un’azienda da parte di un soggetto che, dapprima scavalcando un cancello e successivamente attraversando un cancello carraio aperto, aveva, una volta all’interno dell’area de qua, danneggiato alcuni beni di proprietà dell’azienda stessa.
Condannato in primo grado, esperito ricorso in appello, l’imputato proponeva ricorso per cassazione eccependo come le condotte lui contestate non appartenessero al novero di quelle previste dall’articolo 614 c.p. affinché esso possa essere perseguibile d’ufficio, non avendo egli utilizzato violenze sulla cose ai fini di penetrare o intrattenersi nell’altrui privata dimora.
La ricostruzione prospettata appare essere convincente ma…

L’articolo 614 c.p.: la lettura della norma porta a ritenere corretta la prospettazione difensiva posto che il legislatore sembra richiedere che la violenza, sulle cose e/o sulle persone, sia perpetrata ai fini d’avere accesso o intrattenersi all’interno di uno dei luoghi oggetto di protezione da parte della norma stessa.
Ma, nel diritto italiano il ma funge da elemento costitutivo, la giurisprudenza della suprema Corte, soprattutto quella più risalente, ha sempre affermato come risulti pacifico che “alla luce della pluralità delle condotte tipizzate dall’articolo 614 c.p., secondo cui il reato si configura sia in caso di introduzione (comma 1) che di trattenimento (comma 2) nel luogo di privata dimora altrui, l’aggravante di cui all’ultimo capoverso ricorrono qualvolta la violenza si manifesti in uno qualsiasi dei diversi momenti nei quali si estrinseca e si svolge la fase esecutiva del reato, e pertanto anche quando la violenza sulle cose o alle persone non sia usata inizialmente per l’illecita introduzione ma successivamente per intrattenersi nel domicilio contro la volontà dell’avente diretto” (ex pluribus Cass. Pen. sez. V n. 8750/1998)
Dunque di fatto qualsiasi genere di violenza sulle cose o sulle persone effettuata nell’ambito dell’esecuzione della condotta criminosa descritta dall’articolo 614 c.p., rivestirebbe la qualità atta ad integrare i requisiti del V comma con ogni conseguenza ad esso collegata.

La sentenza n. 27542 del 2010: senonché la Corte (sezione I n. 27542 del 27.05.2010) ha aperto una falla piuttosto evidente nel tessuto ricostruttivo ed interpretativo seguito dalla giurisprudenza di legittimità, affermando che “ai fini della configurabilità dell’aggravante prevista dall’ultimo comma dell’articolo 614 c.p. (fatto commesso con violenza su persone o cose o da soggetto armato) non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio ma occorre un nesso teleologico tra le due azioni.
Ne consegue che se la violenza è stata usata non per entrare o intrattenersi nell’altrui abitazione, ma per commettere un altro reato, la violazione è aggravata ai sensi dell’articolo 61 n. 2 c.p. ed il reato è procedibile a querela.” I
Dunque non ogni violenza commessa integra la fattispecie indicata e portata dal v comma dell’articolo 614 c.p. ma esclusivamente quella finalizzata ad introdursi o a permanere all’interno di luoghi protetti.
Pare, credo non solo a me, un bel revirement, o se volete in tempi di anglismo imperante un “power to overruling” in piena regola.

La saggezza dell’Ermellino: con operazione apprezzabile sotto un profilo strettamente connesso all’esercizio dell’arte della reductio ad unum, la Corte esegue una vera e propria crasi, riportata anche nella massima d’apertura del commento, che consente di sposare entrambe i concetti, relativi a due distinti e separati e astrattamente inconciliabili filoni interpretativi, indicando come corretto il risalente insegnamento giurisprudenziale e conforme al medesimo quello nuovo, portato dalla pronuncia del 2010, dato che entrambi indicano e postulano quale requisito che la violenza sia teleologicamente finalizzata al compimento della condotta sanzionata dalla fattispecie astratta.
Con la conseguenza di consegnare al giudice di merito (di primo, di secondo o di terzo grado ?) l’analisi della condotta posta in essere attraverso una valutazione ex post che, di fatto, è scollegata da qualsivoglia parametro interpretativo pre figurato.
Ne vedremo delle belle ?

(avv. Claudio Bossi pubblicato su Diritto & Giustizia Giuffrè editore s.p.a)