Lavoro e Previdenza

Wednesday 13 April 2005

Emersione dal lavoro nero. Corte Costituzionale – Sentenza 4 – 12 aprile 2005 – 144/2005

Emersione dal lavoro nero: il D.L. 12/2002 è costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui non consente al datore di lavoro di provare che
il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio dopo il primo gennaio
dell’anno in cui è stata constatata la violazione

Corte Costituzionale – Sentenza 4 –
12 aprile 2005 – 144/2005

Nei giudizi di legittimità
costituzionale dell’articolo 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n.
12 (Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute all’estero e di lavoro
irregolare), convertito in legge 23 aprile 2002, n. 73 (Conversione in legge,
con modificazioni, del D.L. 22 febbraio 2002, n. 12, recante disposizioni
urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute
all’estero e di lavoro irregolare), promossi con ordinanze del 25 marzo 2004
dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia,
del 14 aprile 2004 dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna, del 25
marzo e del 18 maggio 2004 dalla Commissione tributaria provinciale di Perugia, rispettivamente iscritte ai nn.
506, 650, 676 e 694 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 23,
32, 33 e 35, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visti gli atti di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9
febbraio 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo.

Ritenuto in fatto

1. – Con due ordinanze pronunciate
entrambe in data 25 marzo 2004, la Commissione tributaria provinciale di Perugia ha sollevato, in relazione agli
articoli 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni
urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute
all’estero e di lavoro irregolare), convertito in legge, con modificazioni,
dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73.

In punto di fatto, il rimettente
premette di essere stato investito del ricorso avverso l’atto della Agenzia delle entrate-Ufficio di Foligno, con cui era
stata irrogata la sanzione prevista dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge n.
12 del 2002 nei confronti del titolare di una ditta, per l’utilizzo di
lavoratori irregolari. A seguito degli accessi ispettivi, effettuati
rispettivamente in data 18 ottobre 2002 (r.o. n. 506
del 2004) e 11 marzo 2003 (r.o. n. 676 del 2004) da
parte dell’INPS, l’Agenzia delle entrate aveva determinato il costo del lavoro
per ciascun lavoratore, con riferimento al periodo decorrente dal 1° gennaio
alla data di contestazione della violazione e, ai sensi dell’art. 3 del
decreto-legge n. 12 del 2002, aveva fissato la sanzione nella misura minima
pari al 200% del costo del lavoro come prima calcolato.

Con motivazioni di contenuto
pressoché identico, la
Commissione tributaria dubita della legittimità
costituzionale di tale norma, la quale punisce l’utilizzo di lavoratori non
risultanti dalle scritture o da altra documentazione
obbligatorie con la sanzione amministrativa dal 200% al 400% dell’importo per
ciascun lavoratore irregolare del costo del lavoro calcolato sulla base dei
vigenti contratti collettivi nazionali per il periodo compreso tra l’inizio
dell’anno e la data di constatazione della violazione. Il giudice a quo ritiene,
infatti, che l’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002 contrasti con
l’art. 3 Cost., in quanto,
nel fare riferimento all’inizio dell’anno per la determinazione della sanzione,
equiparerebbe irragionevolmente situazioni tra loro diverse, come ad esempio
nel caso in cui un accertamento sia effettuato in un tempo vicino all’inizio
dell’anno, rispetto ad altro che intervenga verso la fine dell’anno, malgrado
che il periodo lavorativo irregolare potrebbe essere di fatto della stessa
durata. In queste diverse circostanze, infatti, l’entità delle sanzioni sarebbe
differente nonostante la medesima gravità delle violazioni cui si riferiscono.

La disposizione censurata violerebbe
altresì il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., in quanto porrebbe una presunzione assoluta «nel senso
che l’irregolarità del rapporto deve farsi necessariamente risalire all’inizio
dell’anno», mentre sarebbe esclusa la possibilità di provare che il rapporto di
lavoro è insorto in data diversa.

Quanto alla rilevanza della
questione, il rimettente afferma che il ricorrente avrebbe
allegato e prodotto documentazione per dimostrare che il rapporto di
lavoro era stato instaurato non il 1° gennaio dell’anno in cui è stata
constatata la violazione, bensì nel mese di agosto del 2002.

2. – Anche la Commissione tributaria
provinciale di Bologna, con ordinanza in data 14 aprile 2004, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge
n. 12 del 2002, in relazione agli
artt. 3 e 24 Cost.

Riferisce il giudice a quo di essere
chiamato a giudicare su di un ricorso promosso avverso l’atto con cui l’Agenzia
delle entrate di Bologna ha irrogato la sanzione di
cui al citato art. 3, a seguito dell’accertamento – eseguito in data 26
novembre 2002 – presso la società ricorrente, dell’impiego di un lavoratore che
non risultava iscritto nei libri obbligatori. La società ricorrente, nel
chiedere l’annullamento dell’atto, contestava l’illegittimità della sanzione irrogatale in quanto sarebbe stata inflitta in violazione
degli artt. 6 e 7 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472
(Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni
di norme tributarie, a norma dell’art. 3, comma 133, della legge 23 dicembre
1996, n. 662), in relazione all’art. 10 della legge 27
luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del
contribuente), dal momento che l’amministrazione finanziaria non avrebbe tenuto
conto delle peculiari cause di non punibilità ivi previste e della manifesta
sproporzione tra l’entità della imposizione cui la sanzione si riferisce e la
sanzione inflitta. Inoltre, eccepiva l’illegittimità
costituzionale dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002, per
disparità di trattamento sanzionatorio di situazioni identiche tra loro. Nel
giudizio a quo si era costituita l’Agenzia delle entrate deducendo che la
società non aveva proposto difesa in merito alla sanzione, la quale, peraltro,
era stata irrogata dopo la scadenza del termine fissato per la
eventuale regolarizzazione della irregolarità accertata.

Ciò premesso, la Commissione tributaria
ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002 in relazione all’art. 3 Cost. Ad avviso della rimettente,
infatti, la norma censurata creerebbe una evidente e ingiustificata disparità
di trattamento a seconda della data in cui venga effettuato l’accertamento
della violazione, ossia all’inizio, ovvero alla fine dell’anno, prescindendosi del tutto dalla effettiva durata del lavoro
irregolare, cioè della condotta antigiuridica. In tal modo, l’ammontare della
sanzione verrebbe a dipendere non già da un fatto di carattere oggettivo e
verificabile, bensì dalla data di accesso dell’organo
ispettivo e dunque da un fatto volontario e discrezionale.

La disposizione censurata
contrasterebbe altresì con il principio di proporzionalità tra la sanzione e la entità e gravità della violazione commessa, nonché con
l’art. 24 Cost., in quanto non ammetterebbe la prova
della effettiva durata del lavoro irregolare.

Da ciò conseguirebbe anche la
“irrazionalità e l’ingiustizia di una sanzione” che non terrebbe in alcun conto
delle circostanze del caso concreto.

In ordine alla rilevanza della questione, il rimettente
osserva che nel giudizio a quo la società ricorrente avrebbe dedotto che
l’impiego del lavoratore irregolare sarebbe iniziato proprio lo stesso giorno
dell’accertamento e che la prestazione lavorativa avrebbe dovuto avere la
durata di una sola ora al giorno per complessive cinque ore settimanali.

3. – Con ordinanza in data 18 maggio
2004, la Commissione
tributaria provinciale di Perugia ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, lettera c), numero 4, del d.lgs. n. 12 del 2002 (rect:
dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002), convertito nella legge
n. 73 del 2002, in relazione agli
artt. 3 e 24 Cost.

Il rimettente riferisce di essere
chiamato a decidere su un ricorso avverso il provvedimento con cui l’Agenzia delle
entrate di Perugia ha irrogato
la sanzione prevista dall’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002 in relazione alla
utilizzazione di quattro lavoratori effettuata omettendo le comunicazioni
obbligatorie, accertata a seguito di accesso ispettivo eseguito in data 17
ottobre 2002.

Su conforme eccezione del ricorrente,
il giudice a quo ritiene non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale di tale norma.

In via preliminare, osserva che la
sanzione amministrativa in parola, «sebbene non correlata al mancato pagamento
o all’inosservanza di un obbligo tributario, si aggiunge al sistema
sanzionatorio contenuto nei decreti legislativi 18 dicembre 1997, n. 471 e
473». In relazione a tale sanzione sussisterebbe la
giurisdizione delle commissioni tributarie, dal momento che, ai sensi dell’art.
3, comma 4, del decreto-legge n. 12 summenzionato, competente ad irrogare la
sanzione è l’Agenzia delle entrate. Infatti, ad avviso del rimettente, l’art.
12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria
2002), individuerebbe l’oggetto della giurisdizione tributaria, in via
principale, nei tributi di ogni genere e nelle
correlative sanzioni, e «in via residuale in ordine all’organo (Agenzia delle
entrate) che irroga una sanzione amministrativa in ordine ad infrazioni
commesse in violazione di norme di svariato contenuto e non necessariamente
attinenti a tributi». Il richiamo contenuto nel comma 5
dell’art. 3 del decreto-legge n. 12 del 2002 ai principî contenuti nel d.lgs. n. 472 del 1997 in materia di sanzioni
amministrative tributarie sarebbe necessario, posto che le fattispecie
introdotte «non sono caratterizzate dalla commissione di un fatto in violazione
di norme tributarie».

Nel merito, la Commissione tributaria
sostiene che la disposizione censurata contrasterebbe con il principio di uguaglianza in quanto farebbe dipendere l’entità della
sanzione non già dalla gravità della violazione, bensì dal momento in cui è
stata accertata, “con l’assurda conseguenza di comminare la minima pena al
fatto accertato all’inizio dell’anno anche se più grave oggettivamente di
altro”.

Sarebbe inoltre violato l’art. 24
Cost. dal momento che la presunzione assoluta
contenuta nella norma comprimerebbe il diritto di difesa in ordine alla
consistenza dell’illecito.

4. – In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha
concluso per “l’inammissibilità e/o la manifesta infondatezza delle questioni”
prospettate.

5. – Nelle memorie depositate in
prossimità della camera di consiglio, l’Avvocatura sostiene che la norma
censurata si inserirebbe nel quadro delle misure introdotte
dalla legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio
dell’economia), per favorire l’emersione del lavoro irregolare, un fenomeno di
notevole gravità che turba lo svolgimento della libera concorrenza tra imprese
e la libera iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.,
contrastando altresì con le esigenze di tutela della sicurezza e della salute
sul lavoro, nonché dell’assistenza sociale. Tale fenomeno avrebbe perciò
effetti pregiudizievoli sui diritti individuali costituzionalmente garantiti
dagli art. 35 e 36 Cost. e, attraverso l’evasione fiscale e contributiva che il
lavoro irregolare comporta, determinerebbe «l’indebolimento del meccanismo di
finanziamento ed erogazione dei servizi pubblici e di assistenza
sociale».

La modalità di computo della sanzione
contro cui si appuntano le critiche dei rimettenti
avrebbe lo scopo di garantire l’effettività dell’irrogazione della sanzione,
senza necessità di individuare l’esatta durata del rapporto lavorativo, al fine
di evitare “un complesso e defatigante contenzioso”.

Essa non sarebbe palesemente
irrazionale in quanto libererebbe l’amministrazione finanziaria dall’onere di
provare l’effettiva durata del rapporto. Peraltro la possibilità di graduare la
sanzione tra il 200 e il 400 per cento consentirebbe di adeguarla alle
eventuali risultanze probatorie.

Tali considerazioni troverebbero
conferma in numerose pronunce di questa Corte, la quale avrebbe sempre
riconosciuto un’ampia discrezionalità al legislatore nella quantificazione
delle sanzioni, salvo il limite della ragionevolezza; e la giurisprudenza
costituzionale avrebbe effettuato tale valutazione
anche con riguardo a sanzioni ancorate a parametri “formali” piuttosto che al
concreto disvalore della fattispecie, nonché a
sanzioni determinate in misura fissa.

Considerato in diritto

1. – La Commissione tributaria
provinciale di Perugia e la Commissione tributaria
provinciale di Bologna, con quattro distinte ordinanze, dubitano
della legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12
(Disposizioni urgenti per il completamento delle operazioni di
emersione di attività detenute all’estero e di lavoro irregolare),
convertito in legge dall’art. 1 della legge 23 aprile 2002, n. 73, il quale
punisce l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle scritture o
altra documentazione obbligatorie, con la sanzione amministrativa dal 200% al
400% dell’importo per ciascun lavoratore irregolare del costo del lavoro,
calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali per il periodo
compreso tra l’inizio dell’anno e la data di constatazione della violazione.

2. – Con rilievi sostanzialmente
analoghi i rimettenti ritengono anzitutto che tale disposizione violerebbe,
sotto diversi profili, l’art. 3 della Costituzione. La norma censurata,
infatti, equiparerebbe irragionevolmente situazioni tra loro assolutamente
diverse a causa del riferimento generalizzato al primo gennaio dell’anno in cui
è stata accertata la violazione per la determinazione della sanzione,
indipendentemente dalla concreta gravità della violazione.

Inoltre, essa creerebbe una evidente e ingiustificata disparità di trattamento a
seconda della data in cui venga effettuato l’accertamento della violazione, prescindendosi, invece, dalla effettiva durata del lavoro
irregolare, cioè della condotta antigiuridica.

L’art. 3, comma 3, ancora, violerebbe
il principio di proporzionalità tra la sanzione e la entità
e gravità della violazione commessa.

Contrasterebbe, inoltre, con il
principio di uguaglianza, facendo dipendere l’entità
della sanzione non già dalla gravità della violazione, bensì dal momento in cui
è stata accertata.

L’art. 3 del decreto-legge n. 12 del
2002 violerebbe, altresì, il diritto di difesa garantito dall’art. 24 della
Costituzione, in quanto porrebbe una presunzione assoluta in
ordine alla data di inizio del rapporto di lavoro irregolare, escludendo
la possibilità di provare che esso è insorto in data diversa.

3. – In considerazione dell’identità
della materia, nonché dei profili di illegittimità
costituzionale fatti valere, i giudizi possono essere riuniti per essere decisi
con unica pronuncia.

4. – Preliminarmente si deve
osservare che la
Commissione tributaria di Perugia,
nell’ordinanza iscritta al n. 694 del registro ordinanze del 2004, affronta
espressamente, risolvendola in senso positivo, la
questione della sussistenza della giurisdizione del giudice tributario in
ordine alle controversie concernenti la sanzione prevista dalla norma
censurata.

Pur in presenza
di orientamenti difformi di altre Commissioni tributarie, l’argomentazione
svolta dal rimettente in ordine alla sussistenza della giurisdizione tributaria
non appare implausibile. Ciò è sufficiente, in questa
sede, a far ritenere le questioni ammissibili. Infatti, secondo il costante
orientamento di questa Corte, la carenza di
giurisdizione del rimettente determina l’inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale esclusivamente quando essa sia manifesta, cioè tale
da non ammettere discussione, o perché risulta chiaramente dalla legge, ovvero
perché corrisponde ad un inequivoco orientamento giurisprudenziale (si vedano
in tal senso sentenze n. 291 del 2001 e n. 179 del 1999; ordinanza n. 167 del
1997). Nessuna di queste circostanze ricorre nella fattispecie in esame, dal momento che dal dettato normativo non emerge ictu oculi il difetto di
giurisdizione delle commissioni tributarie con riferimento alle controversie
concernenti la sanzione prevista dalla disposizione censurata, né, d’altra
parte, vi è un indirizzo giurisprudenziale univoco in tal senso.

5. – Nel merito, le questioni
prospettate sono fondate nei limiti di seguito specificati.

6. – Il decreto-legge n. 12 del 2002 si inserisce nel quadro degli interventi normativi volti ad
incentivare l’emersione del lavoro irregolare attraverso la previsione di
agevolazioni di carattere fiscale e previdenziale. In particolare, il decreto,
oltre ad apportare modifiche ed integrazioni alla legge 18 ottobre 2001, n. 383
(Primi interventi per il rilancio dell’economia), introduce una sanzione ulteriore, rispetto a quelle già previste, per
l’utilizzo di lavoratori irregolari.

L’art. 3, comma 3, introdotto dalla legge di
conversione n. 73 del 2002, stabilisce che «ferma restando l’applicazione delle
sanzioni previste, l’impiego di lavoratori dipendenti non risultanti dalle
scritture o altra documentazione obbligatorie, è altresì punito con la sanzione
amministrativa dal 200 al 400 per cento dell’importo, per ciascun lavoratore
irregolare, del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti
collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data
di constatazione della violazione».

Il trattamento sanzionatorio
per l’impiego di lavoro irregolare viene così
determinato con riferimento all’entità del costo del lavoro per ciascun
lavoratore, computato in relazione al lasso di tempo intercorrente tra il primo
gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione e la data di tale
accertamento. Su tale base, poi, l’Agenzia delle entrate – competente ad irrogare la sanzione, ai sensi dell’art. 3, comma 4, del
decreto-legge n. 12 del 2002 – applica un aumento dal 200% al 400%, tenuto
conto dei criteri indicati dall’art. 7 del d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni
amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’art. 3,
comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), al quale lo stesso art. 3,
ultimo comma, rinvia.

Dunque, la base su cui viene quantificata la sanzione prescinde dalla durata
effettiva del rapporto di lavoro per essere ancorata ad un meccanismo di tipo
presuntivo.

Attraverso tale previsione il
legislatore ha evidentemente inteso determinare un ulteriore
inasprimento del trattamento sanzionatorio per coloro che continuino ad
impiegare lavoratori irregolarmente, nonostante che siano stati introdotti
meccanismi agevolati di varia natura per incentivare l’emersione del lavoro
sommerso.

Non c’è dubbio che – come ha
osservato l’Avvocatura dello Stato – la disposizione censurata sia funzionale
all’esigenza di garantire l’effettività della sanzione senza porre a carico della amministrazione l’onere di fornire tutte le volte la
prova della reale durata del rapporto irregolare. Ed è altrettanto indubbio che
rientri nella discrezionalità del legislatore sia la individuazione
delle condotte punibili, sia anche la scelta e la quantificazione delle
sanzioni, tanto penali che amministrative (cfr., ex plurimis,
sentenze n. 243, n. 234 e n. 172 del 2003), con il limite, tuttavia, della non
manifesta irragionevolezza (cfr. ordinanza n. 297 del
1998).

L’art. 3, comma 3, del decreto-legge n. 12 del 2002
prevede peraltro un meccanismo tale da non consentire al datore di lavoro di
fornire la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio in una
data diversa da quella del primo gennaio dell’anno in cui è stata accertata la
violazione, e che, dunque, ha avuto una durata inferiore rispetto a quella
presunta dalla legge. Tale presunzione assoluta determina la lesione del
diritto di difesa garantito dall’art. 24 della Costituzione, dal
momento che preclude all’interessato ogni possibilità di provare
circostanze che attengono alla propria effettiva condotta e che pertanto sono
in grado di incidere sulla entità della sanzione che dovrà essergli irrogata
(sulla rilevanza del potere di fornire la prova contraria ai fini di escludere
la lesione del diritto di difesa, cfr. le ordinanze n.
140 del 2003 e n. 260 del 2000, nonché le sentenze n. 444 del 1995, n. 358 del
1994 e n. 283 del 1987).

Ciò determina, altresì, la irragionevole equiparazione, ai fini del trattamento
sanzionatorio, di situazioni tra loro diseguali, quali quelle che fanno capo a
soggetti che utilizzano lavoratori irregolari da momenti diversi e per i quali
la constatazione della violazione sia in ipotesi avvenuta nella medesima data.

L’art. 3, comma 3, del decreto-legge
n. 12 del 2002 è pertanto costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non
consente al datore di lavoro di provare che il rapporto di lavoro irregolare ha
avuto inizio successivamente al primo gennaio
dell’anno in cui è stata constatata la violazione.

per questi motivi la Corte
Costituzionale

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 3, del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12 (Disposizioni
urgenti per il completamento delle operazioni di emersione di attività detenute
all’estero e di lavoro irregolare), convertito in legge dall’art. 1 della legge
23 aprile 2002, n. 73, nella parte in cui non ammette la possibilità di provare
che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al primo
gennaio dell’anno in cui è stata constatata la violazione.