Penale

Thursday 11 January 2007

Duplicare CD è quasi sempre reato.

Duplicare CD è quasi sempre
reato.

Cassazione – Sezione terza penale
(up) – sentenza 22 novembre 2006-9 gennaio 2007, n. 149

Presidente Vitalone – Relatore
Lombardi

Pm Izzo – Ricorrente Rizzi

Svolgimento del processo

Con la sentenza
impugnata la Ca di
Torino ha confermato la pronuncia di colpevolezza di Rizzi Eugenio e Faretti
Claudio in ordine ai reati: a) e d) di cui all’articolo 171bis della legge
633/41; b) di cui all’articolo 171ter lettera a) e b) della legge 633/41, loro
ascritti per avere, a fine di lucro, duplicato abusivamente, utilizzando un
computer configurato come server Ftp, e distribuito programmi per elaborare
illecitamente duplicati, giochi per psx, video Cd (capo a); per avere, a fine
di lucro, abusivamente duplicato su supporto informatico opere
cinematografiche, mettendole poi a disposizione sul server ftp, dal quale
potevano essere scaricate da utenti abilitati all’accesso tramite un codice
identificativo e relativa password a fronte del conferimento di materiali
informatici sul predetto server ftp (capo b) nonché il Rizzi per avere detenuto
a scopo commerciale programmi destinati a consentire o facilitare la rimozione
dei dispositivi di protezione applicati a programmi per elaboratore (capo d).

I giudice di merito hanno
accertato in punto di fatto che gli imputati avevano creato, gestito e curato
la manutenzione di un sito ftp mediante un computer esistente presso
l’associazione studentesca del Politecnico di Torino, sul quale venivano scaricati (download) programmi tutelati dalle norme
sul diritto d’autore. Successivamente tali programmi potevano essere prelevati
da determinati utenti che avevano accesso al server in cambio del conferimento
a loro volta di materiale informatico, nonché il solo Rizzi per avere detenuto
presso la sua abitazione programmi destinati a consentire o facilitare la
rimozione dei dispositivi di protezione applicati ai programmi per elaboratore.

La sentenza ha rigettato i motivi
di gravame con i quali il Faretti aveva dedotto la
propria estraneità ai fatti ed entrambi gli imputati la non configurabilità
delle fattispecie criminose di cui alla contestazione prima della riforma di
cui alla legge 248/00 e successive modificazioni.

La sentenza su tale ultimo punto,
in sintesi, ha affermato che le operazioni descritte integrano le ipotesi
delittuose di cui api di imputazione, pur nella previsione normativa
antecedente alla legge di riforma citata, osservando che l’attività posta in
essere dagli imputati implica necessariamente la duplicazione dei programmi ed
altri files relativi ad opere musicali o cinematografiche protetti dal diritto
d’autore e che lo scambio del materiale informatico integra l’ipotesi della
duplicazione del predetto materiale a fine di lucro richiesta per la
configurabilità delle fattispecie criminose di cui alla contestazione, nella
loro formulazione normativa antecedente alla riforma.

Si è osservato sul punto, in
relazione alle differenze terminologiche adoperate dalla legge di riforma
(“scopo di profitto” invece di “scopi di lucro” – “detenzione per scopo
commerciale o imprenditoriale” invece di “detenzione per scopo commerciale”),
che le stesse si congiurano quale interpretazione autentica del legislatore,
finalizzata a superare le questioni interpretative correlate ad ipotesi di
vantaggio non immediatamente patrimoniale; interpretazione che non ha ampliato
l’ambito della punibilità della fattispecie delittuose
precedenti.

Avverso la sentenza hanno
proposto ricorso il difensore del Rizzi ed il Faretti
di persona, che la denunciando per violazione di legge.

Motivi della decisione

Con un unico motivo di gravame la
difesa del Rizzi denuncia la violazione ed errata applicazione degli articoli
171bis e 171ter della legge 633/41 nel testo vigente all’epoca dei fatti ed in
relazione alle modifiche apportata a detti articoli dalla
legge 248/00, dal D.Lgs 68/2003, dal Dl 72/2004, convertito in legge
128/04, e dal Dl 7/2005, convertito con modificazioni dalla legge 43/2005.

Si deduce, in sintesi, che
l’interpretazione delle norme incriminatici effettuata dalla corte territoriale
viola i principi della tipicità e della tassatività delle fattispecie criminose
di cui alle disposizioni citate.

Si osserva in proposito, sempre
in sintesi, che le differenze terminologiche adoperate dal legislatore nelle
varie formulazioni degli articoli 171bis e 171ter della legge 633/41 non sono
esclusivamente finalizzate ad assicurare una sempre più adeguata tutela del
diritto d’autore, dettata dalla necessità di determinare la rispondenza del
quadro normativo al progresso tecnologico, bensì anche dalla finalità di
contemperare le predette esigenze di tutela con quella di garantire la
circolazione delle opere dell’ingegno, quale strumento di progresso sociale e
culturale.

Si deduce, quindi, che le
differenze terminologiche adoperate nel testo legislativo tra “scopo di lucro”
e “scopo di profitto”, peraltro generalmente connesse alla necessità di
adeguare la legislazione nazionale al Trattato dell’Ompi sul diritto d’autore
ed alle direttive comunitarie ad esso correlate, sono
conseguenza del diverso approccio del legislatore alla indicata esigenza di
contemperare contrapposti interessi, di cui costituiscono evidente espressione
le modificazioni subite in breve arco di tempo dall’articolo 171ter della legge
633/41 con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la cui soglia di
punibilità è stata da ultimo nuovamente innalzata al perseguimento di un fine
di lucro da parte dell’autore della violazione.

Si deduce, quindi, con specifico
riferimento alla pronuncia impugnata che i giudici di merito hanno erroneamente
attribuito all’imputato una attività di duplicazione
dei programmi e di opere dell’ingegno protette dalla legge sul diritto
d’autore, poiché la duplicazione in effetti avveniva ad opera dei soggetti che
si collegavano con il sito ftp e da essa in piena autonomia prelevavano i files
e nello stesso ne scaricavano altri. Si aggiunge che, in ogni
caso, doveva essere esclusa l’esistenza di un fine di lucro da parte del Rizzi
non potendosene ravvisare gli estremi nella mera attività di scambio dei files
posta in essere; che la condotta dell’imputato, quanto meno con riferimento
alle opere musicali e cinematografiche, potrebbe ritenersi solo attualmente
sanzionata dall’articolo 171ter, comma 1 lettera abis), aggiunto dal Dl
72/2004, convertito in legge 128/04; che, anche con riferimento al programma
detenuto dall’imputato nella propria abitazione, doveva escludersi la
detenzione a fini commerciali e lucrativi dello stesso, scopo in ordine al
quale, peraltro, nulla è stato affermato dai giudici di merito.

Con un unico motivo di gravame a
sua volta il Faretti denuncia la violazione ed errata
applicazione degli articoli 171bis e 171ter della legge 633/41.

Anche il secondo ricorrente
denuncia l’errata interpretazione dei giudici di merito circa la sussistenza
nel caso in esame del fine di lucro, che deve concretizzarsi nel perseguimento
di un vantaggio economicamente apprezzabile; elemento da escludersi nel caso in
esame in cui è stato accertato che lo scambio di software avveniva
esclusivamente a titolo gratuito, né era connesso a forme di pubblicità o ad
altra utilità economica che ne potessero trarre i creatori del sito ftp.

I ricorso
sono fondati.

È opportuno premettere che appare
pienamente condivisibile, con riferimento all’elemento materiale della
fattispecie delittuosa principale, l’affermazione della impugnata sentenza,
secondo la quale le operazioni di download sul server ftp e dallo stesso sui
computer delle persone che si collegavano al sito, implica necessariamente la
duplicazione del materiale informativo e, più in generale, delle opere
dell’ingegno protette dal diritto d’autore oggetto dell’operazione, sicché
sotto il citato profilo vi è sostanziale coincidenza tra i fatti ascritti agli
imputati e le ipotesi criminose ritenute dai giudici di merito.

La questione nodale circa
l’applicabilità, nel caso in esame, delle fattispecie criminose di cui agli
articoli 171bis della legge 633/41, introdotto dall’articolo
10 del D.Lgs 518/92 e 171ter della medesima legge, introdotto
dall’articolo 17 del D.Lgs 685/94, nella loro formulazione antecedente alla
legge di riforma 248/00 è, pertanto, costituita dalla interpretazione del
termine “scopo di lucro”, adoperato nel testo delle norme vigenti all’epoca dei
fatti, rispetto all’espressione “scopo di profitto” introdotto dalla legge di
riforma, con la conseguente individuazione del diverso ambito di applicazione
della fattispecie per effetto delle citate differenze terminologiche.

In proposito non si palesa
certamente condivisibile l’affermazione della sentenza impugnata, secondo la
quale le diverse espressioni con le quali il legislatore ha, di volta in volta,
individuato il citato elemento soggettivo del reato costituiscono mera
estrinsecazione di una interpretazione autentica dello
stesso concetto, semplicemente riformulato in termini più esaustivi nella
successive modificazione della norma per un migliore adeguatamente
terminologico della tutela penale alla evoluzione dei fenomeni di violazione
del diritto d’autore.

Contrasta con tale
interpretazione il diverso valore che le predette espressioni assumono nella loro comune accezione e che il legislatore ha
indubbiamente attribuito ad esse, sia nella utilizzazione in materia di reati
contro il patrimonio, al posto di quella afferente al lucro, al fine di
estendere la sfera di applicabilità della tutela penale, sia con riferimento
alle modifiche legislative che hanno interessato proprio la legge sul diritto
d’autore.

È stato esattamente evidenziato
in proposito dalla difesa del Rizzi che l’espressione “fini di lucro”,
contenuta nel testo attuale dell’articolo 171ter, comma 1,
della legge 633/41 è stata dapprima sostituita con quella “per trarne
profitto” dall’articolo 1 comma 2 del Dl 72/2004, convertito con modificazioni
dalla legge 128/04, e successivamente reinserita al posto di quella “per trarne
profitto” dall’articolo 3 comma 3quinquies, del Dl 7/2005, convertito con
modificazioni dalla legge 43/2005.

Orbene, tali modifiche non
possono essere altrimenti interpretate che quale espressione dello specifico
intento del legislatore di modificare la soglia di punibilità della condotta
descritta dalla norma, a seconda del prevalere di
interessi di salvaguardia del diritto d’autore o di quello contrapposto,
afferente alla libera circolazione delle opere dell’ingegno, incidendo
direttamente sulla qualificazione del dolo specifico richiesto per la
configurazione del rato.

Né appare molto conferente, a
sostegno della tesi interpretativa sostenuta nella sentenza impugnata, il
riferimento alla pronuncia di questa Sc (Sezione terza, 33896/01, Furci, rc
220344), che si è occupata della diversa espressione, “a scopo commerciale”,
contenuta nell’articolo 171bis della legge 633/41,
precisando che per scopo commerciale non deve intendesi necessariamente la
destinazione alla vendita delle copie non autorizzate dei programmi per
elaboratore, in quanto tale scopo può configurarsi mediante qualsiasi
utilizzazione imprenditoriale del materiale abusivo.

La citata pronuncia, invero, si
riferisce ad un diverso dato normativo, che afferisce precipuamente alla delimitazione
della materialità della condotta criminosa, con riferimento ad una specifica
categoria di soggetti esercenti attività economica
(imprenditoriale) e non alla individuazione dell’ambito di operatività della
norma penale nel suo riferimento all’elemento soggettivo del reato, oggetto
delle modificazioni che qui interessano.

Non appare, pertanto, dubbio che
le differenti espressioni adoperate dal legislatore nella diversa formulazione
degli articoli 171bis e ter abbiano esplicato la funzione di modificare la
soglia di punibilità del medesimo fatto, ampliandola allorché è stata
utilizzata l’espressione “a scopo di profitto” e restringendola allorché il
fatto è stato previsto come reato solo se commesso a “fini di lucro” (cfr.
Sezione terza, 33303/01, Ashour ed altri, rv 219683).

Con tale ultima espressione,
infatti, deve intendersi un fine di guadagno economicamente apprezzabile o di
incremento patrimoniale da parte dell’autore del fatto, che non può
identificarsi con un qualsiasi vantaggio di altro genere; né l’incremento
patrimoniale può identificarsi con il mero risparmio di spesa derivante
dall’uso di copie non autorizzate di programmi o altre opere dell’ingegno, al
di fuori dello svolgimento di un’attività economica da parte dell’autore del
fatto, anche se di diversa natura, che connoti l’abuso, come nel caso esaminato
dalla pronuncia citata in precedenza.

Tale interpretazione, peraltro,
trova riscontro nella stessa legge sul diritto d’autore che nell’articolo
174ter, come da ultimo modificato dall’articolo 23 del D.Lgs 63/2003 non
attribuisce rilevanza penale alla duplicazione, riproduzione, acquisto o
noleggio di supporti non conformi alle prescrizioni della medesima legge a fini
meramente personali, allorché, cioè, la riproduzione o l’acquisto non concorrano con i reati previsti dall’articolo 171 e ss. e
non sia destinato all’immissione in commercio di detto materiale (cfr. Su,
47164/05 Marino).

Nella ipotesi esaminata viene,
infatti, escluso dall’ambito della fattispecie criminosa il comportamento dettato
dalla mera finalità di un risparmio di spesa, che indubbiamente deriva
dall’acquisto di supporti duplicati o riprodotti abusivamente.

Va ancora rilevato che la
condotta attribuita agli imputati è attualmente descritta in termini più
puntuali dall’articolo 171ter comma 2 lettera abis), della legge 633/41,
introdotto dall’articolo 1 comma 3 del Dl 72/2004, convertito con modificazioni
della legge 128/04, ma sempre con la delimitazione della soglia di punibilità
mediante il riferimento all’ipotesi che il fatto venga
commesso “a fini di lucro”.

Passando quindi all’esame dei
fatti di cui alla pronuncia di condanna degli imputati deve essere escluso, nel
caso in esame, che la condotta degli autori della violazione sia stata
determinata da fini di lucro, emergendo dell’accertamento di merito che gli
imputati non avevano tratto alcun vantaggio economico della predisposizione del
server ftp, mentre dalla utilizzazione dello stesso traevano sostanzialmente
profitto, nei sensi opra precisati, si soli utenti del
server medesimo.

Anche con riferimento alla
detenzione da parte del Rizzi di un programma destinato a consentire la
rimozione o l’elusione di dispositivi di protezione di programmi non emerge
dall’accertamento di merito la finalità lucrativa cui sarebbe
stata destinata la detenzione e, tanto meno, un eventuale fine di
commercio della stessa.

Gli imputati devono essere,
pertanto, prosciolti dalle imputazioni loro ascritte perché il fatto non è
previsto dalla legge come reato, con il conseguente annullamento senza rinvio
della sentenza impugnata.

PQM

La Corte annulla senza rinvio
la sentenza impugnata perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.