Tributario e Fiscale

Monday 25 February 2008

“Agenzia delle Entrate, Circolare n. 12 del 19.02.2008. Profili interpretativi emersi nel corso della manifestazione Telefisco 2008″ del 29 Gennaio 2008 e risposte ad ulteriori quesiti.”

Agenzia delle Entrate, Circolare
n. 12 del 19.02.2008. Profili interpretativi emersi nel corso della
manifestazione "Telefisco 2008" del 29 Gennaio 2008 e risposte ad
ulteriori quesiti.

Di seguito si riportano,
raggruppate per argomento, le risposte fornite dalla scrivente in occasione del
recente incontro con gli esperti della stampa specializzata, relative a quesiti
concernenti l’applicazione delle disposizioni contenute nella legge 24 dicembre
2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), nonchè risposte riferite ad ulteriori
quesiti.

INDICE

1 Incentivi per le
ristrutturazioni edilizie e per gli interventi finalizzati al risparmio energetico

1.1 Aliquota
Iva 10 per cento sulle manutenzioni ordinarie e straordinarie

1.2 Detrazione per il risparmio
energetico (c.d. 55 per cento) – Rateazione

1.3 Detrazione
per il risparmio energetico (c.d. 55 per cento) – Esonero dall’a.q.e./a.c.e

2 L’estromissione dei beni
dell’imprenditore individuale

2.1
Estromissione dell’immobile strumentale

3 Determinazione dei redditi
diversi di natura finanziaria

3.1
Determinazione del costo della partecipazione in caso di successione –
quesito 1

3.2
Determinazione del costo della partecipazione in caso di successione –
quesito 2

3.3 Cessione
di una partecipazione detenuta in parte in piena proprietà ed in parte in nuda
proprietà.

4 Il regime fiscale per i
contribuenti minimi

4.1 Produttore
agricolo che svolge anche un’attività professionale o d’impresa con
contabilità separata

4.2 Limite
dei beni strumentali utilizzati: beni a deducibilità limitata

4.3 Spese di albergo e ristorante
pagate da un professionista

5 MODIFICHE ALLA BASE IMPONIBILE
IRES

5.1 Estensione delle limitazioni
previste per il riporto delle perdite fiscali anche agli interessi indeducibili
oggetto di riporto

5.2 Deducibilità degli interessi
passivi nel consolidato: rilevanza delle partecipazioni estere

5.3 Deducibilità degli interessi
passivi nel consolidato: trattamento fiscale di eventuali remunerazioni per il
trasferimento infragruppo delle eccedenze di ROL

5.4
Applicazione delle percentuali di deduzione del costo dei veicoli
stabilite dal decreto-legge n. 81 del 2007

6 LE SOCIETA’ DI COMODO E LO
SCIOGLIMENTO AGEVOLATO

6.1 Nuovi casi di esclusione:
numero soci e partecipazioni di enti pubblici

6.2
Scioglimento agevolato: delibere assunte anteriormente al 1° gennaio
2008

7 Gli EFFETTI DELLE MODIFICHE
IRES SUI BILANCI

7.1
Eliminazione delle deduzioni extracontabili e cambiamenti di stime

7.2
Applicazione degli Ias: strumenti finanziari detenuti per la
negoziazione

8 LA
FISCALITA’ INTERNAZIONALE

8.1 L’introduzione della c.d.
White list

9 La nuova base imponibile Irap

9.1 Deduzioni contabili pregresse
e imposta sostitutiva

9.2 Fondi accantonamento non
deducibili

10 REGIME
SANZIONATORIO DEL REVERSE CHARGE E ALTRI QUESITI IVA

10.1 Ambito temporale di
applicazione del nuovo regime sanzionatorio previsto per l’errata applicazione
del reverse charge

10.2 Ambito
oggettivo di applicazione del nuovo regime sanzionatorio previsto per
l’errata applicazione del reverse charge

10.3 Reverse charge: modalità di
regolarizzazione delle operazioni da parte del committente o del cessionario

10.4
Regolarizzazione di violazioni concernenti il plafond

10.5 IVA: detrazione dell’imposta
relativa ai telefoni cellulari dati in uso ai dipendenti

10.6
Coltivazioni agricole per conto terzi

10.7 Servizi di telefonia:
tracciabilità dei passaggi intermedi

10.8 Omesso
trasferimento del credito IVA al momento dell’ingresso nella
liquidazione di gruppo nella previgente disciplina

11 APPLICAZIONE
DEL REGIME DELLA TONNAGE TAX

11.1 Gruppo di imprese – Assenza
di requisiti oggettivi in capo ad una di esse

11.2 Rapporto
tra tonnage tax e consolidato fiscale

1 INCENTIVI PER LE
RISTRUTTURAZIONI EDILIZIE E PER GLI INTERVENTI FINALIZZATI AL RISPARMIO ENERGETICO

1.1 Aliquota
Iva 10 per cento sulle manutenzioni ordinarie e straordinarie

D. L’applicazione dell’aliquota
ridotta è subordinata al fatto che il costo della manodopera sia esposto in
fattura o tale requisito è da rispettare solo per il caso si intenda
beneficiare della detrazione del 36% o del 55%?

R. L’articolo 1, comma 18, della
legge 24 dicembre 2007, n. 244,
ha prorogato, per le annualità 2008, 2009 e 2010, l’applicazione
dell’aliquota IVA agevolata del 10 per cento alle prestazioni di servizi aventi
ad oggetto gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’articolo 31, primo comma, lettere a), b), c) e
d), della legge 5 agosto 1978, n. 457, realizzati su fabbricati a prevalente
destinazione abitativa privata.

Ai fini del riconoscimento
dell’agevolazione in esame non è più richiesto, diversamente da quanto
stabilito per le operazioni effettuate nel periodo di imposta 2007, che il
costo della relativa manodopera sia evidenziato in
fattura.

L’applicazione dell’aliquota IVA
agevolata del 10 per cento, relativamente alle prestazioni di servizi aventi ad oggetto interventi di recupero del patrimonio edilizio,
prescinde quindi dall’indicazione in fattura del costo della manodopera che,
invece, si rende necessaria, anche in relazione agli interventi effettuati nel
periodo 2008/2010, per il riconoscimento della detrazione d’imposta del 36%
delle spese riguardanti le seguenti opere edili:

– interventi di recupero del
patrimonio edilizio, disciplinati all’articolo 2, comma 5, della legge n. 289
del 27 dicembre 2002 e successive modificazioni;

– interventi di restauro e
risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia operati da imprese di
costruzione o di ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie che
provvedono alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile, di cui
all’articolo 9, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 488 nel testo vigente
al 31 dicembre 2010.

Per questi interventi, infatti,
l’obbligatorietà dell’indicazione in fattura del costo della manodopera è
disposta espressamente dall’articolo 1, comma 19, della citata legge n. 244 del
2007.

1.2 Detrazione
per il risparmio energetico (c.d. 55 per cento) – Rateazione

D. Il beneficio della rateazione
da 3 a 10
anni può essere utilizzato anche da chi ha effettuato le spese nel 2007?

R. La legge 27
dicembre 2006, n. 296 – legge finanziaria 2007 – all’articolo 1 commi
344, 345, 346 e 347 ha
introdotto la detrazione del 55 per cento della spesa per gli interventi
finalizzati al risparmio energetico su edifici esistenti.

La medesima legge ha disposto il
riparto obbligatorio della detrazione in un numero di tre quote annuali di pari
importo.

L’articolo 1 comma 20, lett. b),
della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha, invece, previsto che in relazione alla
predetta detrazione, il beneficio possa essere ripartito in un numero di quote
annuali, di pari importo, compreso tra tre e dieci, a
scelta irrevocabile del contribuente, operata all’atto della prima detrazione.

Ad avviso della scrivente, la
possibilità di rateizzare la detrazione per un periodo superiore al triennio,
prevista dalla legge finanziaria 2008 ha efficacia a far data dal 1 gennaio 2008
e non è suscettibile di una applicazione retroattiva.

Ciò in quanto, in relazione alle
detrazioni per interventi di risparmio energetico, l’efficacia retroattiva è
stata espressamente disposta dal legislatore, al comma 23
dell’articolo 1 della citata legge n. 244 del 2007, solo relativamente alla
nuova Tabella di valori energetici, che va a sostituire quella allegata alla
legge finanziaria 2007.

In assenza di una
analoga previsione riferita alle altre novità introdotte alla normativa
sulla detrazione per il risparmio energetico, tra cui va ricompresa la diversa
modalità di riparto delle spese, si deve ritenere che, in relazione alle spese
sostenute nel 2007 per gli interventi agevolativi, finalizzati al risparmio
energetico, la detrazione debba essere ripartita necessariamente in tre rate
annuali.

1.3 Detrazione
per il risparmio energetico (c.d. 55 per cento) – Esonero dall’a.q.e./a.c.e

D. L’esonero dalla redazione
dell’attestato di qualificazione energetica (a.q.e.) o dell’attestato di
certificazione energetica (a.c.e.) per la sostituzione di finestre comprensive
di infissi in singole unità immobiliari e per l’installazione di pannelli
solari, vale anche a chi ha effettuato questi interventi nel 2007?

R. Il comma 24, lett. c),
dell’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, ha soppresso
l’obbligo, previsto dal comma 348, lett. b), dell’articolo 1 della legge 27
dicembre 2006, n. 296, di far redigere, a cura di un professionista abilitato,
l’attestato di certificazione, o di qualificazione, energetica, limitatamente
agli interventi di:

– sostituzione di finestre,
comprensive di infissi, in singole unità immobiliari;

– installazione di pannelli
solari per la produzione di acqua calda per usi domestici o industriali e per
la copertura del fabbisogno di acqua calda in qualsivoglia struttura, pubblica
o privata.

La disposizione si rende efficace
a far data dal 1 gennaio 2008.

Pertanto non può essere applicata
in relazione alle spese per gli interventi sopra indicati, sostenute nel
periodo di imposta 2007.

Alla disposizione in esame,
infatti, non è stata attribuita dal legislatore una espressa
efficacia retroattiva, diversamente da quanto previsto per la nuova Tabella di
valori energetici, di cui al comma 23 dell’articolo 1 della citata legge n. 244
del 2007, che va a sostituire quella allegata alla legge finanziaria 2007.

2 L’ESTROMISSIONE DEI BENI
DELL’IMPRENDITORE INDIVIDUALE

2.1 Estromissione dell’immobile strumentale

D. Per la determinazione del
valore normale dell’immobile strumentale dell’imprenditore individuale ai sensi
dell’articolo 1, comma 37, della legge n. 244/07 si chiede se i moltiplicatori
della rendita catastale siano i seguenti:

1) fabbricati di categoria
"A10" e "D" coefficiente 52,5

2) fabbricati di categoria
"C1" coefficiente 37,5

3) altri fabbricati coefficiente
105.

Oppure se devono essere
maggiorati con la percentuale del 20 per cento di cui al D.L. n. 168/2004 e per
quelli di categoria "B" del 40 per cento ai sensi dell’articolo 2,
comma 45, del D.L. n. 262/06 che però hanno effetto ai soli fini dell’imposta
di registro

R. Si ritiene che – ai fini della
determinazione del valore normale – le rendite catastali debbano essere
rivalutate ai sensi della legge n. 662 del 1996 ed, altresì, maggiorate con le
percentuali (rispettivamente del 40 per cento per gli immobili di categoria B e
del 20 per cento per gli altri immobili) previste dai decreti legge n. 262 del
2006 e 168 del 2004.

3
DETERMINAZIONE DEI REDDITI DIVERSI DI NATURA FINANZIARIA

3.1 Determinazione del costo
della partecipazione in caso di successione – quesito 1

D. A seguito della introduzione
dell’imposta di successione per effetto del D.L. n. 262/06, ai fini della
determinazione del costo della partecipazione per il calcolo del capital gain
si assume il valore dichiarato agli effetti di tale imposta (articolo 68, comma
6, del Tuir). Si ritiene – come precisato dalla risoluzione 120/E del 2001 –
che tale procedura sia legittima anche in caso di non
assolvimento dell’imposta di successione per effetto della franchigia (articolo
2, comma 48, D.L. n. 262/06), mentre per i trasferimenti non soggetti a imposta
di cui all’articolo 3, comma 4-ter del D.Lgs. 346/1990, si assume il valore
normale alla data di apertura della successione. Si chiede conferma.

R. Con la citata risoluzione n.
120/E del 2001 è stato ribadito che in presenza di
titoli che siano stati dichiarati ai fini dell’imposta sulle successioni,
ancorchè la stessa non sia dovuta in quanto la quota spettante a ciascun
beneficiario non supera gli importi minimi previsti per l’applicazione della
stessa, si debba assumere quale costo di acquisto quello dichiarato o definito
ai fini dell’imposta sulle successioni.

Nel caso invece di trasferimenti
di titoli esenti dall’imposta sulle successioni, si conferma che si assume come
costo il valore normale dei titoli alla data di apertura della successione.

3.2
Determinazione del costo della partecipazione in caso di successione –
quesito 2

D. Ai fini dell’imposta di
successione la valutazione per i titoli non quotati e le partecipazioni non
azionarie viene fatta in base alla frazione del
patrimonio risultante dall’ultimo bilancio pubblicato (se la società è tenuta a
tale obbligo) oppure dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato
(articolo 16 del D.Lgs. 346 del 1990).

Inoltre, in base all’articolo 8,
comma 1 bis, del D.Lgs. 346/1990, resta comunque ferma l’esclusione
dell’avviamento nella determinazione della base imponibile delle aziende, delle
azioni, delle quote sociali.

I valori di cui sopra potrebbero
essere inferiori al costo fiscale in capo al de cuius, in quanto ai fini delle
imposte sui redditi, ai sensi dell’articolo 68, comma 6 del TUIR, è previsto
che il costo delle partecipazioni, in caso di acquisto per successione, sia
pari al valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti
dell’imposta di successione.

E’ corretto ritenere che il disposto dell’articolo 68 del Testo unico debba essere
interpretato nel senso di utilizzare – come costo rilevante ai fini della
determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria – quello sostenuto del
de cuius o quello rideterminato dal de cuius in sede di affrancamento delle
partecipazioni se maggiore di quello rilevante ai fini dell’imposta di
successione?

Se non è corretto, qualora il
contribuente dichiari ai fini dell’imposta di successione il maggiore fra il
costo fiscale di cui sopra e quello determinato ai sensi dell’articolo 16 del
D.Lgs. 346, questo valore può essere considerato come
costo fiscalmente riconosciuto per gli eredi?

R. Con l’articolo 2, comma 46,
del decreto-legge 2 ottobre 2006, n. 262, convertito con modificazioni dalla
legge 24 novembre 2006, n. 286 è stata istituita l’imposta sulle successioni e
donazioni. Tale imposta è regolata per espressa previsione normativa
"secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti
l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n.
346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001".

L’articolo 16,
comma 1, lettera b), del predetto D.Lgs. n. 346
del 1990, dispone che la base imponibile ai fini della determinazione
dell’imposta di successione è determinata assumendo "per le azioni e per i
titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, non
quotati in borsa, nè negoziati al mercato ristretto, nonchè per le quote di
società non azionarie, comprese le società semplici e le società di fatto, il
valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della
successione, del patrimonio netto dell’ente o della società risultante
dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e
vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti, ovvero, in mancanza di
bilancio o inventario, al valore complessivo dei beni e dei diritti
appartenenti all’ente o alla società al netto delle passività risultanti a
norma degli articoli da 21 a
23".

Con riguardo alla determinazione
delle imposte da applicare alle plusvalenze indicate nelle lettere c), c-bis) e
c-ter), comma 1, dell’articolo 67 del TUIR, l’articolo
68, comma 6, dello stesso testo unico. prevede che
"nel caso di acquisto per successione, si assume come costo il valore
definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di
successione, nonchè per i titoli esenti da tale imposta il valore normale alla
data di successione".

Pertanto, appare chiaro che, con
l’introduzione dell’imposta di successione, per quanto concerne la valutazione
del costo di carico per l’erede dei titoli compresi nella successione, si torna
sostanzialmente alla situazione precedente la legge 18 ottobre 2001, n. 383,
che aveva soppresso l’imposta di successione precedentemente vigente.

Conseguentemente, non trovano più
applicazione le indicazioni fornite con la circolare
19 ottobre 2001, n. 91/E, in base alla quale, in assenza di dichiarazione di
successione occorreva assumere ai fini dell’articolo 68 del TUIR il costo
sostenuto dal de cuius.

Appare chiaro che, stante
l’attuale quadro normativo in materia, contrariamente a quanto prospettato dal
richiedente, non vi è nel caso di successioni aperte dal 3 ottobre 2006, vale a
dire dalla data di entrata in vigore del d.l. 262 del 2006, la possibilità di
optare tra il costo sostenuto dal de cuius (o in alternativa, il valore da
questi rivalutato,) e il valore definito o dichiarato
ai fini dell’imposta successoria.

In tal caso, ai fini della
determinazione delle plusvalenze imponibili ai sensi dell’articolo 67 del TUIR,
infatti, occorre far riferimento, salvo rettifica da parte dell’ufficio, al
valore delle partecipazioni determinato e, quindi, indicato nella dichiarazione
di successione, secondo le modalità dettate dal citato articolo 16 del D.Lgs. n. 346 del 1990.

Le disposizioni del citato
articolo 16 acquistano preponderante rilevanza e devono essere osservate in
sede di dichiarazione anche in presenza di franchigie
che possano annullare o ridurre l’imponibile.

Al valore normale delle
partecipazioni occorre, invece, fare diretto riferimento nell’eventualità che
le stesse siano esentate dall’imposta di successione
ai sensi dell’articolo 3, comma 4-ter, del TUS.

3.3 Cessione
di una partecipazione detenuta in parte in piena proprietà ed in parte in nuda
proprietà.

D. Una persona fisica risulta
proprietaria, non in regime di impresa, di una partecipazione al capitale di
una società per azioni non quotata, così composta:

– piena proprietà del 20 per
cento delle azioni;

– nuda proprietà del 5 per cento
delle azioni, con diritto di usufrutto vitalizio con diritto di voto a favore
del genitore.

Si chiede di conoscere quale sia il corretto trattamento fiscale, ai sensi dell’articolo
67 del TUIR, applicabile alla plusvalenza derivante in caso di cessione a
titolo oneroso dell’intera partecipazione detenuta (sia in piena proprietà che
in nuda proprietà); in particolare, si chiede di conoscere se la partecipazione
ceduta debba essere considerata "qualificata" o "non
qualificata" ai sensi di quanto previsto dall’articolo 67, comma 1,
lettere c) e c-bis) del TUIR.

R. Si ritiene che la
partecipazione ceduta debba essere considerata "qualificata" ai sensi
di quanto previsto dall’articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis) del TUIR; ciò
in quanto nel caso di cessione congiunta di partecipazioni detenuta da un
medesimo soggetto, di cui parte in piena proprietà e parte in nuda proprietà,
tali partecipazioni devono essere considerate cumulativamente ai fini del
superamento della soglia del 20 per cento oltre la quale
le partecipazioni cedute si considerano "qualificate".

Come chiarito, infatti, con
circolare del 24 giugno 1998, n. 165, paragrafo 2.2.1,
nel caso di cessione di usufrutto o della nuda proprietà la percentuale di
capitale sociale rappresentata dalla partecipazione ceduta va calcolata con
riferimento alla parte del valore nominale delle partecipazioni corrispondente
al rapporto tra il valore dell’usufrutto o della nuda proprietà ed il valore
della piena proprietà. Il valore dell’usufrutto e della nuda proprietà si
determinano secondo i criteri indicati dagli articoli 46 e 48 del DPR 26 aprile
1986, n. 131 (testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di
registro).

4 IL REGIME FISCALE PER I
CONTRIBUENTI MINIMI

4.1 Produttore agricolo che
svolge anche un’attività professionale o d’impresa con contabilità separata

D. Secondo l’articolo 1, comma
99, della legge finanziaria 2008 non sono considerati contribuenti minimi le
persone fisiche che si avvalgono di regimi speciali ai fini
Iva come, per esempio, coloro che svolgono le attività agricole
rientranti nell’articolo 34 del DPR n. 633/72. Si chiede se un produttore
agricolo svolge anche una seconda attività professionale o d’impresa gestita
obbligatoriamente con contabilità separata, in base
all’articolo 36 del DPR n. 633/72, sussistendone gli altri presupposti,
per l’attività non agricola può rientrare nel regime dei contribuenti minimi?

R. In considerazione della ratio
sottesa all’introduzione del nuovo regime, che è quella di agevolare, sia sotto
l’aspetto degli adempimenti che sotto quello del carico fiscale, contribuenti
che esercitano attività economicamente marginali, si ritiene che i produttori
agricoli, qualora esercitino l’attività agricola nei limiti dell’articolo 32
del TUIR, e dunque tale attività sia produttiva di reddito fondiario e non
d’impresa, ancorchè assoggettati ai fini IVA al regime speciale di cui all’articolo 34 del d.P.R. n. 633 del 1972, possono
avvalersi del regime dei contribuenti minimi con riguardo alle altre attività
di impresa arte e professioni eventualmente svolte.

Nella menzionata ipotesi, i
contribuenti assolvono agli adempimenti IVA previsti
per i produttori agricoli secondo le disposizioni contenute nell’articolo 34
del d.P.R. n. 633 del 1972 e, ai fini IRPEF, sono tenuti a dichiarare il
reddito fondiario mentre, relativamente alla ulteriore attività di impresa o di
lavoro autonomo, potranno avvalersi del regime dei contribuenti minimi e assolvere ai relativi adempimenti analiticamente descritti
nella circolare n. 73/E del 2007.

Ad esempio, il soggetto che, in
aggiunta all’attività agricola assoggettata al regime di cui
all’articolo 34, eserciti anche attività di riparazione autoveicoli,
potrà avvalersi relativamente a quest’ultima del regime dei contribuenti
minimi, qualora ne ricorrano i presupposti.

In nessun caso l’attività
agricola, sia essa espressiva di reddito fondiario o di reddito d’impresa,
potrà rientrare nel regime dei contribuenti minimi qualora sia assoggettata al
regime speciale di cui al più volte citato articolo
34. Resta inteso che le limitazioni conseguenti all’applicazione del regime
speciale IVA non operano nell’eventualità che l’attività agricola venga trattata, ai fini IVA, secondo le disposizioni proprie
del regime ordinario e non ai sensi dell’articolo 34. In tal caso il
contribuente in presenza dei requisiti dovrà applicare
(salvo opzione) il regime dei contribuenti minimi per le altre attività di
impresa eventualmente esercitate e per la restante attività agricola che ai
fini dell’imposta sul reddito esprima reddito d’impresa compresa quella alla
quale si applicano le disposizioni dell’articolo 56 bis del TUIR.

Si precisa, inoltre che anche
l’attività di agriturismo disciplinata dall’articolo 5, comma
2, della legge 413 del 1991 può essere attratta al regime dei minimi
qualora il contribuente opti per l’applicazione dell’Iva nei modi ordinari. In
ogni caso l’insieme delle attività assoggettate al regime dei contribuenti
minimi dovrà essere valutata

unitariamente
ai fini della valutazione dei requisiti di accesso previsti al comma 96.

4.2 Limite
dei beni strumentali utilizzati: beni a deducibilità limitata

D. Nella
circolare 73/E/2007 è stato chiarito che, ai fini del limite di 15.000
euro dei beni strumentali, stabilito dal comma 96, lettera b), dell’articolo 1
della legge finanziaria 2008, i beni promiscui devono essere assunti per il 50
per cento del corrispettivo. Nel caso, invece, di un bene a deducibilità
limitata, che viene utilizzato interamente per
l’attività imprenditoriale (si pensi a un agente di commercio che ha due
autoveicoli, uno dei quali utilizzato esclusivamente per l’attività d’impresa),
che valore deve essere assunto?

R. Come chiarito con la circolare
n. 73/E del 2007, paragrafo 2.1, "per esigenze di semplificazione
rilevanti anche ai fini del controllo, si ritiene che i beni strumentali solo
in parte utilizzati nell’ambito dell’attività di impresa o di lavoro autonomo
esprimano un valore pari al 50 per cento dei relativi corrispettivi".

Si ribadisce, dunque, che ai fini
della verifica dei requisiti di accesso al regime i beni strumentali ad uso
promiscuo rilevano per il 50 per cento del costo sostenuto, a prescindere da
eventuali diverse percentuali di deducibilità contenute nel TUIR

Al riguardo è opportuno precisare
che si presumono comunque ad uso promiscuo tutti i beni a deducibilità limitata
indicati negli articoli 164 e 102, comma 9, del TUIR
(ad esempio autovetture, autocaravan, ciclomotori, motocicli, e telefonia).

4.3 Spese di albergo e ristorante
pagate da un professionista

D. Dalla
circolare 73/E/2007 e dal decreto attuativo si desume che sia i
componenti positivi che quelli negativi devono essere assunti per l’intero
corrispettivo incassato o pagato nel periodo. Si conferma, quindi, che, per
esempio, le spese di albergo e ristorante pagate da un professionista che
utilizza il regime dei minimi risultano deducibili per intero, e non con i
limiti stabiliti dall’articolo 54 del TUIR?

R. Le regole di determinazione
del reddito dei soggetti che rientrano nel regime dei minimi sono dettate
dall’articolo 1, comma 104, della legge finanziaria 2008,
e pertanto con riferimento a tali soggetti non trovano applicazione le regole
ordinarie di determinazione del reddito dettate dal Testo Unico delle Imposte
sui redditi.

Le spese di albergo e ristorante,
normalmente riferibili alla sfera privata del contribuente, potranno essere
portate in deduzione per l’intero importo pagato (a prescindere dalle
limitazioni previste dall’articolo 54, comma 5, del TUIR) qualora la stretta
inerenza delle stesse all’esercizio dell’attività sia dimostrabile sulla base
di criteri oggettivi.

5 MODIFICHE ALLA BASE IMPONIBILE
IRES

5.1 Estensione delle limitazioni
previste per il riporto delle perdite fiscali anche agli interessi indeducibili
oggetto di riporto

D. Il nuovo periodo aggiunto
all’articolo 172, comma 7, del TUIR estende l’applicazione delle limitazioni
previste per il riporto delle perdite fiscali anche agli interessi indeducibili
oggetto di riporto. Le limitazioni sono il test di vitalità, il limite del
patrimonio contabile, la limitazione per svalutazioni dedotte. Si chiede come
queste regole, nate appositamente per le perdite, debbano essere applicate al
caso degli interessi passivi.

R. L’articolo
1, comma 33, lettera aa) della legge finanziaria 2008 ha introdotto la
seguente norma all’articolo 172, comma 7, del TUIR: "Le disposizioni del
presente comma si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di
riporto in avanti di cui al comma 4 dell’articolo 96".

Occorre innanzitutto specificare
che gli "interessi indeducibili" cui vengono
estese le disposizioni limitative dell’articolo 172, comma 7, citato sono
quelli di cui all’articolo 96, comma 4, del TUIR, ossia quegli interessi
passivi che risultano indeducibili nel periodo d’imposta di contabilizzazione e
che potranno essere riportati in avanti e dedotti dal reddito dei successivi
periodi d’imposta.

Detti interessi indeducibili, al
pari delle perdite fiscali pregresse delle società che partecipano alla fusione (ma la norma riguarda anche le operazioni di
scissione per effetto del rinvio che l’articolo 173, comma 10, effettua a
favore dell’articolo 172, comma 7), potranno essere riportati in avanti dalla
società risultante dalla fusione nei limiti del patrimonio netto contabile,
determinato ai sensi del citato articolo 172, comma 7 del TUIR.

Ciò potrà avvenire sempre che le
società partecipanti all’operazione di fusione che abbiano una "dote
negativa" da riportare siano in possesso dei requisiti di vitalità.
Pertanto se non viene superato il c.d. test di
vitalità da una società partecipante alla fusione, di tale società non potranno
essere riportate nè le perdite pregresse nè gli interessi indeducibili.

Accertata l’esistenza della
condizione di operatività, sarà possibile riportare solo l’ammontare di
interessi passivi indeducibili che non eccedono l’ammontare del patrimonio
netto contabile. Ovviamente nella determinazione del valore di detto patrimonio
netto non si dovrà tenere conto dei conferimenti e dei versamenti effettuati
nei ventiquattro mesi anteriori alla data cui è riferita la situazione
patrimoniale di cui all’articolo 2501-quater del codice civile.

Per quanto riguarda la
disposizione che limita il riporto di perdite fiscali pregresse fino a
concorrenza dell’ammontare complessivo della svalutazione effettuata, si
osserva che il suo scopo è quello di evitare che la società incorporante possa
portare in diminuzione dai propri redditi, successivamente alla fusione, delle
perdite che abbiano già concorso a determinare una svalutazione della
partecipazione, con conseguente duplicazione degli effetti. Con riferimento
agli interessi passivi indeducibili di cui è questione non può verificarsi
questa duplicazione di effetti "negativi" dal momento che in vigenza
della norma che consentiva la svalutazione delle partecipazioni non era
consentito il riporto in avanti degli eventuali interessi passivi indeducibili.

5.2 Deducibilità degli interessi
passivi nel consolidato: rilevanza delle partecipazioni estere

D. Con riferimento alla
deducibilità degli interessi passivi nel consolidato la norma consente di
considerare tra i soggetti virtualmente partecipanti al consolidato nazionale
anche le società estere per le quali ricorrerebbero alcuni requisiti e
condizioni. La parola "possono", compresa della norma, è da
intendersi nel senso di facoltà del contribuente? Inoltre l’inserimento di una
società estera in periodo d’imposta che effetti può avere per gli esercizi
successivi? In ogni caso sembrerebbe logico pensare che non vi possano mai
essere effetti negativi dall’inserimento nel consolidato nazionale di una
società estera ai fini della normativa sugli interessi.

R. Il nuovo
testo dell’articolo 96, come sostituito dall’articolo 1, comma 33,
lettera i), della legge finanziaria 2008, stabilisce al comma 7 che "in
caso di partecipazione al consolidato nazionale (…), l’eventuale eccedenza di
interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili generatasi in capo a un
soggetto può essere portata in abbattimento del reddito complessivo di gruppo
se e nei limiti in cui altri soggetti partecipanti al consolidato presentino,
per lo stesso periodo d’imposta, un risultato operativo lordo capiente non
integralmente sfruttato per la deduzione" e al successivo comma 8 che
"tra i soggetti virtualmente partecipanti al consolidato nazionale possono
essere incluse anche le società estere per le quali ricorrerebbero i requisiti
e le condizioni (…)" per esercitare l’opzione per la tassazione di
gruppo di cui agli artt. 117 e ss. del TUIR.

In via preliminare, si precisa
che il comma 8 ha
la finalità di non discriminare l’acquisizione di imprese estere rispetto
all’acquisizione di imprese italiane potenzialmente consolidabili. Dal
combinato disposto dei commi sopra citati emerge, in sostanza, che nella
determinazione del reddito complessivo globale della fiscal
unit è ammessa la possibilità di compensare la quota di interessi passivi netti
indeducibili determinatasi in capo ad una società del gruppo (sia consolidante,
che consolidata) con la capienza di R.O.L. che residua dopo la compensazione
individuale, in capo ad un’altra società del medesimo gruppo consolidato (che,
per effetto della previsione del comma 8, può anche essere una società non
residente rispetto alla quale siano verificati i requisiti del controllo
rilevante per l’accesso al consolidato nazionale, nonchè il requisito
dell’identità dell’esercizio sociale e della certificazione del bilancio).

Tale modalità di determinazione,
stante il dato letterale di entrambe le disposizioni, ha natura facoltativa e
non obbligatoria.

L’inclusione
"virtuale", infatti, è sempre facoltativa e non deve essere
effettuata necessariamente per gli anni successivi se non lo
si ritenga opportuno.

Infine, si osserva che il comma 8
trovi applicazione esclusivamente alla eventuale capienza di R.O.L. manifestata
(successivamente alla compensazione con gli interessi passivi di competenza) in
capo al soggetto non residente e, non anche, all’eccedenza degli interessi
passivi che quest’ultimo potrebbe manifestare nell’ipotesi opposta di in capienza del proprio R.O.L.. La società controllata
estera (virtualmente inclusa nel consolidato nazionale al limitato fine della
gestione a livello di gruppo della disciplina dell’articolo 96 del TUIR) può,
in altri termini, apportare alla fiscal unit esclusivamente la propria
eccedenza di R.O.L.. Qualora, infatti, si ammettesse la trasferibilità al
consolidato da parte del soggetto estero della relativa quota di interessi
passivi netti eccedenti, si consentirebbe la 1 deduzione di un componete
negativo che ha concorso alla determinazione di un reddito di un soggetto
residente all’estero (con ciò violando il principio di tassazione su base
territoriale dei soggetti non residenti).

5.3 Deducibilità degli interessi
passivi nel consolidato: trattamento fiscale di eventuali remunerazioni per il
trasferimento infragruppo delle eccedenze di ROL

D. La remunerazione che la
società consolidata con eccedenza di ROL potrebbe ricevere alla società con ROL
deficitario per consentirle la deduzione degli interessi passivi beneficia
della non tassabilità di cui all’articolo 118, comma 4, del Testo unico?

R. In base al nuovo articolo 96
(commi 7 e 8), come sostituito dall’articolo 1, comma 33, lettera i), della
legge finanziaria 2008, nella determinazione del "reddito complessivo
globale" della fiscal unit è ammessa la
possibilità di compensare la quota di interessi passivi netti indeducibili
determinatasi in capo ad un soggetto partecipante al regime di tassazione di
gruppo con la capienza di R.O.L., che residua dopo la compensazione
individuale, in capo ad un’altra società del medesimo gruppo.

Sebbene la legge finanziaria 2008
abbia modificato l’articolo 122 del TUIR eliminando le rettifiche di consolidamento
ivi contemplate, le menzionate disposizioni in materia di deducibilità di
interessi passivi specificamente previste dall’articolo 96 del TUIR
relativamente a soggetti partecipanti al consolidato nazionale, hanno l’effetto
di consentire alla fiscal unit di godere di un
beneficio fiscale (in termini di abbattimento del "reddito complessivo di
gruppo") assimilabile a quello generato, in passato, dalle predette
rettifiche di consolidamento.

Conseguentemente, se gli accordi
di consolidamento (rinegoziati per tenere conto delle modifiche normative in
esame) stabiliscano una remunerazione del vantaggio
fiscale apportato alla fiscal unit dal soggetto partecipante al regime titolare
del R.O.L. capiente (utilizzato per permettere la deducibilità di interessi
passivi fiscalmente irrilevanti, a livello individuale, in conseguenza della
disciplina di cui all’articolo 96), le somme versate in contropartita
ricadranno nella disposizione di irrilevanza fiscale di cui all’articolo 118,
comma 4, del TUIR.

Al riguardo si precisa che,
coerentemente con quanto affermato nella circolare 20 dicembre 2004, n. 53/E
(par. 4.2.5) l’esclusione delle somme in questione dal concorso alla formazione
dell’imponibile individuale del soggetto che ha trasferito il proprio R.O.L. capiente
(individualmente inutilizzato) opererà fino a concorrenza dell’IRES teorica cui
le stesse somme siano commisurate (calcolata, nel caso
di specie, sulla riduzione dell’imponibile complessivo di gruppo che l’utilizzo
del predetto R.O.L. capiente consente di conseguire).

5.4
Applicazione delle percentuali di deduzione del costo dei veicoli
stabilite dal decreto-legge n. 81 del 2007

D. Si chiede di sapere se le
nuove percentuali di deduzione del costo dei veicoli stabilite dall’articolo
15-bis del decreto-legge n. 81 del 2007:

– debbano essere applicate con
riferimento ad ogni singola quota di ammortamento calcolata considerando il
costo complessivo del veicolo, a prescindere dalla percentuale di costo
complessivamente dedotta, conformemente a quanto precisato dalla Circolare del
10 febbraio 1998, n. 48/E a commento dell’articolo 121-bis del TUIR (attuale
articolo 164 TUIR);

oppure
se,

– debbano essere applicate con
riferimento alla quota di ammortamento dell’anno, fino al raggiungimento della
nuova quota complessiva di costo deducibile.

R. I commi da 7 a 10 dell’articolo 15-bis del
decreto-legge n. 81 del 2 luglio 2007 hanno apportato sostanziali modifiche
alla disciplina della deducibilità delle auto aziendali, già modificata dal
decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (c.d. collegato alla legge finanziaria
2007).

Auto aziendali e auto
professionali.

Il comma 7 lett. b) del citato
articolo 15-bis ha stabilito che, per il periodo d’imposta in corso alla data
del 27 giugno 2007, le spese e degli altri componenti negativi relativi alle
auto il cui utilizzo è diverso da quello indicato nella lett. a). n. 1 dell’articolo 164 del TUIR sono deducili nella misura
del 40 per cento, nei limiti di costo fissati dalla lettera b), comma 1,
dell’articolo 164 del TUIR. Si ricorda che per effetto delle modifiche
apportate dal decreto collegato alla legge finanziaria 2007 tali spese erano
diventate totalmente indeducibili. Per le auto utilizzate dagli esercenti arti
e professioni in forma individuale la percentuale di deducibilità viene elevata dal 25 per cento al 40 per cento.

Prima delle modifiche apportate
dal decreto-legge n. 262 del 2006 la percentuale di deducibilità era del 50 per
cento.

Auto concesse in uso promiscuo ai
dipendenti. Il comma 7 lett. c) del citato articolo 15-bis dispone che per il
periodo d’imposta in corso alla data del 27 giugno 2007 le spese e degli altri
componenti negativi relativi ai veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per
la maggior parte del periodo di imposta sono deducibili nella misura del 90 per
cento. La norma comporta un sostanziale ritorno al regime precedente le
modifiche introdotte dal collegato alla legge finanziaria 2007 nel quale regime
era prevista la deduzione integrale dei suddetti costi.

Si ricorda che il decreto-legge
n. 262 del 2006 aveva, invece, previsto per i veicoli dati in uso ai dipendenti
la deducibilità dei relativi costi nei limiti dell’importo costituente reddito
di lavoro dipendente.

Disciplina transitoria

Per il periodo di imposta in
corso alla data del 3 ottobre 2006 (periodo di imposta 2006
per i soggetti aventi esercizio sociale coincidente con l’anno solare), il
comma 9 dell’articolo 15-bis citato ha introdotto una disciplina transitoria
che consente alle imprese e ai professionisti di beneficiare di una maggiore
deduzione rispetto a quella prevista dal decreto-legge n. 262 del 2006.

Precisamente, il comma 9 prevede
le seguenti percentuali di deducibilità:

– 65 per cento dei costi
sostenuti per i veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte
del periodo di imposta, in luogo della previgente deducibilità del solo importo
corrispondente al fringe benefit tassato in capo al dipendente;

– 20 per cento dei costi relativi
ai veicoli aziendali non utilizzati esclusivamente come strumentali nell’attività
di impresa – sempre nel limite di costo previsto
dall’articolo 164 del TUIR – in luogo della totale indeducibiltà;

– 30 per cento dei costi relativi
ai veicoli utilizzati dai professionisti, in luogo del 25 per cento.

Ciò posto, si precisa che i nuovi
limiti di deducibilità fissati dalla norme citate non
si applicano sul costo deducibile preso a base per determinare l’ammontare
degli ammortamenti stanziabili per l’intera vita utile del bene; al contrario
essi devono essere applicati esercizio per esercizio sulle singole quote di
ammortamento dei beni.

Tale interpretazione è coerente
con quanto affermato nella circolare n. 48/E del 10 febbraio 1998, nella quale
è stato trattato il caso in cui un’autovettura venga
destinata ad uso che comporti il passaggio da una deducibilità integrale ad una
deducibilità ridotta al 50 per cento. Il medesimo criterio deve essere adottato
anche nell’ipotesi in cui venga modificata la
percentuale di deducibilità originariamente prevista, nell’ambito del medesimo
utilizzo, per effetto dell’introduzione di una nuova disposizione come quella
in esame.

Per maggiore chiarezza, si
ipotizzi l’acquisto nel periodo d’imposta 2003 di un’autovettura nuova di costo
pari a 18.000 euro il cui utilizzo rientra in una delle fattispecie per le
quali trova applicazione il criterio di deduzione indicato nella lett. b) del
comma 1 dell’articolo 164 del TUIR.

Nella tabella che segue è
illustrato il processo di ammortamento del bene tenendo conto dell’aliquota di
ammortamento del 25 per cento prevista dal D.M. 31 dicembre 1988 ridotta alla
metà nel primo esercizio.

La quota di ammortamento
deducibile per il periodo d’imposta 2006 è pari a 900, determinata applicando
la percentuale del 20 per cento alla quota d’ammortamento del periodo (4.500) e
per il periodo di imposta 2007 è pari ancora a 900,
determinata applicando la percentuale del 40 per cento alla quota
d’ammortamento residua del periodo (2.250).

Tabella riassuntiva

Anno

2003

2004

2005

2006

2007

Ammortamento (aliquote d.m.
31/12/88)

2250

4500

4500

4500

2250

Amm. deducibile

1125

2250

2250

900

900

Residuo da ammortizzare

15750

11250

6750

2250

=

6 LE SOCIETA’ DI COMODO E LO
SCIOGLIMENTO AGEVOLATO

6.1 Nuovi casi di esclusione:
numero soci e partecipazioni di enti pubblici

D. In relazione ai casi di
esclusione costituiti dal numero di soci non inferiore a 50 e dalle società
partecipate da enti pubblici, con percentuali non inferiori al 20 per cento, si
chiede di conoscere quale sia il periodo minimo in cui
tali requisiti devono sussistere, nel caso di raggiungimento di tali valori nel
corso dell’esercizio. In particolare si chiede se è sufficiente che il
requisito si realizzi nell’ultimo giorno dell’esercizio, o se è necessario che
sia realizzato per la maggior parte dei giorni del periodo di imposta, o ancora
in tutti i giorni in esso compresi.

R. Con riferimento alle cause di
esclusione previste dal comma 1, secondo periodo, numeri 6 e 6-quinquies,
dell’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, (come modificato
dall’articolo 1, comma 128, della legge n. 244 del 2007) ossia società con
numero di soci non inferiore a 50 e società partecipate da enti pubblici almeno
nella misura del 20 per cento del capitale sociale, si ritiene che i requisiti
richiesti dalla norma per l’esclusione "automatica" dalla disciplina
debbano sussistere per la maggior parte del periodo d’imposta.

Tale interpretazione è conforme a
quanto già affermato nella circolare n. 25/E del 4 maggio 2007, paragrafo 2, in relazione alla causa di
esclusione prevista all’articolo 30, comma 1, numero 4 della legge n. 724 del
1994, che esclude dall’ambito soggettivo di applicazione della disciplina sulle
c.d. "società di comodo" le società ed enti che controllano società
ed enti i cui titoli sono negoziati in mercati regolamentati italiani ed
esteri, nonchè le stesse società ed enti quotati e le società da essi controllate, anche indirettamente.

Nella predetta circolare,
infatti, è stato chiarito che "nell’ipotesi in cui il requisito del
controllo sul soggetto quotato (o da parte del soggetto quotato) si verifichi
nel corso del periodo d’imposta, la società interessata potrà, comunque,
beneficiare della causa di esclusione (…) laddove tale circostanza si sia
verificata per la maggior parte del periodo d’imposta considerato".

6.2
Scioglimento agevolato: delibere assunte anteriormente al 1 gennaio 2008

D. Si chiede se, in conformità
all’interpretazione adottata dall’Agenzia delle entrate, con riferimento alla
agevolazione disposta dalla legge 296/06 (circolare
25/E del 2007), possano avvalersi dello scioglimento agevolato previsto dalla
legge finanziaria 2008 anche le società che hanno deliberato la messa in
liquidazione prima del 1 gennaio 2008, ma successivamente al termine previsto
dalla norma dello scorso anno (31 maggio 2007).

R. Possono avvalersi dello scioglimento agevolato previsto dal comma 129 della
legge finanziaria 2008 le sole società che hanno deliberato la messa in
liquidazione successivamente alla data di entrata in vigore della stessa.

7 GLI EFFETTI DELLE MODOFICHE
IRES SUI BILANCI

7.1 Eliminazione delle deduzioni
extracontabili e cambiamenti di stime

D. L’articolo 1, comma 34, della
legge finanziaria prevede che l’Amministrazione finanziaria, a seguito
dell’eliminazione delle deduzioni extracontabili, possa disconoscere
ammortamenti, accantonamenti e altre rettifiche di valore
imputati nel conto economico se non coerenti con i comportamenti
contabili sistematicamente adottati nei precedenti esercizi, salva la
possibilità per l’impresa di dimostrare la giustificazione economica di detti
componenti in base a corretti principi contabili. Si chiede se l’illustrazione
fornita nella nota integrativa, in base a quanto prevedono il Codice civile e i
principi contabili – in particolare il documento n. 29 nella parte riferita al
cambiamento di stime – sia sufficiente per provare la correttezza del
comportamento seguito. A maggior ragione dovrebbe rilevare, anche fiscalmente,
l’illustrazione fornita nella nota integrativa successivamente ad operazioni
straordinarie, quali fusioni, nell’ipotesi, piuttosto ricorrente, di
applicazione di coefficienti di ammortamento differenti tra le società
coinvolte nell’operazione: in tali ipotesi, per esempio, la società
incorporante potrebbe variare i coefficienti di ammortamento ed applicare
quelli della società incorporata.

R. L’abrogazione della disciplina
extracontabile, avvenuta ad opera dell’articolo 1,
comma 33 della legge finanziaria 2008, determina la necessità di imputare a
conto economico i componenti negativi per i quali si chiede la deduzione
fiscale.

Al riguardo, il comma 34 contiene
una disposizione normativa finalizzata ad evitare che taluni componenti
negativi (ammortamenti, accantonamenti e altre rettifiche di valore) possano
essere imputati a conto economico al solo fine di ottenerne la deducibilità
fiscale.

La norma prevede, infatti, la
possibilità per l’Amministrazione finanziaria di disconoscere l’imputazione a
conto economico dei predetti componenti negativi qualora non coerente con i
comportamenti contabili adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità
dell’impresa di dimostrare la giustificazione economica dell’imputazione a
conto economico.

Al riguardo, si ritiene che la
coerenza dei comportamenti contabili adottati potrà essere dimostrata dal
contribuente e verificata dall’Amministrazione finanziaria utilizzando ogni
elemento ritenuto utile al raggiungimento del predetto fine (ad esempio, le
indicazioni fornite nella nota integrativa, il confronto con i bilanci relativi
agli esercizi precedenti, ecc.). Le predette indicazioni in nota integrativa
non possono, peraltro, intendersi preclusive dei poteri di controllo della
Amministrazione finanziaria.

7.2
Applicazione degli Ias: strumenti finanziari detenuti per la
negoziazione

D. Si chiede di confermare
l’inclusione, tra gli strumenti finanziari di negoziazione, degli strumenti ai
quali si applica la fair value option (Fvo).

Gli strumenti in oggetto
dovrebbero essere considerati nella categoria citata, vista la finalità e la
sostanza economica degli stessi.

R. Gli strumenti finanziari
detenuti per essere negoziati (cd. trading) devono
essere classificati, secondo quanto prescritto dallo IAS 39, nella categoria
delle attività finanziarie rilevate al fair value a conto economico (cd. Fair
value through profit or loss o FVTPL).

Per effetto della cosiddetta
"fair value option", è altresì previsto che qualsiasi attività o
passività finanziaria, nel rispetto di determinate condizioni, "può essere
designata al momento della rilevazione iniziale" come attività finanziaria
rilevata al fair value a conto economico (FVTPL); è di tutta evidenza,
pertanto, che gli strumenti finanziari classificati nella categoria FVTPOL in
virtù della predetta opzione devono necessariamente essere strumenti diversi da
quelli di negoziazione, per i quali, invece, la rilevazione nella categoria
FVTPOL rappresenta la naturale ed imprescindibile classificazione.

Ai fini fiscali, in ordine alla
classificazione degli strumenti finanziari, l’articolo 1, comma 58, della legge
27 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008) ha inserito nell’articolo 85 del TUIR il comma 3-bis, a norma del quale
"per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili
internazionali di cui al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 19 luglio 2002, si considerano immobilizzazioni finanziarie
gli strumenti finanziari diversi da quelli detenuti per la negoziazione".

Pertanto – diversamente da quanto
previsto per i soggetti che non applicano gli IAS/IFRS, per i quali, a norma del novellato articolo 85, l’individuazione
degli strumenti finanziari che si qualificano come immobilizzazioni finanziarie
avviene facendo direttamente riferimento alla classificazione operata in
bilancio – per le imprese che adottano gli IAS/IFRS, solo le attività
finanziarie detenute per essere negoziate sono escluse dalla categoria delle
immobilizzazioni finanziarie.

La circostanza che taluni
strumenti finanziari siano indicati, per effetto della
fair value option, nella medesima categoria (FVTPOL) in cui sono
necessariamente classificate le attività finanziarie di trading comporta che
tanto per i primi quanto per le seconde le plus/minusvalutazioni dei relativi
fair value debbano essere direttamente imputate al conto economico, ma nulla
implica in ordine alla qualificazione delle medesime come "attività
immobilizzate" ovvero come "attività non immobilizzate".

Appare evidente, inoltre, che se
la norma del novellato articolo 85 avesse inteso
estendere l’esclusione dalla categorie delle immobilizzazioni finanziarie ad
altri strumenti finanziari, diversi da quelli di trading, inseriti nella
categoria FVTPOL, avrebbe fatto esplicito riferimento all’intera categoria in
questione piuttosto che limitare l’esclusione stessa ai soli strumenti
"detenuti per la negoziazione".

In sintesi, gli strumenti finanziari
che per effetto della fair value option sono
classificati nella categoria FVTPOL non possono farsi rientrare tra le
"attività non immobilizzate", tra le quali rientrano, per espressa
previsione normativa, esclusivamente gli strumenti finanziari "detenuti
per la negoziazione".

8 LA
FISCALITA’ INTERNAZIONALE

8.1 L’introduzione della c.d.
White list

D. La sostituzione delle black list con una o più white list crea un problema
procedurale in sede di applicazione delle norme antiabuso (CFC, deducibilità
dei costi, ecc.).

Per fare l’esempio più
significativo, mentre oggi i soggetti che acquistano merce dall’estero si
preoccupano di evidenziare in dichiarazione solo le transazioni con soggetti
domiciliati in paesi black list, in futuro dovrebbero evidenziare tutte le
operazioni con soggetti non domiciliati in paesi white list.

Ma la norma non spiega in che
modo il contribuente debba documentare la residenza
della controparte. In particolare:

– se per residenza si intenda
quella definita dalla legge dello Stato estero, o quella deifinita dalle
convenzioni vigenti fra questo Stato ed altri Stati (questa seconda ipotesi
pare da escludere visto il confronto con l’articolo 27 bis del Dpr. 600/73);

– se – per documentare
l’inclusione dello Stato estero nella white list – il contribuente debba
acquisire una dichiarazioni dello Stato estero, una
dichiarazioni semplice della società estera (come previsto dall’articolo 6 del
D.Lgs. 239 del 1996) o sia sufficiente basarsi sulla sede indicata nella
corrispondenza con la società estera.

R. Il comma 10
dell’articolo 110 del TUIR, come recentemente modificato dalla legge
finanziaria, stabilisce il divieto di deducibilità per le spese derivanti da
operazioni intercorse con soggetti residenti ovvero localizzati in Stati o
territori diversi da quelli inclusi nella lista di cui al decreto ministeriale
emanato ai sensi dell’articolo 168-bis.

Risulta quindi fondamentale, per
una corretta applicazione della norma citata, precisare il concetto di
residenza.

A tale proposito, si ritiene
possibile richiamare, ove esistenti, i criteri definiti dalla
Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con lo Stato
interessato. In mancanza, il concetto di residenza può essere ricavato dai
principi internazionalmente riconosciuti in materia, in primo luogo quelli
delineati dall’articolo 4 del modello di Convenzione OCSE contro le doppie
imposizioni.

Occorre tuttavia rilevare che il
nuovo disposto normativo fa riferimento "alle imprese residenti ovvero
localizzate" in Stati o territorio non inclusi nella
futura white list.

L’espressione – "residenti o
localizzate" – utilizzata dal legislatore nel novellato
comma 10 dell’articolo 110 del TUIR è volutamente generica ed è quindi
idonea ad includere non solo le imprese residenti, ma anche le stabili
organizzazioni e le imprese che possono essere considerate ivi localizzate in
base a criteri di collegamento diversi dalla residenza.

Per quanto riguarda il profilo
probatorio, in assenza di una norma che disponga in ordine alla prova della
residenza o localizzazione dell’impresa estera, si ritiene utile, a tal fine,
qualsiasi mezzo di prova, come ad esempio la certificazione della competente
Autorità estera, una dichiarazione rilasciata ad hoc
dall’impresa estera ovvero la comune documentazione commerciale da cui sia possibile
desumere che quest’ultima risiede con una propria struttura nel Paese estero
(fatture, corrispondenza, ecc.).

9 LA NUOVA BASE IMPONIBILE
IRAP:

9.1 Deduzioni contabili pregresse
e imposta sostitutiva

D. Il comma 51 dell’articolo 1
della legge finanziaria 2008 detta le regole di rientro, cioè dispone la
variazione in aumento ai fini IRAP (quote costanti in sei anni) per le
deduzioni operate in passato nel quadro EC, che abbiano avuto
effetto anche per il tributo regionale.

Questa norma sembra peraltro
ignorare la disposizione del comma 48, che consente l’uscita immediata dal
quadro EC del 31.12.2007, con il pagamento di una imposta
sostitutiva anche dell’IRAP. Pur nel silenzio della legge, si può pacificamente
ritenere che le imprese aderenti al pagamento della sostitutiva non debbano
procedere anche al ripristino della base imponibile IRAP?

R. L’articolo 1, comma 51 della legge finanziaria 2008 stabilisce il recupero
a tassazione IRAP, in sei quote costanti imputate a partire dal periodo
d’imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2007, dei
componenti negativi dedotti extracontabilmente dalla base imponibile IRAP fino
al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2007.

In corrispondenza di tale
recupero si determina lo svincolo per la quota IRAP delle riserve in
sospensione d’imposta indicate nel prospetto utilizzato per la deduzione
extracontabile (cosiddetto quadro EC nel modello di dichiarazione).

In alternativa al predetto regime
ordinario di recupero a tassazione delle riserve, il comma 48 del medesimo
articolo 1 prevede la possibilità di recuperare a tassazione l’eccedenza
dedotta ai sensi dell’articolo 109, comma 4, lettera
b) del TUIR "mediante opzione per l’applicazione di un’imposta sostitutiva
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dell’imposta sul reddito delle
società e dell’imposta regionale sulle attività produttive".

Appare evidente, quindi, che
l’opzione per il versamento dell’imposta sostitutiva prevista
nel comma 48 evita al contribuente la procedura di recupero a tassazione
IRAP prevista nel citato comma 51.

9.2 Fondi accantonamento non
deducibili

D. La nuova
disposizione dell’articolo 5 del decreto IRAP esclude la deducibilità
degli accantonamenti per rischi e "altri". Sembrerebbe pertanto
introdurre una disposizione di ampliamento della base imponibile, dato che in
passato rilevavano per l’IRAP anche gli accantonamenti
degli articoli 105 e 107 del TUIR. Peraltro la nota 6) all’interpretativo n. 1
del principio contabile n. 12 avverte che la contropartita reddituale dei fondi
iscritti nel passivo va ricercata prioritariamente nelle voci dell’aggregato B
diverse da 12) e 13), dovendo prevalere la classificazione per natura dei costi
dello schema di conto economico.

In altri termini l’accantonamento
al fondo per spese legali (B3 del passivo) trova corretta contropartita nel
conto economico in B7, costi per prestazioni di servizi, voce rilevante per il
calcolo della base IRAP.

Si chiede conferma di questa
interpretazione, altrimenti si verificherebbe una doppia tassazione – al
momento di sostenimento della spesa con i requisiti di certezza e oggettiva
determinabilità – che in passato era stata evitata
riconoscendo la deduzione IRAP in tale esercizio, anche se nel relativo conto
economico non ne risultava l’evidenza, dato l’utilizzo prioritario del fondo
iscritto nel passivo.

R. L’articolo 5 del D.Lgs n. 446
del 1997 esclude la deducibilità, tra l’altro, degli accantonamenti per rischi
ed oneri indicati nelle voci B12 e B13 del conto economico.

Trattasi di poste di natura
estimativa che non devono, quindi assumere rilevanza nella determinazione della
base imponibile IRAP.

Ciò non toglie che le spese
effettuate, la cui classificazione sotto il profilo contabile sarebbe stata imputata – in assenza di accertamento – ad
altre voci dell’aggregato B rilevanti, in quanto deducibili, nella
determinazione della base imponibile IRAP, possano assumere rilevanza ai fini
della determinazione dell’IRAP al momento dell’effettivo sostenimento ancorchè
non espressamente risultanti nella relativa voce del conto economico per
l’utilizzo del fondo iscritto nel passivo.

Ai fini dell’imputazione a conto
economico degli accantonamenti, l’articolo 2425 del codice civile stabilisce
che gli accantonamenti per rischi e ogni altro accantonamento devono essere
indicati rispettivamente alle voci B12 e B13 dello schema di conto economico. I
predetti accantonamenti, in applicazione dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 446 del 1997, come modificato dall’articolo 1, comma 50,
della legge finanziaria 2008, non sono deducibili ai fini IRAP.

Qualora privilegiando il criterio
della classificazione per natura dei costi, tali poste vengano
imputate ad altre voci dello schema di conto economico, le stesse non potranno
comunque essere portate in deduzione.

Ne consegue che eventuali
accantonamenti imputati a voci diverse da B12 e B13 non possono beneficiare di
un trattamento differenziato e, conseguentemente, non possono essere portate in
deduzione ai fini della determinazione della base imponibile IRAP. I corrispondenti
costi, come ricordato risulteranno, invece, deducibili dalla base imponibile
IRAP solo al momento dell’effettivo sostenimento e sempre che riconducibili a
voci dell’aggregato B rilevanti nella determinazione della base imponibile
IRAP.

10 REGIME
SANZIONATORIO DEL REVERSE CHARGE E ALTRI QUESITI IVA

10.1 Ambito temporale di
applicazione del nuovo regime sanzionatorio previsto per l’errata applicazione
del reverse charge

D. Una società comunitaria che
opera in Italia attraverso un rappresentante fiscale prima e successivamente
attraverso l’identificazione diretta ha effettuato locazioni di beni mobili
diversi dai mezzi di trasporto nei confronti di una ditta italiana. La
prestazione dopo il 31 agosto 2002 per effetto del D.Lgs. n.
191 del 2002 doveva essere obbligatoriamente assoggettata a IVA dal committente
con il meccanismo del reverse charge, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, del
Dpr n. 633/72. La società comunitaria, attraverso il rappresentante, fiscale nel corso del 2004 e 2005 ha erroneamente assoggettato a IVA
la prestazione addebitando l’imposta in fattura e versando regolarmente
l’imposta. Di riflesso la società italiana ha operato la detrazione ai sensi
dell’articolo 19 e seguenti, non soffrendo di limitazione alcuna al diritto di detrazione.

Ai sensi della nuova disciplina
prevista dall’articolo 1, comma 155 della Legge finanziaria, che ha introdotto il nuovo comma 9-bis all’articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997, fermo restando il diritto alla detrazione,
entrambi i soggetti sono solidalmente responsabili per il pagamento di una
sanzione pari al 3 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro e un
massimo di 10.000 euro per le violazioni commesse nei primi tre anni di
applicazione del regime dell’inversione contabile.

Si chiede conferma se, in
applicazione del principio del favor rei, il nuovo regime sanzionatorio
previsto per l’errata applicazione del reverse charge torni
applicabile anche per le violazioni commesse in precedenza anche con
riguardo al diritto alla detrazione operata dal committente.

R. L’ampliamento delle ipotesi di
reverse charge, per cui il cessionario o il
committente deve integrare con l’imposta a debito la fattura di acquisto di un
bene o di un servizio emessa dal cedente o prestatore senza applicazione dell’IVA,
ha indotto il legislatore a modificare l’impianto sanzionatorio del regime IVA
del reverse charge.

In linea generale, il nuovo
impianto sanzionatorio introdotto risponde a criteri di coerenza sistematica
con le sanzioni in materia di IVA, punendo in maniera incisiva le frodi e
sanzionando in modo meno rigido le irregolarità formali. Tale previsione
risulta conforme al principio di trasparenza e neutralità dell’IVA, più volte
richiamato dai giudici comunitari, i quali hanno sempre affermato, per quanto riguarda
le sanzioni, che queste devono essere proporzionali all’abuso commesso dal
contribuente e al danno patito dall’Erario.

In particolare, il legislatore ha
previsto, al terzo periodo del comma 9-bis, una sanzione ad
hoc per le ipotesi in cui dalla violazione degli obblighi sostanziali connessi
all’operazione sottoposta a reverse charge non scaturisca alcun danno
all’erario. Infatti, se l’imposta relativa all’operazione sottoposta al reverse
charge sia stata assolta, anche se irregolarmente, dal cessionario/committente
oppure dal cedente/prestatore, fermo restando il diritto alla detrazione ai
sensi dell’articolo 19 del DPR 633/72, l’irregolarità circa le modalità di
applicazione dell’IVA viene punita con la sanzione del
3 per cento dell’imposta irregolarmente versata, con un minimo di 258 euro e
comunque non oltre 10.000 euro per le irregolarità commesse nei i primi tre
anni di applicazione delle nuove disposizioni recate dal comma 9-bis), terzo
periodo, e, in applicazione del principio del favor-rei, per quelle commesse
negli anni precedenti. Al pagamento delle sanzioni sono tenuti solidalmente
entrambi i contraenti.

Nella fattispecie in esame, in
virtù del principio del favor rei, sancito nell’articolo 3
del D.Lgs. 472/97, la nuova sanzione si applica anche alle violazioni commesse
precedentemente alla data di entrata in vigore della finanziaria, sempre che
non vi sia un provvedimento di irrogazione divenuto definitivo.

10.2 Ambito
oggettivo di applicazione del nuovo regime sanzionatorio previsto per l’errata
applicazione del reverse charge

D. La nuova disciplina prevista
dall’articolo 1, comma 155 della legge finanziaria 2008,
che ha introdotto il nuovo comma 9-bis all’articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997, stabilisce, tra l’altro, che "qualora
l’imposta sia assolta, ancorchè irregolarmente, dal cessionario o committente o
committente ovvero dal cedente o prestatore …la sanzione amministrativa è
pari al 3 per cento dell’imposta, con un minimo di 258 euro e un massimo di
10.000 euro". La disposizione costituisce un superamento
del comma 8 dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471
del 1997, nel senso che qualora venga emessa "erroneamente" fattura
senza addebito d’imposta, basta che il cessionario o committenti integri con
applicazione del reverse charge la fattura per considerare comunque assolta
l’imposta?

R. Le nuove ipotesi sanzionatorie
previste dall’articolo 6, comma 9-bis), del DLGS n. 471 del 1997, (introdotte
dall’articolo 1, comma 155, della legge finanziaria 2008)
si applicano solo alle operazioni interessate dal regime dell’inversione
contabile previste dagli articoli 17 e 74 del DPR n. 633 del 1972.

Resta dunque esclusa dalla
specifica disciplina sanzionatoria ogni altra ipotesi di regolarizzazione delle
operazioni di acquisto soggette ad Iva secondo le regole ordinarie che
continuano, pertanto, ad essere sanzionate secondo le consuete modalità.

Pertanto, si ritiene che nella
fattispecie prospettata non sia ravvisabile nessun "superamento" e/o abrogazione del comma 8 dell’articolo 6, in discorso, la cui
previsione sanzionatoria continua a trovare applicazione per le violazioni
degli adempimenti previsti per fattispecie diverse da quelle cui torna
astrattamente applicabile il regime dell’inversione contabile.

10.3 Reverse charge: modalità di
regolarizzazione delle operazioni da parte del committente o del cessionario

D. Il quarto periodo del nuovo comma 9-bis dell’articolo 6 del D.Lgs. n. 471 del 1997, introdotto dall’articolo 1, comma 155 della
Legge finanziaria, prevede che "Al pagamento delle sanzioni previste nel
secondo e terzo periodo, nonchè al pagamento dell’imposta sono tenuti entrambi
i soggetti obbligati all’applicazione del meccanismo dell’inversione
contabile". Con riferimento all’ipotesi sanzionatoria di cui al secondo
periodo (irregolare addebito dell’imposta da parte del cedente o prestatore che
ne omette il versamento), in che modo il cessionario o committente può
regolarizzare l’operazione (soggetta al meccanismo del reverse charge) per
evitare l’applicazione della sanzione derivante dal comportamento fraudolento
di un altro soggetto? In particolare, il cliente si trova a dover sopportare
l’applicazione di una sanzione derivante dal comportamento di altro soggetto e
ciò appare in contrasto con il principio sancito
dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997
della personalità della pena.

R. L’ipotesi sanzionatoria di cui
al secondo periodo del nuovo comma 9-bis dell’articolo 6
del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, prevede l’applicazione di una sanzione
amministrativa compresa fra il 100 e il 200 per cento dell’imposta, con un
minimo di 258 euro, a carico del fornitore (cedente o prestatore) che, in
relazione ad un’operazione soggetta al meccanismo dell’inversione contabile,
addebita irregolarmente l’imposta in fattura omettendone il versamento. Il
quarto periodo del medesimo comma prevede che nell’ipotesi sopra citata siano
tenuti solidalmente al pagamento della sanzione e
dell’imposta entrambi i soggetti obbligati all’applicazione del
meccanismo dell’inversione contabile.

Al riguardo, si precisa che la
disposizione normativa sulla responsabilità solidale di entrambi i contraenti
al pagamento dell’imposta e della sanzione per un comportamento fraudolento
posto in essere dal fornitore è stata prevista tenendo conto del fatto che per
le operazioni soggette all’applicazione del meccanismo dell’inversione
contabile è il cessionario/committente ad assumere la qualifica di soggetto
passivo dell’imposta.

Considerato, quindi, che
rientrerebbe tra gli obblighi del committente assolvere l’imposta, di regola
integrando la fattura emessa dal prestatore senza Iva, indicando sulla stessa
l’aliquota e la relativa imposta, e annotando tale documento tra le fatture
emesse, non si ha ragione di ritenere la norma in discorso in contrasto con il principio sancito dall’articolo 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997 della personalità della pena.

Ciò premesso, si fa presente che
il cessionario o committente, per evitare l’applicazione della sanzione
derivante dal comportamento fraudolento del fornitore, può regolarizzare
l’operazione presentando all’Ufficio delle entrate competente
un documento integrativo in duplice esemplare, recante l’indicazione
dell’imponibile, dell’aliquota e della relativa imposta, entro il trentesimo
giorno successivo a quello della sua registrazione (da effettuare nei termini
indicati dall’articolo 17, quinto comma, secondo periodo, del DPR n. 633 del
1972) e avendo cura di:

– non esercitare la detrazione
dell’imposta erroneamente addebitata in fattura dal cedente;

– annotare il documento emesso
secondo le regole dell’inversione contabile, ossia nel registro delle fatture
emesse di cui all’articolo 23 del DPR n. 633 del 1972 ed in quello degli
acquisti di cui al successivo articolo 25;

– liquidare l’imposta nei modi
ordinari ed effettuare il versamento dell’eventuale imposta a debito emergente
dall’operazione al verificarsi di cause di indetraibilità oggettiva o
soggettiva.

10.4
Regolarizzazione di violazioni concernenti il plafond

D. Una società nel corso degli
anni 2006 e 2007 ha
usato il cosiddetto "plafond mobile" ma
erroneamente in alcuni mesi ha utilizzato un plafond per acquisti interni
maggiore di quello disponibile. La società sia nell’anno 2006 che nell’anno 2007 ha evidenziato,
comunque, un credito di imposta.

Per regolarizzare la violazione
si chiede se sia possibile adottare la seguente modalità:

1) Emissione di una autofattura in duplice esemplare contenente gli estremi
identificativi di ciascun fornitore, il numero progressivo di protocollo delle
fatture ricevute, l’ammontare eccedente il plafond e l’imposta che avrebbe
dovuto essere applicata;

2) Contabilizzazione a debito in
sede della liquidazione periodica del mese di dicembre 2007
della maggiore imposta derivante dall’autofattura emessa e degli interessi;

3) Presentazione di un esemplare
dell’autofattura al competente ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate;

4) Annotazione della autofattura
nel registro degli acquisti al fine di esercitare il diritto alla detrazione
sia per le operazioni relative al 2007 che per quelle effettuate nel 2006.

Per l’anno 2007 la società potrà
effettuare il ravvedimento operoso ai sensi dell’articolo 13 del D.Lgs. 472 del
97, versando la sanzione prevista dall’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 471 del
1997 ridotta ad 1 del 5, mentre per l’anno 2006 aspetterà l’irrogazione della
sanzione da parte dell’Ufficio.

R. L’Agenzia, già con le
circolari 17 maggio 2000, n. 98/E, 12 giugno 2002 n. 50/E e 19 giugno 2002 n.
54/E, cui si rinvia, ha chiarito le modalità con cui l’esportatore abituale può
regolarizzare l’acquisto o l’importazione di beni e servizi senza applicazione
d’imposta oltre il limite del plafond. Con riferimento al quesito posto
l’esportatore può adottare, alternativamente, nei limiti consentiti le seguenti
procedure:

1. richiedere al cedente o
prestatore di effettuare le variazioni in aumento dell’Iva
non addebitata in fattura ai sensi dell’articolo 26 del DPR n. 633 del
1972, fermo restando l’obbligo del pagamento degli interessi e delle sanzioni a
carico del cessionario o committente.

2. emettere un’autofattura in
duplice esemplare, contenente gli estremi identificativi di ciascun fornitore,
il numero progressivo di protocollo delle fatture ricevute, l’ammontare
eccedente il plafond e l’imposta che avrebbe dovuto
essere applicata, provvedere al versamento dell’imposta, degli interessi e,
limitatamente al 2007, effettuare il ravvedimento operoso delle sanzioni di cui
all’articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, mediante modello F24. L’autofattura
deve essere annotata nel registro degli acquisti e un esemplare deve essere
presentato al locale ufficio delle entrate.

Attraverso tale
procedura, l’imposta oggetto di regolarizzazione confluirà
nell’ammontare dell’imposta in detrazione della dichiarazione annuale e
nell’ammontare dei versamenti effettuati. Come chiarito con la circolare n. 50/E citata, al fine di evitare la doppia detrazione
dell’imposta regolarizzata sarà necessario indicare nella dichiarazione annuale
l’imposta regolarizzata anche in una posta di debito.

Si precisa, infine, che per il
2007, se la regolarizzazione avviene prima che la violazione sia stata
constatata o accertata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni e
verifiche, l’esportatore potrà beneficiare della riduzione delle sanzioni
prevista per il ravvedimento operoso ai sensi dell’articolo 13 del d.lgs 472
del 1997. Diversamente per le violazioni commesse nel 2006, le sanzioni
amministrative nella misura ordinaria saranno applicate direttamente
dall’ufficio e potranno essere definite entro i termini per la proposizione del
ricorso in misura ridotta ad un quarto ai sensi dell’articolo
16 comma 3 del d.lgs. n. 472 del 1997.

10.5 IVA: detrazione dell’imposta
relativa ai telefoni cellulari dati in uso ai dipendenti

D. Una società ha dato in uso ai
propri dipendenti cellulari aziendali. Il costo del traffico telefonico per le
chiamate tra dipendenti o tra i dipendenti d alcuni numeri di rete fissa
aziendali è ha carico della società, mentre i dipendenti hanno la possibilità
di effettuare del traffico "privato" che viene
fatturato direttamente a loro dalla

compagnia
telefonica.

Si chiede se sia corretto
detrarre interamente l’imposta sia per il traffico "aziendale" che
per l’acquisto del telefono cellulare in quanto l’utilizzo privato da parte dei
dipendenti è assoggettato a IVA direttamente dalla compagna telefonica.

R. Con l’abrogazione della
lettera g) dell’articolo 19-bis 1 del DPR 633/1972 per
effetto del comma 261, lett e), n. 3, dell’articolo 1 della legge finanziaria
2008, scompare la limitazione al 50 per cento della detrazione IVA sui telefoni
cellulari e sulle relative spese di gestione. A partire dal 1 gennaio 2008, la
detrazione potrà quindi avvenire secondo la regola generale dell’inerenza
contenuta nell’articolo 19 del DPR 633/1972.

Con riferimento alla fattispecie
prospettata si conferma la integrale detraibilità
dell’IVA relativa al solo traffico di telefonia mobile "aziendale" ai
sensi dell’articolo 19 in
quanto effettivamente afferente all’esercizio dell’impresa.

Per quanto riguarda, invece, la
detrazione dell’IVA assolta per l’acquisto dei cellulari aziendali, poichè è la
stessa società a evidenziarne l’utilizzo promiscuo da parte dei dipendenti,
dovrà essere operata una limitazione della detrazione tenendo conto
dell’effettivo utilizzo nell’ambito dell’attività d’impresa.

10.6
Coltivazioni agricole per conto terzi

D. Le attività di coltivazione di
prodotti vegetali per conto terzi sono considerate produttive di reddito
agrario ai sensi dell’articolo 1, comma 176, della legge n. 244/01. Si ritiene
che tale tassazione catastale prescinda dalla qualificazione di attività
connessa e quindi ad esempio un produttore agricolo può svolgere esclusivamente
tale attività di coltivazione per conto terzi. Qualora
svolga anche una attività agricola tradizionale e
quindi la prestazione di coltivazione sia connessa (Agenzia delle Entrate
circolare n. 44/2004) ai fini dell’Iva rientra nel regime forfetario di cui
all’articolo 34 bis del DPR n. 633/72. Si chiede conferma.

R. Con il comma 176,
dell’articolo 1, della legge n. 244 del 2007, il legislatore ha inteso ricondurre
la coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi tra le attività agricole
dando la giusta rilevanza ad una attività tipicamente
agricola che, seppure svolta per conto di altri, si concretizza nello
svolgimento di attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico
o di una fase necessaria del ciclo stesso di carattere vegetale, utilizzando il
proprio fondo. In tal senso è inequivocabile anche il richiamo contenuto nella
norma, all’articolo 32, comma 2, lett. b). Tale attività non configura, dunque,
un’attività connessa ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile. Ne consegue
che la coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi può essere svolta
dall’imprenditore agricolo sia in via esclusiva che parallelamente ad altre
attività agricole.

Ai fini dell’IVA, in caso di
coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi si è in
presenza di servizi aventi particolari complessità, che realizzano
intere fasi del ciclo biologico e non singole operazioni tecniche, realizzati
utilizzando prevalentemente attrezzature di pertinenza dell’azienda agricola da
ricondursi, quindi, al trattamento fiscale di cui al regime particolare di
detrazione dell’articolo 34-bis del DPR n. 633 del 1972.

Non si può che pervenire alle
medesime conclusioni nell’ipotesi in cui l’imprenditore agricolo si dedichi
interamente allo svolgimento delle attività di coltivazione
per conto terzi in questione, atteso che detta circostanza non è
suscettibile di portare ad una differente valutazione in merito sia alla
qualificazione dell’operazione che resta di prestazione di un servizio, sia
alla natura agricola dell’attività, la quale resta in ogni caso ricompresa
nella definizione di cui all’articolo 2135 del codice civile.

10.7 Servizi di telefonia:
tracciabilità dei passaggi intermedi

D. Con l’articolo
1, commi 158 e 159, della legge finanziaria 2008, sono state inserite
delle disposizioni volte a contrastare le frodi IVA nel settore dei servizi di
telefonia. In particolare, il comma 158, che interviene in modifica dell’articolo
74, comma 1, lett. d) del DPR 633 del 1972, stabilisce che, al fine di
consentire la tracciabilità dei passaggi attraverso i quali i mezzi tecnici
giungono all’utente finale, "per tutte le vendite dei mezzi tecnici nei
confronti dei soggetti che agiscono nell’esercizio di imprese, arti o
professioni, anche successive alla prima cessione, i cedenti rilasciano un
documento in cui devono essere indicate anche la denominazione e la partita IVA
del soggetto passivo che ha assolto l’imposta. La medesima indicazione deve
essere riportata anche sull’eventuale supporto fisico, atto a veicolare il
mezzo tecnico…". Con riferimento a tale disposizione, si desidera
conoscere la portata e le modalità pratiche di attuazione dell’obbligo
documentale ivi imposto, e nello specifico:

– se esso sia esteso alle
cessioni effettuate nei confronti di qualunque soggetto che agisca
nell’esercizio di imprese, arti o professioni ovvero debba considerarsi
sussistente solo per le cessioni nei confronti di soggetti che acquistano tali
mezzi per poi farne a loro volta commercio;

– se debbano essere documentate
le cessioni di mezzi tecnici forniti esclusivamente per via telematica, ed in
caso affermativo, attraverso quale metodo.

R. L’articolo 74, comma 1, lett.
d), del DPR n. 633 del 1972, come modificato dal comma 158
della legge finanziaria 2008, è volto ad ampliare il regime monofase IVA
nel settore dei servizi di telefonia, al fine di contrastare comportamenti
fraudolenti.

In particolare, per assicurare la
"tracciabilità" delle cessioni di qualsiasi mezzo tecnico, ivi
compresa la fornitura di codici di accesso, per fruire dei servizi di
telecomunicazione, fissa o mobile, e di telematica, è previsto, per il cedente,
l’obbligo di rilasciare al cessionario un documento in cui siano
indicate anche la denominazione e la partita IVA del soggetto passivo che ha
assolto "a monte" l’imposta.

Tenuto conto del tenore letterale
della norma, che si riferisce a "tutte le vendite" dei mezzi tecnici
effettuate "nei confronti dei soggetti che agiscono nell’esercizio di
arti, imprese o professioni" e della sua ratio, si ritiene che tale
obbligo sussista in capo al cedente per tutte le cessioni dei mezzi tecnici
effettuate nei confronti di qualunque soggetto IVA.

Con riferimento al secondo
quesito, si è del parere che l’obbligo di indicare la denominazione e la
partita IVA del soggetto passivo che ha assolto l’imposta si estenda
anche alle cessioni di mezzi tecnici effettuate esclusivamente in via
telematica, mediante l’utilizzo di un documento che può avere anche le
caratteristiche previste dal decreto ministeriale 23 gennaio 2004.

10.8 Omesso
trasferimento del credito IVA al momento dell’ingresso nella
liquidazione di gruppo nella previgente disciplina

D. Tenuto conto che dal 1 gennaio
2008 il nuovo articolo 73 del DPR n. 633 del 1972 vieta
alle società che entrano per la prima volta nella liquidazione Iva di gruppo di
trasferire il credito dell’anno precedente, si chiede di sapere se sia corretto
il comportamento di chi, anche antecedentemente a questa data, abbia evitato di
trasferire il proprio credito al momento dell’ingresso nella liquidazione di
gruppo e l’abbia utilizzato in compensazione per il pagamento di altri tributi.

R. In via preliminare si osserva
che la disposizione di cui all’articolo 1, comma 63, della legge finanziaria
2008 si applica a partire dalla liquidazione di gruppo relativa all’anno 2008. Ne consegue, quindi, che l’ente o la società
controllante non potrà far confluire, ad esempio, nei calcoli compensativi
relativi all’anno 2008, l’eccedenza di
credito emergente dalle dichiarazioni relative all’anno 2007 di società che
partecipano per la prima volta (nel 2008) alla liquidazione di gruppo.

Diversamente, in base al
principio della successione delle leggi nel tempo, l’eccedenza di credito
emergente dalle dichiarazioni relative all’anno 2006
di società che hanno partecipato per la prima volta, nel 2007, alla
liquidazione di gruppo doveva essere trasferita al gruppo e gestita dall’ente o
società controllante. A tal riguardo, con riferimento alle procedure di
liquidazione Iva di gruppo effettuate fino al 31 dicembre 2007, la risoluzione
14 giugno 2007, n. 132/E ha chiarito che, dal momento in cui la società
controllata aderisce alla procedura di liquidazione dell’IVA di gruppo, perde totalmente
la disponibilità dei saldi (attivi e passivi) risultanti dalle proprie
liquidazioni periodiche che devono essere trasferiti alla società controllante.
Ne consegue che non si ritiene conforme al dettato normativo il comportamento
di chi, anche antecedentemente al 1 gennaio 2008, abbia evitato di trasferire
il proprio credito al momento dell’ingresso nella liquidazione di gruppo e
l’abbia utilizzato in compensazione per il pagamento di altri tributi.

11 APPLICAZIONE
DEL REGIME DELLA TONNAGE TAX

11.1 Gruppo di imprese – Assenza
di requisiti oggettivi in capo ad una di esse

D. Si chiede conferma che, se
nell’ambito di un gruppo, in capo ad una società non ricorrono i presupposti
per l’accesso al regime di tonnage tax per mancanza di uno dei requisiti
oggettivi previsti dall’articolo 155 del TUIR – in quanto, già dall’inizio del
periodo d’imposta, la stessa pone in essere una attività
di locazione a scafo nudo oltre i limiti stabiliti nel 1 comma dell’articolo
157 – non viene pregiudicata la possibilità di fruizione del beneficio da parte
delle altre società del gruppo, in capo alle quali sussistano invece i predetti
requisiti oggettivi.

R. Se la controllante non ha i
requisiti oggettivi di cui all’articolo 155, commi 1 e 2,
del TUIR, può esercitare l’opzione per la tonnage tax a favore delle altre
società del gruppo. Si tratta di un mero adempimento formale che in quanto tale
ha nei confronti della controllante valore di semplice
comunicazione. La tonnage produrrà effetti solo nei confronti delle sue
controllate.

Viceversa, nel caso in cui la
controllante in possesso dei requisiti dell’articolo 155, non rispetti il
requisito oggettivo – citato nel quesito – di cui all’articolo 157, comma 1,
del TUIR, e cioè si trovi nella condizione di aver locato a scafo nudo
"… oltre la metà delle navi complessivamente utilizzate per un periodo
di tempo superiore, per ciascuna unità, al cinquanta per cento dei giorni di
effettiva navigazione per ciascun esercizio sociale", tale circostanza
impedisce l’esercizio dell’opzione da parte delle altre società del gruppo.

Infatti, ai sensi del richiamato
articolo 157, l’opzione
per la tonnage tax "non può essere esercitata e se esercitata viene
meno" qualora una società si trovi nella condizione descritta al paragrafo
precedente.

Nel caso di un gruppo di imprese
in tonnage tax, l’articolo 7, comma 4, del decreto attuativo 23 giugno 2005
prevede che il mancato rispetto da parte di una esse
del requisito in commento "… determina la perdita di efficacia
dell’opzione, con effetto dal periodo d’imposta in corso, per tutte le società
del gruppo". Dato che il mancato rispetto del requisito di cui
all’articolo 157, comma 1, del TUIR è causa di decadenza dalla tonnage per
tutto il gruppo, va da sè che il possesso di questo requisito da parte di tutte
le società del gruppo è condizione indispensabile di accesso al regime in
commento.

11.2 Rapporto
tra tonnage tax e consolidato fiscale

D. Ferma restando la non
cumulabilità in capo allo stesso soggetto dei regimi di tonnage tax e consolidato
fiscale ai sensi dell’articolo 160, 1 comma del TUIR, si chiede conferma della
compatibilità, all’interno di un gruppo, di società in tonnage tax (la cui
opzione è trasmessa all’Agenzia dalla società controllante) con altre in
consolidato fiscale, compresa la controllante, per le quali ovviamente non
ricorrono i presupposti per l’adesione al regime di tonnage tax.

R. Il regime di consolidato
fiscale in essere tra la controllante e alcune società
del gruppo, prive dei requisiti per l’accesso alla tonnage tax, non si
interrompe nel caso in cui la controllante medesima (anch’essa priva dei
requisiti per l’accesso alla tonnage tax) comunichi anche l’opzione per la
tonnage tax riferita ad altre società del gruppo (diverse da quelle
partecipanti al consolidato) in possesso dei relativi requisiti.

Le Direzioni Regionali
vigileranno affinchè i principi enunciati nella presente circolare vengano applicati con uniformità.