Enti pubblici

Tuesday 21 February 2006

Via libera del Consiglio di Stato al Codice degli Appalti.

Via libera del Consiglio di Stato
al Codice degli Appalti.

Consiglio di Stato – Sezione
consultiva atti normativi – parere 6 febbraio 2006, n. 355

Presidente Coraggio

Oggetto: Presidenza del Consiglio
dei Ministri – Schema di D.Lgs recante il “Codice dei
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, ai sensi dell’articolo 25
della legge 62/2005.

Premesso e considerato

Parte prima – Considerazioni
generali

1. Lo schema di D.Lgs in esame sottopone al parere del Consiglio di Stato il
“Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture”, in attuazione
della delega contenuta nell’articolo 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62
(legge comunitaria 2004).

La norma, al comma 1, delega il
Governo a recepire nel nostro ordinamento le direttive
nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE, entrambe del 31 marzo 2004, recanti
rispettivamente il coordinamento delle “procedure di appalto
degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi
di trasporto e servizi postali” (i cd. “ex settori esclusi”) e il
“coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi”.

1.1. Le modalità di adozione del D.Lgs (o dei decreti legislativi) di cui
all’articolo 25 sono quelle generali fissate dall’articolo 1 della stessa legge
comunitaria per tutti i decreti di recepimento, in analogia con quanto avvenuto
per le leggi comunitarie degli anni precedenti.

Esso prevede, in particolare:

– un termine di diciotto mesi
dalla data di entrata in vigore della legge 62/2005
per l’adozione dei decreti legislativi (comma 1 dell’articolo 1);

– l’applicazione dell’articolo 14
della legge 400/88, su proposta del Presidente del
Consiglio dei ministri o del ministro per le Politiche comunitarie e del
Ministro con competenza istituzionale prevalente per la materia, di concerto
con i Ministri degli affari esteri, della giustizia, dell’economia e delle
finanze e con gli altri Ministri interessati in relazione all’oggetto della
direttiva (comma 2);

– i pareri
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, con un termine di
quaranta giorni, prorogabile di novanta giorni in casi specifici (comma
3);

– l’obbligo, per gli schemi dei
decreti legislativi recanti attuazione di alcune
direttive comunitarie (tra cui le nn. 2004/17/CE e 2004/18/CE recepite dal presente schema), di essere corredati della
relazione tecnica di cui all’articolo 11ter, comma 2, della legge 468/78, su
cui si esprimono anche le Commissioni parlamentari competenti per i profili
finanziari. Il Governo può non conformarsi alle condizioni formulate con
riferimento all’esigenza di garantire il rispetto dell’articolo 81, quarto
comma, della Costituzione, ritrasmettendo alle Camere i testi, corredati dei
necessari elementi integrativi di informazione,
per i pareri definitivi delle Commissioni competenti per i profili finanziari
(comma 4);

– la possibilità per il Governo
di emanare, entro diciotto mesi dalla data di entrata
in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, disposizioni integrative e
correttive, nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi fissati
dalla legge delega, nonché con la medesima procedura (comma 5);

– l’applicazione dell’articolo
117, quinto comma, della Costituzione, in conseguenza del quale “i decreti
legislativi devono recare l’esplicita indicazione della natura sostitutiva e
cedevole delle disposizioni in essi contenute” (comma
6).

1.2. Venendo alla
specifica delega contenuta nell’articolo 25, già la definizione del suo
oggetto presenta rilevanti peculiarità.

Il comma 1, infatti, prevede che
il Governo possa adottare uno o più decreti legislativi “volti a definire un
quadro normativo finalizzato al recepimento” delle predette direttive.

La formula è ben più ampia di
quella prevista, in via generale, dalla stessa legge comunitaria, che parla di adozione di “decreti legislativi recanti le norme
occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui
agli allegati A e B”, formula questa, del comma 1 dell’articolo 1, riprodotta
in tutte le specifiche norme di delega della legge in esame, con la sola
variazione lessicale che, talvolta, l’espressione “per dare attuazione” viene
sostituita dall’espressione “per il recepimento”.

Va aggiunto che la più ampia
portata della delega dell’articolo 25 è ulteriormente sottolineata
dal riferimento (contenuto nella lettera a del comma 1), ad un “unico testo”,
terminologia che pur nella sua atecnicità (ci si tornerà in seguito) chiarisce
che non ci si intende limitare ad una mera raccolta di norme preesistenti, sia
pure coordinate con le direttive: è l’intero settore degli appalti – ma
soltanto questo – che deve trovare in questa sede la sua disciplina unitaria e
coordinata.

Tale peculiarità, rispetto
all’ordinario recepimento di direttive comunitarie, ha comportato la necessità
di formulare quattro principi e criteri direttivi dettati, per il solo
recepimento delle direttive sugli appalti, dallo stesso comma 1 dell’articolo
25, criteri che se da una parte condizionano l’intervento del legislatore
delegato, dall’altro ne definiscono la portata
innovativa.

La specialità della delega
dell’articolo 25 appare ancor più marcata ove la si
confronti con le altre. Difatti, l’articolo 5 della stessa legge n. 62 del
2005, che prevede “il riordino normativo nelle materie interessate dalle
direttive comunitarie”, delega il Governo ad adottare,
con le stesse modalità di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 1 ed entro lo stesso
termine di diciotto mesi, “testi unici delle disposizioni dettate in attuazione
delle deleghe conferite per il recepimento di direttive comunitarie, al fine di
coordinare le medesime con le norme legislative vigenti nelle stesse materie,
apportando le sole modificazioni necessarie a garantire la semplificazione e la
coerenza logica, sistematica e lessicale della normativa”.

Risulta
evidente, al confronto, la portata sostanziale della delega dell’articolo 25
rispetto al mero coordinamento formale delle altre fattispecie.

1.3. Ferme le potenzialità
innovative della delega, le linee direttrici dell’intervento, e quindi i suoi
limiti, vanno evidentemente individuati nei criteri dettati dalla norma.

Il primo deriva direttamente
dalla necessità di adeguare l’ordinamento italiano ad una consistente riforma
dell’ordinamento comunitario (lettera a). La direttiva n. 2004/18, in
particolare, si sostituisce a tre precedenti direttive, che distinguevano i
settori dei lavori, dei servizi e delle forniture, e costruisce
un procedimento unitario di appalto in luogo dei tre diversi procedimenti
precedenti.

Il criterio va letto unitamente
all’oggetto stesso della delega (“quadro normativo finalizzato al recepimento
delle direttive …”) e in tal modo emerge come criterio cardine. Se il legislatore precedente, infatti, utilizzando i margini
di discrezionalità lasciati dalla disciplina comunitaria, aveva compiuto alcune
scelte (si pensi alle soluzioni della legge 109/94 sull’appalto integrato e sul
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa), alla stregua di valori e
problemi diversi da quello della concorrenza, il legislatore delegante si
concentra sul recepimento delle nuove direttive.

Fino a che punto ne risulti condizionato l’impianto della riforma si vedrà
meglio in seguito, analizzando i vincoli insiti nelle direttive; non sembra
dubbio comunque che ne risulta giustificata la possibilità di introdurre
modifiche sostanziali all’assetto previgente.

I margini di discrezionalità
nell’innovazione della disciplina previgente risultano
peraltro ridotti dalla necessità di adeguare l’ordinamento nazionale, anche per
profili non direttamente disciplinati dalle direttive nn. 17
e 18, alla generale evoluzione dell’ordinamento comunitario sulla materia, come
“integrato” dalla giurisprudenza, spesso pretoria, della Corte di
Giustizia. In tal senso, ad avviso di questa Sezione, il principio contenuto
nella lettera d) dell’articolo 25, comma 1, sulla necessità di adeguarsi alla
sentenza C-247/02, assume un valore non tassativo, ma anzi espansivo, poiché
indicativo della necessità di tenere presente l’intero tessuto ordinamentale
comunitario in cui si sono inscritte le due direttive de quibus. E in primo luogo di rispettare gli ambiti di discrezionalità delle
stazioni appaltanti (in particolare, ma non soltanto, in materia di criteri
di scelta) quale garanzia di una concorrenza selettiva fondata sulla qualità
dell’offerta (amplius, paragrafo 2).

Un’ulteriore
conferma interpretativa di quanto esposto deriva dall’obbligo del “rispetto dei
princìpi del Trattato istitutivo dell’Unione europea” di cui alla lettera a)
della norma di delega. Tale rispetto va inteso non soltanto in senso limitativo
degli interventi da evitare, poiché in contrasto con i principi del Trattato,
ma anche in senso impositivo degli interventi da introdurre per la “definizione
di un quadro normativo finalizzato al recepimento delle direttive” che sia coerente con i principi medesimi, come interpretati (e
talvolta “costruiti”) dalla giurisprudenza della Corte di Lussemburgo.

1.4. Il criterio di cui alla
lettera b) risponde ad un’esigenza tipica dell’ordinamento nazionale. Esso
attiene alla generale esigenza di “semplificazione” delle procedure
amministrative nazionali.

In ordine a
tale profilo è opportuno un approfondimento che ne definisca anzitutto il
significato e quindi la portata. Si osserva al riguardo che se pure la norma
delegante non è contenuta in una delle recenti “leggi annuali di
semplificazione” (la legge 229/03 – legge di semplificazione 2001 – e la legge
246/05 – legge di semplificazione per il 2005) essa si inserisce,
anche per gli espressi richiami letterali, nel processo di cui tali leggi
costituiscono la più recente evoluzione. La legge 229/03, in particolare, ha
segnato l’avvio di una nuova fase in materia di semplificazione e riordino (ora
denominato “riassetto”) normativo dopo quella dei cd. “testi unici misti” di cui all’ormai abrogato articolo 7 della
legge 50/1999 (soppresso dall’articolo 23, comma 3, della legge 229/03).

Con il parere n. 2/04 del 25
ottobre 2004 (sul “Codice della proprietà industriale”), al quale si rinvia per
gli ampi approfondimenti sulla questione, l’Adunanza Generale del Consiglio di
Stato ha operato una ricognizione sul significato attuale del concetto di
“semplificazione”, su cui fanno perno tutti gli
interventi succedutisi da oltre dieci anni (quelli di riordino, codificazione o
riassetto; quelli delle “leggi annuali” di recente emanate e anche quello qui
in esame). In quella sede si è rilevato come si tratti di un concetto che è
andato evolvendosi notevolmente negli anni, secondo un processo che risulta identificabile dalla prassi internazionale, dall’uso
legislativo corrente e dalle esigenze segnalate, anche di recente, da parte
delle associazioni rappresentative delle categorie produttive e dei
consumatori.

Nell’esperienza internazionale
l’approccio al tema della qualità della normazione è determinato, nella sua
genesi, dalle esigenze di un mercato in evoluzione, in cui le contrapposte spinte alla deregolazione, per favorire l’ingresso degli
operatori economici, e alla “iperregolamentazione”, con funzioni di disciplina
della concorrenza e di protezione di interessi di natura diversa (ambiente,
salute, sicurezza), hanno trovato il loro momento di composizione nella ricerca
della “giusta dose” di regolazione e della buona qualità della normazione.

L’evoluzione è coerente con
l’analogo processo in sede comunitaria, che di recente ha ricevuto una forte
accelerazione da parte delle istituzioni europee (la tematica
in quella sede è nota come better regulation: cfr., in particolare,
l’importante comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al
Parlamento europeo COM(2005) 97 del 16 marzo 2005, dal titolo “Better
Regulation for Growth and Jobs in the European Union” e le conclusioni del Consiglio
europeo del dicembre 2005, che nonostante la natura squisitamente politica del
documento dedicano al tema un significativo spazio).

A tale accezione si è,
progressivamente, avvicinata anche l’esperienza italiana, evolvendo da un
concetto più risalente di “semplificazione” limitato al mero snellimento di
singoli procedimenti amministrativi e dell’organizzazione degli uffici
pubblici.

Turravia, con riferimento più
specifico alla finalità di semplificazione in esame, occorre delimitare
l’ambito di innovazione sull’ordinamento vigente che
essa autorizza, tenendo presente che si tratta non di un generale ed ampio
indirizzo di politica legislativa bensì di un criterio di delega che, in
mancanza di più specifiche indicazioni, esige una lettura, se non riduttiva,
certo più tradizionale (anche di questo limite si riscontreranno gli effetti
nel prosieguo).

Quanto all’ambito oggettivo del
criterio, occorre individuare il significato della dizione – per la verità non
chiarissima – “procedure di affidamento che non
costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie”. Essa può avere
due significati alternativi, a seconda che:

– si intenda
la locuzione “procedure di affidamento” in senso più restrittivo, come riferita
alle (sole) procedure nel loro complesso; da ciò conseguirebbe l’applicabilità
della lettera b) della delega (con il connesso potere di semplificazione) alle
(sole) procedure cd. sotto soglia, poiché esse sole non sono coperte dalla
disciplina comunitaria. Questa è l’interpretazione seguita dalla relazione
ministeriale (che però non pone espressamente la questione e quindi non offre
alcun conforto motivazionale);

– si intenda
la suddetta locuzione in senso più ampio e generale, esteso alle “parti di
procedure” oltre che alle procedure nel loro complesso e, quindi, in generale,
alle “disposizioni sull’affidamento” non derivanti direttamente dalla
disciplina comunitaria. In questa accezione, la
lettera b) sarebbe applicabile, ad esempio, anche alle norme di legge nazionale
introdotte in aggiunta alla disciplina comunitaria per gli affidamenti sopra
soglia, che in tale ottica sono senz’altro “disposizioni sull’affidamento” “non
direttamente applicative” del regime comunitario.

La Sezione ritiene questa seconda
interpretazione:

– più plausibile alla stregua del
dettato legislativo, che altrimenti avrebbe operato un riferimento espresso
alle procedure sotto soglia;

– più rispondente allo spirito
della delega, che altrimenti risulterebbe
contraddittoriamente limitativa, nei criteri, rispetto alla “definizione del
quadro normativo” di cui al suo oggetto, in cui tale “quadro” riguarda,
evidentemente, soprattutto il regime sopra soglia;

– più coerente
con la stessa ratio della riforma comunitaria e dell’evoluzione dei principi
del Trattato, tutti volti alla semplificazione degli affidamenti sopra
soglia;

– più
rispettosa dei continui sforzi delle Istituzioni europee di contenere, per
quanto possibile, le addizioni introdotte dagli Stati Membri in sede di
recepimento delle direttive (il fenomeno del cd. goldplating),
che ritardano ed ostacolano il processo di armonizzazione normativa imposto dal
Trattato e che rischiano di introdurre, di fatto, ostacoli alla effettività del
mercato unico.

1.5. Della generale politica di
qualità “sostanziale” della normazione costituisce parte integrante, come si è
visto, quella di riduzione e riordino delle stesse da un
punto di vista giuridico/formale. Il che conduce al profilo della
“codificazione” della materia degli appalti, termine ripreso di recente, dopo
anni (e per la prima volta anche nel titolo), dalla legge 229/03
e ulteriormente sviluppato dalla legge 246/05.

L’intervento in oggetto, anche se
si pone al di fuori del processo di codificazione (o di riassetto) avviato da
queste leggi, reca infatti la denominazione di “Codice
dei contratti pubblici …” e come tale va sistematicamente analizzato.

Il citato parere dell’Adunanza
generale n. 2/04 ha rilevato che, se il modello illuministico della
codificazione è sicuramente scomparso, l’esigenza di raccogliere organicamente le
norme di settore si fa sempre più pressante: tale
esigenza ha consentito, negli ultimi anni, un ritorno del concetto di
codificazione, anche se ovviamente sotto forme diverse. Come questo Consiglio
di Stato ha già avuto modo di approfondire, cambia, infatti, l’idea di
codificazione: essa si accompagna al raggiungimento di equilibri
provvisori, orientati a raccogliere le numerose leggi speciali di settore
(spesso anche di origine comunitaria, come nel caso di specie), in modo da
conferire alla raccolta una portata sistematica, orientandola ad idee
regolative capaci di garantire l’unità e la coerenza complessiva della
disciplina.

A questa codificazione “di nuova
generazione” appartiene il Codice degli appalti in esame, la
cui qualificazione in tal senso, pur in mancanza di una previsione testuale in
sede di delega, appare coerente con le finalità complessive della delega
stessa.

Lo strumento giuridico adoperato
per tutti gli interventi di questo processo – ivi compreso quello in esame – è
il D.Lgs, ma utilizzato soprattutto per le
potenzialità di riforma sostanziale della disciplina primaria. Se infatti l’obiettivo comune sia ai precedenti testi unici
misti di riordino che agli attuali decreti legislativi di “codificazione” è
certamente quello della “riorganizzazione” delle fonti di regolazione e una
drastica riduzione del loro numero, la differenza tra testi unici e codici
consiste, oltre che nell’abbandono del livello regolamentare, nella portata
legislativa innovativa dei secondi. Non si tratta, quindi, di codici à droit
constant come nell’ordinamento francese (che pure con questo sistema, più
celere poiché evita di affrontare difficili riforme sostanziali, ha già
codificato oltre il 50% delle fonti del proprio ordinamento), ma di veri e propri codici che disciplinano ex novo la materia.

In conclusione, la Sezione è
dell’avviso che nel caso di specie – nonostante qualche possibile incertezza
letterale e sulla dizione, del tutto atecnica, di “unico testo”, di cui alla
lettera a) dell’articolo 25, comma 1 della delega – si sia in presenza non di
un “testo unico”, sia pure innovativo, ma di un D.Lgs
che codifichi la materia, recando gli interventi di riforma resi necessari dai
criteri sostanziali di delega di cui all’articolo 25, e in primo luogo il
recepimento delle direttive comunitarie.

2. Sulla base delle
considerazioni svolte al punto precedente va affrontato il tema delle relazioni
con la normativa preesistente.

Come è
infatti noto, il testo originario della legge quadro sui lavori pubblici n. 109
del 1994 aveva ritenuto di dettare discipline parzialmente differenti da quella
comunitaria, prevedendo la rigida separazione tra attività di progettazione ed
attività di esecuzione dei lavori, la limitazione del ricorso al criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa, della trattativa privata e della
introduzione delle varianti, l’abolizione dell’istituto della revisione dei
prezzi ed altre ancora, che costituivano i punti maggiormente qualificanti di
quella riforma.

E’ altrettanto noto che riguardo
a tali previsioni si pose il problema della loro conformità alla direttiva
allora vigente (n. 89/440/CEE poi trasfusa nella direttiva n. 37/1993/CEE), ma la Corte costituzionale, con sentenza 7 novembre
1995, n. 482, ritenne infondate le questioni
di costituzionalità sollevate dalle Regioni in relazione alle procedure di
scelta del contraente ed ai criteri di aggiudicazione previsti dalla legge n.
109 del 1994, rilevando come le disposizioni della legge, aventi ad oggetto
metodi di selezione del contraente anche più rigorosi rispetto alle direttive
comunitarie, fossero costituzionalmente legittime, anche in relazione al
riparto di competenze normative fra Stato e Regioni, perché dirette ad
assicurare in modo ancor più esteso la concorrenza.

Successivamente
i principi in questione hanno subìto taluni temperamenti, ma l’impianto
generale è rimasto sostanzialmente invariato.

Orbene, non vi è dubbio che il
“Codice” comporti una significativa evoluzione
rispetto al passato. Ma il vincolo derivante dal recepimento delle direttive
europee, combinato con quello degli arresti della Corte di Giustizia, riduce in
misura consistente la possibilità per il legislatore delegato di seguire la
strada a suo tempo percorsa dalla legge 109/94, in particolare, a proposito dei
casi più significativi di scostamento rispetto alla
disciplina previgente: l’appalto integrato e l’offerta economicamente più
vantaggiosa.

Giova ricordare, a proposito del
primo, il nono considerando della direttiva medesima, il quale evidenzia
l’opportunità che siano le stesse amministrazioni aggiudicatrici a “…prevedere
sia l’aggiudicazione separata che l’aggiudicazione congiunta di
appalti per l’esecuzione e la progettazione dei lavori…”, demandando al
livello legislativo la sola fissazione dei criteri qualitativi ed economici sui
quali le relative decisioni debbono basarsi.

A sua volta la sentenza della
Corte di giustizia 7 ottobre 2004, in causa “Sintesi Spa” – la cui particolare
incidenza ai presenti fini interpretativi deriva dall’essere espressamente
indicata tra i criteri di delega ex articolo 25, comma 1, lettera d) della
legge 62/2005 – delinea, sia pure sinteticamente, un
modello di amministrazione capace di motivare le scelte dei metodi di gara,
considerando le peculiarità delle diverse situazioni di fatto e dotata della
tecnicità necessaria per attuare una propria “politica” degli appalti. E si tratta – anche questo è stato già rilevato al par. 1.3.
– di un principio dalle forti capacità espansive.

A ciò si aggiunga che anche il
criterio della “semplificazione”, come delineato in
precedenza nei suoi contenuti e nel suo ambito di applicazione, costituisce un
ulteriore incentivo a ridurre i “lacci” per le stazioni appaltanti permettendo
loro – in piena coerenza con la logica comunitaria – di utilizzare al meglio le
possibilità offerte dal mercato.

Non può peraltro sottacersi che
dal nuovo quadro normativo possono derivare nuovamente gli inconvenienti, cui
le limitazioni della legge 109/94 avevano inteso porre riparo, inconvenienti
che, sebbene non ritenuti meritevoli di considerazione dalla Corte di giustizia
(nel corso del giudizio “Sintesi Spa”, conclusosi con
la citata sentenza C-247/02, l’Italia si era difesa adducendo tale esigenza),
non possono essere sottovalutati anche nell’attuale contesto amministrativo e
sociale. Appare quindi quantomai necessaria l’adozione di idonei
strumenti di garanzia, e in questa ottica, in particolare, va valutato
positivamente e va valorizzato il criterio di delega di cui alla lettera c),
volto ad assicurare la generalizzazione e il potenziamento della vigilanza in
tutti i settori interessati dalle direttive in capo all’Autorità per i lavori
pubblici. Non vi è dubbio che il ruolo di questa istituzione,
lungi dal potersi ritenere confliggente con il sistema delle autonomie, deve
considerarsi il necessario punto di riferimento e di raccordo del sistema
stesso.

3. Questione di
ordine generale è anche quella del riparto di competenze normative tra
Stato e Regioni nella materia.

I contratti della Pa e i pubblici
lavori, servizi o forniture non sono nominati dal
nuovo articolo 117 della Costituzione, ma ciò non implica che essi siano
oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni, in quanto, come
rilevato dalla Corte costituzionale con riferimento ai lavori pubblici, “si
tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia,
ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto
possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello
Stato ovvero a potestà legislative concorrenti” (Corte costituzionale n.
303/2003).

Il loro inquadramento nel nuovo
assetto costituzionale non è quindi agevole per due ragioni: da un lato tale
disciplina ha carattere trasversale e rientra, nei suoi molteplici aspetti, in
altre materie elencate nel nuovo articolo 117 ed attribuite alla legislazione
esclusiva dello Stato o alla legislazione concorrente Stato – Regioni; sotto
altro profilo, si deve distinguere tra i contratti stipulati da amministrazioni
o enti statali e i contratti di interesse regionale.

Se è pacifico che il legislatore
statale è titolare di potestà legislativa esclusiva con riguardo ai pubblici
lavori, forniture e servizi “statali”, è da definire l’ambito della competenza
statale in relazione ad alcune materie nominate dall’articolo 117, comma 2,
della Costituzione: “tutela della concorrenza”,
“ordinamento civile” e “giurisdizione e norme processuali; giustizia
amministrativa”.

La prima materia, “trasversale”,
della tutela della concorrenza è quella che pone i problemi più delicati.

La Corte costituzionale ha
precisato che la tutela della concorrenza costituisce una competenza
trasversale, che coinvolge più ambiti materiali e si caratterizza per la natura
funzionale (individuando, più che degli oggetti, delle finalità in vista delle
quali la potestà legislativa statale deve essere esercitata) e vale a
legittimare l’intervento del legislatore statale anche su materie, sotto altri
profili, di competenza regionale (Corte costituzionale 14 e 272/04 e 29/2006).
La Corte ha anche precisato che tale materia abbraccia nel loro complesso i
rapporti concorrenziali sul mercato e la sua inclusione nella lettera e)
dell’articolo 117, secondo comma, della Costituzione, evidenzia l’intendimento
del legislatore costituzionale di unificare in capo allo Stato strumenti di
politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese e sono idonei
ad incidere sull’equilibrio economico generale, come avviene per gli aspetti relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, di seguito individuati quale nucleo principale del Codice.

Non vi è dubbio, dunque, che la
tutela della concorrenza incida anche nel settore in esame, ma la sua stessa
trasversalità comporta che essa si inserisca nelle
altre materie senza consumarne, per definizione, tutto l’ambito, cosicché
rimangono di regola spazi non sensibili a tale problematica nei cui confronti
resta fermo il normale riparto di competenze.

E’ quanto avviene anche nel caso
in esame, in cui, accanto ai profili della concorrenza, sussistono profili non
marginali organizzativi, procedurali, economici e di altro
tipo, tra i quali la progettazione dei lavori servizi e forniture, la direzione
dei lavori servizi e forniture, il collaudo, i compiti e i requisiti del
responsabile del procedimento.

Anche per questi aspetti – e a
maggior ragione – vale l’affermazione della Corte costituzionale che non si
tratta di materie: essi a seconda dell’oggetto possono
rientrare (oltre che nella competenza esclusiva dello Stato) sia nella
competenza concorrente che in quella esclusiva delle Regioni. Nel primo caso
l’attività legislativa regionale rimane soggetta ai principi fondamentali
desumibili dal codice; nel secondo, invece, fatta salva la possibile rilevanza
di vincoli diversi (si pensi alla trasparenza e in generale ai principi della
legge sul procedimento amministrativo) la legislazione regionale può esprimersi
liberamente.

Quanto agli aspetti relativi alla qualificazione e selezione dei concorrenti,
alle procedure di gara, ai criteri di aggiudicazione, al subappalto e alla
vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una Autorità indipendente, si
tratta del nucleo principale del contenuto del Codice in esame, in cui non vi è
dubbio che la concorrenza giochi un ruolo preponderante, ma è da verificare se
ciononostante sia possibile un intervento normativo regionale.

Per i contratti sopra soglia, la
scelta del legislatore statale di non utilizzare gli spazi di discrezionalità
lasciati dalle direttive offre alle Regioni un residuo margine di intervento. Con la precisazione che tale margine non può
essere utilizzato per introdurre misure di attenuazione
della concorrenza – come avverrebbe, ad esempio, ampliando le ipotesi di
trattativa privata – ma consente solo un intervento diretto ad una applicazione
più ampia del principio nel senso indicato dalla sentenza 482/95 della Corte
costituzionale – già citata – che ha riconosciuto la legittimità della legge
109/94 proprio perché diretta ad assicurare in modo più esteso la concorrenza.

A ciò si aggiunga che la tutela
della concorrenza si intreccia con il valore
unificante della disciplina comunitaria, che mira anche a garantire agli
operatori economici analoghe modalità, trasparenti e non discriminatorie, di
aggiudicazione degli appalti, come riconosciuto, per altro settore, dalla Corte
costituzionale con la sentenza 336/05, nella parte in cui evidenzia che gli
obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle modalità
di ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, possono di fatto
richiedere una particolare articolazione del rapporto “norme di principio –
norme di dettaglio”, nel senso di un più incisivo intervento del legislatore
statale.

In concreto,
tali considerazioni inducono a ritenere che non sia possibile
l’esercizio decentrato di potestà normative con riferimento ai seguenti ambiti
appartenenti a quello che si è definito il nucleo essenziale del Codice: la
qualificazione e selezione dei concorrenti, i criteri di aggiudicazione, il
subappalto e la vigilanza sul mercato degli appalti affidata ad una autorità
indipendente.

Al contrario, per altri aspetti,
sempre appartenenti a tale nucleo e in particolare per le procedure di gara,
deve riconoscersi la sussistenza di una competenza normativa delle Regioni, nei
sensi e nei limiti indicati in precedenza; e ciò alla stregua di quanto
affermato dalla Corte costituzionale secondo cui la norma statale che imponesse
una disciplina tanto dettagliata da risultare non proporzionata rispetto
all’obiettivo della tutela della concorrenza costituirebbe una
illegittima compressione dell’autonomia regionale (Corte costituzionale,
272/04, relativa alle gare per i servizi pubblici locali).

Quanto ai contratti al di sotto della soglia comunitaria, compete allo Stato la
fissazione di comuni principi, che assicurino trasparenza, parità di
trattamento e non discriminazione, senza che però ricorra l’esigenza (di
derivazione comunitaria) di estendere il grado di uniformità alla disciplina di
dettaglio.

Quale sia
poi l’ambito di tali principi vincolanti per le Regioni è stato chiarito dalla
giurisprudenza costituzionale, che, proprio con riferimento agli acquisti sotto
soglia di beni e servizi, ha riconosciuto la legittimità dell’applicabilità
alle Regioni dei soli principi desumibili dalla normativa nazionale di
recepimento della disciplina comunitaria, là dove impongono la gara, fissano
l’ambito soggettivo ed oggettivo di tale obbligo, limitano il ricorso alla
trattativa privata e collegano alla violazione dell’obbligo sanzioni civili e
forme di responsabilità (Corte costituzionale, 345/04, in cui viene fatta una
distinzione tra le norme di principio in una materia trasversale quale la
tutela della concorrenza e i principi fondamentali nei casi di legislazione
concorrente).

Rimangono le altre riserve di
competenza statale: ordinamento e giurisdizione.

I profili relativi
alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti attengono alla materia
contrattuale del diritto civile e all’autonomia privata, e dunque alla materia
“ordinamento civile”, sempre oggetto di legislazione esclusiva statale; va
tuttavia chiarito che anche nell’ambito dell’esecuzione dei contratti possono
venire in rilievo profili di organizzazione amministrativa e di contabilità,
per i quali lo Stato ha legislazione esclusiva solo per le amministrazioni
statali, ma non per le Regioni.

La disciplina del contenzioso
rientra invece nella materia della “giurisdizione e norme processuali; … ; giustizia amministrativa” di cui alla lettera l)
dell’articolo 117, comma 2, della Costituzione (impregiudicata la verifica di
compatibilità con la delega).

3.2. Altri aspetti disciplinati
dal Codice rientrano invece senz’altro in materie di legislazione concorrente
Stato – Regioni, come, in particolare, i profili inerenti la
localizzazione delle opere pubbliche, la programmazione dei lavori pubblici,
l’approvazione dei progetti a fini urbanistici ed espropriativi, attinenti alla
materia “governo del territorio” o quelli connessi con la “tutela e sicurezza
del lavoro” e la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”.

Inoltre per alcune tipologie di opere è anche prevista espressamente la legislazione
concorrente Stato – Regioni, come ad esempio per “porti e aeroporti civili;
grandi reti di trasporto e di navigazione; … produzione, trasporto e
distribuzione nazionale dell’energia” (come del resto è chiara l’appartenenza
allo Stato della legislazione esclusiva per lavori, servizi e forniture, che
indipendentemente dall’amministrazione che li esegue riguardino, ad esempio,
“difesa … ; sicurezza dello Stato”, “ordine pubblico e sicurezza”, “dogane,
protezione dei confini nazionali”).

Nei confronti di tale competenza,
come è noto, è riservata allo Stato la formulazione di
principi fondamentali e in proposito si osserva che il riassetto della
disciplina, previsto nella delega, risponde anche all’esigenza di una
semplificazione normativa e tale semplificazione deve contribuire a garantire
il principio della certezza del diritto, soprattutto nell’attuale fase di
attuazione di una riforma costituzionale, già ricca di dubbi e problematiche,
in parte risolte solo ex post grazie all’intervento della Corte costituzionale.

Come già rilevato da questa
Sezione, non sembra dunque rispondere al suddetto principio di certezza del
diritto demandare totalmente all’interprete l’individuazione dei principi
fondamentali di una materia di legislazione concorrente (CdS, Sezione atti norm., 31 gennaio 2005 e 4 aprile 2005, n. 11996/04).

3.3. La stessa esigenza di
chiarezza va tenuta presente nel dare attuazione al criterio dell’articolo 1,
comma 6, della legge delega.

Tale criterio recepisce
il principio, già affermato, con riferimento al potere regolamentare, da questo
Consiglio di Stato in sede consultiva, secondo cui per l’attuazione delle
direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province
autonome in via esclusiva o concorrente, in caso di inadempimento da parte
delle Regioni, lo Stato può intervenire adottando una normativa di carattere
cedevole e ad efficacia differita alla scadenza dell’obbligo comunitario di
attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti (CdS,
Ad. Gen., n. 2/2002, 25 febbraio 2002).

Non risulta
che il criterio sia stato seguito in sede di predisposizione del Codice,
verosimilmente nel presupposto – non condiviso dalla Sezione, per quanto detto
innanzi – che l’intero corpo delle direttive da recepire riguardi solo profili
riservati alla legislazione esclusiva dello Stato.

Si pone dunque l’esigenza
dell’introduzione della clausola di cedevolezza e
dell’indicazione delle parti del Codice “cedevoli” e di quelle che invece
vincolano l’esercizio della potestà normativa regionale, perché attinenti ad
ambiti di legislazione esclusiva dello Stato o perché costituenti principi
fondamentali in materia di legislazione concorrente.

3.4. Per quanto riguarda le
Province autonome di Trento e Bolzano non può essere prevista la clausola di
cedevolezza, in quanto come ribadito più volte dalla Corte costituzionale, alle
due Province autonome non si applica l’articolo 10 della legge 62/1953, ma
l’articolo 2 del D.Lgs 266/92 (Norme di attuazione
dello statuto speciale), secondo cui il sopravvenire di nuove norme statali
comportanti vincoli di adeguamento della legislazione provinciale non produce
abrogazione delle leggi provinciali preesistenti in contrasto con i nuovi
vincoli, ma solo un obbligo di adeguamento, la cui mancata realizzazione può
essere fatta valere dal Governo con apposito ricorso contro le leggi
provinciali non adeguate (Corte costituzionale, 302/03).

Il criterio di delega di cui al
citato articolo 1, comma 6, della legge 62/2005, pur facendo riferimento anche
alle Province autonome, deve essere interpretato in modo costituzionalmente
orientato alla luce dello speciale meccanismo previsto dalle norme di attuazione dello statuto speciale per l’adeguamento della
normativa delle Province autonome di Trento e Bolzano.

Resta comunque
ferma l’applicabilità alle due Province autonome delle disposizioni del Codice
relative a materie di legislazione esclusiva statale, in quanto anche
l’attribuzione allo Stato della legislazione esclusiva in materie trasversali,
quali la tutela della concorrenza, non ha costituito una sopravvenuta
limitazione a forme di autonomia più ampie, riconosciute alle due Province e a
queste quindi inapplicabile ai sensi dell’articolo 10 delle legge
costituzionale 3/2001; al contrario, anche prima dell’entrata in vigore della
riforma del titolo V, la concorrenza costituiva materia riservata alla
legislazione dello Stato, come si ricava anche dalla sentenza 482/95 della
Corte costituzionale.

Sulla base di
tali considerazioni la Sezione ritiene necessario riformulare l’articolo 4
dello schema secondo quanto suggerito nella parte seconda del presente parere,
relativa ai singoli articoli.

3.5 L’appartenenza delle singole
disposizioni ad uno o ad altro ambito assume rilievo anche con riferimento
all’esercizio dei poteri regolamentari, che, come è
noto, lo Stato ha conservato solo nelle materie attribuite alla sua
legislazione esclusiva.

Tale potestà regolamentare può
essere esercitata dallo Stato per dare esecuzione ed attuazione all’intero Codice
con riferimento ai pubblici lavori, servizi e forniture “statali”, mentre con
riferimento a quelli di interesse regionale essa può
essere esercitata limitatamente a quei profili ricadenti nell’ambito della
legislazione esclusiva dello Stato, già indicati in precedenza. Difatti, sia
prima che dopo l’entrata in vigore della riforma del titolo V, la Corte
costituzionale ha in più occasioni limitato l’esercizio del potere
regolamentare dello Stato proprio nella materia dei lavori pubblici (sentenze
482/95, 302/03, 303/03).

Al contrario, l’elencazione degli
aspetti da disciplinare tramite regolamento, contenuta nel
comma 4 dell’articolo 5 del Codice, può indurre a ritenere che il
legislatore delegato abbia voluto rimettere alla potestà regolamentare dello
Stato quei profili già individuati, per i quali non risulta invece possibile
incidere con regolamento sulle competenze regionali.

Al fine di evitare ulteriori incertezze appare opportuno precisare nel testo
(cfr., infra, le osservazioni relative all’articolo 5 dello schema) che il
regolamento debba espressamente prevedere la sua applicabilità ai lavori
pubblici statali e l’indicazione delle disposizioni applicabili alle Regioni,
in quanto esecutive o attuative di disposizioni del Codice rientranti in
materie di legislazione esclusiva dello Stato.

Conseguentemente
la disposizione transitoria di cui all’articolo 253, comma 3, deve essere
interpretata alla luce dei principi ricavabili dalle richiamate sentenze.
Con esse la Corte costituzionale ha peraltro ritenuto legittima
la disposizione di cui all’articolo 1, comma 3, del Dpr 544/99, secondo cui, ai
sensi dell’articolo 10 della legge 62/1953, le Regioni, anche a statuto
speciale, applicano le disposizioni del regolamento (previgenti alla riforma
del titolo V) fino a quando non avranno adeguato la propria legislazione ai
principi desumibili dalla legge (Corte costituzionale, 302/03, che ha però
escluso tale conclusione per le Province autonome di Trento e Bolzano, come già
chiarito oltre).

Pertanto l’applicabilità del
regolamento deve essere limitata, con riferimento alle Regioni, ai casi di carenza della preesistente normativa regionale o perché mai
approvata o perché abrogata per effetto del suo contrasto con i principi
fondamentali recati dalla legge 109/94 senza successivo adeguamento della
normativa regionale.

3.6. In conclusione non può non
rilevarsi che in tale situazione si possono determinare interferenze tra le
competenze legislative statali e regionali, per la cui composizione la
Costituzione non prevede espressamente un criterio; la Corte costituzionale,
con specifico riferimento alle ipotesi di interferenza
tra disposizioni rientranti in materie di competenza esclusiva, spettanti
alcune allo Stato ed altre alle Regioni, ha richiamato il principio di leale
collaborazione, che per la sua elasticità consente di avere riguardo alle
peculiarità delle singole situazioni, nonché quello della prevalenza, qualora
appaia evidente l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo
ad una materia piuttosto che ad altre (Corte costituzionale 370/03 e 50/2005).

In questa prospettiva si richiama
l’attenzione del Governo, in questo settore in cui il riparto di competenze tra
Stato e Regioni è altamente problematico, sulla
particolare importanza del parere della Conferenza unificata di cui
all’articolo 8 del D.Lgs 281/97, reso in data 9 febbraio 2006 e pervenuto nel
corso dell’elaborazione del presente parere. Se è evidente, infatti, che un
parere favorevole della Conferenza unificata non possa ritenersi risolutivo per
il superamento di eventuali problemi di
costituzionalità, così come un parere negativo non è ostativo all’ulteriore
corso del presente decreto, tuttavia è emersa l’esigenza di un più effettivo
coinvolgimento delle Regioni nel processo formativo della normativa statale,
soprattutto in quei casi in cui tale coinvolgimento non sia avvenuto mediante
un percorso condiviso durante la fase di predisposizione del testo normativo.

Tale esigenza è stata tenuta
presente dalla Sezione, che ha avuto modo di valutare attentamente le
osservazioni delle Regioni, pervenendo anche alla conclusione della fondatezza
di alcune di esse.

4. La preventiva ricostruzione
delle potenzialità di innovazione normativa espresse
dalla soluzione scelta del legislatore delegante e l’inserimento di queste
potenzialità nel nuovo assetto sistemico dei poteri legislativi e regolamentari
stabilito dal Titolo V della Costituzione consentono – come si dirà
analiticamente nel seguito, esaminando le singole disposizioni rilevanti – di
enucleare quelle norme che appaiono non coerenti e/o eccedenti rispetto a detti
criteri ricostruttivi.

In via preliminare, in ordine al complesso e delicato tema del riparto di
competenze tra Stato, Regioni e Province autonome si fa rinvio alla nuova
formulazione che la Sezione propone per l’articolo 4, mentre, con riferimento
ad una più chiara intestazione del potere regolamentare, si rinvia alle
modifiche che vengono proposte per l’articolo 5.

Messo a punto il riparto di
competenze, appare utile segnalare sin da ora quelle soluzioni che, ad avviso
della Sezione, si pongono fuori del perimetro della delega:

a) in quanto investono ambiti di innovazione normativa del tutto esterna a tale perimetro:
si tratta infatti di innovazioni che affrontano profili di organizzazione
istituzionale e nessi interpretativi che hanno bisogno di un esplicito
scrutinio legislativo in ordine all’assetto che si intende dare agli interessi
coinvolti. Al riguardo si segnalano in particolare:

– per quanto riguarda la
disciplina dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, l’articolo 6, comma 7, lettera m), in materia di
composizione delle controversie;

– in materia di
affidamento di servizi e lavori “in house”, l’articolo 1, comma 2, e
l’articolo 32, comma 3;

– in materia di giurisdizione,
l’articolo 244 ed i primi due commi dell’articolo 245;

b) in quanto non riconducibili ad
una ragionevole estensione interpretativa del significato che nell’ordinamento
giuridico può essere assegnato all’ambito della semplificazione, nella misura
in cui questo topos dell’attuale fase di riassetto del nostro ordinamento può
operare; si tratta infatti di soluzioni che presentano
una valenza sostanziale non riconducibile entro parametri che riflettono
intenti di semplificazioni del procedimento, anche sotto lo specifico profilo
della riduzione dei tempi:

articolo
111 (Garanzie che devono prestare i progettisti) dove si pongono obblighi nuovi
a carico dei professionisti che incidono sulle stesse modalità di esercizio
dell’attività professionale;

articolo
118bis (Attività che non costituiscono subappalto), nella parte in cui estende
ad ipotesi non previste norme di prevenzione della criminalità mafiosa che sono
comunque di stretta interpretazione;

articoli
122 (Disciplina specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia), 123
(Procedura ristretta semplificata per gli appalti di lavori), 124 (Appalti di
servizi e forniture sotto soglia), 125 (Lavori, servizi e forniture in
economia), 144 (Procedura di affidamento e pubblicazione del bando relativo
alle concessioni di lavoro pubblici): articoli questi che recano numerose
disposizioni fuori delega, connesse in particolare alla tecnica dell’aumento
degli importi, e che non appaiono giustificate dalla finalità di
semplificazione, sia pure nella sua accezione più ampia.

Parte seconda – Esame degli
articoli

Si può passare all’esame delle
singole disposizioni dello schema di Codice,
limitatamente a quelle che richiedono osservazioni, anche di carattere formale.

Si richiama comunque
l’attenzione sulla necessità di un’accurata opera di drafting per adeguare il
testo alla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 2 maggio 2001,
n. 1/1.1.26/10888/9.92.

Premesse

Nelle premesse, il riferimento agli
articoli delle direttive che prevedono l’attuazione da parte degli Stati membri è invertito: vanno menzionati l’articolo 71 della
direttiva n. 2004/17 e l’articolo 80 della direttiva n. 2004/18; inoltre deve
essere indicato il parere del Consiglio di Stato reso dalla Sezione consultiva
per gli atti normativi e non dall’Adunanza generale, come attualmente
riportato.

Articolo 1 (Oggetto)

La disposizione contiene al comma
1 l’effettiva indicazione dell’oggetto della disciplina e al comma 2 una
disposizione sulla scelta del socio delle società miste, la cui collocazione nel primo articolo del Codice non trova alcuna
giustificazione. Si suggerisce quindi di eliminare tale secondo comma,
valutando se inserirlo in altra parte del Codice.

Al riguardo, si osserva che la
scelta di non includere nel Codice le disposizioni relative
all’affidamento in house dei servizi pubblici locali (articoli 113,
113bis e 116 del D.Lgs 267/00, da interpretare alla luce delle restrittive
indicazioni della Corte di Giustizia) dovrebbe coerentemente condurre anche ad
escludere dal Codice le disposizioni relative alla scelta del socio nelle
società miste, tenuto conto anche dell’osservazione relativa all’articolo 32,
comma 3.

Tale mancata inclusione in alcun
modo inciderebbe, comunque, sul generale principio
secondo cui la scelta deve avvenire con procedure di evidenza pubblica
(principio peraltro codificato nelle richiamate disposizioni del testo unico
delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Si suggerisce inoltre di
semplificare il comma 1 dell’articolo 1 nel seguente modo: “Il presente Codice
disciplina l’attività contrattuale delle amministrazioni aggiudicatrici e degli
altri enti o soggetti aggiudicatori avente per oggetto l’acquisizione di
servizi, prodotti, lavori e opere”.

Articolo 3 (Definizioni)

Al comma 33
va eliminato l’inciso “utilizzata per semplificare il testo”.

Articolo 4 (Competenze
legislative di Stato e Regioni)

In applicazione dei principi
indicati al punto 3 della prima parte del presente parere, si richiede all’amministrazione
di modificare l’articolo 4 del Codice nei seguenti termini.

“Articolo 4 – Competenze
legislative di Stato, Regioni e Province autonome.

1. Le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nelle materie
oggetto del presente Codice nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e delle disposizioni relative a materie di
competenza esclusiva dello Stato.

2. Relativamente
alle materie oggetto di competenza concorrente, le Regioni e le Province
autonome di Trento e di Bolzano esercitano la potestà normativa nel rispetto
dei principi fondamentali contenuti nelle norme del presente Codice, in
particolare, in tema di programmazione di lavori pubblici, approvazione dei
progetti ai fini urbanistici ed espropriativi, attività di progettazione di
lavori servizi e forniture, direzione di lavori servizi e forniture, collaudo,
compiti e requisiti del responsabile del procedimento, sicurezza del lavoro.

3. Le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano, nel rispetto dell’articolo 117, comma secondo,
lettere e) ed l) della Costituzione, non possono
prevedere una disciplina diversa da quella del presente Codice in relazione:
alla qualificazione e selezione dei concorrenti, ai criteri di aggiudicazione,
al subappalto, ai poteri di vigilanza sul mercato degli appalti affidati
all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture, alla stipulazione e all’esecuzione dei contratti ad eccezione dei
profili di organizzazione amministrativa e di contabilità,
nonché al contenzioso; devono altresì attenersi ai principi in materia di
concorrenza previsti dal presente codice in tema di procedure di gara e di
contratti sotto soglia comunitaria.

4. Nelle materie di competenza
normativa regionale, concorrente o esclusiva, le disposizioni del presente
Codice si applicano alle Regioni nelle quali non sia ancora in vigore la
normativa di attuazione e perdono comunque efficacia a
decorrere dalla data di entrata in vigore della normativa di attuazione
adottata da ciascuna regione.

5. Le Province autonome di Trento
e Bolzano adeguano la propria legislazione secondo le disposizioni contenute
nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e nelle relative norme di attuazione”.

Non è invece necessario
introdurre la clausola di efficacia differita alla
data di scadenza del termine stabilito per l’attuazione della normativa
comunitaria, prevista nell’articolo 1, comma 6, della legge 62/2005, in quanto
il termine è scaduto lo scorso 31 gennaio per entrambe le direttive da
recepire.

Articolo 5 (Regolamento e
capitolati)

Sempre in applicazione dei già
menzionati principi, va modificato il comma 1, prevedendo che “Lo Stato detta
con regolamento la disciplina esecutiva ed attuativa del presente Codice in relazione ai contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture di amministrazioni ed enti statali e, limitatamente agli aspetti di
cui all’articolo 4, comma 3, in relazione ai contratti di ogni altra
amministrazione o soggetto equiparato”.

Va altresì aggiunto un ulteriore comma, il quale preveda che “Il regolamento indica
quali disposizioni, esecutive o attuative di disposizioni rientranti ai sensi
dell’articolo 4, comma 3, in ambiti di legislazione statale esclusiva, siano
applicabili anche alle Regioni e Province autonome”.

Il regolamento non potrà invece
prevedere disposizioni che, al di fuori di tali ambiti, si applichino a Regioni
e Province autonome con il carattere della cedevolezza, essendo in tal caso lo
Stato totalmente privo della potestà regolamentare e non sussistendo esigenze
di recepimento in via suppletiva delle direttive comunitarie (esigenze già
soddisfatte con il Codice in esame).

L’articolo 5 contiene anche
alcune disposizioni sui capitolati, prevedendo che i capitolati
menzionati nel bando o nell’invito costituiscono parte integrante del contratto
e che anche il capitolato generale dei lavori delle amministrazioni
aggiudicatrici statali, menzionato nel bando o nell’invito, costituisce parte
integrante del contratto. Viene in tal modo attribuita natura contrattuale al
capitolato, che deve essere menzionato nel bando o nell’invito per costituire
parte integrante del contratto. Si prende atto di tale scelta, che rientra tra
quelle consentite in sede di esercizio della delega.

Non vi è alcuna limitazione dei
poteri regionali, in quanto il comma 8 rende puramente facoltativa la
possibilità di richiamare il capitolato generale dei lavori pubblici da parte
delle stazioni appaltanti diverse dalle amministrazioni aggiudicatrici statali.

Al comma 8,
lettera n), vanno soppresse le parole “o alle categorie” e “prevalenti” va
messo al singolare, per ragioni di coordinamento con l’articolo 118.

Articoli 6 (Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), 7
(Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) e
8 (Disposizioni in materia di organizzazione e di
personale dell’Autorità e norme finanziarie)

Tali disposizioni riguardano
l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture.

La possibilità di istituire una autorità indipendente è prevista dall’articolo 81.2
delle direttiva n. 2004/18 e dall’articolo 72.2 della direttiva n. 2004/17. In
attuazione dell’espresso criterio di delega di cui
all’articolo 25, comma 1, lettera c) della legge n. 62 del 2005 alla già
istituita Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sono stati affidati
compiti di vigilanza anche nei settori delle forniture e dei servizi.

In conformità al criterio della
legge delega relativo all’indipendenza funzionale e alla autonomia
organizzativa, nonché alla sopravvenuta disciplina, con cui è stata
riconosciuta all’Autorità anche l’autonomia finanziaria (articolo 1, commi 65 e
67, della legge 266/05), il Codice ha previsto una estensione dei poteri
regolamentari dell’Autorità e una semplificazione della sua struttura, non più
irrigidita in schemi predeterminati dal legislatore ma affidata a forme e
metodi di auto-organizzazione.

Deve essere in primo luogo
chiarito che l’estensione delle competenze dell’Autorità va verificata sotto il
profilo del rispetto dei criteri di delega e non si
pone in alcun modo in contrasto con le prerogative delle Regioni. Infatti, con
la sentenza n. 482 del 1995 la Corte costituzionale, nel respingere i ricorsi
delle Regioni che denunciavano la violazione di competenze ad esse costituzionalmente riservate, derivante
dall’istituzione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, ha
evidenziato che l’istituzione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori
pubblici ha rappresentato uno dei cardini della riforma della materia,
valorizzando l’esercizio della funzione di vigilanza e garanzia idonea a
garantire una conoscenza completa ed integrata del settore dei lavori pubblici,
unitaria a livello nazionale.

La Corte ha aggiunto che le
attribuzioni dell’Autorità non sostituiscono né surrogano alcuna competenza di amministrazione attiva o di controllo, ma esprimono una funzione
di garanzia, strumentale rispetto alla conoscenza ed alla vigilanza nel
complessivo settore dei lavori pubblici e in relazione alla quale l’obbligo per
le amministrazioni di comunicare all’Autorità determinate informazioni
è espressione del dovere di cooperazione tra Stato, Regioni e Province
autonome, più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze
29/1995 e 412/94).

Tali principi sono ovviamente
validi anche per l’estensione delle competenze attribuite all’Autorità, che si
aggiungono, e non si sostituiscono, alle eventuali ulteriori
competenze in tema di controllo e vigilanza previste in sede regionale.

Ciò premesso, deve ritenersi che
l’ampliamento dei poteri di vigilanza anche ai contratti di lavori, servizi e
forniture, cui non sono applicabili direttamente le
direttive da recepire, non si pone in contrasto con la legge delega, che
prevede espressamente l’attribuzione all’Autorità di “compiti di vigilanza nei
settori oggetto della presente disciplina”, intendendosi per questa la
disciplina del Codice e non solo quella di recepimento delle direttive.

Con riferimento agli altri
specifici compiti dell’Autorità, elencati dall’articolo 6, comma 7, si osserva
che il potere di formulare al Governo proposte in ordine alle
modifiche occorrenti in relazione alla legislazione che disciplina i contratti
pubblici di lavori, servizi, forniture, pur non essendo attualmente previsto,
corrisponde a quelle generali funzioni meramente ausiliarie, tipiche delle
autorità indipendenti e che rientrano nei compiti di vigilanza del settore.

Anche il potere di vigilanza sul
sistema di qualificazione, esteso alla possibilità di annullare, in caso di
constatata inerzia degli organismi di attestazione, le
attestazioni rilasciate in difetto dei presupposti stabiliti dalle norme
vigenti, nonché di sospendere, in via cautelare, dette attestazioni (articolo
6, comma 7, lettera m) è stato riconosciuto dalla giurisprudenza, secondo cui
l’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, in caso di inerzia della SOA, ricorrendone
i presupposti e nel rispetto delle garanzie di partecipazione delle imprese
interessate, ha il potere di intervenire in via diretta ad adottare l’atto
omesso dalla SOA, anche mediante annullamento delle attestazioni di
qualificazione dalla stessa rilasciate (CdS, Sezione sesta, 991/04).

La lettera n) dello stesso comma
7 prevede che l’Autorità svolga, su iniziativa delle parti, attività di
composizione delle controversie insorte tra stazioni appaltanti ed operatori
economici durante le procedure di gara, in tempi ristretti e comunque
non superiori a venti giorni e che le modalità di svolgimento del procedimento
siano individuate con regolamento dell’Autorità.

Pur
comprendendo la ratio che giustifica una tale disposizione, tendente ad
introdurre un meccanismo precontenzioso, del tutto facoltativo e finalizzato
alla deflazione del contenzioso, si osserva che si tratta dell’attribuzione
all’Autorità di una funzione para-contenziosa, non prevista nei criteri fissati
dalla legge delega. Né si può sostenere che l’attribuzione di
tale funzioni derivi dalle direttive comunitarie, che si limitano a
prevedere che gli Stati membri “assicurano l’applicazione delle direttive
tramite meccanismi efficaci, accessibili e trasparenti” e a richiamare la
direttiva ricorsi n. 89/665/CEE, che però non prevede l’attribuzione di una
tale funzione ad una autorità indipendente.

Si ritiene pertanto che la norma
debba essere eliminata, in quanto l’attribuzione di una funzione del tutto nuova e para-contenziosa ad una autorità indipendente
richiede un espresso intervento del legislatore e non è consentita in questa
sede dal descritto contenuto della legge delega.

L’autonomia organizzativa, oggi
riconosciuta all’Autorità, consente invece la semplificazione della sua
struttura (attuata attraverso l’eliminazione del riferimento alla Segreteria
tecnica e al Servizio ispettivo), il mantenimento del solo Osservatorio
previsto dall’articolo 7 e articolato in sezioni regionali nonché
l’espressa attribuzione del potere regolamentare per disciplinare
l’organizzazione dell’Autorità.

L’articolo 8 attribuisce
all’Autorità un potere regolamentare anche per disciplinare il proprio
funzionamento, l’esercizio della funzione di vigilanza e del potere
sanzionatorio.

Al riguardo, questa Sezione ha
già avuto occasione di sottolineare che l’attribuzione
di poteri normativi alle autorità indipendenti deve ormai ritenersi compatibile
con il nostro sistema ordinamentale; in special modo, per quanto concerne i
poteri di auto-organizzazione (CdS, Sezione atti norm., 14 febbraio 2005, n.
11603/04; parere reso sul Codice delle assicurazioni).

Alle considerazioni già espresse
dalla Sezione, deve essere aggiunto che l’esercizio di poteri normativi da
parte di autorità indipendenti pone problematiche
particolari quando tali poteri siano destinati ad incidere sulle posizioni dei
privati, come in questo caso per la disciplina dell’esercizio dei poteri di
vigilanza e sanzionatori. In tali ipotesi, l’esercizio di poteri regolatori da
parte di autorità poste al di fuori della tradizionale
tripartizione dei poteri del circuito di responsabilità delineato dall’articolo
95 della Costituzione è giustificato anche in base all’esistenza di un
procedimento partecipativo, inteso come strumento della partecipazione dei
soggetti interessati sostitutivo della dialettica propria delle strutture
rappresentative. Il rischio di una caduta del valore della
legalità sostanziale deve essere compensato, almeno in parte, con un
rafforzamento della legalità procedurale, sotto forma di garanzie del
contraddittorio.

A tal fine, l’Autorità da un lato
dovrà prevedere idonee garanzie partecipative in sede di approvazione
dei propri regolamenti e dall’altro dovrà dotarsi di sistemi di consultazione
preventiva, volta a raccogliere il contributo informativo
e valutativo dei soggetti vigilati (il rapporto tra consultazione e qualità
della regolazione è sottolineato anche, a livello comunitario, dal Protocollo
n. 7 al Trattato di Amsterdam, in quanto una regolamentazione negoziata e
concordata ha maggiori probabilità di essere accettata e quindi applicata).

Sulla base di
tali considerazioni, si consiglia di aggiungere all’articolo 8, comma 1 il
seguente periodo: “Al fine di migliorare la qualità della normazione e dei
propri atti generali l’Autorità utilizza metodi di consultazione preventiva,
consistenti nel dare preventivamente notizia del progetto di atto e nel
consentire agli interessati di far pervenire le proprie osservazioni, da
valutare motivatamente.”.

Al fine di evitare vuoti
normativi si suggerisce, inoltre, di inserire una norma transitoria, la quale
preveda che, fino all’entrata in vigore del regolamento di cui all’articolo 8,
comma 4, si applichino le disposizioni di cui all’articolo 6
del Dpr 554/99.

Con riguardo all’organico e al
trattamento economico del personale dell’Autorità, si segnala che rispetto
all’originario testo dell’articolo 8 sono pervenute le
osservazioni del Ministero dell’economia e delle finanze, il quale ha
subordinato il suo assenso alla modifica dell’articolo 8 nei termini indicati
in una allegata riformulazione dello stesso, che prevede l’eliminazione del
potere di determinare il trattamento giuridico ed economico del personale,
nonché di quello di avvalersi di personale assunto con contratto a tempo
determinato e di esperti; è stato anche soppresso il riferimento, sempre per il
personale, all’articolo 11, comma 2, della legge 287/90. Il Ministero ha
segnalato che tali disposizioni costituirebbero un chiaro eccesso di delega per
l’insorgere di maggiori costi a carico della finanza pubblica.

Al riguardo, si osserva che
effettivamente uno dei criteri della delega è quello dell’assenza di nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato. Tuttavia, il
nuovo sistema di auto-finanziamento, introdotto dal
citato articolo 1, comma 67, della legge 266/05, esclude che l’ampliamento
delle competenze o della struttura dell’Autorità possa gravare sulla finanza
statale, essendo invece posto a carico del mercato vigilato. Lo stesso
stanziamento di 3,5 milioni di euro è stato previsto
da tale disposizione a titolo di anticipazione, che l’Autorità dovrà restituire
all’entrata del bilancio dello Stato entro il 31 dicembre 2006. Il problema non
è quindi quello di impedire maggiori oneri a carico dello Stato, non più
ipotizzabili con l’entrata in vigore del nuovo sistema di finanziamento, ma di
evitare che le contribuzioni a carico dei soggetti vigilati, anche se contenute
nei limiti percentuali fissati in relazione al valore
complessivo del mercato di competenza, possano gravare in modo eccessivo e
sproporzionato su tale mercato, determinando un aumento del costo degli
appalti, destinato a riflettersi in modo indiretto sulle finanze pubbliche.

Pertanto, ferme le indiscutibili
esigenze di potenziamento delle strutture dell’Autorità
in coerenza con le nuove funzioni attribuite, valuti il Governo se il complesso
delle disposizioni in questione, comportando un consistente aumento delle
esigenze finanziarie dell’Autorità, non debba essere riconsiderato e ridotto,
nelle parti indicate dal ministero dell’Economia, in una prospettiva di
contenimento degli oneri a carico della collettività.

Si ritiene superflua la
disposizione di cui all’articolo 6, comma 6, che fa salve le competenze delle
altre Autorità amministrative indipendenti.

Si suggerisce di invertire la collocazione dei due primi commi dell’articolo 7.

Valuti, infine, l’amministrazione
se conservare il testo della lettera o) del comma 7 dell’articolo 6, che attualmente rinvia all’articolo 1, comma 67, della legge
266/05, o se riportare all’interno del testo il contenuto di tale norma,
introdotta dall’ultima finanziaria (sia con riferimento ai nuovi compiti che
all’autonomia riconosciuta).

Articolo 9 (Sportello dei
contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture)

Si tratta di una soluzione che,
pur non essendo prevista nelle direttive, ne potrebbe costituire una indiretta attuazione sotto il profilo della possibilità
di utilizzo dello strumento dello sportello unico, diffuso in Italia in diversi
settori, al fine di ottimizzare la diffusione delle informazioni
relative alle procedure di gara. Si rileva che i compiti dello Sportello unico
non sembrano sovrapporsi a quelli degli osservatori regionali e che comunque non vi è alcuna lesione delle competenze regionali,
trattandosi di istituto facoltativo.

Articolo 11 (Fasi delle procedure
di affidamento)

E’ condivisibile la scelta di
semplificare ed unificare la procedura, attraverso l’introduzione di una netta
distinzione tra la fase di scelta del contraente, che culmina
nell’aggiudicazione, quale atto unilaterale dell’amministrazione, e la
stipulazione del contratto.

Viene
così superata la disciplina di cui al Rd 2440/23 che ha comportato diversi
problemi interpretativi.

Il comma 10 dell’articolo 11
prevede che il contratto non può comunque essere
stipulato prima di trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del
provvedimento di aggiudicazione; ciò in relazione ad una procedura di
infrazione contro l’Italia proprio per la mancata previsione di tale termine.

Valuterà l’amministrazione se le
contestazioni mosse in sede comunitaria consentono, o meno,
l’inserimento di una clausola di deroga al citato articolo 11, comma 10, nel
senso di prevedere che il divieto di stipulare il contratto prima di trenta
giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di
aggiudicazione operi salvo motivate ragioni di particolare urgenza che non
consentono all’amministrazione di attendere il decorso del predetto termine
(ciò al fine di rendere meno rigido il divieto nei soli casi di estrema urgenza
di procedere).

In tal caso, il divieto andrebbe comunque mantenuto fermo, senza deroghe, per le
infrastrutture strategiche (essendo stata generalizzata la regola nel Codice, è
stata conseguentemente eliminata dall’articolo 246, che riproduce l’articolo 14
del D.Lgs 190/02).

Infine, si osserva che l’articolo
11 non si occupa della questione della sorte del contratto a seguito
dell’annullamento giurisdizionale o in via di autotutela
dell’atto di aggiudicazione. Trattandosi di questione su cui non vi è ancora
sufficiente chiarezza in giurisprudenza e dottrina, tale scelta può essere
condivisa, anche se si deve tenere presente che proprio nel parere motivato
relativo alla già menzionata procedura di infrazione
la Commissione europea ha fatto presente che la tesi del travolgimento del
contratto a seguito dell’annullamento dell’aggiudicazione va certamente nella
direzione di una tutela più efficace, ma non può considerarsi un dato acquisito
dell’ordinamento giuridico italiano in presenza di una giurisprudenza non
consolidata e in assenza di una norma espressa e vincolante di carattere
generale.

Articolo 12 (Controlli sugli atti
delle procedure di affidamento)

Si consiglia di rendere più
snello il testo, accorpando le disposizioni in un unico comma e valutando la
possibilità di inserirlo nel precedente articolo 11.

Quanto al comma 4, esso appare
eccessivamente generico (la disciplina antimafia è già fatta salva
nell’articolo 247): si consiglia quindi di valutare se mantenerlo o meno.

Articolo 14 (Contratti misti)

La norma nel disciplinare i
contratti misti recepisce correttamente le direttive,
optando per un criterio qualitativo al fine di individuare la disciplina
applicabile ed utilizzando il criterio quantitativo solo quale criterio
esegetico per determinare quale sia la prestazione principale, ferma restando
la prevalenza del criterio qualitativo quando una delle prestazioni sia
meramente accessoria rispetto alle altre.

Si consiglia di semplificare la formulazione del comma 3 eliminando l’inciso “e
conseguentemente un contratto pubblico è considerato “appalto pubblico di
lavori” o “concessione di lavori pubblici”, che appare superfluo rispetto alla
ratio della norma.

Articolo 16 (Contratti relativi alla produzione e al commercio di armi, munizioni e
materiale bellico)

Si segnala che l’articolo 10
della direttiva n. 2004/18 prevede che essa si applichi agli appalti pubblici
aggiudicati dalle amministrazioni aggiudicatrici nel settore della difesa,
fatto salvo l’articolo 296 del Trattato. Tale norma, al par. 1, lettera b),
stabilisce che ogni Stato membro può adottare le misure che ritenga necessarie
alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza e che si
riferiscano alla produzione o al commercio di armi,
munizioni e materiale bellico e che tali misure non devono alterare le
condizioni di concorrenza nel mercato comune per quanto riguarda i prodotti che
non siano destinati a fini specificamente militari. Viene
aggiunto che il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della
Commissione, può apportare modificazioni all’elenco, stabilito il 15 aprile 1958,
dei prodotti cui si applicano le disposizioni del paragrafo 1, lettera b).

In conformità a tali disposizioni
l’articolo 4 del D.Lgs 358/92 ha escluso
dall’applicazione del decreto “le forniture riguardanti, nel settore della
difesa, la fabbricazione o il commercio di armi, munizioni e materiale bellico
di cui all’elenco deliberato dal Consiglio delle Comunità europee ai sensi
dell’articolo 223, paragrafo 2, del Trattato; tale esclusione non riguarda i
prodotti che non sono destinati a fini specificamente militari”. L’articolo 16
del Codice esclude invece tutte le forniture di armi,
munizioni e materiale bellico senza fare più riferimento all’elenco deliberato
dal Consiglio.

Occorre quindi che tale
riferimento venga ripristinato senza modificare il
citato articolo 4 del D.Lgs 358/92.

Si consiglia inoltre di eliminare
dal comma 2 dello stesso articolo 14 il riferimento alle direttive del
ministero della Difesa, che non hanno carattere
normativo.

Articolo 26 (Contratti di
sponsorizzazione)

L’articolo 26 disciplina
i contratti di sponsorizzazione, prevedendo che quando i lavori, i
servizi, le forniture sono acquisiti o realizzati a cura o a spese dello
sponsor, si applicano soltanto le disposizioni in materia di requisiti
soggettivi dei progettisti e degli esecutori del contratto.

La norma riproduce, con
estensione ai servizi e alle forniture, l’articolo 2, comma 6, della legge
109/94, che esclude dal proprio ambito di applicazione
i contratti di sponsorizzazione, imponendo la sola applicazione delle norme in
tema di qualificazione (con riferimento agli appalti di lavori pubblici
concernenti i beni culturali, l’articolo 2 del D.Lgs 30/2004 contiene analoga
disposizione).

L’espressa previsione
dell’utilizzo da parte della Pa di contratti di sponsorizzazione, accordi di
collaborazione e convenzioni con soggetti privati, prevista dall’articolo 119
del D.Lgs 267/00 e dall’articolo 43 della legge
449/97, non esclude la necessità di fare ricorso a procedure aperte e
trasparenti per individuare il soggetto con cui stipulare il contratto di
sponsorizzazione.

La realizzazione o acquisizione
di lavori, servizi e forniture a spese di uno sponsor arreca
un vantaggio all’amministrazione, ma attribuisce anche un beneficio allo
sponsor, che ha un ritorno indiretto, in termini di immagine o altro,
dall’operazione.

Per tali ragioni può sussistere
l’esigenza che anche la possibilità di diventare sponsor della Pa venga aperta in modo trasparente a più aspiranti.

Il problema non è risolto dal successivo articolo 27, che introduce principi di
trasparenza anche per i contratti esclusi, in quanto si potrebbe sostenere che
l’invito ad almeno cinque concorrenti previsto dall’articolo 27 possa essere
ritenuto non compatibile con l’oggetto del contratto di sponsorizzazione.

Per tali ragioni si consiglia di
esplicitare la necessità di un confronto tra gli eventuali aspiranti sponsor.
Difatti, proprio in relazione ad un tipico servizio, quale quello
di tesoreria, si è formata una giurisprudenza che ha ammesso l’inclusione di
formule di sponsorizzazione o assimilabili, grazie alle quali l’amministrazione
non corrisponde alcun corrispettivo per lo svolgimento del servizio, senza però
derogare all’obbligo di procedere con gara alla scelta del contraente (CdS, Ad.
Plen., n. 6/2002; VI Sezione, n. 6073/2001).

Articolo 28 (Importi delle soglie
dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria e revisione
periodica delle soglie)

Nell’indicazione dei testi
richiamati, viene citato il regolamento (CE)
1874/2004, successivamente modificato. Al riguardo sembra opportuno (se detta
indicazione sarà mantenuta) specificare che il richiamo si intende
fatto anche alle successive modificazioni, atteso che al detto regolamento (CE)
1874/2004 è subentrato, a decorrere dal 1° gennaio 2006, il regolamento (CE)
2083/2005. Inoltre, nella rubrica andrebbero soppresse le parole “e revisione periodica delle soglie”, la cui disciplina, come
indicato dalla stessa relazione, è contenuta nell’articolo 248.

Articolo 29 (Metodi di calcolo
del valore stimato dei contratti pubblici)

Al comma 6,
il concetto contenuto nella disposizione non è del tutto perspicuo.

Articolo 30 (Concessione di
servizi)

Al comma 5,
l’obbligo del soggetto titolare di diritti speciali o esclusivi circa il
rispetto del principio di non discriminazione dovrebbe essere esteso ai servizi
ed ai lavori, oltre che alle forniture, qualora ovviamente i relativi
affidamenti non soggiacciano alle norme del Codice in esame.

Si rileva una certa
contraddizione nella relazione. In essa si afferma che
la concessione di servizi si distingue dall’appalto di servizi in quanto il
servizio non è prestato a favore di un’amministrazione aggiudicatrice, bensì
della collettività. In realtà l’articolo 3, comma 10, definisce gli appalti
pubblici di servizi come i contratti aventi per oggetto la prestazione dei
servizi di cui all’allegato II. In tale allegato sono compresi servizi da
svolgere sia a favore di una amministrazione
aggiudicatrice che a favore della collettività. A sua volta, il comma 12
definisce la concessione di servizi come il contratto che presenta le stesse
caratteristiche di un appalto di servizi. Ciò fa sorgere perplessità
sull’opportunità di inserimento, nel Codice, di una
norma definitoria attesa la problematicità del quadro giuridico comunitario e
nazionale (si pensi al riparto di giurisdizione).

Articolo 32 (Amministrazioni
aggiudicatrici e altri soggetti aggiudicatori)

Al comma 1,
lettera g), la previsione del titolare del permesso di costruire quale soggetto
tenuto a seguire la disciplina del Codice, è conseguenza della sentenza della
Corte di giustizia 12 luglio 2001 (proc. C-399/98). In consonanza con tale
sentenza sembrerebbe opportuno fare riferimento, nella norma, ad entrambe le
ipotesi alternative previste nel caso in cui detto soggetto proceda
alla realizzazione delle opere a scomputo del contributo di urbanizzazione – e
cioè: a) alla loro realizzazione mediante appalto a terzi, ovvero b) al ricorso
all’istituto del promotore delineato dal testo in esame – consentendogli la
scelta fra le stesse.

Al comma 3, la norma, concernente
l’affidamento di servizi e lavori cd. in house, pone
anzitutto un problema di astratta compatibilità con la sentenza della Corte di
giustizia CE 11 gennaio 2005 “Stadt Halle”, che ha affermato la necessaria
osservanza delle procedure di affidamento degli appalti pubblici previste dalla
direttiva n. 92/50 e successive modificazioni, dettata in materia di servizi,
anche nelle ipotesi in cui un’amministrazione aggiudicatrice intenda concludere
un contratto a titolo oneroso con una società, da essa giuridicamente distinta,
nella quale detiene una partecipazione.

Riguardo poi alla previsione di applicazione della norma nell’ambito specifico della
materia dei lavori pubblici, è da osservare come essa faccia venire meno il
c.d. divieto di in house providing finora vigente in detta materia, consentendo
anche per questi appalti di ricorrere agli affidamenti diretti alle società
miste alle condizioni ivi previste. Ora, sul piano della opportunità,
rimesso alla valutazione del Governo, dovrebbero essere attentamente valutati
gli effetti pratici della disposizione, soprattutto in relazione all’impatto
sulla concorrenza ed al rischio di creazione di mercati “riservati” dei lavori
pubblici. Sul piano poi più strettamente giuridico, va segnalato che la norma,
mentre, come si è detto, innova espressamente ed incisivamente la disciplina
finora vigente, non trova nel contempo corrispondenza in una previsione della
direttiva comunitaria. Si pone, pertanto, il problema della sua conformità alla
delega, apparendo dubbio che essa possa legittimarsi in virtù del richiamo al
mero “coordinamento” di cui alla lettera a) dell’articolo 25
della legge 62/2005, o che in tale norma possa ravvisarsi una portata di
semplificazione.

In ogni caso, ove si intenda mantenere la previsione, sul presupposto di una
portata ampia della legge delega, che in ogni caso chiama il Governo alla
definizione di un nuovo quadro giuridico per il recepimento, dovrebbe risultare
chiaro che la gara per la scelta del socio è stata svolta in vista proprio
della realizzazione dell’opera pubblica o del servizio che successivamente si
affida senza gara, con menzione delle caratteristiche dell’opera e del servizio
nel bando della gara celebrata per la scelta del socio. Ciò al fine di
assicurare che il mercato sia stato messo in grado di conoscere la serie di atti che vengono poi posti in essere con l’affidamento
diretto.

Articolo 36 (Consorzi stabili)

Si deve rilevare che il comma 1
prevede la figura del consorzio stabile come diretta ad operare nel settore dei
contratti pubblici in generale, mentre le restanti disposizioni dell’articolo
si riferiscono in modo quasi esclusivo al settore lavori.
È vero al riguardo che dalla relazione si evince che questa dovrebbe essere la
ratio della disposizione, ma, a parte l’opportunità – in tal caso – di
segnalare tale intenzione sin dal comma 1, si osserva
che la figura del consorzio stabile può essere utilizzata anche nel settore
delle forniture e dei servizi.

Articolo 37 (Raggruppamenti
temporanei e consorzi ordinari di concorrenti)

Si osserva che il comma 1
contiene quattro capoversi. Appare necessario, per ragioni di tecnica legislativa,
scindere le quattro previsioni in tre distinti commi.

Quanto al comma
6, sembra opportuno, alla fine della disposizione, aggiungere una
clausola di salvezza, inserendo l’espressione “qualora non sia diversamente
disposto” o, come forse sarebbe meglio, “salvo quanto disposto ai commi 15 e
16”.

Articolo 38 (Requisiti di ordine generale)

Nella formulazione della
disposizione occorre tenere conto del recente D.Lgs 9
gennaio 2006, n. 5. In particolare, si segnala che la procedura di amministrazione controllata è stata soppressa
dall’articolo 147, comma 2, del citato decreto. Per quanto concerne poi il
comma 1, lettera c), si ritiene che, nella elencazione
dei reati che possono portare all’esclusione dalla gara, sia necessario
indicare, in primo luogo, i reati previsti dal Codice penale italiano e,
successivamente, quelli indicati dalla direttiva comunitaria.

Articolo 40 (Qualificazione per
eseguire lavori pubblici)

La qualificazione delle imprese
partecipanti alle gare costituisce uno degli aspetti più delicati del sistema,
che ha manifestato nei controlli il suo punto debole. E’ dunque positiva – come si è già rilevato riguardo agli articoli 6,
7, 8 e 9 – la maggiore incisività dell’attività di vigilanza dell’Autorità dei
lavori pubblici.

Rimane la difficoltà di accertare
l’effettiva indipendenza degli organismi di attestazione
(SOA) e, pertanto, va reinserita l’affermazione del principio secondo cui
l’attività di attestazione deve essere esercitata nel “rispetto del principio
di indipendenza di giudizio” e garantendo “l’assenza di qualunque interesse
commerciale o finanziario che possa determinare comportamenti non imparziali o
discriminatori”.

Meritevole di modifica va anche
considerata l’attuale impossibilità di graduare le sanzioni nei confronti delle
SOA che si rendono colpevoli di irregolarità
procedimentali o di vere e proprie illegittimità nel rilascio delle
attestazioni. Allo stato, le due ipotesi sono sanzionate con la revoca
dell’autorizzazione, il che porta, sia pure in casi-limite, a non sanzionare
mere irregolarità che peraltro, se ripetute, sono comunque
indizio di un funzionamento non ottimale di un organismo che dovrebbe
assicurare la presenza sul mercato di imprese sane.

Articolo 41 (Capacità economica e
finanziaria dei fornitori e dei prestatori di servizi)

Si segnala che al
comma 4, probabilmente per un refuso, al posto della parola
“intermediari” si trova la parola “funzionari”.

Articolo 49 (Avvalimento)

In relazione al
comma 1, l’avvalimento è previsto dalle direttive comunitarie e pertanto, in
questa sede, non appare possibile contestare la legittimità del suo inserimento
nell’ordinamento giuridico italiano, pur potendosi a ragione prevedere un
effetto dirompente nei confronti delle piccole e medie imprese edili.

In ogni caso, tra i limiti che la
relazione afferma di voler porre per evitare manovre
elusive e turbative di gara dovrebbe prevedersi che, una volta avvenuta
l’aggiudicazione all’impresa ausiliata, dell’avvalimento sia data comunicazione
alla Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici e che esso sia debitamente
pubblicizzato, anche in vista dei suoi possibili riflessi sulle gare
successive.

A proposito, poi, della
previsione dell’avvalimento nella ipotesi di
particolari attrezzature possedute da un ristretto ambito di imprese di cui al
comma 8bis, sembra opportuno eliminare l’inciso “sino ad un massimo indicato
nel bando stesso”, in quanto in tal modo si darebbe la possibilità all’impresa
che possiede le attrezzature in questione di influire sulla gara concedendo
l’attrezzatura all’uno piuttosto che all’altro dei concorrenti.

Articolo 53 (Tipologia e oggetto
dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture)

Il comma 1 prevede che i lavori
pubblici possano essere realizzati esclusivamente mediante contratti di appalto o concessione, come definiti nell’articolo 3.

La relazione afferma che siffatta
prescrizione è idonea a porre un punto fermo sulla questione della
idoneità ad acquisire opere pubbliche mediante vendita o locazione di
cosa futura, o leasing immobiliare. Non si comprende se una simile affermazione
sia diretta a sancire l’impossibilità di utilizzare i contratti da ultimo
citati. Se così fosse, la stessa relazione sarebbe in
contraddizione con se stessa, laddove – immediatamente dopo – afferma che
l’appalto può comprendere l’esecuzione con qualsiasi mezzo dell’opera, e
pertanto – sembra – con qualsiasi strumento contrattuale, quindi anche con la
vendita di cosa futura o il leasing immobiliare. Al riguardo si deve comunque osservare che una limitazione del genere precluderebbe
la possibilità di ricorrere ai richiamati contratti, quando situazioni
particolari lo richiedano (si pensi all’opera da eseguire su un’area
precisamente individuata, non sostituibile in alcun modo, di proprietà di
un’impresa costruttrice: secondo la relazione si dovrebbe procedere dapprima ad
espropriare l’area e successivamente ad indire la gara, con irragionevole
aumento di tempi e di costi).

Il comma 2 consente alle stazioni
appaltanti di avvalersi – “tenendo conto delle esigenze, delle strutture
organizzative e dei mezzi economici” a propria disposizione – delle figure sia
dell’appalto di sola esecuzione dei lavori, sia
dell’appalto di progettazione ed esecuzione dei lavori (c.d. appalto
integrato). In questo secondo caso è loro dato commettere, sempre sulla base
del delineato presupposto, unitamente all’esecuzione dei lavori, o la
progettazione esecutiva ovvero quella definitiva ed esecutiva.

Si è già osservato nella parte
generale che si tratta di una delle norme maggiormente innovative della
disciplina attualmente vigente, ma si è anche detto
che essa è coerente con la disciplina europea e con la delega.

In aggiunta alle osservazioni
formulate nella parte generale si può osservare, in ordine
alla delibera a contrarre che disponga l’appalto integrato, che potrebbe
richiedersi con maggiore incisività una analitica motivazione atta a dar conto
delle ragioni economiche, tecniche ed organizzative circa la determinazione
assunta, con miglioramento della trasparenza delle scelte di base normalmente
effettuate all’atto di impostare le gare pubbliche.

Articolo 56 (Procedura negoziata
previa pubblicazione di un bando di gara)

Al comma 1, l’aggettivo “inaccettabili”,
riferito alle offerte, appare impreciso anche se – da
una lettura letterale del contesto della norma – sembra riferito alla sola
ipotesi del dialogo competitivo.

Articolo 57 (Procedura negoziata
senza previa pubblicazione di un bando di gara)

Si richiamano le considerazioni
innanzi svolte a proposito dell’articolo 53, comma 2, che presenta
problematiche di carattere generale simili.

Articolo 58 (Dialogo competitivo)

Il dialogo competitivo sembra
rappresentare uno strumento interessante ai fini dell’esecuzione delle opere
pubbliche.

Il meccanismo sembra peraltro
ancora da affinare.

Articolo 62 (Numero minimo dei
candidati da invitare nelle procedure ristrette, negoziate e nel dialogo
competitivo – Forcella)

Si rileva che, nel recepimento
dell’istituto del c.d. numero minimo, la scelta del Governo è stata nel senso
di indicare nel bando di gara i criteri e le norme, obiettivi e non
discriminatori, che si intendono applicare nonché il
numero minimo dei candidati che si intendono invitare.

Si inserisce
la specificazione che si deve trattare di criteri e norme “pertinenti
all’oggetto del contratto”.

Tale specificazione non è nel
testo della direttiva e si segnala che apparentemente essa potrebbe comportare
una limitazione eccessiva della discrezionalità amministrativa e del buon
andamento dell’azione amministrativa. Sembrerebbe, pertanto, preferibile
fissare le possibilità di scelta dell’amministrazione (relative alla individuazione dei candidati da invitare) con riguardo
a determinate caratteristiche – indicate in modo trasparente ed oggettivo –
anche dei soggetti e non solo dell’oggetto del contratto.

Invero,
la pertinenza all’oggetto del contratto dei criteri e delle norme limitative
della partecipazione non sembra poter escludere qualche rilevanza di
limitazioni soggettive che trovino ragione in peculiari caratteri dell’oggetto
del contratto e delle prestazioni. Del resto, proprio per questo motivo,
l’articolo 44 della direttiva prevede che le amministrazioni possano richiedere
livelli minimi di capacità per un determinato appalto, connessi e proporzionati
all’oggetto del contratto.

Quanto poi al numero massimo di
candidati, si ritiene che esso possa essere stabilito senza riguardo alle
stesse ragioni oggettive, ma debba allora tenersi conto delle esigenze di efficienza della procedura.

Valuti il Governo, quindi,
l’opportunità della riformulazione dell’inciso “pertinenti all’oggetto del
contratto”, inserendo il riferimento ai livelli minimi di capacità di cui
all’articolo 44, comma 2, che gli offerenti devono possedere, nonché parametrando l’istituto della forcella (ossia la
fissazione del numero massimo dei candidati) ad esigenze di buon andamento
dell’azione amministrativa.

Articolo 66 (Modalità di
pubblicazione degli avvisi e dei bandi)

Non trova alcuna giustificazione
ed appare, anzi, in contrasto con il principio generale di semplificazione
la previsione che meccanicamente reintroduce, a livello di fonte
legislativa (e non di regolamento), la pubblicazione degli avvisi e dei bandi
sui quotidiani.

Essa suscita, inoltre,
perplessità anche sotto il profilo dell’incremento dei costi e va pertanto
espunta dal testo. Peraltro, anche la contestuale pubblicazione sul sito informatico
dell’Osservatorio presso l’Autorità e su quello
previsto dal Dm 20/2001 (a cui le Regioni contribuiscono senza apparenti
aggravi di costo per gli utenti) appare un appesantimento non del tutto
comprensibile. In via generale sarebbe comunque
necessario attuare, in questa sede, la previsione di cui all’articolo 24 della
legge n. 340 del 2000, disponendo l’abolizione della pubblicazione dei bandi
sulla Gazzetta Ufficiale e la loro pubblicazione su un unico sito informatico,
che dovrebbe essere individuato dallo stesso Codice.

Articolo 68 (Specifiche tecniche)

Si suggerisce di esplicitare nel
testo l’applicabilità della norma agli appalti sotto soglia, menzionata nella
relazione.

Articolo 69 (Condizioni
particolari di esecuzione del contratto prescritte nel
bando o nell’invito)

La norma disciplina condizioni
particolari di esecuzione del contratto prescritte nel
bando o nell’invito, attraverso la sostanziale trasposizione del testo delle
direttive (articoli 26 della direttiva n. 18, e 38 della direttiva n. 17 le
quali, sul punto, non hanno precedenti nella normativa comunitaria) integrandolo
con riferimento ai principi del Trattato di parità di trattamento, non
discriminazione, trasparenza e proporzionalità.

Peraltro va rilevato che la norma
(comunitaria come nazionale) è intrinsecamente ambigua, poiché le peculiari
condizioni di esecuzione possono incidere sulle
condizioni di concorrenzialità del mercato, in modo tale da discriminare o
pregiudicare alcune categorie di imprenditori, così determinando
un’incompatibilità delle previsioni del bando o dell’invito con il diritto
comunitario.

A fini di certezza del diritto si
potrebbe prevedere che l’Autorità indipendente del settore svolga un ruolo
consultivo o di controllo sulla legittimità dei bandi e degli inviti che
abbiano inserito condizioni particolari di esecuzione,
rispetto alle quali possano sorgere dubbi di compatibilità comunitaria.

Articolo 70 (Termini di ricezione
delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte)

La norma appare non perfettamente
coordinata con il comma 11 che prevede, in attuazione dell’articolo 38, comma
8, della direttiva citata, i termini minimi da rispettare in via eccezionale in
caso di impossibilità di rispettare i termini minimi
ordinari nelle procedure ristrette (disciplinate dai commi 3 e 4) e nelle
procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara (già disciplinate dal
comma 5).

Si rileva in particolare che
alcun termine minimo è previsto per la ricezione delle offerte nel caso
dell’impossibilità di rispettare i termini minimi
ordinari di cui al comma 5, con riferimento alle procedure negoziate non
precedute da pubblicazione di bando di gara ed al dialogo competitivo (pure
disciplinate dal comma 5). Sicché per tali procedure andrebbe quantomeno
precisato che, per quanto possibile, l’amministrazione dovrà
rispettare la clausola generale di cui allo stesso articolo 70, comma 1.

Articolo 73 (Forma e contenuto
delle domande di partecipazione)

L’articolo 73, che introduce una
nuova disciplina sulla forma e sul contenuto delle domande di partecipazione,
non ha un corrispondente nelle direttive e nel diritto nazionale previgente. La
relazione al testo specifica di avere ritenuto opportuno introdurre una norma
generale su forma e contenuto delle domande di partecipazione, codificando
alcuni principi che costituiscono diritto vivente.

Per il suo contenuto
la disciplina potrebbe trovare sede più appropriata nel regolamento,
essendo comunque ovvio che, anche se elevata al livello legislativo, non è
vincolante per le Regioni.

Articolo 81 (Criteri per la
scelta dell’offerta migliore)

La delega, all’articolo 25, comma
1, lettera d), contiene un esplicito conferimento di potere al Governo, volto
all’adeguamento della normativa alla sentenza della Corte di giustizia delle
Comunità europee del 7 ottobre 2004 nella causa C-247/02, per
cui la norma in esame costituisce puntuale attuazione del criterio
direttivo di delega menzionato.

La disposizione del Codice ha
rimesso la scelta tra i criteri di aggiudicazione
all’amministrazione, che dovrà orientarsi secondo un parametro di adeguatezza
alle caratteristiche dell’oggetto del contratto.

Rileva la Sezione che – al di là della precisa definizione della nozione di oggetto
del contratto ai fini della esegesi della norma in esame – sarebbe preferibile
non limitare il parametro del potere dell’amministrazione in relazione al solo
oggetto del contratto, potendo la valutazione amministrativa valorizzare la
natura del contratto ed ogni sua caratteristica peculiare; in caso contrario,
il testo corre il rischio di ridurre, nel diritto vivente, la portata
innovativa della citata sentenza della Corte, volta ad ampliare la scelta del
metodo di aggiudicazione.

Articolo 83 (Criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa)

Al comma 5
è citato un decreto abrogato, il Dpcm 116/97: pertanto va soppresso il relativo
riferimento e “compatibili” va messo al singolare.

Articolo 84 (Commissione
giudicatrice nel caso di aggiudicazione con il
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa)

La norma detta, in conformità al
diritto nazionale previgente, ma generalizzandone la portata, la disciplina
della commissione giudicatrice nel caso di aggiudicazione
con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, rimettendo il
resto alla naturale sede regolamentare. Rimane comunque
fermo che la materia per sua natura rientra nella competenza esclusiva delle
Regioni.

Si segnala, inoltre, che
meriterebbe di trovare soluzione, nell’ambito del vasto riordino delle fonti posto in essere, la problematica della possibilità
dell’eventuale riconvocazione della commissione, nella stessa od in diversa
composizione, dopo l’annullamento del provvedimento di aggiudicazione, tematica
che di recente è stata discussa nella giurisprudenza del Consiglio di Stato con
alterne pronunce e che ben potrebbe disciplinarsi in modo puntuale di fronte ad
una delega di tale ampiezza, al fine di dare certezza all’attività di
rinnovazione delle valutazioni o, comunque, all’esecuzione dei giudicati
d’annullamento (cfr. sulla tematica CdS, Sezione
sesta, 6457/04; CdS, Sezione quarta, 4834/04; CdS, Sezione quinta, 340/02).

Articolo 90 (Progettazione
interna ed esterna, livelli di progettazione)

Al comma 1, lettera h), viene indicato, al termine dell’alinea, l’articolo 235,
comma 7, che non esiste nel testo proposto. Trattasi di evidente
refuso. Il riferimento potrebbe essere all’articolo 35, comma 7, che infatti tratta di consorzi stabili.

Articolo 92 (Corrispettivi e incentivi
per la progettazione)

In sede tecnica, la Conferenza
unificata ha rilevato che nel testo della norma mancherebbe il riferimento ai
minimi tariffari previsti dall’ultimo decreto ministeriale: il rilievo peraltro
non tiene conto che nell’articolo 253 (Norme
transitorie), al comma 17, si stabilisce che fino all’emanazione del decreto di
cui all’articolo 92, comma, 2, continua ad applicarsi quanto previsto nel
decreto del Ministro della giustizia del 4 aprile 2001.

Articolo 95 (Verifica preventiva
dell’interesse archeologico in sede di progetto preliminare)

Si segnala, nell’ambito del comma
2 (riproduttivo dell’omologo comma 2 del testo originario), la soppressione
della parte relativa alla previsione di spesa per il
2006 e 2007.

La relazione unica agli articoli
95 e 96 chiarisce che non si è ritenuto di riproporre
le disposizioni in tema di regime transitorio e di copertura finanziaria in
quanto il provvedimento non comporta nuovi o maggiori oneri.

Al comma 4
– ove si tratta delle integrazioni istruttorie – sembra preferibile mantenere
l’avverbio originario “puntualmente”, ora sostituito con “fedelmente”.

Articolo 96 (Procedura di
verifica preventiva dell’interesse archeologico)

E’ opportuno inserire
nell’articolo una disposizione riproduttiva del testo dell’art 2-quinquies del Dl, il quale disciplina, mediante rinvio, gli
adempimenti delle Regioni e delle Province autonome in tema di verifica
preventiva dell’interesse archeologico per le opere di loro competenza.

In effetti,
nella relazione unica agli articoli 95 e 96 si fa riferimento all’articolo
2-quinquies, mentre le norme ora riprodotte sono solo quelle degli articoli
2ter e 2quater del Dl 63/2005. Per rendere più agevole l’esame del
testo, si segnala che, nella relazione, la specificazione relativa
alla mancata riproposizione delle disposizioni in tema di regime
transitorio va puntualizzata, registrando la collocazione nelle norme
transitorie (articolo 253, comma 19) del comma 8 dell’articolo 2ter del Dl 63
cit.

Articolo 98 (Effetti
dell’approvazione dei progetti ai fini urbanistici ed espropriativi)

Occorre verificare se l’articolo
14, comma 13, della legge 109/94 (“L’approvazione del progetto definitivo da
parte di una amministrazione aggiudicatrice equivale a
dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori”)
avesse sempre valore meramente ricognitivo del disposto di altre normative
specifiche o non piuttosto, sia pure in ipotesi marginali, portata costitutiva.

In questo caso, l’abrogazione della legge quadro comporta che la norma di chiusura
successivamente introdotta nella legge non fa più parte delle “norme vigenti”
tenute ferme dall’articolo 98, con perdita dell’effetto costitutivo
(dichiarazione di pubblica utilità implicita).

Il secondo comma riproduce
l’articolo 38bis della legge 109/1994, la cui rubrica originaria recava
“Deroghe in situazioni di emergenza ambientale”. Nel
testo attuale, il riferimento alla deroga viene omesso
e la disposizione assume, così, un carattere a regime.

Al riguardo si segnala che la
Corte costituzionale – giudicando della legittimità del Dpr 447/96 in tema di insediamento di attività produttive mediante variante
semplificata – con sentenza n. 206 del 2001 ha in sostanza reintrodotto
l’obbligo dell’assenso regionale alla variante, prima non previsto, onde
recuperare il ruolo fondamentale che spetta alla regione (oltre che al comune)
nell’ambito del giusto procedimento in materia urbanistica.

Articolo 99 (Ambito di applicazione e oggetto)

Al comma 2, le parole “il
presente titolo” vanno sostituite con le seguenti: “la
presente sezione”.

Articolo 100 (Concorsi di
progettazione esclusi)

Il rinvio al
comma 11 dell’articolo 219 sembra frutto di un refuso, in quanto tale
comma non esiste.

Articolo 101 (Disposizioni
generali sulla partecipazione ai concorsi di progettazione)

Al comma 2,
per una più agevole lettura, l’inciso”per i lavori” potrebbe essere collocato,
anziché all’inizio del comma, dopo le parole “concorsi di progettazione”, nella
stessa riga.

Articolo 102 (Bandi e avvisi)

Il comma 3 è sostanzialmente
riproduttivo della disposizione di cui all’articolo 66, comma 15 alla quale
quindi sarebbe sufficiente fare rinvio. Tuttavia, ove si volesse mantenere in
forma estesa la disposizione, questa andrebbe comunque
corretta sostituendo l’inciso “in conformità ai commi che precedono” con il
seguente: “secondo le modalità di cui ai commi che precedono”.

Articolo 103 (Redazione e
modalità di pubblicazione dei bandi e degli avvisi relativi
ai concorsi di progettazione)

Nella relazione è erroneamente
indicato come fonte l’articolo 71 della direttiva, anziché l’articolo
70.

Articolo 105 (Selezione dei
concorrenti)

Per garantire il rispetto della effettiva concorrenza, postulato dall’articolo 72 della
direttiva, in caso di limitata partecipazione viene previsto un numero minimo
di dieci concorrenti: si tratta di una scelta di carattere discrezionale, che
appare comunque coerente con la sistematica del Codice.

Articolo 107 (Decisioni della
commissione giudicatrice)

L’articolo recepisce
l’articolo 74 della direttiva n. 18 con talune modifiche non sostanziali
(inversione dei commi 3 e 4 dell’articolo 74; sostituzione delle parole “sino
al parere o alla decisione della commissione aggiudicatrice” con le altre “sino
alla conclusione dei lavori”) che sembrano però introdurre un profilo di
illogicità del testo proposto.

Infatti,
se la commissione deve rispettare l’anonimato “fino alla conclusione dei
lavori” non può instaurare un dialogo con i concorrenti.

Si suggerisce pertanto di
ricalcare più puntualmente il testo della direttiva, che
infatti impone l’anonimato solo fino all’adozione dell’eventuale parere
sui punti che vanno chiariti.

Articolo 108 (Concorso di idee)

La disposizione in esame riprende
la disciplina dettata dall’articolo 57 del Dpr 554/99,
apportandovi condivisibili modifiche.

In particolare, al comma 2 la
parola “tempo” (“il tempo di presentazione della proposta”) è stata sostituita
dalla più appropriata parola “termine”, mentre il
comma 4 sottolinea la necessità, peraltro indiscussa pur a fronte del dubbio
testo del Dpr, che il “congruo premio per l’idea migliore” sia predeterminato
nel bando di gara.

Va sottolineato
tuttavia che al comma 3, secondo periodo (“Per i lavori, nel bando non possono
essere richiesti elaborati di livello superiore a quelli richiesti per il
progetto preliminare”) le parole “per i lavori” sono aggiunte, così
determinandosi una possibile restrizione dell’area di operatività della norma
rispetto all’omologa previsione del regolamento: si tratta di modifica, pur
compatibile con il criterio di semplificazione di cui alla legge delega, che
appare di dubbia opportunità.

Articolo 109 (Concorso in due
gradi)

L’articolo evoca, con alcune
varianti formali, le previsioni racchiuse nell’articolo 59, commi 6 e 7, del
Dpr 554/9: risulta erroneo, pertanto, il richiamo
della rubrica all’articolo 58 di quel testo normativo, che disciplina il
contenuto del bando per il concorso di idee.

Del citato comma 6 sono state
soppresse le seguenti frasi: “Per i premi e i rimborsi spese si applica quanto previsto ai commi 4 e 5. I tempi di
presentazione delle proposte non possono essere inferiori a novanta giorni per
il primo grado e a centoventi giorni per il secondo grado”. La soppressione
sembra coerente con l’ottica della semplificazione di cui alla legge delega.

Articolo 111 (Garanzie che devono
prestare i progettisti)

Il comma 2 (di carattere
innovativo) demanda alla fonte regolamentare (nel rispetto del comma 1 e nei
limiti di compatibilità) la disciplina delle garanzie dovute dai progettisti
negli appalti di servizi e forniture, stabilendo una soglia minima (un milione di euro) al di sotto della quale non sono dovute garanzie.
La norma pone obblighi nuovi a carico dei professionisti incidendo sulle
modalità di esplicazione dell’attività professionale. Pur opportuna, la norma appare quindi di dubbia
compatibilità con i limiti della delega. In questa stessa ottica non appaiono
fondate le richieste delle Regioni che intendono estendere la garanzia
assicurativa anche ai geologi e a tutte le figure che concorrono alla
definizione della progettazione esecutiva.

Articolo 112 (Verifica della
progettazione prima dell’inizio dei lavori)

In difformità rispetto
all’articolo 30, comma 6 (il quale prevede la verifica dei progetti prima
dell’inizio delle procedure di affidamento, ipotesi
non praticabile quando la progettazione è affidata, in parte,
all’aggiudicatario), sono previste diverse cadenze temporali della verifica
della progettazione, a seconda che la stessa sia separata dall’appalto di
lavori, o ne formi oggetto insieme all’esecuzione. Tale modificazione,
evidenziata pure dalla relazione, è chiaramente ispirata al criterio di delega
della semplificazione delle procedure attuali.

Articolo 113 (Garanzie di esecuzione e coperture assicurative)

L’articolo 113 (è erroneo il
richiamo della relazione all’articolo 100) generalizza
la soluzione racchiusa nell’articolo 30, commi 2, 2bis e 2ter della legge
109/94.

Nel comma 5 (e non nel comma 3,
come affermato nella relazione) è previsto che la garanzia copra gli oneri per
il mancato od inesatto adempimento e cessa di avere effetto solo alla data di emissione del certificato di collaudo provvisorio o del
certificato di regolare esecuzione. In tal modo si è opportunamente sanato un
difetto di coordinamento dell’articolo 30 della legge
109/94 con la reintroduzione del certificato di regolare esecuzione.

In questa fattispecie, pur a
fronte di una diffusa e condivisa esigenza, rappresentata anche nella
relazione, di una disciplina più fluida ed analitica del meccanismo di svincolo
progressivo della cauzione, il testo si mostra molto rigoroso nel non forzare i
limiti della delega: si tratta infatti di materia che
rientra nell’ambito dell’ordinamento civilistico.

Diversamente da come indicato
nella relazione, la norma transitoria di cui all’articolo 30, comma 2ter, ultimo periodo, della legge 109/94 non è riprodotta
tra le norme transitorie.

Articolo 115 (Adeguamento dei
prezzi)

L’articolo in esame riproduce il
comma 4 dell’articolo 6 della legge 537/93 – Interventi correttivi di finanza
pubblica – il quale recita: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o
continuativa debbono recare una clausola di revisione
periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla
base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione
di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6”.

Il richiamato
comma 4 è stato trasfuso nell’articolo in esame con la precisazione che
si tratta di contratti ad esecuzione periodica o continuativa “relativi a
servizi o forniture”.

Il meccanismo prima disciplinato dal richiamato comma 6 è oggi disciplinato
dall’articolo 7, commi 4 e 5, del Codice.

Si osserva, tuttavia, che ai
sensi dell’articolo 256 del Codice risulta abrogato
l’intero articolo 6 della legge 537/93, e non solo l’articolo 6 in parte qua
(come evidenziato nella relazione all’articolo 115).

Si sottolinea,
infine, la necessità di una revisione formale dell’ultimo periodo (di cui
all’articolo 7, comma 4, lettera c) e di cui al medesimo articolo 7, comma 5).

Articolo 117 (Cessione dei
crediti derivanti dal contratto)

L’articolo coordina in un unico
testo, con lievi adattamenti, le soluzioni incorporate nell’articolo 26, comma 5, della legge 109/94 e nell’articolo 115 del
regolamento, recato dal Dpr 554/99.

In ordine alla
forma della notifica delle cessioni di crediti sussistono oscillazioni nella
giurisprudenza e nella dottrina civilistica (in relazione al disposto ex
articolo 1264 Cc):

– secondo una prima tesi, per la
forma della notifica non è previsto alcun onere particolare (in giurisprudenza,
per la libertà di forma, cfr. Cassazione, Sezione terza, 9761/05, secondo cui
la “notificazione” – prevista dall’articolo 1264 Cc – non si identifica
con gli istituti dell’ordinamento processuale e non è, pertanto, soggetta a
particolari discipline o formalità, integrando un atto a forma libera);

– alcune pronunce di merito
ammettono anche che allo scopo di rendere efficace la cessione nei confronti
del ceduto sia sufficiente la comunicazione orale (cfr. C. App. Milano, 31
ottobre 1995);

– invece altra
tesi ritiene che debbano essere sempre rispettate le forme prescritte per la
notifica degli atti giudiziari (cfr. Cassazione, 341/69).

In considerazione della rilevanza
della materia, il riordino normativo dovrebbe quindi meglio specificare, pur
nei limiti della delega, l’onere a carico delle parti.

Articolo 118 (Subappalto)

La disposizione racchiude le
previsioni di molteplici disposti normativi: articolo 25 della direttiva n.
2004/18/CE, articolo 37 della direttiva n. 2004/17/CE, articolo 18, comma 3, n.
1) della legge 55/1990 (richiamato dall’articolo 16 del D.Lgs
358/92, dall’articolo 18 del D.Lgs 157/95 e dall’articolo 21 del D.Lgs 158/95).

L’articolo 18 della legge 55/1990
viene trasfuso nell’articolo 118 del Codice, con
alcune varianti lessicali: una di queste, “affidatari” in luogo di
“aggiudicatari” estende la portata originaria della norma a tutti i soggetti
con i quali, indipendentemente da una procedura di gara, sia stipulato un
contratto per la realizzazione di lavori, per la realizzazione di servizi o per
l’effettuazione di forniture. Indipendentemente dal lessico, in quanto sembra
che si possa essere aggiudicatari di contratti o contraenti, ma non affidatari
di contratti, la disposizione estende ad ipotesi non previste norme di
prevenzione della criminalità mafiosa che sono di
stretta interpretazione. Sembrerebbe pertanto più opportuno ripristinare il
termine “aggiudicatari”.

Articolo 118bis (Attività che non
costituiscono subappalto)

Si tratta di una previsione del
tutto nuova che esclude la configurabilità di subappalto (“per le loro
specificità”) per due categorie di forniture o di servizi:

a) l’affidamento di attività specifiche a lavoratori autonomi;

b) la subfornitura a catalogo di
prodotti informatici.

In relazione
alla lettera b), la ratio della disposizione è non facilmente
decifrabile: in ogni caso, il carattere fortemente innovativo ne rende dubbia
la compatibilità con i principi della legge delega.

Articolo 122. (Disciplina
specifica per i contratti di lavori pubblici sotto soglia)

Con riferimento
al comma 2, solleva forti riserve la scelta di ammettere la facoltatività
dell’avviso di preinformazione, posto che lo stesso concerne “l’importo complessivo stimato”
(articolo 35, par. 1, direttiva n. 18 e 41, par. 1, direttiva n. 17) di tutti i
contratti che l’amministrazione aggiudicatrice intende porre in essere in un
dato periodo.

L’avviso, così configurato,
assume una valenza programmatoria, anche per finalità di controllo sulla
conformità e congruenza delle decisioni in concreto assunte,
che non può ovviamente distinguere tra appalti sopra e sotto soglia. Proprio la
caratteristica di strumento di informazione
generale e per importi complessivi impone di non considerare facoltativo il
ricorso al medesimo.

Con riferimento al comma 5 (nel
fare rinvio alle osservazioni di carattere generale sull’importo che
costituisce diaframma tra diverse procedure tra contratti di lavori pubblici
sotto soglia), si osserva come siano state introdotte metodiche di
pubblicazione che, sulla falsariga di quanto si prescrive per i contratti sopra
soglia, finiscono per dare a taluni adempimenti una attitudine
preclusiva, che non risponde alla logica di semplificazione. Si allude, in
particolare, al termine di dodici giorni dalla trasmissione alla commissione,
che sicuramente integra una vicenda di mera pubblicità notizia. L’adempimento
di un onere a questi fini non può rivelarsi condizionante di adempimenti
rivolti, invece, alla piena conoscenza, tra gli operatori interessati,
dell’esistenza del bando.

L’intera struttura della
disposizione risente della stretta analogia con le prescrizioni relative ai bandi sopra soglia e va, sotto questo profilo,
opportunamente rimeditata.

Riguardo al
comma 6 si rinvia, per quanto concerne i contratti che hanno ad oggetto
progettazione ed esecuzione, alle osservazioni svolte in altra parte del
presente parere.

Alla stregua di quanto
considerato sub comma 2 dell’articolo vanno eliminate
le distinzioni tra contratti per i quali sia stata data preinformazione
con avviso e non.

Al comma 7 l’articolo introduce,
con intento di semplificazione, una ulteriore ipotesi
di trattativa privata, ricostruita con riguardo all’articolo 24, comma 1,
lettera a), della legge 109/94.

Si rammenta che in una vicenda
per certi versi analoga (relativa alla formulazione originaria dell’articolo
17, comma 12, della legge 109/94) fu aperta una procedura di infrazione
contro l’Italia. Nella legge comunitaria 2004 (legge 62/2005,
articolo 24) quel precetto è stato adeguatamente modificato. Va comunque tenuto presente il dichiarato sfavore
dell’ordinamento comunitario per tutte le fattispecie di trattativa privata.

Con riferimento al comma 9, va
rilevato che la scelta di mantenere l’esclusione automatica in esito alle
operazioni di individuazione della soglia di anomalia
è stata ritenuta non rispondente alla tendenza conformativa del diritto
comunitario, che propende nettamente per il mantenimento di un dialogo con le
imprese concorrenti così da consentire giustificazioni a corredo dell’offerta
anomala.

Articolo 123 (Procedura ristretta
semplificata per gli appalti di lavori)

L’articolo (che modifica la
licitazione privata semplificata in procedura ristretta semplificata) fa
registrare il raddoppio dell’importo entro il quale è
consentito il ricorso ad una licitazione privata semplificata e la contestuale
riduzione del numero dei partecipanti unitamente ad altre modifiche non solo
procedimentali.

Si tratta di modifiche che, al di
fuori di quelle esclusivamente procedimentali, non sembrano coerenti coi limiti della delega legislativa.

Non si analizzano, in questa
sede, i profili generali dell’interpretazione del combinato disposto degli
articoli 1, 2 e 25 di quel testo, già trattati in altra parte del presente
parere, ma solo quelli relativi alle denunciate modifiche.

Il problema ermeneutico concerne
la conformità delle su indicate variazioni rispetto ai
vigenti testi legislativi. La relazione allo schema giustifica le innovazioni
in base al criterio della semplificazione previsto
dall’articolo 25 della legge 62/2005.

La modificazione legislativa non
è, in linea di principio, estranea alle metodiche di semplificazione tutte le
volte che nei principi e criteri direttivi della delega sia
sufficientemente chiaro il complesso di elementi sui quali il legislatore delegato
è chiamato ad intervenire. Ben diversa è la situazione, propria del caso di
specie, nella quale i principi sono vaghi e generici e si appuntano
esclusivamente sulla fase procedurale. La formula normativa su riportata è di
quasi totale indeterminatezza, ad eccezione del riferimento al contenimento dei
tempi. Postulare che “la massima flessibilità degli strumenti giuridici” sia
concetto di tale chiarezza da avere una valenza legittimante in
ordine a modifiche significative di norme di legge tuttora vigenti
sembra contrario all’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 280/04),
secondo il quale, quando i principi e criteri direttivi sono sostanzialmente
vaghi, deve essere data una lettura "minimale", tale comunque da non
consentire, di per sé, l’adozione di norme delegate sostanzialmente innovative
rispetto al sistema legislativo previgente.

La proposta modificazione degli
importi non può quindi essere condivisa.

Da ultimo si segnala che al comma 4, per un evidente errore materiale, mancano le
parole “domanda per” da collocare dopo la parola “presentare”.

Articolo 124 (Appalti di servizi
e forniture sotto soglia)

Si ripetono, per questo articolo, le osservazioni svolte sull’articolo 122
relativamente a: avviso di preinformazione
(comma 2); mancata previsione del bando per le procedure negoziate (comma 6 sub
d); scelta di mantenere l’esclusione automatica (comma 8).

Con riferimento al comma 7,
suscita altresì qualche dubbio la scelta di affidare al regolamento
l’individuazione dei requisiti di idoneità morale,
capacità tecnico-professionale ed economico-finanziaria degli operatori
economici.

I requisiti in esame devono
essere, per la loro incidenza sui rapporti intrattenuti dalle pubbliche
amministrazioni, previsti dalla fonte primaria in quanto individuano la qualità
di soggetto idoneo ad essere parte di un contratto (anche in aderenza a una tradizione del tutto conforme, rispetto alla quale non
possono invocarsi esigenze di semplificazione).

Articolo 125 (Lavori, servizi e
forniture in economia)

Le considerazioni generali
sull’aumento degli importi vanno ricondotte principalmente, anche se non
esclusivamente, all’ambito precettivo del presente articolo che legittima procedure negoziate elementari (consultazione di
almeno cinque operatori economici) per lavori di importo pari o superiore a
quarantamila e fino a cinquecentomila euro. Si tratta di metodica che, rispetto
al valore degli importi, non ha una causa legittimante normativa e che si
rivela perfino perplessa per i risvolti di utilizzo
disinvolto ipotizzabile in determinate condizioni ambientali.

Ove si faccia riferimento ad enti
di dimensioni limitate, l’importo ora previsto sembra in sostanza consentire un
ricorso generalizzato alla trattativa privata con pochi operatori.

Più in generale, a prescindere
dall’individuazione in concreto della soglia, si dubita della legittimità di un
intervento normativo innovativo in tema di lavori in economia sulla base di una delega di coordinamento e semplificazione.

L’individuazione degli importi al di sotto dei quali è possibile eseguire i lavori in
economia è frutto di una valutazione complessa, nella quale converge e viene
esposta una serie di giudizi e conoscenze non riducibili a uno schema meramente
modificativo se non per il tramite di soggetto particolarmente qualificato alla
relativa decisione. La relativa determinazione è, in altre parole, frutto di
una sintesi di giudizi che presuppone la volontà
politica di operare nel settore (e, in ragione di tale valenza, essa è di
competenza dell’organo parlamentare, salvo il caso dell’espressa delega).

Nella determinazione di quel
valore, infatti, si tiene conto di elementi
statistici, delle contingenze di situazioni settoriali, dello stato di
evoluzione dei mercati, delle metodiche di ammodernamento che regolano certe
attività tecnica, delle esigenze degli uffici pubblici, delle responsabilità
conseguenti, delle condizioni ambientali relative anche solo a una parte del
territorio. Si tratta, pertanto, di una valutazione necessariamente complessa e
rispetto alla quale non è dato configurare una sostituzione in carenza di elementi idonei a garantire l’equivalenza del
risultato sostanziale.

I servizi in economia (che nella
pratica si svolgono solo attraverso il cottimo fiduciario, essendo l’ipotesi
dell’amministrazione diretta del tutto residuale) costituiscono infatti uno strumento del tutto alternativo alla stipula
dei contratti con terzi.

In sintesi, attraverso le
procedure di economia l’amministrazione svolge
direttamente (anziché appunto ricorrere a contratti) l’attività necessaria per
procurarsi i mezzi necessari al raggiungimento dei propri fini.

Ne consegue che i lavori in
economia – i quali sono espletati dal funzionario
designato mediante strumenti di diritto comune e cioè contratti di cottimo non
soggetti ad approvazione – non possono essere ricondotti all’ambito degli
affidamenti sotto soglia che la legge delega consente di semplificare.

Articolo 126. (Ambito
di applicazione)

Va verificata in termini
sistematici la congruenza del secondo comma dell’articolo in esame (v. articolo 14 della legge 109/94) con la previsione degli
avvisi di preinformazione. Se questi ultimi
recano traccia dell’intera programmazione per importi complessivi (comprensivi
degli importi inferiori a 100.000 euro), è probabile che sia venuta meno la
necessità del precetto in esame, che andrebbe, di conseguenza, obliterato.

Articolo 127 (Consiglio superiore
dei lavori pubblici)

Al comma 3, nell’ultima parte
della disposizione, per errore materiale si individua
il preposto al SIIT come provveditore anzi che come “Direttore del Settore
infrastrutture e Direttore del Settore trasporti” giusta la nuova denominazione
recata nel comma 3 dell’articolo 9 del Dpr 184/04.

Al riguardo è opportuno valutare
se non sia opportuno integrare subito la norma, prevedendo la partecipazione
della rappresentanza regionale, come chiesto dalla Conferenza unificata e come
previsto nel regolamento di riordino del Consiglio superiore in corso di emanazione.

Articolo 128 (Programmazione dei
lavori pubblici)

Il contenuto del presente
articolo attiene ad una materia che, come indicato nella prima parte del
presente parere, rientra nella competenza concorrente delle Regioni: pertanto,
solo i principi fondamentali da essa desumibili
costituiscono un vincolo per il legislatore regionale.

Articolo 131 (Piani di sicurezza)

In linea generale appare
opportuno verificare con cura la coerenza della norma con i profili di sicurezza e salute
nei cantieri temporanei o mobili, come definiti nel D.Lgs 494/96, di attuazione
della direttiva n. 92/57 CEE, così come modificato ed integrato dal D.Lgs
528/99.

Con riferimento al comma 1 si
suggeriscono alcune correzioni formali.

In primo luogo, dal momento che i
regolamenti governativi ex articolo 17, comma 1, legge
400/88 sono “emanati” con Dpr, appare opportuno modificare il testo attuale nel
modo seguente: “Il Consiglio dei Ministri, su proposta … , approva …”.

Inoltre, sempre al comma 1,
appare preferibile sostituire le parole “nei cantieri edili” con le altre “nei cantieri temporanei o mobili”, secondo la dizione utilizzata
nel Dpr 222/03.

Al comma 5
il riferimento ai piani di cui al comma 1 non sembra esaustivo, in quanto non
ricomprende il piano di sicurezza sostitutivo ed il piano di sicurezza
operativo, disciplinati al comma 2.

In effetti, nella sistematica
dell’articolo 31 della legge quadro (qui riprodotto) la clausola di nullità di
riferisce alla mancanza dei piani di cui al comma
1bis. Nel Codice il riferimento va fatto pertanto al comma 2.

Articolo 133 (Termini di adempimento, penali, adeguamenti dei prezzi)

Il comma 1 estende al caso del
ritardo nella emissione dei titoli di spesa relativi
al saldo la previsione degli interessi legali e moratori in favore
dell’esecutore dei lavori, non contenuta nel testo originario dell’articolo 26
della legge quadro, il quale fa riferimento solo al ritardato pagamento degli
acconti.

La disposizione (oggi contenuta –
forse ultra vires – nel regolamento) è del tutto condivisibile e si inserisce nella logica di coordinare le disposizioni
vigenti nel livello normativo più adeguato che, in materia inerente ai diritti
patrimoniali delle parti contraenti, è senz’altro quello della normazione
primaria.

Articolo 134 (Recesso)

Con riferimento al comma 4 appare
opportuno chiarire se la “comunicazione di scioglimento” è quella con la quale
la stazione appaltante comunica il formale recesso o (come sembra preferibile)
quella con la quale viene “preavvisato” l’esercizio
del diritto in questione.

Articolo 138 (Provvedimenti in
seguito alla risoluzione del contratto)

Il comma 2 (erroneamente
numerato) fa riferimento all’articolo 116, comma 5, che non esiste.

Il riferimento sostanziale è, in
realtà, alle disposizioni dell’articolo 10, comma 1ter della legge quadro che
però (nonostante la diversa indicazione contenuta nell’epigrafe
dell’articolo 116) sembrano riprodotte nell’articolo 140, comma 1.

Articolo 140 (Procedure di affidamento in caso di fallimento dell’esecutore o
risoluzione del contratto per grave inadempimento)

Al comma 4,
il rinvio è al comma 3 (e non 4).

Articolo 141 (Collaudo dei lavori
pubblici)

Al comma 4
è utilizzato il riferimento alle “amministrazioni aggiudicatrici”, in luogo di
quello onnicomprensivo alle “ stazioni appaltanti” contenuto nel regolamento.

Si tratta quindi di verificare se
le disposizioni di rinvio contenute nell’articolo 33, comma 2 superano
effettivamente il problema dell’individuazione dei casi e modalità secondo cui
le stazioni che non sono amministrazioni aggiudicatrici sono comunque
tenute alla nomina dei collaudatori secondo l’articolo 141.

Per quanto riguarda l’elevazione
del termine finale di collaudo, concordemente ritenuta necessaria, la soluzione
più coerente col principio di semplificazione sembra quella di mantenere
l’attuale termine semestrale, consentendo però al capitolato speciale di
elevare tale limite fino ad un anno in ragione della complessità dell’opera da
collaudare.

Articolo 142 (Ambito di applicazione e disciplina applicabile)

Al comma 2 si segnala che dal
punto di vista meramente letterale la formula del rinvio potrebbe essere più
chiara, secondo la dizione: “Ad esse si applica
l’articolo 27 del presente Codice”.

Sempre in
ordine al comma 2, ed in particolare al recepimento della lettera b)
dell’articolo 57 della direttiva n. 18 (che esclude dall’applicazione delle
disposizioni in materia di concessioni ed appalti di lavori pubblici i settori
“speciali”), si segnala che: a) proprio l’articolo 7 della direttiva n. 17, cui
fa riferimento l’articolo 31 del Codice – richiamato per quanto qui interessa
dal secondo comma dell’articolo 142 – riguarda anche la “messa a disposizione
di aeroporti, porti marittimi o interni e di altri terminali di trasporti di
vettori aerei, marittimi e fluviali” di cui non sembra esserci traccia, né
nell’articolo 31, né nell’articolo 142 del Codice; b) l’articolo 57 della
direttiva n. 18 prevede poi la possibilità della sua applicazione per le
concessioni di lavori pubblici rilasciate da amministrazioni pubbliche
aggiudicatrici che esercitano una o più attività di cui all’articolo 6 della
direttiva n. 17 (Servizi postali) fintantoché lo stato si avvalga della facoltà
di cui all’articolo 71 della stessa direttiva n. 17 (cioè di utilizzare un
termine supplementare di 35 mesi dal 31 gennaio 2006 per l’attuazione della
direttiva): sembra pertanto che lo Stato italiano abbia inteso non utilizzare
quest’ulteriore termine. In tal caso, la circostanza andrebbe meglio chiarita
dal legislatore delegato.

Articolo 143 (Caratteristiche
delle concessioni di lavori pubblici)

Si osserva che i primi cinque
commi riproducono, secondo la relazione, il comma 2 dell’articolo 19 della
legge n. 109 del 1994; tuttavia nella definizione dell’oggetto delle
concessioni dei lavori pubblici (primo comma) è scomparso il riferimento ai
“lavori ad essi strutturalmente e direttamente
collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica” (che – invero – è
invece puntualmente riportato al comma 11 dell’articolo 3 del Codice). Di
conseguenza o si rinvia per quanto riguarda l’oggetto della concessione di lavori
pubblici alla predetta definizione già contenuta nel Codice o si riporta
integralmente sul punto il testo del comma 2 dell’articolo 19, al fini di non ingenerare equivoci ed incertezze.

Sul punto, però, si può ancora
aggiungere che una parte della dottrina aveva segnalato
l’imprecisione terminologica della formula usata dal legislatore, non potendo
correttamente parlarsi di gestione di lavori, bensì di gestione dell’opera
realizzata (o addirittura del servizio pubblico).

Per completezza, deve essere
precisato che l’ultima parte del comma 2 dell’articolo
19 della legge 109/94 risulta essere oggetto di un sostanziale rinvio
all’articolo 53 del Codice, commi 6, 7, 8, 11 e 12: anche in questo caso la
dizione utilizzata “Si applica l’articolo 53, commi 6, 7, 8, 11, 12”, potrebbe
essere riformulata per renderla armonica con la previsione del comma in cui è
inserito.

Non danno luogo a rilievi i
successivi commi da 8 a 11, con l’unica osservazione che – come ricordato nella
relazione all’articolo in esame – il comma 10, nel riprodurre l’articolo 19,
comma 2-quater, della legge n. 109 del 1994 non ha più previsto la
partecipazione della società di progetto alla conferenza di
servizi in ragione della previsione contenuta nell’articolo 14-quinquies della
legge 241/90: tuttavia, stante la sedes materiae, si potrebbe ipotizzare quanto
meno un rinvio al fine di evitare dubbi.

Articolo 147 (Affidamento al
concessionario dei lavori complementari)

L’articolo recepisce
puntualmente l’articolo 61 della direttiva: si potrebbe solo suggerire di
aggiungere per chiarezza nel testo al comma 1 “Possono essere affidati al
concessionario in via diretta … ”.

Articolo 149 (Disposizioni in
materia di pubblicità applicabili agli appalti aggiudicati dai concessionari
che non sono amministrazioni aggiudicatrici)

L’articolo recepisce
l’articolo 63 della direttiva n. 18 del 2004, con una necessaria serie di
rinvii agli articoli 66, 142, 146 e 156 del Codice stesso (ove risultano
recepiti altri articoli della direttiva richiamati nel predetto articolo 63).

Coerente con la ratio di
quest’ultimo appare il settimo comma dell’articolo in questione, così come
segnalato nella relazione di accompagnamento.

Non appare invece chiaro, e comunque non sembra coerente con il testo, l’inciso
contenuto all’inizio del terzo comma “Fermo quanto disposto dall’articolo 253,
comma 25”: sarebbe preferibile la collocazione nell’articolo 146.

Articolo 153 (Promotore)

Va osservato, con riferimento al comma 3, riguardante la programmazione, che la
disposizione dovrebbe precedere, e non seguire, i commi 1 e 2, riguardanti la
presentazione di proposte.

Si tenga presente che, come
avviene anche nelle legislazioni regionali, appare
preferibile disciplinare la programmazione prima dell’affidamento e del
contratto e quindi della proposta del promotore (si veda per esempio, il
disegno della legge regionale della Campania in materia, che all’articolo 6
disciplina la pubblicità della programmazione e della pianificazione,
all’articolo 7 prevede i requisiti del promotore e all’articolo 8 disciplina le
proposte).

Si rileva, ancora, che il comma 1
dell’articolo, riguardante le modalità, i termini di presentazione della
proposta e il suo contenuto, per esigenze di chiarezza nella scrittura della
legge, potrebbe essere suddiviso in più commi (per esempio, uno
riguardante le modalità formali e i termini della proposta e l’altro
riguardante il suo contenuto e i suoi effetti).

A prescindere dai limiti della
delega, si osserva che la fonte delle obbligazioni delle parti potrebbe essere
individuata non solo nel rapporto concessorio ma anche nello statuto o per
esempio nei patti parasociali, eventualmente anche di società mista.

Articoli 161-193 (Lavori relativi a infrastrutture strategiche ed insediamenti produttivi)

L’impianto normativo del capo IV
si muove sulla falsariga del D.Lgs 190/02, recante
attuazione della legge 443/01 per la realizzazione delle infrastrutture e degli
insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale, e delle successive
modificazioni e integrazioni, tra cui è particolarmente rilevante il D.Lgs
189/05, intitolato “Modifiche e integrazioni al D.Lgs 190/02, in materia di
redazione ed approvazione dei progetti e delle varianti, nonché di risoluzione
delle interferenze per le opere strategiche e di preminente interesse
nazionale”.

L’intero capo IV costituisce,
dunque, il contenitore nel quale sono state recepite
letteralmente le disposizioni dei citati decreti legislativi, con i necessari
adattamenti e collegamenti derivanti dalla immissione di questo specifico corpo
normativo nel più articolato contesto del “Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture”.

La trasposizione delle norme nella articolazione del capo non ha richiesto interventi
esorbitanti dai limiti della legge di delega, né alterazioni dell’impianto
normativo originario. A questo riguardo, va ricordato che lo stesso D.Lgs 189/05 era impostato in modo trasparente e lineare,
distinguendo accuratamente gli interventi integrativi (articolo 1) da quelli
modificativi (articolo 2), questi ultimi resisi necessari anche per le pronunce
della Corte costituzionale (cfr., specialmente, la sentenza 303/03), che ha
definitivamente risolto, almeno nei profili fondamentali, la complessa
problematica delle competenze legislative nella materia dei “lavori pubblici”).

Una volta chiarito che non spetta
alle Regioni la competenza esclusiva in questa materia, in
relazione alla mancata inclusione di essa nell’elenco delle materie
riservate allo Stato ed in quello delle materie di competenza concorrente, la
Corte ha individuato nel principio della sussidiarietà (verticale), integrata
da quelli di proporzionalità e adeguatezza, lo snodo dei rapporti tra Stato,
Regioni e gli altri enti territoriali, con implicazioni sulle attribuzioni non
solo di competenze legislative, ma anche, a quanto pare, di potestà
amministrative nella logica della gestione unitaria.

In questa prospettiva, la
specifica normativa trasfusa nel capo IV del Codice non incide sui rapporti
Stato-Regioni né sembra incontrare serie obiezioni di carattere costituzionale relativamente a rinvii a discipline regolamentari di
dettaglio (cfr. articolo 180); in proposito, tuttavia,
vale la pena di sottolineare, come del resto è accennato dagli stessi
compilatori del Codice, che il D.Lgs 189/05 ha disciplinato direttamente “molte
materie in precedenza affidate al regolamento”.

Articolo 193 (Obbligo di
comunicazione)

In relazione
alla partizione e al raggruppamento delle norme contenute nel capo IV,
si osserva che l’ultima sezione, la quarta, intitolata “Ulteriori
disposizioni”, sembra superflua in quanto include una norma (l’articolo 193)
che rientra a pieno titolo nella disciplina della precedente sezione sui
contraenti generali, atteso che essa riguarda l’obbligo di comunicazione
derivante dai contratti di appalto del contraente generale o di subappalto
degli appaltatori del contraente generale.

Articolo 194 (Interventi per lo
sviluppo infrastrutturale)

Si tratta di una disposizione di
non agevole collocazione sugli interventi per lo
sviluppo infrastrutturale, originariamente ricompresa in una legge di
conversione “omnibus” (legge 80/2005), recante tra l’altro disposizioni urgenti
nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e
territoriale, oltre a deleghe al Governo per la modifica del Codice di
procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per
la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali.

Salvo che non si ritenga di
espungerla dal Codice, stante la peculiarità del suo contenuto, la norma in
esame potrebbe trovare una migliore collocazione tra
l’articolo 179 e 180, con l’epigrafe “Disposizioni particolari sugli interventi
per lo sviluppo infrastrutturale”.

Articolo 196 (Disciplina speciale
per gli appalti nel settore della difesa)

Il comma 1bis ripropone
il problema della natura di fonte del diritto (quale contratto normativo o di
norma di rango regolamentare) da attribuire ai capitolati adottati con decreto
del Ministero della difesa.

Resta da
verificare la sussistenza della piena potestà regolamentare statale nella
materia di cui trattasi.

Il comma 3 afferisce alla deroga
all’articolo 10 del Codice; si tratta della possibilità di nominare, in luogo
di un unico responsabile, un responsabile per ogni fase
singola del procedimento attuativo.

Articoli 197-205 (Contratti relativi ai beni culturali)

Gli articoli contenuti nel Capo,
in sostanza, riproducono, con i dovuti adattamenti, la disciplina speciale per
gli appalti pubblici relativi ai beni culturali (D.Lgs
30/2004), che costituiva una disciplina quasi integrativa del Codice sui beni
culturali.

Tale disciplina si pone come
derogatoria, rispetto alla disciplina generale, in una serie di punti e cioè: materia di ambito di applicazione, appalti misti,
limiti all’affidamento congiunto e unitario, qualificazione, attività di
progettazione, direzione lavori, progettazione, sistemi di scelta e criteri di
aggiudicazione, varianti.

L’articolo 2 del D.Lgs 30/2004, riguardante la sponsorizzazione, è stato
estromesso, in quanto il Codice disciplina la sponsorizzazione nella parte
generale dedicata ai tipi di contratti (articolo 26).

Rispetto al D.Lgs
del 2004 il Capo in esame presenta alcune disposizioni “in meno”, poiché alcuni
principi che erano stati per la prima volta introdotti nell’ordinamento dal
suddetto D.Lgs 30/2004 (quali il criterio di prevalenza qualitativa negli
appalti misti, la possibilità di una sponsorizzazione “tecnica”, un certo
ampliamento delle soglie entro le quali ammettere la trattativa privata)
trovano oggi corrispondenza nelle norme generali del Codice degli appalti,
donde l’inutilità di una ripetizione entro il Capo speciale dedicato agli
interventi sui beni culturali. Restano, invece, le previsioni tuttora speciali
(in tema di livelli di progettazione, di qualificazione delle imprese, sia pur
tramite un mero rinvio all’apposito regolamento ivi
previsto, le varianti etc.) che costituiscono deroghe rispetto alle
corrispondenti norme generali.

Con riguardo alla materia dei
lavori pubblici, in disparte ogni altra considerazione sulla discutibile e
problematica individuazione dei confini tra valorizzazione e tutela (statale)
dei beni culturali, non si pone il problema della invasione
della competenza legislativa regionale, in quanto la “materia della tutela dei
beni culturali … concerne il restauro dei medesimi, ossia una delle attività fondamentali
in cui la tutela si esplica” e per questo “fa parte di un ambito riservato alla
legislazione esclusiva dello Stato” (sentenza 9/2004 della Corte costituzionale
sulla legittimità costituzionale del d.m. 420/01, il c.d. regolamentino di
qualificazione.

La distinzione labile tra tutela
e valorizzazione – già presente nel c.d. Codice Urbani – ha
costretto il legislatore ad un difficile equilibrio e opportunamente la
normativa speciale era stata adottata di concertazione con le Regioni e
approvata dopo il parere espresso in sede di Conferenza Unificata Stato,
Regioni, autonomie locali.

La disciplina riprodotta non
riporta i commi 3, 4 e 5 dell’articolo 1 del D.Lgs
30/2004, in quanto i rapporti tra Stato, Regioni e enti locali sono regolati in
via generale dall’articolo 5 del Codice.

Articolo 206 (Norme applicabili)

La norma individua le
disposizioni del Codice applicabili anche ai settori “speciali” (già settori
c.d. “esclusi”), di cui alla direttiva n. 17, attraverso un duplice rinvio,
alle disposizioni del Codice di carattere generale applicabili, nonché alle disposizioni della Parte II, relativa ai settori
ordinari, che si ritengono applicabili anche ai settori speciali.

La tecnica redazionale in tal
modo adottata appare meritevole di apprezzamento, tuttavia
essa necessita di un’accurata verifica, per evitare che previsioni normative
comuni ai due settori vengano espunte da quello in argomento.

Ad esempio, nel comma 1 si
richiama, quale norma di derivazione non comunitaria, l’articolo 55 della Parte
II, relativo alle tipologie, presupposti e caratteristiche dei procedimenti di aggiudicazione (aperti o ristretti). Di tale norma
l’articolo in esame richiama solo i commi 3, 4, 5 e 6 e non anche il comma 1,
il quale impone alle amministrazioni aggiudicatrici di indicare la tipologia
procedimentale prescelta sin dalla delibera di contrattare. Tale esclusione non
appare spiegabile quanto meno sul piano sistematico, tenuto conto che il
precetto di provvedere alla predetta indicazione è già contenuto in via generale
nell’articolo 11, comma 2 del Codice, che impone, appunto, di individuare “i
criteri di selezione degli operatori economici” nella determinazione di
contrattare. Non appare pertanto chiaro il motivo di tale mancato richiamo al comma 1 dell’articolo 55.

Per converso, appare opportuno
verificare l’esattezza di un richiamo generico alla Parte I, e
quindi anche alle definizioni dell’articolo 3, che per gli appalti pubblici di
servizi fa riferimento all’Allegato II del Codice, il quale non corrisponde
all’elencazione dell’allegato XVII della direttiva n. 17.

Il secondo comma dell’articolo
consente all’ente aggiudicatore di applicare ulteriori
disposizioni della Parte II, relativa ai settori ordinari, indicandole nelle
comunicazioni preliminari alla gara.

La riportata disposizione, in
primo luogo, sembrerebbe contrastare con l’apparente tassatività
dell’esclusione delle disposizioni della parte II ai settori speciali,
contenuta nel comma 1 dell’articolo
31 del Codice. In secondo luogo, essa appare in contrasto con la specialità dei
settori in questione, connessa alle esigenze di semplificazione e di
modernizzazione negli stessi settori, formulate sia dagli enti aggiudicatori
sia dagli operatori economici nel contesto delle
risposte al Libro verde adottato dalla Commissione il 27 novembre 1996 ed
espressamente indicate nel primo considerando della direttiva n. 17 quale
ragione della sua emanazione. Ora, affidare ai singoli enti aggiudicatori la
potestà – almeno apparentemente incondizionata – di vanificare quelle ragioni
di specialità, pone seri dubbi di conformità alla direttiva stessa.

Ove si ritenga, tuttavia, di
mantenere la predetta deroga al principio, dichiarato nello stesso Codice, di
non applicazione generalizzata delle disposizioni della parte II a seguito
delle determinazioni discrezionali dell’amministrazione interessata, sarebbe
doveroso, quanto meno, richiamare il rispetto del contrapposto principio di
proporzionalità, in relazione alla natura, complessità
e importanza dell’appalto, con conseguente onere di congrua motivazione della
scelta compiuta nei singoli casi concreti.

Articolo 207 (Enti aggiudicatori)

Le lettere a) e b) del comma 1
sembrano pleonastiche, essendo sufficiente, per evidenti ragioni di snellimento
e non duplicazione, il richiamo alle identiche definizioni dell’articolo 3,
comma 29, del Codice.

Si segnala che la relazione
all’articolo in esame parla, con riguardo agli “elenchi” degli enti
aggiudicatori già previsti dall’articolo 10 del D.Lgs
n. 158/1995, di un comma 4 che non esiste. L’articolo 207, infatti, consta di
soli due commi.

Articolo 210 (Servizi di
trasporto)

Sempre per motivi di correttezza
del linguaggio, al comma 1 appare opportuno fare precedere l’avverbio di mezzo
“mediante” dall’avverbio disgiuntivo “ovvero”. Analoghe
considerazioni possono valere per il termine comunitario di “condizioni”,
rispetto al quale appare più corretto il termine “prescrizioni”. Infatti, di
“prescrizioni” parla, appunto, l’articolo 5 del D.Lgs
158/95. Sembrerebbe più corretto, pertanto, dire “se il servizio viene fornito secondo le prescrizioni … come ad esempio
quelle …”.

Il mancato richiamo alle
esclusioni contenute nel par. 2 dell’articolo 5 della direttiva n. 17, che la
relazione giustifica con il fatto che la predetta esclusione già è contenuta nell’articolo 23 del Codice, appare perfettibile con
l’esplicitazione iniziale, al comma 1, di tale riferimento del tipo “Ferme
restando le esclusioni di cui all’articolo 23 …”.

Articolo 211 (Servizi postali)

In disparte il rilievo circa una
scarsa coerenza interna del linguaggio usato nel comma 1 rispetto alle forme
usate negli articoli precedenti (sembra infatti
preferibile la formula “Le norme della presente parte si applicano alle
attività …”), non appare chiaro il riferimento “esclusivo”, per i servizi
postali ed attività connesse, alla sola Parte III: riferimento che sembra
contraddire al richiamo ben più ampio contenuto nell’articolo 206.

Occorre inoltre rivedere il comma
3, il quale, per come è attualmente formulato, sembra
dire esattamente il contrario del disposto dell’articolo 5, lettera c), ultimo
capoverso, della direttiva n. 17.

Articolo 213 (Porti ed aeroporti)

Sostituire, anche a fini di
coerenza terminologica interna, le parole “Parte III” con le parole
“presente Parte”. La presente osservazione vale per tutti gli altri articoli e
pertanto essa non sarà più ripetuta.

Articolo 214 (Appalti che
riguardano più settori)

La norma disciplina l’ipotesi di appalti ad oggetto complesso, riguardante più settori,
applicando, in analogia alla teoria civilistica dell’assorbimento, il principio
della prevalenza della fonte normativa secondo il criterio dell’attività
principale, come dispone l’articolo 9 della direttiva n. 17.

Valuti, al riguardo, l’Amministrazione l’opportunità
di specificare il concetto di “attività principale”, eventualmente ricorrendo
alle indicazioni esemplificative fornite nel 29° considerando della stessa
direttiva, che fa riferimento, come indici rivelatori, agli importi ed alle
voci dei capitolati d’oneri.

Al comma 4
appare pleonastico (e perciò da cancellare) il puntuale riferimento
all’articolo 206, in quanto già assorbito al richiamo alle disposizioni
dell’intera Parte III.

Articolo 215 (Importi delle
soglie dei contratti pubblici di rilevanza comunitaria nei settori speciali)

Il richiamo puntuale alle singole
norme relative alle esclusioni di cui alla Parte I
sembrerebbe pleonastico (e quindi da cancellare) alla luce del più generale
richiamo alla stessa Parte I contenuto nell’articolo 206.

Sarebbe opportuno chiarire cosa si intenda con la formula, di integrale trascrizione della
lettera dell’articolo 16 della direttiva n. 17, “concernente l’esercizio
dell’attività in questione”: formula che, in quanto riferita alle previsioni
dell’articolo 219, sembrerebbe del tutto inutile e perciò da sopprimere.

Articolo 216 (Concessioni di
lavori e di servizi)

Nell’attuale formulazione la
norma si presta ad equivoci, sembrando contemplare, oltre che le disposizioni
della presente Parte III, anche quelle dell’articolo 30
del Codice.

Sembra quindi preferibile una
riformulazione del seguente tenore: ”Ferme restando le disposizioni
dell’articolo 30 in tema di concessioni di servizi, la
presente Parte non si applica alle concessioni di lavori e servizi …”.

Articolo 218 (Appalti aggiudicati
ad un impresa comune o ad un’impresa collegata)

La norma recepisce
le disposizioni dell’articolo 23 della direttiva n. 17, la quale esclude dalla
propria applicazione gli appalti di lavori servizi e forniture aggiudicati
(meglio sarebbe dire “stipulati”) all’interno di una relazione strutturale di
collegamento, instaurata ai sensi del D.Lgs 127/91 (attuativo delle norme
comunitarie richiamate nel par. 1 dell’articolo 23 citato) ovvero all’interno
di una “joint-venture”, come la qualifica espressamente la stessa direttiva.

In primo luogo, sembra opportuno
limitare l’esclusione alle disposizioni della ”presente Parte” e non a quelle
dell’intero “presente decreto” o “Codice”.

Relativamente
al comma 4, innanzitutto appare opportuno inserire dopo le parole “non
si applica” la parola “inoltre”. Quanto alla dizione comunitaria di
joint-venture, si rileva che essa è stata sostituita con quella di
“associazione, consorzio o impresa comune”, riprendendosi la formula
dell’articolo 8, comma 3, del D.Lgs 158/95. Nonostante
le spiegazioni fornite dall’Amministrazione
nella sua relazione, ritiene la Sezione opportuno un
più appropriato adeguamento terminologico, tenuto conto che le formule
utilizzate nell’articolo in esame non sembrano del tutto coerenti con la
nozione comunitaria. Possono soccorrere, al riguardo, le acquisizioni della
giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che la figura, di origine anglosassone, delle "joint venture" e –
fra l’altro e più in particolare – quelle delle "joint venture
corporations", serve ad individuare anche nel nostro ordinamento (per
distinguerle da altre forme di associazione, come quella in partecipazione)
forme di associazione temporanea di imprese finalizzate all’esercizio di
un’attività economica in un settore di comune interesse, nelle quali le parti
prevedono la costituzione di una società di capitali, con autonoma personalità
giuridica rispetto ai "conventerers", alla quale affidare la
conduzione dell’iniziativa congiunta (cfr. Cassazione, Sezione terza, 6757/01;
cfr. anche n. 6610 dell’11 giugno 1991).

In sostanza, la nozione di
joint-venture sembrerebbe presupporre la costituzione e l’esistenza di una vera
e propria struttura societaria, anziché di una mera associazione in
partecipazione, o associazione temporanea o
cointeressenza di natura consortile, in quanto solo la prima postula
l’assunzione istituzionale in comune della responsabilità e dei rischi
dell’impresa. In estrema sintesi, dovrebbe essere adeguatamente valutato il
rischio, attraverso una nozione potenzialmente impropria di joint-venture, di
una previsione contrastante, per ampiezza, con le prescrizioni comunitarie.

Articolo 219 (Procedura per
stabilire se una determinata attività è direttamente esposta alla concorrenza)

La norma ricorre all’uso
frequente della forma impersonale che, sebbene già usata nella norma
comunitaria, pone problemi interpretativi ed applicativi.

Quando si dice, ad esempio che
per determinare se un’attività è direttamente esposta alla concorrenza, “si
ricorre” a criteri conformi alle disposizioni del trattato, ovvero che, se non
è possibile presumere il libero accesso a un mercato,
“si deve dimostrare” che l’accesso al mercato in questione è libero di fatto e
di diritto, sarebbe assai più opportuno, ai fini di una corretta ed utile
tecnica redazionale, esplicitare il soggetto dell’azione e l’eventuale
complemento. L’osservazione non appaia formalistica, poiché, proprio ai fini
della comprensione del procedimento, occorre sapere se sia l’ente aggiudicatore
a dover dimostrare all’Autorità, o al Ministero, o ad entrambi, ovvero se sia
solo il Ministero a dover dimostrare alla commissione (ma sulla
base di quali canali di informazione?)
l’esistenza di una situazione concorrenziale di fatto e di diritto.

Sarebbe altresì necessario
chiarire meglio la dizione comunitaria, ripresa nel comma 4, “ove del caso
unitamente alla posizione assunta da una amministrazione
nazionale indipendente competente nella attività di cui trattasi”. Appare
preferibile dire che il Ministero comunica alla commissione
tutti i fatti …”nonché le eventuali determinazioni assunte al riguardo
dalle Autorità indipendenti”.

Anche il comma 8 merita un
chiarimento in ordine al fatto che il decreto
ministeriale debba rendere pubbliche nell’ordinamento interno le decisioni
della commissione elencando le relative attività escluse. In altri termini
occorre sapere se ad ogni decisone della commissione consegua, di volta in
volta, l’indicazione ministeriale. Dovrebbe essere altresì prevista la
pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale a fini di adeguata
pubblicità.

Articolo 220 (Procedure aperte,
ristrette e negoziate previo avviso di gara)

Dopo l’avverbio “ovvero”
sostituire l’articolo “il” con “mediante”.

Articolo 221 (Procedura negoziata
senza indizione di gara)

La lettera a) del comma 1 non
appare chiara, forse perché dopo la parola “modificate” andrebbe un punto e
virgola.

Alla lettera d), ultimo rigo, non
si capisce a che sia riferito l’aggettivo “originarie”, anche
se la formula è ripresa totalmente dalla disposizione comunitaria.

Alla lettera e), in fondo, la
parola “Ente” va scritta in minuscolo.

Alla lettera k) non si comprende
cosa siano i “servizi in questione”. La parola “Amministrazione”
va scritta in minuscolo.

Articolo 222 (Accordi quadro nei
settori speciali)

La norma, relativa all’accordo
quadro, meriterebbe di essere rivista per le seguenti considerazioni.

Non è ritrascritto, seppure con
gli eventuali aggiustamenti, l’articolo 14 della direttiva n. 17, pure
richiamato nella rubrica, ma solo l’articolo 16 del decreto n. 158/1995, che,
si dice nella relazione, non risulta modificato dalla
direttiva. In realtà le differenze tra i due testi,
comunitario ed interno, appaiono significative quanto a presupposti, modalità
ed effetti dell’accordo quadro e ciò impone di rivalutare la questione.

Si dà di nuovo una definizione
che già è contenuta nell’articolo 3 ed in parte diversa da essa.

Per le soglie si fa riferimento
all’articolo 28 del Codice, anziché all’articolo 215,
che sembra la sede più appropriata.

Articolo 223 (Avvisi periodici
indicativi ed avvisi sull’esistenza di un sistema di qualificazione)

Occorre valutare se la data del
31 dicembre sia coerente con i tempi di approvazione
delle leggi e dei documenti finanziari e contabili, sulla base dei quali
possono fondatamente farsi previsioni di spesa. Dopo “comma
35” aggiungere “i dati seguenti”.

Alla lettera a), non si comprende
perché ed in base a quali competenze le modalità “dei
riferimenti” alle voci della nomenclatura CPV (questa espressione sembra più
corretta rispetto a “di riferimento”) debbano essere affidate al Ministero
dell’economia e delle finanze e non, ad esempio, all’Autorità o al Ministro
delle politiche comunitarie.

Articolo 225 (Avvisi relativi agli appalti aggiudicati)

Al comma 3
togliere le parole “al più tardi”.

Articolo 226 (Inviti a presentare
offerte o a negoziare)

Al comma 1,
lettera a), dopo “complementari” aggiungere il punto e virgola e togliere
“oppure”, secondo i criteri redazionali dell’ordinamento italiano già
ricordati.

Al comma 2,
poiché la disposizione si riferisce all’ipotesi in cui la documentazione
complementare si trovi presso altre amministrazioni o “ente diverso”, sarebbe
meglio sostituire la parola “servizio” o “servizi” (che sembrerebbe riferirsi a
strutture della stessa amministrazione aggiudicatrice) con “ente”. Dopo le
parole “pagamento della somma” aggiungere l’avverbio “eventualmente”. Analogamente alla lettera g) del comma 6.

Articolo 227 (Termini di
ricezione delle domande di partecipazione e di ricezione delle offerte)

Al comma 2
si dispone che nelle procedure aperte il termine minimo per la ricezione delle
offerte è di 52 giorni dalla data di trasmissione “dell’avviso di gara”. Al
riguardo si osserva che l’omologa disposizione dell’articolo
45 della direttiva n. 17 prevede e dispone che il termine minimo per la
ricezione delle offerte è di 52 giorni dalla data di trasmissione “del bando di
gara”. Analogamente dispone, con riferimento al “bando”, l’articolo 17 del D.Lgs 158/95, relativo anch’esso ai termini per la
presentazione delle domande e delle offerte. Del bando di
gara, ai fini della determinazione dei termini dilatori per la partecipazione
alla gara, tratta anche la disciplina sui lavori pubblici (articolo 79
del Dpr 554/99).

Ora, anche se l’avviso di gara
soddisfa, al pari del bando, ad un’esigenza di pubblicità della gara
specificando i requisiti di idoneità delle potenziali
contraenti che sono richiesti per la partecipazione alla gara e gli altri
elementi essenziali della procedura (cfr. articoli
63-65 del regolamento di contabilità di Stato
di cui al Rd 827/24) sarebbe opportuno mantenere il riferimento al “bando”.

Al comma 3,
lettera a), primo rigo, togliere “a” prima di “ai”. Sostituire “inviato
alla pubblicazione” con “pubblicato”. Alle lettera a)
e c), se i termini indicati sono termini minimi, suscettibili di innalzamento
in relazione alla complessità dell’appalto, ai sensi del comma 1, sarebbe
corretto togliere “di regola” prima dell’indicazione dei predetti termini; ciò
al fine di non ingenerare confusioni e sovrapposizioni rispetto alla previsione
generale del comma 1. Sempre con riferimento alla lettera c), valuti l’Amministrazione
se aggiungere dopo le parole “data dell’invito” l’aggettivo “ulteriore” o
“successivo”, apparendo evidente che l’amministrazione, ove ritenga di
sperimentare la strada del termine negoziato, non indichi subito nell’invito
iniziale la data di scadenza per la presentazione delle domande ai sensi
dell’articolo 226.

Al comma 4,
sostituire “contiene” con “contenga”.

Al comma 6,
sostituire “sito Internet” con ”profilo di committente”, per rispetto e
coerenza con la definizione dell’articolo 3.

Al comma 9,
dopo “articoli 71 e 226” aggiungere “comma 6”. Dopo le parole “sono prorogati”
sostituire “di conseguenza” con “in proporzione”, sottintendendosi,
evidentemente “al ritardo nella trasmissione o al tempo necessario per le
visite o le consultazioni”.

Al comma 10, merita una più
appropriata formulazione del tipo:”L’allegato XIX
contiene la tabella riepilogativa …”.

Articolo 228 (Informazioni a coloro che hanno chiesto una qualificazione)

Al comma 1, sostituire il verbo
servile “devono informare” con l’indicativo “informano”. Il
secondo periodo dello stesso comma meriterebbe una migliore formulazione del
tipo:”Se la decisione sulla domanda di qualificazione
richiede più di sei mesi dalla sua presentazione, l’ente aggiudicatore …”.

Al comma 3,
dopo le parole iniziali “Gli enti” sembra più snello usare la formula sintetica
“di cui al comma 1”. Sempre con riferimento al comma 3, laddove si prevede il
potere di esclusione dal sistema di qualificazione,
l’ultimo periodo secondo cui “L’intenzione di disporre l’esclusione è
preventivamente notificata …” si deve sostituire, in prosecuzione con il primo
periodo, con l’espressione, più sintetica ma anche più significativa sul piano
della tutela del singolo “nel rispetto dei principi e del procedimento di cui
alla legge 241/90 e successive modificazioni”.

Articolo 229 (Informazioni da
conservare sugli appalti aggiudicati)

Sembra opportuno sostituire la
formula della direttiva comunitaria con la seguente, che appare maggiormente
coerente con gli istituti giuridici del nostro ordinamento: ”Gli enti
aggiudicatori, avvalendosi anche delle disposizioni di cui al D.Lgs 82/2005 per le procedure espletate in tutto o in parte
con strumenti elettronici conservano le informazioni,
relative ad ogni appalto, idonee a
rendere note le motivazioni delle determinazioni inerenti …” .

Il riferimento al nuovo Codice
dell’amministrazione digitale, di cui al citato decreto n. 82 del 2005 appare
utile ed anzi necessario, tenuto conto, in particolare, che ai sensi
dell’articolo 43 (norma che si ritiene applicabile anche agli enti
aggiudicatori ai sensi dell’articolo 2 del medesimo decreto), concernente la riproduzione
e la conservazione documentali, i documenti degli
archivi, le scritture contabili, la corrispondenza ed ogni atto, dato o
documento di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento, ove
riprodotti su supporti informatici sono validi
e rilevanti a tutti gli effetti di legge, se la riproduzione sia effettuata in
modo da garantire la conformità dei documenti agli originali e la loro
conservazione nel tempo.

Il comma 2 va, in conseguenza,
soppresso.

Al comma 3 aggiungere, alla fine,
“, ed a chiunque ne abbia diritto”.

Articolo 230 (Disposizioni
generali)

La norma (ripresa dall’articolo
51 della direttiva n. 17), nel dettare disposizioni generali per la selezione
qualitativa degli offerenti, tra enti aggiudicatori che, rispettivamente, sono
o non sono amministrazioni aggiudicatrici, solo per i secondi prevede un terzo
sistema di selezione (o di determinazione dei requisiti di partecipazione), che
è quello di cui al successivo articolo 233, che a sua volta ha recepito l’articolo 54 della direttiva. Quest’ultima norma,
dal canto suo, non sembra escludere le “amministrazioni giudicatrici” dalla
possibilità di procedere ad un terzo sistema di selezione dei partecipanti,
limitandosi soltanto ad una disposizione speciale che è quella del secondo comma
del par. 4.

Non sembra, pertanto (anche in
mancanza di indicazioni, sul punto, da parte della
relazione) che una siffatta distinzione trovi conforto nella normativa
comunitaria.

Articolo 231 (Mutuo
riconoscimento delle condizioni amministrative, tecniche e finanziarie nonché dei certificati, dei collaudi e delle documentazioni)

La norma pur se ripete la stessa
espressione della rubrica della norma comunitaria (articolo 52 direttiva n.
17), appare fuorviante, sembrando trattare della materia dell’equivalenza dei
titoli, mentre essa impone e disciplina il principio comunitario di non
discriminazione e quello interno di imparzialità e non
aggravamento del procedimento selettivo. Sembrerebbe, pertanto, opportuno,
riformulare la rubrica nel modo seguente: “Principio di imparzialità
e non aggravamento nei procedimenti di selezione e qualificazione”.

Articolo 232 (Sistemi di
qualificazione e conseguenti procedure selettive)

In via generale va osservato che
l’articolo si presenta con una inutile e fuorviante
moltiplicazione di commi che andrebbero drasticamente accorpati e
razionalizzati, evitando pleonasmi e ripetizioni.

In ogni caso, il comma 3
meriterebbe una migliore formulazione del tipo: ”Gli enti aggiudicatori
predispongono criteri e norme oggettive di qualificazione e provvedono, ove
opportuno, al loro aggiornamento”.

Al comma 9, sembra opportuno
sostituire la forma impersonale “viene redatto” con
quella personale “L’ente gestore redige”.

Al comma 12,
sostituire “devono essere” con “sono”.

Al comma 14,
il riferimento allo stesso coma 14 è errato. Probabilmente il riferimento
esatto è quello al comma 13.

Articolo 234 (Offerte contenenti
prodotti originari di Paesi terzi)

Il comma 1, che pure riproduce il
par. 1 dell’articolo 58 della direttiva n. 17, meriterebbe una migliore
riformulazione del tipo: “Le offerte contenenti prodotti originari … di tali
Paesi terzi, sono disciplinate dalle disposizioni seguenti, salvi gli obblighi
…”.

Al comma 4,
togliere all’inizio “Tuttavia”, apparendo non necessario iniziare un periodo
con una congiunzione avversativa. Inoltre, il
riferimento al comma 1 appare errato, trattandosi verosimilmente del comma 2.

Al comma 5,
il riferimento al comma 1 è errato, poiché quel comma non prevede né disciplina
alcuna “decisione del Consiglio”.

Al comma 6,
il riferimento al comma 4 è errato, trattandosi del comma 5.

Articolo 236 (Norme in materia di
pubblicità e di trasparenza)

Al comma 2,
sostituire “organizzato” con “espletato”. Il secondo periodo
(“Tale avviso … fissati.”) va sostituito con: ”La predetta comunicazione è
trasmessa alla commissione entro due mesi dalla conclusione del procedimento,
nei modi dalla stessa fissati”.

Articolo 237 (Norma di rinvio)

Al comma 1 sostituire
“Nell’organizzazione …” con “Nei concorsi di progettazione si applicano le
disposizioni del Capo III della presente parte, nonché
quelle degli articoli …”.

Conseguentemente, va abolito il
comma 2.

Articolo 239 (Transazione)

La relazione illustrativa
riferisce che, con tali disposizioni, si crea uno strumento agile, alternativo
e facoltativo rispetto all’accordo bonario, codificando i principi di diritto
vivente in tema di transazione. Si tratta di norma di chiusura, che consente di
transigere le liti senza formalità, salva la necessità del parere legale
dell’organo competente, per quelle di maggiore importo.

Al riguardo, se è vero che, in
via generale, non è precluso alla pubblica amministrazione stipulare contratti
di transazione è anche vero che, proprio perché tali contratti possono avere
riflessi sulla finanza pubblica, l’ordinamento pubblicistico ha
tradizionalmente circondato la relativa conclusione di particolari cautele.

Come è
noto, infatti, nel caso delle transazioni poste in essere dalle amministrazioni
statali occorre il parere dell’Avvocatura dello Stato (e, in taluni casi,
occorreva anche il parere del Consiglio di Stato).

Al fine di garantire una attenzione e ponderazione adeguata su tali contratti,
appare pertanto opportuno che la relativa competenza appartenga all’organo
amministrativo di vertice della struttura – e non al semplice responsabile del
procedimento – in coerenza con le competenze proprie dei dirigenti delineate
dal D.Lgs 165/01.

Inoltre, tale contratto dovrà
assumere forma scritta a pena di nullità in quanto, sulla regola generale di
cui all’articolo 1967 Cc (che richiede, per tale tipo di contratto, la forma
solo ad probationem), deve prevalere il principio
secondo il quale i contratti della Pubblica amministrazione richiedono la forma
scritta ad substantiam.

Del resto, ai sensi del comma 18
del successivo articolo 240, l’accordo bonario ha natura di transazione. E non si spiegherebbe il complesso iter procedimentale ivi
previsto, se non con l’intento di giungere ad un ponderato apprezzamento dei
rispettivi interessi in gioco.

Più in generale, va segnalato che
l’istituto della transazione nell’ampia possibilità di utilizzo
prevista dalla norma in esame (cfr. comma 1: ”… le
controversie relative a diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei
contratti pubblici di lavori, servizi, forniture, possono sempre essere risolte
mediante transazione nel rispetto del Codice civile”) appare destinato ad
erodere spazi di utilizzazione all’istituto dell’accordo bonario che, però, è
munito di ben più ampie garanzie procedimentali.

Articolo 240 (Accordo bonario)

La relazione illustrativa
riferisce che, con tale articolo, vengono recepite le
norme vigenti in tema di accordo bonario, aggiungendo alcune disposizioni razionalizzatici,
necessarie in quanto la legge 166/02 aveva novellato l’articolo 31bis della
legge 109/94, ma il Dpr 554/99 non era stato adeguato alle modifiche
legislative. All’ultimo comma la disciplina viene
estesa, nei limiti della compatibilità, ai servizi e alle forniture.

In merito, fermo restando quanto esposto sub articolo 239, si osserva che la normativa oggi
vigente (articolo 31bis, comma 1, terzo periodo della legge n. 109 del 1994,
nel testo conseguente all’articolo 7, comma 1, della legge 166/02) non prevede
più che la relazione del direttore dei lavori abbia natura riservata.

Con il testo attualmente
all’esame (articolo 140, commi 3 e commi 5 del Codice) si intende pertanto
tornare alla precedente formulazione – che, appunto, prevedeva il carattere
riservato della relazione – senza che la relazione espliciti le ragioni di tale
modifica.

Occorre, pertanto, un
approfondimento dell’Amministrazione sul
punto, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali in materia, al fine
di individuare quale degli interessi in gioco debba
considerarsi prevalente e offrire agli operatori elementi di certezza.

Con riferimento al medesimo
articolo, si segnalano peraltro positivamente alcuni significativi
chiarimenti rispetto al testo precedente quali: il limite alla reiterazione
della riserve, che devono essere ulteriori e diverse rispetto a quelle già
esaminate (comma 2); il tipo di competenza che si richiede per i commissari e
l’eliminazione dell’accettazione congiunta da parte dei commissari medesimi
(comma 8); la maggiore chiarezza della disposizione relativa ai compensi (comma
10); l’individuazione del dies a quo per la pronuncia degli interessati sulla
proposta (comma 12).

Articolo 241 (Arbitrato)

Va richiamata l’attenzione dell’Amministrazione
sulla necessità di coordinare tali disposizioni con quelle che sono state
approvate, in via definitiva, dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre 2005 in
tema di modifiche al Codice di procedura civile in materia di processo di
Cassazione, nonché di razionalizzazione della
disciplina dell’istituto dell’arbitrato.

Articolo 243 (Ulteriori
norme di procedura per gli arbitrati in cui il presidente è nominato dalla
camera arbitrale)

Valuti l’Amministrazione
se riprodurre l’articolo 10, comma 3, del d.m. 398/00,
limitatamente alla sola parte in cui stabiliva che l’ordinanza di liquidazione
della camera arbitrale costituisce titolo esecutivo.

Articolo 244 (Giurisdizione)

L’Amministrazione
riferisce che, con tale articolo, vengono riprodotti
l’articolo 6, comma 1, legge 205/00 e l’articolo 4, comma 7, della legge
109/94.

La Sezione è dell’avviso che, a
prescindere dalla fondatezza sistemica della tesi sostenuta dall’Amministrazione,
la innovazione proposta, attiene all’ambito degli
istituti e delle procedure di natura giurisdizionale ed è quindi fuori delega.
La norma deve essere quindi eliminata.

Articolo 245 (Strumenti di tutela)

L’articolo in esame – secondo la
relazione – opera una ricognizione degli strumenti di tutela
messi a disposizione dell’ordinamento.

I primi due commi, di carattere
meramente ricognitivo di norme generali in materia di giurisdizione, potrebbero
essere eliminati. Particolare attenzione meritano
invece i commi 3 e seguenti, che riguardano la c.d. tutela cautelare ante
causa.

La sua introduzione si rende
necessaria nel processo amministrativo relativo ai pubblici appalti a seguito
di una procedura di infrazione a carico del nostro
Paese, aperta sulla base della giurisprudenza consolidata della Corte di
giustizia (v., da ultimo, l’ordinanza 29 aprile 2004, nella causa C-202/03,
relativa all’ordinamento italiano), con cui la Corte ha ribadito l’esigenza di
tale forma di tutela cautelare).

Secondo il condivisibile assunto
dell’Amministrazione, la delega legislativa
consente di introdurre la tutela cautelare ante causam nel processo relativo ai pubblici appalti, in quanto si tratta di
recepire le direttive nn. 2004/17 e 2004/18: infatti, sia la prima direttiva
che la seconda, rispettivamente agli articoli 72 e 81, impongono
agli Stati membri di assicurare l’applicazione delle stesse con meccanismi
efficaci, accessibili e trasparenti, in conformità alle c.d. “direttive
ricorsi”.

La disciplina proposta, oltre che
costituire un agile strumento a tutela dei concorrenti pretermessi dalla gara,
ha anche una funzione latamente deflattiva del contenzioso, in quanto
istituisce una sorta di primo filtro, utile a scoraggiare appelli alla
giustizia con finalità meramente dilatoria.

Sussiste peraltro il problema
della possibile disparità di trattamento che le disposizioni in esame
potrebbero ingenerare. Prevedere la tutela cautelare ante causam solo nel
settore dei pubblici appalti – pur nella peculiarità
degli interessi coinvolti – potrebbe non superare il vaglio di costituzionalità
per disparità di trattamento allorché si evidenzi che, anche in altre materie,
si è in presenza della medesima situazione giuridica soggettiva tutelata nella
materia degli appalti. Tuttavia, la portata della delega non consente tale pur
auspicabile estensione della tutela anche a settori diversi da quelli in esame.
Valuterà pertanto l’Amministrazione se non sia il caso di assumere una specifica ed urgente iniziativa
legislativa diretta a prevedere la tutela cautelare per la generalità dei casi
di giurisdizione amministrativa.

Sui singoli commi, si rileva che
il punto centrale del nuovo istituto è contenuto nel comma 5
che prevede che il provvedimento negativo non sia impugnabile e quindi
disciplina l’efficacia del provvedimento e la sua durata. La disposizione va comunque meglio coordinata ed integrata con la vigente
disciplina della tutela cautelare, e in particolare con la tradizionale fase
cautelare collegiale.

Si suggerisce pertanto di
sopprimere il comma 5 e di sostituire il comma 6 con i
seguenti due commi:

“5. L’efficacia del provvedimento
di accoglimento può essere subordinata alla
prestazione di una adeguata cauzione per i danni alle parti e ai terzi. Esso è
notificato dal richiedente alle altre parti entro il termine perentorio fissato
dal giudice, non superiore a cinque giorni. Il provvedimento di
accoglimento è efficace per un periodo non superiore a sessanta giorni
dall’emissione e comunque non oltre la pronuncia del collegio cui l’istanza
cautelare è sottoposta nella prima camera di consiglio utile a seguito della
proposizione del ricorso.

6. Il provvedimento presidenziale
non è appellabile, ma è sempre revocabile o modificabile dal presidente su istanza o reclamo di ogni interessato”.

Si osserva, inoltre, che il comma
3 prevede che: ”In ogni caso di eccezionale gravità ed
urgenza, tale da non consentire neppure la previa notifica del ricorso e la
richiesta di misure cautelari provvisorie di cui all’articolo 21, comma 9,
della legge 1034/71, …”.

Il comma 9 dell’articolo 21 della
legge n. 1034/1971, a seguito delle modifiche della legge 205/00, prevede
invece che “Prima della trattazione della domanda cautelare, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire
neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio …;

Appare evidente, al riguardo, che
occorre uniformare da un punto di vista lessicale le due previsioni, al fine di
evitare difficoltà interpretative ed applicative, e pertanto rendere identici i
presupposti di fatto per l’esercizio del potere cautelare ante causam e in
corso di causa. Né la diversa sfumatura delle due aggettivazioni – pur
esistente – appare giustificata dalla diversità della tipologia di intervento cautelare.

Il comma 4 prevede che l’istanza, previamente notificata, si proponga al presidente
del tribunale amministrativo regionale competente per il merito. Il presidente,
o il giudice da lui delegato, provvede sull’istanza,
sentite, ove possibile, le parti, e omessa ogni altra formalità.

Al riguardo, al fine di evitare
possibili elusioni della normativa in materia di competenza del tribunale –
tema che, come è noto, recentemente è stato al centro
dell’attenzione della giurisprudenza, della dottrina e dello stesso legislatore
– si suggerisce di inserire, nel comma 4, alla fine, il seguente periodo: “Le
questioni di competenza di cui al presente comma sono rilevabili d’ufficio”.

Articolo 248 ((Revisione
periodica delle soglie e degli elenchi degli organismi di diritto pubblico e
degli enti aggiudicatori – Modifiche degli allegati)

Al comma 1 è stato scritto
“intesa” in luogo di “concerto”.

Articolo 252 (Norme di
coordinamento)

Al comma 1, occorre chiarire
meglio il senso della disposizione, eventualmente inserendone il contenuto
nell’articolo 33 ed esplicitando in termini tecnicamente corretti le
disposizioni (“in tema di CONSIP”) che si intendono
richiamare.

Al comma 1bis, appare
tecnicamente non corretto porre una norma di interpretazione
autentica nello stesso testo normativo che reca la norma interpretata. Occorre
quindi riprodurre il richiamato articolo 92, comma 5,
nel testo risultante dalle due disposizioni. A tutto concedere, la riproduzione
della norma di interpretazione autentica potrebbe
essere utile ad evitare incertezze circa le situazioni verificatesi in vigenza
delle norme di cui alla legge 109/94 e prima della norma che ne forniva
l’interpretazione autentica.

Il comma 2 reca
una norma di copertura finanziaria, e, in quanto tale, non qualificabile come
norma di coordinamento: andrebbe quindi collocata altrove, eventualmente in
articolo a sé stante; si potrebbe anche integrare la rubrica: (“Norme di
coordinamento e di copertura finanziaria”).

Quanto al comma
3, è dubbia la conformità alla delega, in quanto si riferisce ad attribuzioni
del Consiglio superiore dei lavori pubblici; la norma non appare inoltre utile
a fronte del contenuto dell’articolo 127 ivi richiamato. Valuti l’Amministrazione
l’opportunità di inserire il contenuto del comma in esame nel regolamento di organizzazione del predetto Consiglio superiore di
prossima emanazione.

Il comma 4 contiene una
disposizione che riguarda le casse edili e che riproduce l’articolo
37 della legge 109/94, così come modificato dall’articolo 9, commi 76 e
77, della legge 415/98. Va in ogni caso espunto il riferimento a situazioni
destinate a verificarsi in epoche ormai trascorse (sette mesi dall’entrata in
vigore della predetta legge 415) e, come, tali, non ripetibili con riferimento
al passato. La sola disposizione che può conservare significato attuale è
quella contenuta nell’ultimo periodo, che esclude legittimazione delle casse
edili che non applichino la reciprocità a rilasciare
dichiarazioni liberatorie di regolarità contributiva.

Il contenuto del comma 6bis va
coordinato con il Codice dell’amministrazione digitale e con le relative
modifiche attualmente in corso di emanazione.

Articolo 253 (Norme transitorie)

Non si ritiene giustificata la
proroga di un anno del termine di scadenza dei componenti
dell’Autorità, introdotta dal comma 5, senza alcuna spiegazione nella relazione
ed in assenza di modifiche dell’ordinaria durata della carica dei componenti,
che resta fissata in cinque anni.

Il comma 9 contiene una
disposizione che applica quanto stabilito in via generale dal
precedente comma 3: valuti l’Amministrazione
l’opportunità di espungerla in ragione del contenuto meramente ripetitivo.
Eguale osservazione vale anche per i successivi commi 13 e 22.

Al comma 10
vanno soppresse le parole “dei contratti pubblici”.

Al comma 13
va soppresso il riferimento al Dpcm 116/97, abrogato.

Al comma 20bis occorre
specificare, almeno per richiamo ad altre norme o per categorie, l’ambito dei
“soggetti” che possono essere scelti nel rispetto dei principi ivi indicati.

Nel comma 26, il richiamo
all’articolo 80 del Dpr 554/99 necessita di
specificazione in quanto la norma richiamata prevede diverse forme di
pubblicità, e non risulta chiaro quale sia quella applicabile agli interventi
programmati e realizzabili con capitali privati.

Nel comma 27, alla lettera n) si
fa riferimento, in relazione al requisito
dell’idoneità tecnica ed organizzativa occorrente per la qualificazione, ai
commi 3 e 4 dell’articolo 18 del Dpr 34/2000 che riguardano, però, la cifra
d’affari dell’impresa, rilevante invece per la capacità economica e finanzia,
laddove di capacità tecnica parla il successivo comma 5 dell’articolo 18:
verifichi l’Amministrazione l’esattezza del
richiamo.

Si segnala che non appare
corretto – salva eventuale sopravvenienza – fare riferimento nel comma 30 ad un
regolamento del Ministero dei beni ed attività culturali (in attuazione
dell’articolo 5 del D.Lgs 30/2004) non ancora emanato.

Al comma 31,
dopo la parola “fatti”, sembra essere stata omessa la parola “salvi”.

Articolo 256 (Disposizioni
abrogate)

Al comma 1 è stato inserito l’articolo 14-viciester, comma 1, lettera c) del decreto
legge 115/05, convertito nella legge 168/05, limitatamente alle parole “i
criteri per l’aggiudicazione delle gare secondo l’offerta economicamente più
vantaggiosa e”.

Si deve in proposito osservare
che è intervenuto il Dpcm, che indica i criteri di valutazione dell’offerta
economicamente più vantaggiosa per gli appalti dei buoni pasto (18 novembre
2005).

L’abrogazione disposta dal Codice
ne comporterebbe la caducazione automatica: sarebbe opportuno mantenere in
vigore la norma che il Codice abroga, e conseguentemente il Dpcm applicativo,
o, terza alternativa, mantenere in vigore tale decreto in via transitoria, fino
all’emanazione del nuovo regolamento generale.

Al comma 4
va soppresso il riferimento al Dpcm 116/97, abrogato.

Articolo 257 (Entrata in vigore)

La pur comprensibile esigenza di
un congruo differimento nell’entrata in vigore del Codice non può essere
accolta in quanto si tratta di direttive obbligatorie il cui termine per il
recepimento è già scaduto il 31 gennaio 2006; dunque può applicarsi solo
l’ordinaria vacatio legis .

PQM

Esprime parere favorevole, con le
osservazioni di cui in motivazione.