Penale

Thursday 29 January 2004

Tutela dell’ ambiente. Ancora in tema di scarichi industriali e autorizzazioni alla luce della l. 200/2003. Cass. Sez. III sent. 985 del 20 gennaio 2004

Tutela dell’ambiente. Ancora in tema di scarichi industriali e autorizzazioni alla luce della l. 200/2003

Cass. Sez. III sent. 985 del 20 gennaio 2004

Pres. Savignano – rel. Novarese

Pm Meloni – Imp. Marziano

Svolgimento del processo

Marziano Giovanna ha proposto appello qualificato ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa sezione distaccata di Lentini, emessa in data 3 ottobre 2001, con la quale veniva condannata per i reati di scarico di reflui di autolavaggio senza autorizzazione e senza adozione delle misure idonee ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento, deducendo quali motivi la violazione dell’articolo 62 12° comma del D.Lgs 152/99, poiché lo scarico preesisteva al 13 giugno 1999, era relativo ad acque reflue assimilabili a quelle abitative ed agli insediamenti civili, esisteva un’autorizzazione rappresentata dal provvedimento di abitabilità, e la carenza della prova dell’aumento anche temporaneo dell’inquinamento.

Motivi della decisione

I motivi addotti sono infondati, sicché il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Ed invero, uniforme giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto lo scarico di autolavaggio assimilabile a quello degli insediamenti produttivi, sotto il vigore della precedente normativa (Cassazione, sezione terza, 5985/82, Incerti rv 154274), ed a quello di acque reflue industriali, secondo la recente (cfr. da ultimo Cassazione, sezione terza, 21004/03, Pm in proc. Panizza), per la presenza di caratteristiche inquinanti diverse e più gravi da quello di un insediamento civile per la presenza di oli minerali, sostanze chimiche e particelle di vernice eventualmente staccabile dalle autovetture ed esercizio di un servizio in forma professionale ed organizzata.

Inoltre, l’autorizzazione allo scarico è caratterizzata dalla tipicità delle forme, sicché non è ammesso alcun equipollente, neppure il cosiddetto permesso di agibilità o abitabilità, peraltro relativo a differenti presupposti e diverse finalità.

Per quanto attiene alla carenza di prova circa l’aumento anche temporaneo dell’inquinamento e la preesistenza dello scarico all’entrata in vigore del D.Lgs 152/99 in data 11 giugno 1999, occorre rilevare che, nonostante l’effettuazione di uno scarico senza autorizzazione e la violazione del divieto di un aumento anche temporaneo dell’inquinamento costituiscono due autonomi e distinti reati, i cui presupposti ed elementi costituitivi sono differenti, il giudice aretuseo esattamente si è soffermato solo su quello concernente l’omessa autorizzazione, in quanto si trattava di scarico esistente non autorizzato, sicché, secondo uniforme giurisprudenza di questa Corte (Cassazione, sezione terza, 1774/00, Scaramazza, rv 215640), recepita dal D.Lgs 258/00 all’articolo 2 lettera cc-bis) devono ritenersi nuovi anche gli scarichi esistenti non autorizzati, in quanto la disciplina transitoria di cui all’articolo 62 dodicesimo comma D.Lgs 152/99 e successive modificazioni si applica solo agli scarichi esistenti autorizzati.

Infatti “scarichi esistenti” sono quelli di acque reflue urbane «che alla data 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativi previgente ovvero gli scarichi di acque reflue domestiche che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e conformi al regime autorizzativi previgente; gli scarichi di acque reflue industriali che alla data del 13 giugno 1999 sono in esercizio e già autorizzati».

La disciplina, a parere del collegio, non è mutata neppure dopo l’intervenuta modifica dei termini di adeguamento, di cui all’articolo 62 undicesimo comma D.Lgs cit., operata dall’articolo 10bis della legge di conversione 200/03 del Dl 147/03 recante «proroga di termini e disposizioni urgenti ordinamentali».

Infatti, a parte la specifica caratteristica del decreto legge su citato, evidenziato dalla sua rubrica, la dizione dell’articolo 10bis cit., secondo cui «i termini di cui all’articolo 62 comma 11, del D.Lgs 152/99, relativo agli scarichi esistenti, ancorché non autorizzati (sottolineatura in corsivo dell’estensore), sono differiti fino ad un anno a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» (cioè fino al 3 agosto 2004), non ha fatto venire meno la definizione legislativa degli scarichi esistenti su descritta.

Ed invero l’infelice formulazione di questa proroga del termine di “adeguamento degli scarichi esistenti” potrebbe essere intesa come l’espressione sintetica di una pluralità di situazioni, sicché l’inciso “ancorché non autorizzati” concerne quegli scarichi, esistenti il 13 giugno 1999, ma non autorizzati, in quanto per essi l’obbligo di autorizzazione è stato introdotto solo successivamente in virtù della nuova disciplina predisposta dal D.Lgs 152/99, secondo quanto sostenuto da un’autorevole voce dottrinale, in quanto il richiamo al comma undicesimo dell’articolo 62 D.Lgs cit. è onnicomprensivo e riguarda pure «gli scarichi per i quali l’obbligo di autorizzazione preveniva è stato introdotto dalla presente normativa».

Tale esegesi deve essere privilegiata, perché, in tema di eccezioni ad una regola generale, non è possibile fornire un’interpretazione estensiva, ma occorre preferirne una restrittiva.

Peraltro, in assenza di un’abrogazione espressa della nozione di scarico esistente di cui all’articolo 2 lettera ccbis) del D.Lgs in esame, non è possibile attribuire ad una disposizione con un contenuto specifico e limitato la possibilità di introdurre un’abrogazione implicita, mentre la locuzione su riferita sembra una cattiva sineresi di una pluralità di situazione, disciplinate in maniera uniforme dall’articolo 62 undicesimo e dodicesimo comma D.Lgs cit..

Infine, proprio perché non è concepibile per le ragioni su riferite un’abrogazione tacita dell’articolo 2 lettera cc – bis) D.Lgs cit. su riportata, ove si volesse, in contrasto con i criteri ermeneutica su evidenziati in tema di interpretazione di norme derogatorie di una regola generale, ritenere estensibile il termine “non autorizzati” a tutti gli scarichi esistenti, non si può obliterare il sintagma “conformi al regime autorizzativi previgente”, sicché l’espressione “non autorizzati” concernerebbe solo quegli scarichi esistenti alla data del 13 giugno 1999, non muniti di formale autorizzazione, che, in relazione alla situazione fattuale, avrebbero potuto ottenerla.

Pertanto, con questa esegesi si asseconderebbe un trend legislativo perseguito incessantemente in questi ultimi tempi, secondo cui si tende ad equiparare il formale provvedimento di autorizzazione all’esistenza di una regolare situazione concreta, senza considerare che gli obblighi di informazione, connaturati alle richieste di autorizzazioni o di provvedimenti abilitativi, in campo ambientale rispondono ad esigenze di prevenzione e di conoscenza per la protezione dei beni.

Tuttavia, anche seguendo un’interpretazione così estensiva, non accoglibile, a parere del collegio, non si verserebbe, nella fattispecie, nell’ipotesi di uno scarico di acque reflue industriali conforme al regime autorizzativi previdente, perché nella descrizione dell’impianto “di depurazione” delle acque vengono indicati solo “due pozzetti dove avveniva la sedimentazione dei fanghi”, sicché le acque reflue industriali venivano immesse nella pubblica fognatura senza alcun efficace trattamento preventivo richiesto in via generale dall’ente proprietario e da quello gestore dell’impianto di depurazione per abbattere e/o ridurre i carichi inquinanti.

Infine, nella fattispecie in esame, non può farsi a meno di notare che è stata pure contestata l’omessa adozione delle misure necessarie ad evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento, costituente un obbligo cui soggiacciono i titolari degli scarichi esistenti, ancorché autorizzati, durante il regime transitorio (Cassazione, Su 3798/02, Turina, rv 220556 non massimata sul punto).

Pertanto, poiché «l’aumento è un concetto per definizione relativo e presuppone il raffronto tra due dati, che sono quantitativi e qualitativi e, comunque, di fatto riferiti allo scarico con la prescrizione che il dato fisico-chimico preesistente all’entrata in vigore della legge (rectius D.Lgs 152/99) non può essere alterato in peius» ed i dati da comparare possono risultare “da qualsiasi elemento” e “l’aumento potrà anche essere desunto da fatti significativi” (Cassazione, Su 31 gennaio 2002, Turina, cit.), i dati da comparare, come si evince dai passi tratti dalla decisione delle Su, non devono provenire necessariamente da analisi, ma possono discendere pure da considerazioni logiche oltre che da altre evenienze fattuali (ex gr. Aumento della produzione e mantenimento dello stesso depuratore, guasto del sistema di depurazione, et similia).

Pertanto, ove venisse dimostrata l’assenza di qualsiasi contrazione dell’attività svolta, la sua particolarità comporta ex se un aumento anche temporaneo dell’inquinamento, giacché, altrimenti, si dovrebbe presumere, contrariamente ad ogni logica, un’identica superficie ed un medesimo numero di auto lavate con lo stesso detersivo per tutto il periodo.

Peraltro, detta considerazione è sviluppata soltanto per mera ipotesi di studio, in quanto si ritiene condivisibile solo l’esegesi riferita per prima in ordine alla locuzione “non autorizzati” di cui all’articolo 10bis della legge 200/03 di conversione con modificazioni del Dl 147/03, essendosi avanzata l’altra esclusivamente per dimostrare come, nella fattispecie in esame, il reato sarebbe configurabile, pur in presenza di un’interpretazione estensiva e lassista, contrastante con la natura del provvedimento, anche se espressione di un non condivisibile trend legislativo, sicché l’eventuale possibilità di configurare pure la contravvenzione di aumento anche temporaneo dell’inquinamento costituisce un ulteriore segnale circa la necessità di sanzionare, comunque, dette situazioni illecite e pericolose per la tutela dell’ambiente.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.