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Friday 29 January 2016

Sospensione della prestazione

(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 836/16; depositata il 19 gennaio)

Violato l’obbligo di sicurezza dei lavoratori: legittimo il rifiuto di questi  alla prestazione lavorativa.
In caso di violazione da parte del datore di lavoro dell’obbligo di sicurezza di cui all’art. 2087 cod. civ., è legittimo, a fronte dell’inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la propria prestazione, conservando, al contempo, il diritto alla retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta inadempiente del datore.
Così deciso dalla Corte di Cassazione sezione lavoro con la sentenza n. 836,  pubblicata il 19 gennaio 2016

Il caso in esame: domanda di alcuni lavoratori volta ad ottenere il pagamento di un’ora e 45 minuti di retribuzione corrispondente al periodo di rifiuto della prestazione lavorativa attuato in conseguenza di omesso adempimento degli obblighi di sicurezza da parte dell’azienda.
Alcuni lavoratori addetti alla linea di assemblaggio di portiere per autovetture, ricorrevano al Tribunale per ottenere il pagamento della retribuzione corrispondente ad un’ora e 45 minuti, arco di tempo in cui i lavoratori avevano sospeso il lavoro, in concomitanza con le operazioni di manutenzione impianti resesi necessarie. In particolare, durante le lavorazioni si erano verificati distacchi delle portiere dagli agganci di linea e conseguenti cadute dei pezzi. Le anomalie erano state segnalate più volte e, dopo l’ultimo episodio,
I lavoratori avevano sospeso il lavoro, fino a che l’azienda non avesse provveduto alla messa in sicurezza delle operazioni. Le operazioni di manutenzione erano durate un’ora e 45 minuti e il datore di lavoro aveva trattenuto la retribuzione corrispondente, considerando il periodo come sciopero. Il Tribunale rigettava la domanda dei prestatori. Proposto appello da parte di questi, la Corte di merito riformava la sentenza di primo grado condannando l’azienda al pagamento delle somme trattenute. Ricorreva in Cassazione l’azienda.

La fattispecie prevista dall’articolo 1460 codice civile
La Corte d’Appello ha ritenuto sussistenti nel caso deciso tutti i requisiti della fattispecie prevista dall’articolo 1460 del codice civile. Il rifiuto alla prestazione lavorativa era diretta conseguenza dell’ennesimo episodio di caduta delle portiere, nonostante le precedenti segnalazioni fatte dai lavoratori di tali gravi episodi, rischiosi per l’incolumità dei medesimi prestatori. Si era dunque in presenza di violazione degli obblighi di tutela della sicurezza e di prevenzione gravanti sul datore di lavoro. Peraltro la stessa azienda aveva ammesso che la caduta di una portiera avrebbe potuto arrecare lesioni all’addetto, ove fosse stato colpito.

Il rifiuto alla prestazione conforme al principio codicistico
La Suprema Corte condivide la motivazione portata dai giudici di merito. Il rifiuto di adempimento della prestazione da parte del lavoratore, può ritenersi conforme a buona fede, in applicazione del principio “inademplenti non est adimplendum” ex art. 1460, comma 2, del codice  civile, e  trovare giustificazione nella mancata predisposizione di misure idonee a tutelare l’integrità fisica del prestatore di lavoro.
In base al disposto di cui all’articolo 2087 del codice civile il datore di lavoro è obbligato ad assicurare condizioni di lavoro atte a garantire la sicurezza del lavoro e l’incolumità dei prestatori. La violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione cui sono contrattualmente tenuti, eccependo l’inadempimento della controparte. Il principio qui enunciato è stato più volte affermato dalla Suprema Corte: si veda ad esempio Cassazione 7 maggio 2013 n. 10553.

Ammessa anche l’autotutela per garantire l’adempimento dell’obbligo di sicurezza
Al fine di garantire l’effettività della tutela dei lavoratori in materia di sicurezza, appare legittimo, prosegue il Supremo Collegio, il rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione, in presenza della violazione del datore di lavoro dei propri obblighi ex articolo 2087 codice civile. Ciò tuttavia non può pregiudicare il diritto del primo alla retribuzione, non potendo ricadere su di lui le conseguenze dell’inadempimento datoriale. Viene così ad individuarsi una forma di autotutela legittima dei propri diritti contrattuali.
La Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto sopra enunciati; dunque la sentenza impugnata appare immune da vizi.
Il ricorso proposto dall’azienda è stato così rigettato.

(avv. Roberto Dulio pubblicato su Diritto & Giustizia Giuffrè editore s.p.a)