Penale

Monday 22 March 2004

Sfruttamento della prostituzione in ambito familiare. Un caso singolare all’ attenzione della Corte di Cassazione. Sentenza 20 gennaio-2 marzo 2004, n. 9538

Sfruttamento della prostituzione in ambito familiare. Un caso singolare all’attenzione della Corte di Cassazione

Cassazione – Sezione terza penale (up) – sentenza 20 gennaio-2 marzo 2004, n. 9538

Presidente Raimondi – Relatore Fiale

Pm Siniscalchi – ricorrente Sparacino

Svolgimento del processo

Con sentenza 3 ottobre 2002 la Corte di appello di Genova confermava la sentenza 9 giugno 1999 del Gip del Tribunale di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di Sparacino Francesco in ordine ai reati di cui:

– agli articoli 3, nn. 5 e 8 e 4, n. 3, legge 75/1958 (per avere indotto, favorito e sfruttato il meretricio della moglie convivente Silvana Palermo, acquistano un monolocale ove la donna si prostituiva quotidianamente sotto il suo controllo e costringendola a consegnargli tutti i relativi proventi – in Genova, dall’ottobre 1992 all’ottobre 1998) e, con le riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante ed alla recidiva, lo aveva condannato alla pena principale di anni due di reclusione e lire 4.000.000 di multa, nonché alle pene accessorie di legge.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, il quale ha eccepito:

a) la violazione della disciplina della competenza territoriale;

b) vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità, tenuto conto delle contraddizioni che si connettono alle formulazioni accusatorie e della carenza di riscontri oggettivi;

c) l’insussistenza della contestata recidiva specifica;

d) l’insussistenza della contestata aggravante di cui all’articolo 4, n. 1, della legge 75/1958.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato, poiché tutte le doglianze sono infondate.

1. L’eccezione di incompetenza territoriale si basa sul presupposto che, nel corso delle indagini preliminari, il Pm presso il Tribunale di Genova trasmise il processo, per competenza, al Tribunale di Sciacca: il Gip di quest’ultimo Tribunale, però, stralcio gli atti relativi ai fatti accaduti in Genova e li restituì alla Procura di quella città, dichiarandosi per essi territorialmente incompetente.

Lo stesso Gip del Tribunale di Sciacca, poi, per i fatti di induzione e sfruttamento della prostituzione della Palermo accaduti in Sicilia dal 1984 al 1987, emise sentenza assolutoria in data 3 luglio 2001, basandosi essenzialmente sulla intervenuta ritrattazione delle accuse da parte della donna, che aveva asserito di avere incolpato ingiustamente il marito per motivi di gelosia.

Il Gip del Tribunale di Genova, nel giudizio di  primo grado, rigettò l’eccezione di incompetenza territoriale rilevando che non era ravvisabile unicità del disegno criminoso tra i fatti accaduti in Sicilia (fino al 1987) e quelli verificatisi in Genova (a partire dell’anno 1992).

La Corte di merito – alla quale l’eccezione di incompetenza venne nuovamente proposta con i motivi di gravame – ha ritenuto corrette le determinazioni del Gip in punto di inconfigurabilità della continuazione ed ha altresì argomentato che la questione doveva considerarsi ormai superata in seguito alla pronuncia della sentenza assolutoria del Gip del Tribunale di Sciacca.

Osserva, in proposito, il Collegio che l’ipotesi di connessione di cui all’articolo 12, lettera b), Cp, si riferisce (oltre che ai diversi reati commessi con una sola azione od omissione) ai diversi reati che, con più azioni od omissioni, l’agente commette in esecuzione di un medesimo disegno criminoso ed in attuazione, perciò, di una preventiva rappresentazione soggettiva integrante un unitario programma delinquenziale.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, la unicità del disegno criminoso, necessaria per la configurabilità del reato continuato, non può identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o, comunque, con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate condotte criminose, ma occorre che le singole violazioni siano tutte previste e deliberate sin dall’origine nelle loro linee essenziali e riconducibili ad un unico momento volitivo, che non può essere presunto per la sola circostanza dell’identità dei beni aggrediti con le condotte criminose o per la reiterazione di queste ultime in tempi ravvicinati.

Il solo dato costituito dall’identità od omogeneità dei reati da taluno commessi in tempi diversi, infatti, se è certamente indicativo di una particolare attitudine del soggetto a commettere azioni criminose della medesima indole, e quindi, rivelatore di una accentuata pericolosità sociale, non vale però a far ritenere, in mancanza di altri e più sostanziali elementi, che i detti reati siano frutto di determinazioni volitive risalenti ad un’unica deliberazione di fondo.

A carico dell’interessato si pone, in proposito un onere di allegazione, che viene assolto con la specificazione di elementi concreti dai quali possa desumersi – attraverso un ragionamento condotto alla stregua di rigorosi criteri di ordine logico – la sussistenza delle condizioni alle quali l’articolo 81 cpv Cp subordina l’applicazione della disciplina della continuazione.

Tali principi, nella fattispecie in esame, risultano correttamente applicati dai giudici del merito, i quali – in carenza della dimostrazione di un programma unitario dell’attività delinquenziale – legittimamente e razionalmente hanno escluso la sussistenza di un’unica deliberazione originaria in relazione a fatti-reato commessi in diversi contesti ambientali e distanziati nel tempo, tenuto anche conto delle dichiarazioni della parte offesa, secondo la quale, essendosi ella rifiutata di proseguire nell’esercizio del meretricio nell’anno 1987, il marito accettò tale decisione e solo a distanza di circa cinque anni, a seguito di difficoltà economiche sopravvenute, la spinse a prostituirsi nuovamente.

2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, in tema di valutazione probatoria, la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest’ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può tuttavia essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un’indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l’ha resa (Cassazione: Sezione sesta, 2732/94 e Sezione prima, 3220/92).

Un’indagine siffatta, nella fattispecie in esame, risulta correttamente effettuata, poiché i giudici del merito hanno sottoposto ad un controllo rigoroso le dichiarazioni accusatorie provenienti dalla Palermo.

La stessa – dopo la ritrattazione delle accuse effettuata davanti al Gip del Tribunale di Sciacca – è stata sentita dalla Corte di Genova, in sede di rinnovazione istruttoria, ed ha confermato le iniziali dichiarazioni accusatorie, ammettendo di avere detto il falso al Gip, sia perché indotta a ciò dal marito e dai figli sia per condizionamento ambientale, in quanto non voleva essere “bollata come meretrice” nella cittadina siciliana dove era vissuta per diversi anni e dove viveva il figlio maggiore.

La scelta compiuta in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni rese in dibattimento risulta fondata su esatti criteri logici ed il relativo giudizio appare sorretto da una motivazione analitica e completa del convincimento.

La Corte territoriale ha tenuto conto, quindi, degli elementi di conferma forniti dalle dichiarazioni delle sorella della Palermo e della figlia Margareth, nonché dalla in equivoca deposizione della teste Luccioni.

Nell’anzidetto contesto probatorio la stessa Corte non ha mancato di considerare specificamente le obiezioni formulate dalla difesa (in particolare quelle riferite alle contestate “necessità economiche” della famiglia) ed ha razionalmente escluso ogni pretesa illogicità del racconto.

Le censure concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione dei fatti e dell’attribuzione degli stessi alla persona dell’imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativi, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

3. Dalla motivazione della sentenza medesima risulta che la Corte territoriale:

– ha tenuto conto esclusivamente della “recidiva per reati contro il patrimonio”;

– ha escluso la contestata aggravante di cui all’articolo 4 n. 1 della legge 75/1958, sul rilievo che «l’opera di induzione alla prostituzione non è avvenuta mediante uso di violenza o minaccia, ma mediante la prospettazione delle necessità economiche della famiglia».

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

PQM

La Corte Suprema di cassazione, visti gli articoli 607, 615 e 616 Cpp, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.