Lavoro e Previdenza

Thursday 09 December 2004

Se il datore di lavoro paga il bollo e la R.C. sull’ auto del dipendente è legittima l’ inclusione del benefit nel trattamento di fine rapporto. Lo sostiene la Cassazione

Se il datore di lavoro paga il bollo e la R.C. sullauto del dipendente è legittima linclusione del benefit nel trattamento di fine rapporto. Lo sostiene la Cassazione

Cassazione Sezione lavoro sentenza 25 ottobre-25 novembre 2004, n. 22264

Presidente Ravagnani Relatore Maiorano

Pg De Augustinis conforme ricorrente Marini controricorrente Fiat Auto

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Torino Marini Fulvio conveniva in giudizio la Fiat Auto Spa per il computo nella base di calcolo del TFR del benefit costituito dall’utilizzo di autovetture che dal 1986 al 1998 gli erano state messe a disposizione dal datore di lavoro con le seguenti modalità: egli acquistava la macchina ad un prezzo scontato del 23% con pagamento a 12 mesi; alla scadenza, senza alcun addebito a suo carico la macchina veniva sostituita con altra vettura nuova, mentre la Fiat provvedeva a pagare anche l’assicurazione e la tassa di proprietà; il benefizio veniva accordato a tutti i funzionari, che potevano utilizzare la macchina anche per fini personali.

La Fiat contrastava la domanda ed il Tribunale dichiarava la nullità del ricorso. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza, rigettava le domande proposte con l’atto introduttivo e compensava le spese del doppio grado. Precisava il giudice del riesame che il ricorso non era nullo, perché dalla lettura dello stesso emergevano le circostanze di fatto e di diritto poste a fondamento della domanda e la convenuta Fiat era stata in condizioni di difendersi nel merito. Le domande però erano infondate; pacifiche in causa erano le circostanze di fatto analoghe a quelle di altra causa già decisa dalla Corte territoriale: la Fiat concludeva effettivi contratti di acquisto di un’autovettura, scelta in una limitata gamma di modelli, con un numero indefinito di possibili “interessati”, tra i quali non vi erano solo “i dipendenti della medesima società, ma anche terzi estranei (dipendenti di altre società, anche non appartenenti al gruppo Fiat)”; le macchine venivano vendute “non solo ai propri dipendente e, comunque -circostanza significativa- non a tutti i dipendenti che si trovavano nella medesima posizione contrattuale”, con trasferimento effettivo di proprietà e assunzione dell’obbligo di pagamento del prezzo; se l’acquirente prima della scadenza intendesse ordinare altra vettura poteva liberarsi dall’obbligo del pagamento dando mandato alla Fiat di vendere la vettura stesse; lo stesso quindi aveva la scelta fra l’acquisto definitivo della macchina e la restituzione della stessa, con acquisto di un’altra alle medesime condizioni, a patto che la macchina fosse in normali condizioni d’uso e non avesse subito danni, che rimanevano a carico dell’acquirente. Si poteva in sostanza “cambiare” la macchina ogni anno, senza pagare alcun prezzo, fino al termine del contratto. Si trattava però di una vera e propria compravendita, con tutte le conseguenze relative, fra cui i benefici economici ai venditori; inoltre, l’iniziativa era diretta non solo ai “dipendenti della Fiat Auto, ma anche verso altri soggetti (ad es. i dipendenti della società editrice La Stampa, per i quali appare …difficile ipotizzare …un benefit di natura retributiva)”; non era obbligatoria e non era previsto un quid sostitutivo per chi non intendesse usufruire del beneficio; non era possibile liberarsi dall’obbligo di pagamento del prezzo semplicemente restituendo la vettura, dovendo in tal caso pagare il prezzo fatturato e procedere poi ad una reale ulteriore vendita; infine l’eventuale perdita della macchina (incidente, furto, ecc.) non liberava il dipendente dall’obbligo del pagamento del prezzo e non dava diritto ad avere altra macchina in sostituzione. Si trattava di una iniziativa mossa da finalità di “immagine”, oltre che di buoni rapporti con società terze, anche se poteva essere accompagnata dal desiderio di far cosa gradita di propri dipendenti. Il rapporto di lavoro era però solo una occasione per individuare il beneficiario dell’iniziativa e quindi mancavano le caratteristiche necessarie per qualificare il beneficio come una retribuzione indiretta, quale corrispettivo della prestazione lavorativa svolta. La domanda quindi era infondata e doveva essere rigettata.

Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione il Marini, fondato su un solo articolato motivo. Resistono la Fiat auto partecipazioni spa e la Fiat Auto Spa con unico controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie illustrative.

Motivi della decisione

Lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2120, comma 2°, c.c., nonché contraddittoria e insufficiente motivazione (articolo 360 n. 3 e 5 Cpc) deduce il ricorrente che per giurisprudenza costante tra i benefici e le utilità ricompresi nella nozione onnicomprensiva di retribuzione rientra pacificamente sia il valore dell’uso, anche personale, di un’autovettura, sia il pagamento da parte del datore di lavoro dei premi assicurativi e degli accessori relativi all’auto. Il titolo in base al quale sia concessa al dipendente una determinata utilità è del tutto indifferente e quindi è computabile qualunque beneficio non occasionale, anche quando lo stesso trovi la sua radine in un rapporto obbligatorio diverso, ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro (Cassazione n. 8496 del 22/6/00). La circostanza quindi che una determinata attività sia ricevuta dal lavoratore in conseguenza di “una vera e propria compravendita” (come si legge in sentenza) non vale in alcun modo ad escludere la natura retributiva di quella utilità, laddove sia attribuita al dipendente un vantaggio particolare che non compete agli altri normali acquirenti. Ciò che rileva ai sensi dell’articolo 2120 Cc non è il titolo in base al quale l’utilità o il beneficio sia concesso, ma la circostanza stessa che sia stato effettivamente ricevuto dal dipendente e sia collegato al rapporto di lavoro, a titolo non occasionale, a prescindere dal “nomen juris” impiegato dalle parti (Cassazione n. 4197 del 12/4/95). A ritenere il contrario si violerebbe non solo il secondo comma dell’articolo 2120 Cc, ma anche il principio di effettività e di prevalenza dei dati sostanziali su quelli formali (Cassazione 3200 del 5/3/01). Né la natura retributiva è esclusa dalla spontaneità della erogazione.

Questi principi di diritto, costantemente affermati dalla Suprema Corte, sono stati violati dal giudice d’appello, anche perché sono pacifiche in causa le seguenti circostanze di fatto: che il ricorrente per 12 anni ha goduto dell’uso di una vettura nuova ogni anno, senza mai pagare alcun importo per detto uso (cosa questa che è stata ignorata dalla sentenza impugnata); che i premi di assicurazione per responsabilità civile, furto ed incendio, nonché la tassa di circolazione per le macchine in questione sono stati sempre pagati dalla Fiat fino alla cessazione del rapporto di lavoro (queste circostanze sono decisive di per sé ed anche per la valutazione della utilità complessiva ricevuta del dipendente attraverso l’acquisto della vettura nuova, senza mai pagare alcun prezzo); che (come risulta dalle deduzioni difensive in atti) il beneficio in questione era specificatamente concesso a tutti i dipendenti Fiat con qualifica di funzionario (circostanza questa che è assai rilevante ai fini dell’accoglimento del ricorso, posto che deve ritenersi la natura retributiva di un trattamento in natura se è ravvisabile una diretta connessione tra tale concessione e la posizione lavorativa dell’interessato a prescindere dal nomen juris impiegato dalle parti – Cassazione n. 4197/95-); che il beneficio è cessato al termine del rapporto di lavoro (anche questa circostanza è decisiva ai fini della valutazione dei benfit in questione, ma è stata ignorata dal giudice d’appello). Il giudice del riesame avrebbe dovuto applicare i principi di diritto sopra enunciati a tutte queste circostanze di fatto poste in evidenza e quindi accogliere la domanda.

Il giudice di merito, invece, l’ha rigettata sulla base di argomenti infondati o irrilevanti; si afferma innanzi tutto che il beneficio non avrebbe natura retributiva perché non sarebbe stato riservato esclusivamente ai dipendenti della società, ma anche ad altri dipendenti del gruppo Fiat, o a non meglio identificate “categorie di altri acquirenti”, con la specificazione poi che riguardava dipendenti della società editrice La Stampa, per cui sarebbe “difficile ipotizzare un benfit di natura retributiva”; l’argomento è irrilevante perché la concessione di un benefit ai dipendenti di altre società del gruppo non vale ad escludere la concessione del medesimo beneficio ai funzionari della Fiat.

Il secondo argomento, molto fragile, è che si è trattato di una vera e propria compravendita; la circostanza è irrilevante perché conta solo la concessione di un benefizio, a prescindere dallo strumento tecnico adoperato per concederla o dal nomen juris del negozio posto in essere. Irrilevanti sono le altre considerazioni sulla responsabilità dell’acquirente nei confronti dei terzi (posto che la macchina era assicurata a spese della Fiat) e sulle spese per l’uso del veicolo che in ogni caso gravano su chi l’utilizza anche nel caso di concessione a titolo gratuito.

In ogni caso, l’argomento relativo alla vendita della macchina è inconferente, perché non vale a giustificare le utilità ulteriori che sono state concesse del pagamento di premi assicurativi (per RC, incendio e furto) e tassa di circolazione dell’autovettura. Su questo profilo autonomo della domanda la sentenza impugnata non ha speso una sola parola.

Né può considerarsi significativa la circostanza che l’acquirente rispondeva per danni alla macchina e per la perdita della stessa, sia perché le medesime conseguenze possono derivare dall’uso gratuito del bene, sia perché la macchina era coperta da assicurazione c.d. Casco, che copra anche i danni arrecati alla stessa vettura.

Irrilevanti infine sono le circostanze che il funzionario fosse libero di comprare, o meno, la macchina (perché lo stesso ben poteva rifiutare anche l’uso gratuito di mezzo), sia la sussistenza, o meno, di altre finalità (di “immagine” o per evitare l’acquisto di macchine di altra marza di parte dei dipendenti) che l’azienda intendeva perseguire, perché ciò nulla toglie al benefit concesso al dipendente.

Il ricorso è fondato nei limiti che saranno in seguito precisati.

La Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui “il concetto di retribuzione recepito dall’articolo 2120 Cc – nel testo novellato dalla legge 29 maggio 1982 n. 297 – ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto è ispirato al criterio dell’onnicomprensività, nel senso che in detto calcolo vanno compresi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, anche se non strettamente correlati alla effettiva prestazione lavorativa, mentre ne vanno escluse solo quelle somme rispetto alle quali il rapporto stesso costituisce una mera occasione contingente per la loro fruizione, quand’anche essa trovi la sua radine in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro” (Cassazione n. 7431 del 10/8/96; conf. n. 8496/00).

Trattasi di principio di diritto condiviso dal Collegio e consolidato al punto da poter essere considerato diritto vivente. Nell’ambito però di tale principio, costituisce accertamento di fatto demandato al giudice di merito stabilire se in concreto una determinata utilità sia compresa fra gli emolumenti che trovano la causa tipica e normale nel rapporto di lavoro, oppure se per l’erogazione di determinati benefici questo rapporto costituisca una mera occasione contingente per la relativa fruizione; accertamento non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ed è anche consolidato il principio di diritto secondo cui “affinché il controllo, in sede di legittimità, dell’osservanza dell’obbligo della motivazione non trasmodi in una nuova formulazione del giudizio di merito esso: a) non può servire a mettere in discussione il convincimento in fatto espresso dal giudice “a quo” -che, come tale, è incensurabile- ma costituisce lo strumento attraverso il quale si può valutare la legittimità della base di quel convincimento; b) non permette di valutare l’eventuale ingiustizia in fatto della sentenza, ma solo la sussistenza di un mero sintomo di ingiustizia, per cui, fra l’altro, il difetto riscontrato deve riguardare un “punto decisivo” la cui identificazione non può, peraltro, essere rimessa alla Corte (cui venga genericamente espressa la doglianza di motivazione viziata), ma -in considerazione del principio di autosufficienza del ricorso e del carattere limitato del mezzo di impugnazione- è onere della parte ricorrente individuare (spettando ad essa di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità “sub specie” dell’apprezzamento della causalità dell’errore, “scilicet” della decisività delle circostanze) (Cassazione n. 11406 del 30/8/00).

Nella specie, la Corte d’Appello di Torino ha escluso che la vendita della macchina alle condizioni sopra specificate possa costituire un benefit di natura retributiva per le seguenti considerazioni: che il beneficio viene concesso ad un “numero indefinito di possibili interessati (anche se non) ..dipendenti della medesima società ma anche di terzi estranei (dipendenti di altre società anche non appartenenti al gruppo Fiat)”; che le macchine venivano vendute “circostanza significativa, non a tutti i dipendenti che si trovavano nella medesima posizione contrattuale”; che i danni alla macchina “rimanevano a carico dell’acquirente (altro elemento significativo)”; che potesse fruire della possibilità di cambiare la macchina “un soggetto, fosse o meno dipendente Fiat …senza pagare ulteriori prezzi”; che la concessione del medesimo benefizio a soggetti estranei alla Fiat, ma “ad es. i dipendenti della editrice La Stampa, per i quali – o meglio per quelli fra i quali che intendevano avvalersi di tale facoltà – appare sinceramente ipotizzare, in un siffatto sistema, un benefit di natura retributiva”; che la concessione del beneficio “non era obbligatoria per i dipendenti Fiat Auto (o quanto meno non era previsto un quid sostitutivo, anche eventualmente in denaro, per coloro che liberamente non intendevano avvalersi dell’iniziativa e non acquistavano alcuna vettura”; “infine, circostanza altamente significativa, (che) l’eventuale perdita del mezzo (incidente, furto ecc.) non liberava affatto il dipendente-acquirente dall’obbligo di pagamento del prezzo”.

Questi accertamenti di fatto e le conseguenze logiche che dagli stessi trae la Corte territoriale non vengono adeguatamente censurati, perché il ricorrente si limita a negare la rilevanza di alcune circostanze, trascurandone altre, come quella relativa alla concessione del benefizio anche a dipendenti di società non appartenenti al gruppo Fiat. oppure limitandosi ad affermare che il beneficio veniva concesso a tutti i funzionari, mentre il giudice d’appello ha accertato che lo stesso non riguardava “tutti i dipendente che si trovavano nella medesima posizione contrattuale” e che non era “previsto un quid sostitutivo” per quei dipendenti che non acquistavano alcuna macchina. Questi elementi di fatto non censurati, valutati globalmente assieme a tutti gli altri posti in evidenza, possono logicamente portare alla conclusione cui è pervenuta la Corte torinese che “difettano le caratteristiche necessarie per poter ritenere trattarsi di una retribuzione indiretta riconosciuta quale corrispettivo della prestazione lavorativa svolta”; convinzione che non può essere posta in discussione in questa sede.

Sulle altre questioni relative ad altri benefici, quali il pagamento dell’assicurazione e della tassa di proprietà della macchina il giudice d’appello ha omesso totalmente di motivare; così come ha omesso di valutare se questi benefici possano, o meno, essere tenuti presenti unitamente a tutti gli elementi sopra evidenziati relativi alla concessione della macchina nuova ogni anno ed in caso positivo se possano, o meno, portare ad una diversa valutazione di quel beneficio. In sostanza, le due circostanze del pagamento dell’assicurazione e della tassa di circolazione sono decisive di per sé e vanno valutate ai fini della domanda proposta dal marini; e possono anche essere tenute presenti ai fini della eventuale valutazione complessivamente diversa della utilità ricevuta del dipendente attraverso l’acquisto della vettura nuova, senza mai pagare alcun prezzo, unitamente a tutte le altre circostanze già accertate. Il ricorso  va quindi accolto e la sentenza cassata, con rimessione ad altro giudice, che si individua nella Corte d’Appello di Genova. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Genova.