Civile

Friday 05 December 2003

Responsabilità della P.A. per provvedimenti illegittimi e termini prescrizionali. Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 11 luglio-25 novembre 2003, n. 17940

Responsabilità della P.A. per provvedimenti illegittimi e termini prescrizionali

Cassazione Sezione prima civile sentenza 11 luglio-25 novembre 2003, n. 17940

Presidente Genghini relatore Fioretti

Pm Golia difforme ricorrente Emmegi controricorrente ministero delle Finanze

Svolgimento del processo

Con atto, notificato il 28 giugno 1990, la ditta Emmegi di Domenico Greco conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il ministero delle Finanze, deducendo:

che essa era iscritta dal 1974 nell’Albo nazionale dei concessionari per la riscossione dell’imposta sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni, tenuto dal ministero convenuto;

che, con decreto in data 24 gennaio 1983, il Ministero aveva disposto la sua cancellazione dall’Albo per presunte violazioni;

che il decreto era stato annullato dal Tar Lazio per carenza assoluta di motivazione, con decisione in data 27 settembre 1983;

che il ministero, con decreto in data 24 gennaio 1984, aveva reiterato il provvedimento di cancellazione;

che anche tale decreto era stato annullato dal Tar Lazio per difetto delle condizioni di legge con decisione in data 28 marzo 1986, confermata dal Consiglio di Stato con pronunzia del 28 maggio 1988;

che per effetto della cancellazione dall’Albo aveva subito danni per non aver potuto acquisire, fino al ripristino dell’iscrizione, nuove concessioni, con conseguente mancata espansione dell’attività e dei profitti;

che, stante la accertata illegittimità della condotta della Pa e la incidenza di essa su un suo diritto, le spettava il ristoro dei danni nella misura che sarebbe stata accertata in esito ad espletanda consulenza tecnica.

Costituitosi in giudizio, il ministero deduceva che l’attrice non aveva diritto al risarcimento del danno, atteso che l’interesse al mantenimento dell’iscrizione all’Albo si configurava quale interesse legittimo;

che, comunque, in relazione al primo provvedimento annullato l’azione risarcitoria era prescritta.

Con sentenza in data 22 gennaio-3 febbraio 1997, il tribunale summenzionato rigettava la domanda.

Avverso tale sentenza la Emmegi, con atto notificato il 9 luglio 1997, proponeva appello dinanzi alla Corte d’appello di Roma, deducendo che l’interesse al mantenimento della iscrizione all’Albo si configurava quale diritto soggettivo e che la prescrizione non si era maturata, dovendo farsi decorrere dall’ultima sentenza, quella del Consiglio di Stato.

Il ministero, costituitosi in giudizio, contestava il gravame e ne chiedeva il rigetto. Con sentenza in data 18 maggio 1999, depositata il 20 settembre 1999, la Corte rigettava l’appello sul rilievo che il diritto al risarcimento del danno dipendente dal primo provvedimento di cancellazione era prescritto, mentre il danno per l’illegittima esclusione dall’albo in conseguenza del secondo provvedimento di cancellazione, riferibile al periodo compreso tra il 24 gennaio 1984, data dell’emanazione del decreto di cancellazione, e il 28 aprile 1984, data della sua sospensione da parte del Tar, non era stato provato.

Avverso tale sentenza la ditta Emmegi di Domenico Greco ha proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi illustrati con memoria. Il Ministero delle Finanze ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ditta ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione di legge – Art. 40 Dpr 639/72 -articolo 21 legge Tar 1034/71 – articolo 360, nn. 3 e 5 Cpc, per aver il giudice a quo erroneamente ritenuto che la prima sentenza del Tar avesse ripristinato la iscrizione all’albo della Emmegi e che, quindi, gli effetti dannosi riconducibili al primo provvedimento di cancellazione si fossero esauriti con la pronuncia di detta sentenza.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di legge – articolo 2946 Cc – articolo 360 n. 3 Cpc.

Deduce la ricorrente che il Dm del 24 gennaio 1983 di cancellazione dall’Albo avrebbe inciso su un preesistente rapporto giuridico intercorrente tra la stessa e la Pa, nato a seguito di domanda di iscrizione e concretatosi con al iscrizione all’Albo. Stante questo specifico, particolare rapporto, la Pa era tenuta ad adibire nella sua gestione la diligenza propria dei rapporti obbligatori, essendo responsabile, nel caso contrario, dei danni cagionati.

Pertanto la responsabilità fatta valere dalla ricorrente non sarebbe di natura extracontrattuale, ma di natura contrattuale, con la conseguenza che il termine di prescrizione da applicare sarebbe quello ordinario decennale e non, come invece ritenuto dalla corte di merito, quello quinquennale.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione di legge – articolo 43 Dpr 639/72 – articolo 360, nn. 3 e 5 Cpc.

Deduce la ricorrente che erroneamente la corte di merito avrebbe affermato che, al fine di dar la prova del danno, la Emmegi avrebbe dovuto dimostrare – cosa che invece non avrebbe fatto – che durante il periodo di operatività dei provvedimenti di cancellazione, pur essendo stata invitata alle gare indette dai vari Comuni, non era risultata aggiudicataria di concessioni per la mancanza di iscrizione all’Albo.

Così argomentando la corte d’appello avrebbe tenuto presente l’ipotesi, di cui all’articolo 43, comma primo, del Dpr 639/72, di invito alla gara, per il conferimento della concessione mediante licitazione privata, rivolto dalla  amministrazione ad alcune ditte, senza considerare che, anche in tale ipotesi, le ditte non invitate potrebbero chiedere di essere ammesse alla gara, ove in possesso dei prescritti requisiti, e che, in tal caso, l’Amministrazione non potrebbe escluderle dalla gara stante il principio del favore per la più ampia partecipazione, che meglio garantirebbe l’interesse pubblico alla scelta del contraente più idoneo. Pertanto la corte d’appello avrebbe dovuto considerare circostanza decisiva che la ricorrente, priva del requisito della iscrizione all’Albo, non era in grado di presentare domanda di partecipazione alle numerose gare indette nei due periodi di cancellazione dal gennaio al settembre 1983 e dal gennaio all’aprile 1984.

Non risponderebbe, peraltro, al vero quanto affermato nella impugnata sentenza circa la mancanza di inviti rivolti alla ricorrente, avendo questa provato non solo le licitazioni indette dalle Amministrazioni comunali nei periodi di cancellazione dall’Albo, ma anche gli inviti ricevuti per la partecipazione ad alcune di esse.

La motivazione della sentenza sarebbe altresì contraddittoria, avendo prima riconosciuto che la ricorrente, durante il periodo di cancellazione, aveva dovuto limitare la sua attività alla gestione delle sole concessioni già acquisite, negando, poi, l’esistenza di qualsiasi danno in base all’erronea argomentazione che non avrebbe provato il ricevimento di inviti per la partecipazione alle gare per le concessioni di cui sopra.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione – articolo 360, n. 5, Cpc.

La sentenza di appello avrebbe errato nell’escludere che possa configurarsi un qualche danno nel periodo compreso tra la data della sospensione del provvedimento di cancellazione (20 aprile 1984) e la conclusiva decisione del Consiglio di Stato del 1988.

Nella fase di merito la ricorrente avrebbe documentato che i certificati di iscrizione all’Albo, rilasciati dopo l’ordinanza di sospensione, recavano l’annotazione del provvedimento di cancellazione dell’Albo e della successiva sospensione cautelare.

Tale annotazione, oltre che illegittima, sarebbe stata dannosa perché lesiva della immagine della Emmegi, perché suscettibile di insinuare il dubbio circa l’esistenza dei requisiti di moralità ed idoneità tecnico-finanziaria stabiliti dalla legge per l’iscrizione all’Albo, e perché escludeva la certezza che la stessa potesse espletare il servizio di accertamento e riscossione dell’imposta sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni per l’intero periodo dedotto in gara, nel caso fosse rimasta aggiudicataria.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia difetto di motivazione – Art. 360, n. 5, cod. proc. civ..

Deduce la ricorrente che la corte d’appello non avrebbe minimamente motivato il rigetto implicito delle due distinte domande di risarcimento per il discredito ingenerato dal certificato e per lo specifico effetto di impedimento a partecipare a nuove gare, entrambe travolte dall’integrale rigetto dell’appello.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione di legge – articolo 1227 Cc – Difetto di motivazione – Illogica valutazione delle prove offerte – articolo 360, n. 5, Cpc.

Deduce la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto la domanda azionata sfornita di prova.

La documentazione delle gare indette nel periodo compreso tra il 1983 ed il 1988 sarebbe sufficiente a provare l’esistenza del danno derivante dall’impossibilità di parteciparvi, dovuta, in un primo momento, alla cancellazione dall’Albo e, in un secondo, al rilascio di certificati che recavano menzione della cancellazione pur se sospesa.

Imporre alla Emmegi di farsi escludere dalle gare e pretendere questa quale unica prova del danno azionato sarebbe ingiusto e violerebbe i principi in tema di collaborazione tra debitore e creditore.

Con il settimo motivo la ricorrente denuncia motivazione contraddittoria – articolo 360, n. 5, Cpc.

Deduce la ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe contraddittoria quando rileva dapprima che la Emmegi non avrebbe fornito documenti di contabilità dai quali si potesse «accertare l’esistenza di perdite ricollegabili alla mancata acquisizione di nuove concessioni» e poi afferma la «irrilevanza di eventuali cali delle entrate, che fosse dato, per ipotesi,ricavare per differenza dalla contabilità relativa agli anni, rispettivamente, antecedenti e successivi al periodo di sospensione, giacché resterebbe sempre da dimostrare il rapporto di causalità tra perdite e operato della Pa».

Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia ingiusto diniego di ammissione di mezzi di prova – articolo 360, nn. 3 e 5, Cpc.

Erroneamente il giudice a quo avrebbe negato l’ammissibilità della consulenza tecnica richiesta.

A fronte dell’ampia documentazione, prodotta dalla Emmegi, e del dato di fatto che tra il 1983 ed il 1988 alla ricorrente era stato impedito di partecipare tout court o di partecipare a parità di condizioni (a causa della pregiudizievole annotazione sui certificato di iscrizione all’Albo) alle gare indette dai Comuni, trattandosi di danno per perdita di chance, non poteva chiedersi alla ricorrente stessa la prova precisa e puntuale dell’ammontare del danno, con la conseguenza che, acquisita la  certezza di esso, non poteva essere rifiutata l’ammissione della chiesta consulenza tecnica finalizzata alla quantificazione, anche sulla base degli elementi statistici e probabilistici desumibili dalla documentazione prodotta.

Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

Il collegio osserva che il giudice a quo ha accertato in fatto:

che la Emmegi ottenne l’iscrizione all’Albo nazionale dei concessionari del servizio per l’accertamento e la riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni con decreto del ministero delle Finanze in data 20 ottobre 1973;

che con decreto in data 24 gennaio 1983 il Ministro dispose la sua cancellazione dall’Albo, ritenendo essere venuti meno i requisiti per l’iscrizione ex articolo 40 Dpr 639/72 (requisiti morali ed idoneità tecnico finanziaria);

che il decreto fu annullato dal Tar Lazio il 27 settembre 1983 per difetto di motivazione;

che il Ministro reiterò la cancellazione con decreto in data 24 gennaio 1984, che, sospeso dallo stesso Tar il 20 aprile 1984, fu, poi, annullato il 28 marzo 1986 per carenza dei presupposti con decisione confermata dal Consiglio di Stato il 28 maggio 1988.

Detto giudice ha affermato, altresì, che la illegittima esclusione della Emmegi dall’Albo durante i periodi di operatività dei due provvedimenti di cancellazione rilevava come fatto dannoso, «dovendosi supporre che la ditta, attiva da alcuni anni in vari Comuni, abbia dovuto limitare la sua attività alla gestione delle concessioni già acquisite, senza potere espandersi con l’acquisizione di altre»;

che il danno, lamentato dalla ditta summenzionata per l’impossibilità di acquisire nuove concessioni (perdita di “chances”) durante il periodo di durata della illegittima cancellazione dall’Albo, doveva qualificarsi come ingiusto, derivando da un operato illegittimo della Pa lesivo di un diritto soggettivo avente un preciso contenuto patrimoniale, costituendo l’iscrizione all’albo «un elemento primario dell’azienda siccome indispensabile per l’esercizio dell’attività di gestione dei servizi in concessione»;

che la condotta della Pubblica amministrazione doveva ritenersi quanto meno colposa, implicando la accertata illegittimità dei provvedimenti di cancellazione dall’albo la violazione di «regole fondamentali dell’azione amministrativa, quali quelle della legalità, della correttezza, della trasparenza, della imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione»;

che il danno ascrivibile al primo provvedimento di cancellazione dovevasi ritenere prescritto, dovendosi applicare – trattandosi di risarcimento del danno da fatto illecito – il termine di prescrizione quinquennale di cui all’articolo 2947 Cc. Infatti alla data della notifica della citazione (28 giugno 1990), primo atto interruttivo, non essendovi stati precedenti atti interruttivi, il termine prescrizione quinquennale era ormai maturato, dovendo questo farsi decorrere dal passaggio in giudicato, nel 1983, per mancata impugnazione, della decisione del Tar, che aveva annullato l’atto illegittimo e non potendosi considerare quale data di inizio della prescrizione, come preteso dalla attuale ricorrente, quella del passaggio in giudicato (nel 1988) della sentenza di annullamento del secondo provvedimento di cancellazione dall’albo, dovendo i due provvedimenti di cancellazione considerarsi vicende autonome;

che il danno per il periodo fuori prescrizione poteva essere ipotizzato per il periodo compreso tra il 24 gennaio 1984, data del secondo provvedimento amministrativo di cancellazione dall’Albo, ed il 20 aprile 1984, data della sua sospensione da parte del Tar, non potendo la Emmegi acquisire nuove concessioni per mancanza di iscrizione, ma non poteva essere ipotizzato per il periodo successivo, fino alla pronunzia del Consiglio di Stato, dato che, una volta intervenuta la sospensione, essa riacquistava in pieno la capacità di partecipare alle gare per la concessione del servizio in questione;

che anche per il periodo dal 24 gennaio 1984 al 20 aprile 1984 il risarcimento del danno non poteva essere riconosciuto, non avendo la ditta summenzionata provato in concreto l’esistenza di un danno per la perdita di nuove concessioni.

Passando all’esame delle censure mosse alla sentenza impugnata, il collegio osserva che non appaiono condivisibili quelle relative al termine di prescrizione applicabile ed alla data di decorrenza della prescrizione.

La ricorrente sostiene, con il secondo motivo di ricorso, che la responsabilità ricollegabile alla illegittima cancellazione dall’albo, di cui all’articolo 40 del Dpr. 639/72, è di natura contrattuale e che, quindi, il termine di prescrizione applicabile è quello ordinario di cui all’articolo 2946 Cc.

Tale tesi non può essere condivisa.

L’articolo 40 del Dpr 639/72 (imposta comunale sulle pubblicità e diritti sulle pubbliche affissioni) dispone che il servizio per l’accertamento e per la riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni può essere dato in concessione alle persone fisiche o giuridiche che risultino iscritte nello apposito albo istituito presso il Ministero delle Finanze e che tale iscrizione è subordinata al riconoscimento di requisiti morali, dell’idoneità tecnico finanziaria a ben condurre la gestione del servizio ed alla mancanza delle cause di incompatibilità di cui ai numeri 1, 4, 5, 8, 9, e 10 del successivo articolo 42.

L’articolo 41, ultimo comma, dello stesso Dpr dispone che le determinazioni circa l’ammissione o l’esclusione dall’albo sono adottate con decreto motivato del ministro per le Finanze.

L’articolo 43 del citato Dpr dispone che il conferimento della concessione ha luogo mediante licitazione privata da indirsi tra non meno di tre ditte che abbiano adeguata capacità economico-finanziaria e che siano iscritte nell’albo previsto dall’articolo 40.

Dalla normativa su riportata si evince che l’iscrizione all’albo avviene in conseguenza di un provvedimento amministrativo; che tale provvedimento consiste in un atto unilaterale di ammissione, che produce l’effetto di fare acquisire all’interessato un requisito soggettivo necessario per concorrere all’esperimento di una gara, restando escluso che in virtù dello stesso, espressione di potere amministrativo e non di autonomia privata, sorga tra chi ha richiesto l’iscrizione e la pubblica amministrazione un rapporto obbligatorio con diritti ed obblighi funzionalmente collegati.

La mancanza di un preesistente rapporto obbligatorio e l’impossibilità, quindi, del verificarsi della inadempienza di una obbligazione da contratto da parte della pubblica amministrazione porta necessariamente ad escludere che la illegittima cancellazione dall’albo possa configurarsi come inadempimento contrattuale, ed a ritenere, invece, che la fattispecie in esame integri una ipotesi di responsabilità aquiliana.

Conseguentemente il termine di prescrizione applicabile non è quello decennale di cui all’articolo 2946 Cc, ma, come giustamente ritenuto dal giudice a quo, quello quinquennale di cui all’articolo 2947 Cc.

Sostiene la ricorrente (con il primo motivo) che la fattispecie dannosa avrebbe carattere unitario ed il suo definitivo perfezionamento si sarebbe verificato all’atto della decisione del Consiglio di Stato, intervenuta nel 1988.

Tale data rappresenterebbe, pertanto, il termine iniziale di decorrenza della prescrizione anche per il danno imputabile al primo provvedimento di cancellazione, con la conseguenza che, pure applicando il termine quinquennale di cui all’art. 2947 cod. civ., la prescrizione del diritto al risarcimento di detto danno non potrebbe, al momento della citazione introduttiva dell’attuale giudizio, considerarsi avvenuta.

Anche tale tesi non può essere condivisa.

Il giudice a quo, come su detto, ha accertato che il primo atto di cancellazione dall’albo, emesso in data 24 gennaio 1983, fu annullato dal Tar per difetto di motivazione, con decisione in data 27 settembre 1983, non impugnata e divenuta definitiva nello stesso anno;

che il secondo atto di cancellazione, emesso in data 24 gennaio 1984, fu annullato dal Tar per vizi di diversa natura (inesistenza delle condizioni di legge per la cancellazione) con decisione in data 28 marzo 1986, poi confermata dal Consiglio di Stato.

Sulla base di tali accertamenti ha escluso che gli atti di cancellazione summenzionati potessero ritenersi, ostandovi il primo giudicato, elementi costitutivi di un’unica vicenda dannosa, ed ha conseguentemente affermato che il termine iniziale di decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno dipendente dal primo provvedimento doveva identificarsi con la data del passaggio in giudicato della decisione che aveva eliminato con l’annullamento detto provvedimento.

Tale conclusione appare corretta anche se necessita di una diversa motivazione.

La configurabilità dell’illecito in questione presuppone che nel periodo di operatività della illegittima cancellazione dall’albo vengano indette fare per il conferimento del servizio di accertamento e di riscossione dell’imposta comunale sulle pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni.

Soltanto nel momento in cui viene indetta la gara per il conferimento di detto servizio, la illegittima cancellazione dall’albo, comportando per l’interessato la giuridica impossibilità di parteciparvi, si pone come fatto produttivo di danno e soltanto in tale momento si perfeziona la fattispecie che da diritto al suo risarcimento.

Se l’esperimento della gara è condizione necessaria del verificarsi in concreto dell’evento lesivo, deve necessariamente ritenersi che la pluralità di gare che si succede nel tempo rende plurimi gli eventi dannosi, e diverso per ciascun evento lesivo il termine iniziale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, costituendo le ulteriori conseguenze pregiudizievoli (data l’autonomia di ciascuna gara rispetto alle altre) non un mero sviluppo ed aggravamento del danno già insorto, ma una nuova ed autonoma lesione.

Infatti, secondo il costante orientamento giurisprudenziale di questa corte, che il collegio condivide, non ravvisando serie ragioni per discostarsene, allorquando il medesimo fatto, doloso o colposo, produca, dopo un primo evento lesivo, ulteriori conseguenze pregiudizievoli, la prescrizione dell’azione risarcitoria, per il danno inerente a questultime, nel caso in cui essere integrino nuove ed autonome lesioni, come nel caso di specie, e non costituiscano, invece, un mero sviluppo ed aggravamento del danno già insorto, decorre dalla loro verificazione (cfr. tra le molte Cass. 6259/83; 4677/96; 4677/96; 12891/97).

Senonché, nel caso in esame, per individuare il momento di effettiva decorrenza della prescrizione ed il momento della sua maturazione, devesi tener conto anche dell’effetto interruttivo della stessa, prodotto dalla domanda al Tar di annullamento sia del primo, sia del secondo provvedimento di cancellazione dall’albo, perdurante fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Questa corte, infatti, ha affermato il principio, che questo collegio pienamente condivide, secondo cui nella ipotesi di diritto al risarcimento del danno derivato dalla esecuzione di provvedimenti illegittimi della pubblica amministrazione, la domanda che il privato propone al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento di tali provvedimenti determina, a norma degli articoli, 2943, primo comma, e 2945, primo e secondo comma, Cc, l’interruzione della prescrizione, fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce quel giudizio (cfr. in tal senso Cass. 3726/00).

Applicando tale principio, si deve ritenere che, per i danni verificatisi in conseguenza del primo provvedimento di cancellazione dall’albo e durante il periodo della sua operatività, la prescrizione, interrotta dalla domanda di annullamento del provvedimento di cancellazione, abbia ripreso il suo corso a partire dal momento del passaggio in giudicato (avvenuto nel 1983) della sentenza che ha definito il relativo giudizio.

Corretta è pertanto l’affermazione del giudice a quo che il termine quinquennale di prescrizione del diritto al risarcimento di detti danni, al momento della introduzione del presente giudizio, era ormai interamente decorso.

Fondate, invece, sono le altre censure.

La sentenza impugnata ha affermato che potrebbero essere riconosciuti danni alla Emmegi, per quanto riguarda il periodo fuori prescrizione, limitatamente a quello in cui operò la cancellazione, ossia dal 24 gennaio 1984, data del secondo provvedimento amministrativo di cancellazione, al 20 aprile 1984, data della sua sospensione da parte del Tar, non potendo la Emmegi acquisire durante tale periodo nuove concessioni. Un danno, invece, non sarebbe ipotizzabile per il periodo successivo, fino alla pronunzia del Consiglio di Stato, atteso che, una volta intervenuta la sospensione del provvedimento di cancellazione, la Emmegi aveva riacquistato «in pieno la capacità di partecipare alle gare per la concessione di servizi».

La ricorrente censura con il quarto ed il quinto motivo tale passaggio della sentenza impugnata, assumendo che i certificati di iscrizione all’albo, rilasciati dopo l’ordinanza di sospensione, recavano l’annotazione del provvedimento di cancellazione dall’albo e della successiva sospensione cautelare e che tale annotazione, oltre che illegittima, doveva ritenersi dannosa, perché suscettibile di insinuare il dubbio circa l’esistenza dei requisiti di moralità ed idoneità tecnico-finanziaria stabiliti dalla legge e perché escludeva la certezza che la stessa potesse espletare effettivamente il servizio, nel caso ne fosse rimasta aggiudicataria.

Sul punto non vi sarebbe alcuna motivazione nella sentenza impugnata.

Tale censura appare fondata, essendosi, come su riferito, il giudice a quo limitato ad affermare apoditticamente che con la sospensione del provvedimento di cancellazione la Emmegi aveva riacquistato in pieno la capacità di partecipare alle gare per la concessione del servizio summenzionato, ignorando del tutto il fatto che il provvedimento cautelare di sospensione del provvedimento amministrativo non incide sulla validità ed efficacia dell’atto stesso, ma tocca esclusivamente la sua esecutività, rendendola quiescente (cfr. Cass. 1259/79), e che, fin quando non interviene la sentenza definitiva, permane una situazione di incertezza circa la sorte dell’atto stesso (nel caso di specie circa la sorte del provvedimento di cancellazione dall’albo e la possibilità di ripristino della relativa iscrizione), che non può ritenersi irrilevante ai fini di una paritetica partecipazione alla gara per il conferimento della concessione del servizio in parola.

La sentenza impugnata ha affermato, infine, che il diritto al risarcimento del danno deve essere escluso, anche per il periodo per il quale sarebbe ipotizzabile un danno (cioè dal 24 gennaio 1984 al 20 aprile 1984), non avendo la Emmegi provato di aver subito in concreto un danno per perdita di nuove concessioni;

che a tal fine essa avrebbe dovuto dimostrare che durante il periodo in questione, pur essendo stata invitata a partecipare alle gare indette dai vari Comuni, non si era resa aggiudicataria di concessioni per la mancanza di iscrizione all’albo;

che, invece, si era limitata a produrre documentazione varia, dalla quale era dato ricavare soltanto che, nel periodo in questione, furono indette gare, a seguito delle quali altre ditte si resero aggiudicatarie delle concessioni;

che da nessun  documento risultava che la Emmegi, invitata ad alcune di quelle gare, fosse stata esclusa per la mancanza del requisito della iscrizione all’albo;

che anzi dagli atti si ricavava il dato costante contrario dell’assenza della Emmegi in tutte le comunicazioni di gara, con invito a parteciparvi, fatte dai vari Comuni;

che mai risultava una sua offerta in relazione a quelle gare;

che, peraltro, la Emmegi non aveva prodotto un solo documento relativo alla sua contabilità, dal quale fosse dato ricavare elementi per accertare l’esistenza di perdite ricollegabili alla mancata acquisizione di nuove concessioni;

che la consulenza tecnica, richiesta in primo grado e reiterata in appello per accertare i danni e quantificarli, non poteva trovare ingresso, sia perché, di fronte alla assoluta carenza di prova in ordine alla esistenza concreta del danno, essa avrebbe comportato una inammissibile funzione di supplenza del giudice rispetto all’onere della prova facente carico alla parte, sia perché l’indagine tecnica, in difetto di idonea documentazione contabile, si sarebbe dovuta condurre in base a soli dati statistici e probabilistici, il che era inammissibile, non potendosi un accertamento tecnico, per la sua stessa natura, ancorare a dati astratti, anziché ad elementi specifici e concreti.

A questa parte della sentenza la ricorrente ha mosso censure con il terzo, il sesto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso.

Con tali motivi, in sintesi, la ricorrente lamenta che non si sia attribuito decisivo rilievo alla circostanza che, essendo essa priva del certificato di iscrizione all’albo, non era in grado di partecipare alle gare indette nei periodi di cancellazione dall’albo;

che, peraltro, non risponderebbe al vero quanto affermato nella sentenza impugnata circa la mancanza di inviti rivolti alla ricorrente;

che, comunque, la mancanza di inviti non avrebbe alcun rilievo, potendo l’interessato, munito di iscrizione all’albo, partecipare alle gare anche senza un formale invito;

che la documentazione delle gare indette nel periodo compreso tra il 1983 ed il 1988 sarebbe sufficiente a provare l’esistenza del danno derivante dall’impossibilità di parteciparvi, dovuta, in un primo momento, alla cancellazione dall’albo e, in un secondo, al rilascio di certificati, che recavano menzione della cancellazione pur se sospesa;

che erroneamente il giudice avrebbe negato la ammissibilità della consulenza richiesta per provare l’ammontare del danno, che, peraltro, trattandosi di danno per perdita di chances, avrebbe potuto essere liquidato anche in via equitativa.

Tali censure sono fondate.

Il danno lamentato dalla ricorrente va qualificato come danno per perdita di chances, che, quindi, è ragionevole ritenere sussistente per il solo fatto di aver impedito alla ricorrente, cancellandola dall’albo, di partecipare alle gare indette dai Comuni per il conferimento del servizio di accertamento e riscossione della imposta comunale sulle pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni o di parteciparvi a parità di condizioni (per quanto riguarda il periodo di sospensione del provvedimento di cancellazione dall’albo), togliendo così alla stessa la possibilità di acquisire nuove concessioni e realizzare in futuro probabili maggiori guadagni.

Pertanto ha errato il giudice a quo nel ritenere che la attuale ricorrente non avesse fornito la prova della esistenza del danno producendo documentazione varia dalla quale era dato ricavare che, nel periodo in questione, erano state indette gare, delle quali altre ditte si erano rese aggiudicatarie.

La prova dello esperimento di gare nel periodo in questione fa presumere l’esistenza del danno, traducendosi, come detto, l’impossibilità di partecipare alle gare o di parteciparvi in condizioni di parità con gli altri concorrenti nella perdita della possibilità di realizzare probabili futuri guadagni.

  Né rileva, ai fini della prova dell’esistenza del danno, la mancanza di invito alla partecipazione alla gara, potendo l’interessato chiedere di partecipare alla stessa ed esservi ammesso, qualora la pubblica amministrazione ritenga che ne abbia i requisiti, indipendentemente dall’invio allo stesso di una lettera di invito.

Né, infine, può ragionevolmente ritenersi che la Emmegi non abbia fornito la prova di aver subito in concreto un danno per il fatto che, invitata, non ha provato di aver partecipato alla gara e di esserne stata esclusa, o che, non invitata, non ha provato di non esservi stata ammessa, dopo aver chiesto di parteciparvi.

La mancanza del necessario requisito della iscrizione all’albo rendeva certa la esclusione della Emmegi dalla gara nel periodo precedente alla sospensione del provvedimento di cancellazione dall’albo stesso ed estremamente probabile la sua esclusione nel periodo successivo, data la incertezza circa la sua esistenza al momento in cui il processo, promosso per l’annullamento del provvedimento di cancellazione, si fosse concluso.

Non si può porre a carico della Emmegi il fatto di non aver partecipato alle gare per il conferimento della concessione, quando l’esito negativo di tale partecipazione era del tutto scontato.

Ha errato il giudice a quo nel non ammettere la consulenza tecnica, essendo questa necessaria per stabilire l’ammontare del danno.

Costituendo il danno da perdita di chance una ipotesi di danno patrimoniale futuro (cfr. in tal senso Cass. 9598/98), il suo ammontare può essere stabilito soltanto per presunzione o attraverso un calcolo di probabilità (cfr. Cass. 10739/02).

Tale calcolo, costituendo una operazione che richiede particolare competenza tecnica, richiede necessariamente l’ausilio di un esperto e l’espletamento, quindi, di una consulenza tecnica, che se non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume e la sua ammissione è, quindi, legittimamente negata dal giudice, qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerta di prove ovvero a compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati, non può essere negata, invece, quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto, come nel caso di specie, con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche.

Ha errato, infine, il giudice a quo, dopo aver negato la ammissibilità della consulenza tecnica d’ufficio, nel non procedere alla liquidazione equitativa del danno, ammissibile nel caso in esame, atteso che il danno per perdita di chance è un danno estremamente difficile da provare, per sua natura, nel suo preciso ammontare.

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che nel giudicare dovrà uniformarsi ai principi di diritto sopra enunciati.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.