Imprese ed Aziende

Thursday 14 July 2005

RELAZIONE DEL PRESIDENTE all’ Assemblea dell’ Associazione Bancaria Italiana del 13 luglio 2005

RELAZIONE DEL PRESIDENTE all’Assemblea dell’Associazione Bancaria
Italiana del 13 luglio 2005

Autorità, Signore, Signori,
Signori Associati, ancora una volta, appena sei giorni fa, siamo stati tutti
colpiti – l’Inghilterra, l’Europa, l’intero mondo civile – da un nuovo attacco
terroristico. Ciascuno è chiamato a confermare la scelta per la democrazia e il
progresso: con tenacia, coraggio, determinazione. La misura della reazione
mostrata dalla gente, dalla città di Londra, dai mercati, di fronte
all’atrocità dell’attacco, dimostra che la fermezza e l’equilibrio sono il segno dell’indefettibile capacità di resistere. Il
ricatto della paura non prevarrà.

* * *

Ad un anno di distanza dallo storico
allargamento, un più forte impegno è richiesto per consolidare le prospettive
dell’Unione europea. Occorre valutare in profondità le ragioni che hanno
determinato l’esito delle recenti consultazioni referendarie; non sono
certamente da ricondurre a un rifiuto dell’Europa: se
mai alla fatica della sua costruzione. La globalizzazione
porta il pianeta a organizzarsi per grandi aree
omogenee, saldate da radici culturali e civili comuni: è in questi termini che
l’Europa è oggettivamente percepita nel mondo. Sta a noi europei saper
realizzare un disegno strategico capace di coniugare diversità e unità, tenendo
conto delle nostre storie millenarie.

* * *

La comunità finanziaria, e la nostra
fra le prime, è da tempo convinta che la dimensione
europea è necessaria per conseguire un progresso significativo a livello
globale; che questa dimensione si realizza sia con le istituzioni, sia con il
mercato; che il mercato finanziario unico rappresenta una condizione necessaria
per ottimizzare in Europa la formazione del risparmio, la sua più razionale
allocazione, uno sviluppo economico più sostenuto. Il passaggio da un mercato
ancora fortemente segmentato ad altro più integrato e,
al contempo, più efficace e competitivo, richiede la predisposizione di una
infrastruttura normativa assai complessa: oltre alle fondamentali direttive
degli anni Novanta sono stati approvati più di 40 nuovi provvedimenti, tra
direttive e altre misure; per talune direttive, tre livelli di
regolamentazione; consultazioni con banche, intermediari e loro associazioni;
nuovi organismi di coordinamento e accordi di consultazione fra le autorità
nazionali. La traduzione di queste regole in comportamenti concreti costituirà
un impegno forte per le banche e gli intermediari nei prossimi anni. L’esito di
questo lungo processo è un accrescimento significativo
del livello attuale di concorrenza, peraltro già da tempo elevato. L’industria
bancaria italiana ne è da sempre consapevole e vi
contribuisce: l’avvenuta trasformazione delle imprese bancarie, delle loro
associazioni, delle loro infrastrutture, la rendono pronta ad affrontare questa
sfida. Siamo convinti che, per questa via, aiuteremo l’Europa ad emergere come
concreto soggetto politico ed istituzionale, fondato su una effettiva
integrazione economica.

* * *

È stato difficile, per il nostro Paese,
vincere la battaglia dell’ammissione all’euro sin dal suo avvio,
ma quella battaglia è stata ricca di frutti. Ci ha consegnato il frutto
prezioso della stabilità. Ci ha consegnato tassi storicamente molto bassi e i
conseguenti vantaggi: il risparmio di interessi sulle
passività finanziarie si valuta, dal 1995 ad oggi, in 770 miliardi per lo
Stato, 370 per le imprese, 150 per le famiglie. Ha incrementato le capacità del
mercato dei Paesi dell’euro di rappresentare un’area
uniforme e competitiva, a moneta forte e bassa inflazione. Uscire dall’euro
vorrebbe dire gettare nella crisi finanziaria più sconvolgente il bilancio
dello Stato, delle imprese, delle famiglie. Condividiamo il pensiero del nostro
Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Europa ed euro sono scelte irreversibili.

Area euro-Italia:
economie a passo lento

L’economia mondiale continua a
svilupparsi a ritmi sostenuti; l’area euro denuncia invece difficoltà: non è
riuscita a cogliere, per ragioni strutturali, la formidabile spinta
del ciclo internazionale. Il prodotto, cresciuto dell’1,8%
nel 2004, aumenterà nell’anno in corso di circa l’1,5. Non sarà certo agevolato
dall’andamento del prezzo del petrolio. In Italia, nell’ultimo trimestre del
2004 e nel primo del 2005, il Pil è diminuito,
rispettivamente, dello 0,4 e dello 0,5 per cento. È diffusa la previsione che
l’anno si chiuderà a crescita zero. L’andamento economico di breve periodo e
gli equilibri di finanza pubblica sono temi sempre più rilevanti,
all’attenzione dell’Ecofin, che proprio ieri ha dato
avvio alla procedura per disavanzo eccessivo. Il Governo nel Documento di
programmazione economica deve disegnare un rigoroso percorso di rientro dal
deficit e indicare la strada del rapido rafforzamento delle capacità
competitive del nostro sistema. Il problema della
nostra economia infatti non è tanto quello della sua
crescita nel breve periodo quanto lo spazio che sa conquistare in Europa e nel
mondo, in termini di competitività.

***

Negli anni Novanta l’irrompere sulla
scena economica mondiale dei Paesi di nuova industrializzazione ha innalzato
l’asticella che eravamo abituati a saltare; un salto
reso peraltro frequentemente più agevole dalle svalutazioni della nostra moneta
nei confronti di quelle dei principali competitori. A metà dello scorso
decennio le nostre merci riuscivano ad aggiudicarsi una
quota del 4,7% del mercato mondiale valutato a prezzi costanti; abbiamo perso
più di 1 punto tra il 1995 ed il 2000; siamo scesi al 3,1% nel 2004. Alla
riduzione delle quote di mercato valutate in quantità non ha corrisposto
analogo calo delle quote a prezzi correnti che, pari al 4,7% nel 1995, si sono
stabilizzate negli ultimi anni intorno al 4 per cento. Questa diversa dinamica è un segnale dell’apprezzamento verso le produzioni
italiane di qualità che occorre ulteriormente rafforzare. Deve aumentare la
presenza di imprese italiane sui mercati in cui oggi
la domanda è più vivace, quelli dei prodotti ad alta tecnologia, nonché la
capacità di operare con maggior successo su mercati dove sono riconosciuti i
nostri vantaggi competitivi. Nel turismo, nello sfruttamento delle risorse
ambientali e culturali di cui tanto siamo ricchi, si avverte la flessione: ci
battono Spagna, Portogallo, Grecia, Croazia e Francia. Nella ricerca di base ed
applicata, il numero dei nuovi brevetti non vede l’Italia, patria di Galileo,
ai vertici mondiali.

* * *

Servono progressi sensibili sul
fronte delle infrastrutture (strade, porti, aeroporti, ferrovie) che riducono i
costi delle imprese e rendono attraente il territorio per gli insediamenti
industriali. Abbiamo condiviso, all’inizio di questa legislatura, la scelta del
Governo di porre la questione delle grandi opere in
cima alla propria agenda. È necessario accelerarne la costruzione. Non sogniamo
il Ponte sullo Stretto. Ci basterebbe vedere finalmente percorribile, in tempi
accettabili, la Salerno-Reggio Calabria. Ne
beneficerebbe il Paese intero. Una recente analisi della Corte dei Conti ha
dimostrato che in Italia programmare, progettare e realizzare grandi opere passa per un processo fortemente carente, che
impedisce di portare efficacemente a termine gli interventi previsti. Varianti
in corso d’opera, alti costi del contenzioso, ingerenze della criminalità negli
appalti, disegnano un quadro in cui si fa troppo incerta l’elaborazione di
piani finanziari affidabili. Il sistema bancario si trova in una strettoia
operativa: le ampie opportunità di intervento
finanziario si scontrano con le difficoltà di definire e portare avanti
operazioni di project financing. La diffusione della
finanza di progetto gioverebbe in particolare alla realizzazione
delle innumerevoli infrastrutture locali (acqua, smaltimento rifiuti, gas) di
cui il Paese ha estrema necessità. È davvero singolare che le pubbliche
amministrazioni non sappiano cogliere l’opportunità di giovarsi degli
abbondanti capitali e dell’esperienza organizzativa delle banche per favorire
processi di privatizzazione delle aziende controllate
e di liberalizzazione dei servizi pubblici essenziali.

* * *

In questi anni abbiamo insistito
ripetutamente sulla centralità, per il nostro sistema produttivo, di una
moderna legge fallimentare, in grado di gestire in modo efficiente la crisi
d’impresa. La legge sulla competitività ha attuato un primo intervento per
adeguare la procedura di risanamento e per modificare l’azione revocatoria. È
necessario che il Governo eserciti in tempi rapidi la delega: a questo fine, un
condivisibile punto di riferimento sono i contenuti del
"maxi-emendamento", varato dall’Esecutivo nel dicembre scorso. Le
nuove regole potranno incentivare efficacemente il
risanamento delle imprese in crisi, tramite accordi con i creditori, se
accompagnate dalla corrispondente revisione dei profili penali. È necessario
adeguare la definizione dei reati fallimentari alla normativa appena approvata.
Un’altra riforma sembra avvicinarsi al porto: mi riferisco allo schema di
disegno di legge per la tutela del risparmio.
Attraverso riscritture, limature, aggiustamenti, si è
pervenuti al testo approvato dalle competenti Commissioni in Senato: lo
giudichiamo complessivamente equilibrato. Auspichiamo che siano rapidi i
prossimi passaggi parlamentari per addivenire a quegli
ulteriori necessari miglioramenti che rendano possibile licenziare, al più
presto, il provvedimento.

* * *

In un’economia forte, dalle basi
solide, non dovrebbe trovar posto la politica degli incentivi pubblici diffusi,
spesso fonte di distorsioni e di rischi addizionali. La ricerca dell’incentivo
distoglie l’imprenditore dal suo obiettivo di fondo:
migliorare la qualità e i contenuti del prodotto, accrescere la capacità
competitiva dell’azienda e remunerare adeguatamente il capitale investito. Gli
unici "incentivi" di cui il Sud avrebbe davvero bisogno sono le
infrastrutture materiali (strade, porti, aeroporti, acqua, elettricità, gas) ma
soprattutto la sicurezza del vivere civile, la certezza e la rapidità della
giustizia. Un buon passo verso la razionalizzazione degli incentivi è
rappresentato dalla costituzione di un Fondo rotativo, che opererà a breve: il
contributo a fondo perduto viene gradualmente ridotto
in favore di un finanziamento da rimborsare. In tal modo una maggiore
responsabilità delle imprese nella realizzazione degli investimenti si
accompagna a un più ampio coinvolgimento delle imprese
bancarie nella analisi dei progetti.

* * *

L’accrescimento della capacità
competitiva sui mercati europei e internazionali passa, per le imprese
industriali, attraverso l’ampliamento della loro dimensione. La via delle aggregazioni deve essere incentivata attraverso misure
fiscali, che si sono mostrate particolarmente utili per le imprese bancarie.
Servizi per le imprese Non esistono vincoli finanziari allo sviluppo delle
imprese industriali. Il credito al sistema produttivo è abbondante e viene concesso a tassi in linea, e non di rado inferiori, a
quelli degli altri principali Paesi dell’area euro. La crescita dei
finanziamenti bancari complessivi supera, da molti anni, quella del prodotto
interno. Il rapporto impieghi/Pil è
passato, dal 64% del 1996 all’83 del 2004. Il rapporto tra impieghi e raccolta ha raggiunto alla fine dello scorso aprile quasi il 100%,
rispetto all’81 nell’area euro. Per fronteggiare la crescita degli impieghi, le
banche italiane hanno progressivamente aumentato il ricorso alla provvista
sull’estero. Essa, effettuata sui mercati, è pari a
340 miliardi, circa 1/4 di quella complessiva. Il credito bancario copre oltre
i due terzi della domanda di finanziamenti che le PMI rivolgono all’esterno,
una quota assai più elevata degli altri Paesi europei. Secondo i dati della
BCE, il tasso sulle nuove operazioni, per i prestiti fino ad 1 milione, è attualmente pari al 3,99% in Italia e al 3,94 nell’area
euro. Standard di qualità, oggi applicati nel 70% degli sportelli delle banche
aderenti a PattiChiari, consentono
agli imprenditori di conoscere entro dieci giorni l’esito delle loro richieste
di credito. Le sofferenze nette, in rapporto agli impieghi, sono oggi all’1,8%,
ridotte di oltre 4 punti rispetto alla metà degli anni Novanta: è, fra l’altro,
il segno del miglioramento della capacità professionale di erogazione
del credito.

* * *

Anche nel 2004, i prestiti bancari alle
imprese con sede nel Mezzogiorno sono cresciuti più di quelli alle imprese del
Centro Nord: rispettivamente 7,6 e 3,7%. I tassi di interesse
sui finanziamenti in conto corrente sono più elevati di un punto e mezzo:
riflettono il maggior grado di rischiosità ambientale, settoriale e
dimensionale. È stata ormai riconosciuta l’infondatezza
del trito argomento secondo cui il sistema bancario meridionale sarebbe stato
colonizzato dalle banche del Nord e queste utilizzerebbero il Mezzogiorno come
una riserva dove raccogliere risparmio da impiegare altrove. Le banche del
Centro Nord impiegano al Sud più risorse finanziarie di quanto là ne raccolgono
in forma di depositi: 108,7 miliardi contro 63,9. Del pari infondato è l’argomento per cui
vi sarebbe una carenza di sportelli bancari nel Sud e sarebbe diminuito, negli
ultimi anni, il rapporto impieghi/Pil: lo dimostrano
le elaborazioni effettuate in materia dal Centro Studi e Ricerche dell’ABI, che
tengono conto delle appropriate variabili di scala, del rilevante fenomeno
dell’economia sommersa – che non usa credito – della più forte presenza
nell’economia meridionale del settore pubblico. Riecheggia da qualche tempo,
nel dibattito sulla politica economica e sulle azioni finalizzate allo
sviluppo, l’idea della costituzione di una banca per il Mezzogiorno. Dopo
essere apparsa con prepotenza sui media, a marzo
scorso si è addirittura sostanziata in proposta di legge. È un progetto di cui
non comprendiamo le motivazioni. Se si vuole dire che occorre una banca del Sud
perché quelle esistenti non sono idonee o competitive,
i dati mostrano in maniera esaustiva che ciò non risponde al vero. Se l’idea è
di promuovere la nascita di un istituto che finanzi il Sud senza applicare
corrette procedure di selezione del merito di credito, riproponendo proprio
quelle prassi che hanno inflitto ai cittadini meridionali la perdita delle loro
banche, ebbene, non siamo d’accordo. Se il nuovo
soggetto volesse invece aggiungersi alla platea degli
intermediari creditizi che assistono e finanziano imprese e famiglie del Sud,
non potremmo che esserne contenti.

* * *

Il fenomeno
dell’internazionalizzazione si intreccia con quello
degli investimenti diretti all’estero finalizzati al trasferimento di alcune
fasi produttive meno sofisticate in Paesi dove i costi sono significativamente
più bassi. Non si devono avere remore a parlare di delocalizzazione quando
attraverso di essa si riescono a salvare posti di lavoro in Italia, a
rafforzare l’impresa, a conservare nel luogo di origine alcuni processi
produttivi e attività a più elevato valore aggiunto: progettazione, design,
vendita, ricerca, organizzazione di fattori produttivi. Le nostre banche hanno
acquisito partecipazioni maggioritarie in un numero crescente di banche e
intermediari finanziari esteri (passate, rispettivamente, tra il 1993 e il
2004, da 48 a 75 e da 96 a 227): ciò ha consentito una presenza più radicata
sui diversi mercati ed ha coadiuvato un numero sempre maggiore di imprese italiane ad espandervi con successo la propria
attività. In particolare, si è investito nell’Europa Centro Orientale e più di
recente in Turchia, sia per ragioni di prossimità geografica, sia per le
opportunità offerte dalla privatizzazione dei
rispettivi sistemi bancari e dall’apertura ai capitali esteri. In quest’area gli italiani sono tra i primi gruppi bancari per
totale attivo, per copertura territoriale, per risultati economici. In
importanti Paesi dei Balcani, la Banca Mondiale, con
il progetto "Convergence", sta promuovendo
la collaborazione tra autorità e istituzioni per la costruzione di infrastrutture regolamentari e di mercati finanziari
moderni. Siamo orgogliosi di annunciare che la Banca Mondiale ha scelto l’ABI
quale modello da seguire per la partecipazione
propositiva ai processi di regolamentazione e per la produzione di efficaci
assetti autoregolamentari.

* * *

Le banche sostengono le imprese
industriali, oltre che con i finanziamenti tradizionali, con servizi di corporate finance e
accompagnandole sui mercati per la raccolta diretta di risorse finanziarie.
Operano in Italia su questi segmenti di mercato le principali banche italiane e
straniere. Sono oltre 80 le società presenti nel mercato del venture capital e
del private equity, che hanno
effettuato investimenti per 1,5 miliardi nel 2004. All’ampliamento dell’offerta
di tali servizi non ha corrisposto un pari incremento della domanda. Vogliamo,
nei prossimi mesi, individuare, insieme a Confindustria,
soluzioni per incentivarla. Il settore bancario offre
alle imprese una moderna infrastruttura telematica di pagamenti e di scambio di informazioni.
L’iniziativa Corporate Banking
Interbancario – CBI ha ormai collegato la generalità delle banche con quasi
mezzo milione di imprese: proponiamo un utilizzo più
intenso di questa poderosa rete per favorire e ammodernare i rapporti di
comunicazione amministrativa fra le imprese italiane. Un
sistema finanziario che sa svolgere al meglio il compito di sollecitare il
risparmio verso forme previdenziali ed utilizzarlo a medio-lungo
termine per un più efficiente finanziamento dello sviluppo economico ha un
forte bisogno dei fondi pensione. Dopo tanti anni, ed in un quadro in cui
è ancora limitato il loro peso sul Pil
(2% in Italia, 3 in Francia, 3,8 in Germania, 6 in Spagna, 57 negli
Stati Uniti, 73 nel Regno Unito), si stanno creando le condizioni per il loro
decollo. Uno dei nodi emersi negli ultimi mesi sta nell’individuare la modalità
di compensazione delle imprese per il trasferimento, verso i fondi pensione,
del trattamento di fine rapporto maturando. Abbiamo messo a
punto e presentato al Governo diverse ipotesi di soluzione. Quali che siano le decisioni adottate, confermiamo la necessità che le
banche rimangano libere di decidere se, a chi e a quali condizioni erogare il
credito. Sia chiaro: non accetteremo mai alcun automatismo. Il nuovo Accordo di
Basilea stabilisce differenziate modalità di calcolo
dei requisiti patrimoniali. È confermato che le nuove regole, varate con il
contributo determinante della Banca d’Italia, offrono
notevoli opportunità per le imprese industriali e bancarie: le prime saranno
stimolate a sottoporsi a processi di autovalutazione,
correggendo eventuali squilibri; le seconde, ad affinare re le metodologie di
analisi del rischio per una più razionale allocazione delle risorse. Ne deriverà un miglioramento della qualità del credito, non già un suo
razionamento: anzi, la riduzione dell’impegno di capitale comporterà,
per le piccole e medie imprese, un aumento del credito a loro disposizione.
Nella logica di trasparenza si muove l’introduzione dei principi contabili
internazionali – IAS, che ha richiesto la costituzione dell’Organismo Italiano
per la Contabilità – OIC. La loro adozione costituisce un fatto positivo: qualità, chiarezza, confrontabilità
delle informazioni di bilancio
rappresentano un bene prezioso. Gli effetti sui bilanci delle imprese bancarie
saranno limitati; i loro rating non ne saranno modificati. Stiamo svolgendo il
servizio di riscossione coattiva senza che sia stata
erogata la remunerazione prevista dalla legge: abbiamo accumulato un credito di
470 milioni di corrispettivi maturati. È una situazione insostenibile.

Servizi per le famiglie

È in forte crescita l’attività
bancaria nei confronti delle famiglie: i finanziamenti ammontano a 360
miliardi. Sono costituiti prevalentemente da mutui per l’acquisto di abitazioni, cresciuti del 19,8%. Le condizioni molto
favorevoli del mercato spingono le famiglie italiane a preferire contratti a
tasso variabile: i 4/5 di quelli in essere. Questa quota è ancora più elevata
per i nuovi flussi, il 90% dei quali è stato acceso ad un tasso indicizzato a
parametri di mercato monetario. Attualmente, il tasso
annuo effettivo globale è pari al 3,82 per cento a fronte del 3,95 nell’area
euro. Va da sé che ai vantaggi derivanti dal pagamento di rate di importo contenuto si contrappongono i rischi connessi
alla possibile futura risalita dei tassi; di ciò le nostre banche rendono
consapevoli i mutuatari. Continua la rapida espansione del credito al consumo,
strumento che consente alle famiglie di programmare meglio i propri piani di
spesa e di risparmio. Nel 2004 è cresciuto del 18%. La sua incidenza sul Pil resta in Italia resta ancora molto limitata nel
confronto europeo. È in contraddizione con l’esigenza di sostegno della domanda
interna la proposta, prefigurata per la bozza del
"Codice del consumo", che consentirebbe al consumatore di agire nei
confronti del finanziatore per l’inadempienza del fornitore dei beni, anche
quando fra questi e finanziatore non vi sia un accordo di esclusiva per la
concessione del credito. Ove una simile previsione divenisse legge,
l’intermediario finanziario sarebbe penalizzato per una responsabilità
oggettiva che non gli compete. Soprattutto, risulterebbe
ostacolato lo sviluppo del credito al consumo e i suoi conseguenti effetti
espansivi.

* * *

A fine 2004 le attività finanziarie delle
famiglie hanno quasi raggiunto i 3.200 miliardi. Di essi
un 24% è rappresentato da conti correnti e depositi bancari e postali; un 38 da
titoli detenuti direttamente e depositati presso le banche; un 30 da risparmio
gestito. Nonostante le vicende accadute negli anni scorsi sui mercati finanziari
abbiano penalizzato fortemente la pratica del risparmio "fai da te"
(e ci riferiamo alle crisi Argentina, Cirio e Parmalat),
nel 2004 è risultata in aumento la propensione delle famiglie ad acquisire in
via diretta gli strumenti finanziari: una modalità operativa che rende più
difficile diversificare correttamente il portafoglio.
Le banche aderenti al consorzio PattiChiari offrono
alla clientela strumenti di formazione ed informazione
sulle obbligazioni a basso rischio e basso rendimento
e sulle obbligazioni strutturate. Se ne sono giovati, rispettivamente, 5
milioni e mezzo e 1 milione di clienti. È in fase di
test una nuova iniziativa che, dal prossimo inverno, offrirà per ciascuno
strumento finanziario una scheda informativa
semplice con l’indicazione del grado di rischio, dell’eventuale rapporto di
conflitto d’interesse fra l’intermediario e l’emittente e, per ciascun cliente,
un profilo di tolleranza del rischio. Nonostante questi supporti che, per la
prima volta al mondo, un consorzio di banche mette a disposizione della
clientela, riteniamo che solo una gestione
professionale abbia le competenze per costruire corretti portafogli finanziari.
Ricordiamo come i risparmiatori dei Paesi più avanzati, cui facciamo
solitamente riferimento, affidino ai gestori oltre il 40% dei loro portafogli.

* * *

Il prezzo dei servizi bancari
continua a rappresentare motivo di forte dibattito. Agli inizi del 2004 avevamo
avuto modo di constatare le notevoli lacune metodologiche alla base di alcuni studi ed anche una forte propensione a confrontare
ciò che non è confrontabile. Nel 2004 abbiamo affidato ad una società
internazionale di ricerche, specializzata in questo settore, il compito di effettuare uno studio comparato dei prezzi nei principali
Paesi europei in ordine all’onere per la clientela del tanto diffuso servizio
di conto corrente. Dall’indagine, redatta con metodologia rigorosa e accurata,
che ha reso omogenei gli elementi confrontati (numero e tipo di
operazioni, numero di clienti sullo stesso conto, tassazione, abitudini
a detenere giacenze, loro remunerazione), è emerso che l’onere per cliente, al
netto della fiscalità, è stimabile, ai fini della comparazione, in 65 euro in
Italia, 68 in Germania, 86 in Spagna, 94 in Francia! Ma andiamo al nocciolo del
problema: se si considera il costo dell’intera attività bancaria verso la
clientela, ossia quello che il Paese paga per tutti i servizi, compresi quelli
di prestito, emerge che gli aumenti dei prezzi restano al di
sotto di quelli dell’intera attività economica. Nel periodo 1996-2004,
le banche hanno contribuito a contenere l’inflazione complessiva, visto che i
loro prezzi sono cresciuti solo di 1/3 rispetto a quelli degli altri settori
dell’economia: 0,7% contro il 2,3 all’anno. I maggiori
utili non derivano dunque dall’aumento dei prezzi.

La struttura dell’industria bancaria
italiana

Negli ultimi mesi molto si è scritto
sul sistema bancario nazionale: sul suo assetto proprietario, sulla sua dimensione, sulla sua efficienza, sulla sua apertura
alla competizione interna ed estera. Non posso esimermi dal rispondere a tali
osservazioni, talora espresse con toni pregiudizialmente critici. È significativa anzitutto la presenza di operatori finanziari
esteri: la loro quota nel capitale dei primi quattro gruppi bancari raggiunge
il 16%; è pari in Germania al 7; in Francia al 3; in Spagna al 2,6. Sul mercato
italiano operano direttamente e stabilmente ben 75 banche estere: la loro quota
di mercato, in alcuni segmenti del corporate finance, supera il 50%. Le 35 banche italiane presenti sul
mercato borsistico rappresentano, a livello
consolidato, quasi l’80% delle attività bancarie. Alla
fine di giugno 2005, la loro capitalizzazione era pari a 144 miliardi, un
valore che si raffronta con i 106 della Germania, i
145 della Francia e i 142 della Spagna. La contendibilità
delle banche italiane è più elevata della media europea. La concentrazione del
sistema, misurata dalla quota dei primi 5 gruppi bancari sul totale
dell’attivo, agli inizi degli anni Novanta non superava il 30 per cento: oggi è
pari al 51 (è del 32 in Germania, del 55 nel Regno Unito, del 67 in Francia).
L’integrazione dei mercati e la loro globalizzazione,
lungi dal postulare un ruolo minoritario per le banche locali, ne esaltano i ruoli e le funzioni; e ciò è tanto più vero in
un contesto come quello italiano a prevalente presenza di microimprese per le
quali è importante la cosiddetta soft information.

* * *

Il significativo
processo di concentrazione bancaria si è coniugato con l’aumento della
concorrenza. Sappiamo che questa realtà non è sempre riconosciuta; vengono talora sollevati dubbi e critiche. Ma si tratta di dubbi e critiche infondati,
senza supporto di dati statistici e basati su antichi preconcetti. Pare che
nessuno voglia capire che i nostri margini sull’attività prevalente, cioè quella di raccolta ed impiego del danaro, si sono
ridotti di oltre un terzo in dieci anni, da 6,01 a 3,82 punti percentuali. Con
l’entrata nell’euro, non si sono solo ridotti i tassi, ma sono diminuiti i
margini di guadagno; di oltre il 30%! La concorrenza del settore è confermata
anche dall’elevata movimentazione delle quote di mercato dei
depositi e dei prestiti negli ultimi due lustri, l’una pari al 35% e l’altra al
50. Del resto, tutti gli indicatori che la letteratura
scientifica adotta (da quelli di Lerner a quelli di Herfindahl) e che le autorità di vigilanza utilizzano,
dimostrano che il settore bancario italiano presenta livelli di concorrenza
elevati.

* * *

Nell’ultimo decennio i guadagni di
produttività sono stati significativi: i fondi
intermediati per dipendente, misurati a prezzi costanti, sono aumentati del
4,6%, il valore aggiunto per addetto del 2,4, entrambi all’anno. Rilevanti sono
gli investimenti dell’industria bancaria nel settore delle nuove tecnologie
della comunicazione: 5 miliardi nel 2004, un quinto di quelli complessivamente effettuati nel Paese. È grazie ai guadagni di efficienza che le imprese bancarie sono riuscite ad
accrescere la propria redditività media: nel 2004 il ROE è risultato pari a
circa il 10%, contro il 2 della metà degli anni Novanta. È un valore che resta al di sotto di 2 punti percentuali della media dei
principali Paesi europei, anche a riflesso della maggiore imposizione fiscale.
Gli scarti intorno al valore medio sono rimasti elevati (6 punti percentuali) e
testimoniano essi stessi l’accesa competizione tra le imprese del settore. A contrariis, è nei comparti protetti che tendono a
riscontrarsi livelli di guadagno uniformi ed elevati.

* * *

La concorrenza rafforza la capacità
competitiva, prepara al confronto nel più ampio mercato europeo e
internazionale, è fondamentale leva di crescita del settore. È un principio,
questo, di cui siamo così convinti che sono state le stesse banche a promuovere
iniziative per far crescere e diffondere la cultura della concorrenza e del
confronto dei prodotti, dei servizi e delle relative condizioni. Dal costante
confronto con gli altri operatori europei, emerge che PattiChiari
è la più avanzata piattaforma di informazione e comparabilità dei prodotti oggi
esistente in Europa. I clienti possono scegliere su internet tra cinquecento
prodotti di conto corrente, i cui contenuti e prezzi sono facilmente
comparabili per segmenti di mercato, canale di distribuzione, localizzazione degli sportelli. In pochi mesi, un milione e
trecentomila clienti hanno usato questa piattaforma per confrontare e scegliere
un conto corrente. In tema di concorrenza, quindi, non siamo secondi
a nessuno. I conti correnti si scelgono. Le bollette si subiscono.
All’Autorità antitrust segnaliamo che le banche hanno messo sul mercato decine
di servizi, sempre più articolati e tagliati sulle caratteristiche dei clienti:
prodotti a basso costo, prodotti utilizzabili con
modalità self service, prodotti offerti con forti
incentivi alla clientela e con piani di fidelizzazione.

* * *

Se nel nostro settore la concorrenza
non solo c’è ma è accesissima, permane, per taluni
competitori, un piano di gioco non livellato. Ci riferiamo all’attività di
Poste e della Cassa depositi e prestiti, entrambe società per azioni, che
continuano a godere di privilegi non più giustificati
dalla loro natura privatistica. Negli ultimi 5 anni
Poste ha conquistato oltre 3 milioni di correntisti, più del 10% del totale.
Voi direte: perché sono stati più bravi! più
efficienti! più preparati! Niente affatto: perché
hanno potuto applicare prezzi che non debbono tener
conto dei vincoli di bilancio. Poste raccoglie tramite
depositi in conto corrente e trasferisce la provvista che eccede le normali
esigenze di servizio, su un conto acceso presso il Ministero dell’economia
remunerato al 4,35%, un tasso fuori mercato di oltre 200 punti base. Questo non
è certo un comportamento di mercato. Per superare queste distorsioni basta
separare effettivamente Bancoposta da Poste. Lo
invochiamo da tempo come condizione per ripristinare un corretto rapporto di
concorrenza, sulla base di regole eguali. Rilievo
analogo vale per la Cassa depositi e prestiti che, dopo la trasformazione in
società per azioni, opera sul mercato dei finanziamenti agli enti pubblici con
piglio imprenditoriale mantenendo tutti i privilegi legali, prerogativa del suo
passato pubblico.

* * *

Rapporti sindacali ispirati alla
logica della concertazione hanno favorito la stipula, a
inizio anno, di contratti di lavoro con importanti tratti di novità. L’accordo
sull’apprendistato professionalizzante consentirà di rendere operativo, anche
nel nostro settore, uno strumento di incentivazione
dell’occupazione, nell’ambito di un rapporto sempre più stretto con le Regioni.
Di particolare rilievo è anche l’intesa che ha prorogato il funzionamento del
Fondo di solidarietà fino al 2020. Uno strumento totalmente
finanziato dal settore che ha consentito di affrontare efficacemente i grandi
processi di trasformazione del credito. Confidiamo che l’intesa possa
essere recepita dal Ministero del Welfare
in tempo utile per evitare soluzioni di continuità nell’utilizzo del Fondo, non
disponendo di ammortizzatori sociali utilizzabili. Per l’indennità di
disoccupazione abbiamo versato negli ultimi dieci anni, senza poterne di fatto usufruire, quasi 2 miliardi. È un eccesso di
mutualità che va corretto.

* * *

Riteniamo importante la dialettica
con le Associazioni dei consumatori. Negli ultimi tempi abbiamo svolto, insieme
a molte di esse, un lavoro capillare per la diffusione
degli strumenti di PattiChiari e per accrescere le informazioni ai cittadini. Abbiamo altresì
costituito un Osservatorio sul risparmio e gli investimenti delle famiglie,
volto ad esaminare gli andamenti della ricchezza finanziaria e a fornire
elementi di conoscenza di base. Abbiamo sottoscritto un protocollo con il
Consiglio Superiore della Magistratura e avviato un proficuo lavoro comune per
consolidare la reciproca comprensione fra professione bancaria e giudici,
attraverso interventi di formazione congiunta. Gli incontri sul territorio
consentiranno di promuovere una cultura professionale comune ai magistrati e ai
dipendenti bancari. L’industria bancaria, molto attiva nella lotta al
riciclaggio, conferma il determinato impegno per la prevenzione e la
repressione dei reati collegati al terrorismo internazionale, nel quadro delle misure all’esame del Governo.

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Restiamo convinti che la soluzione
dei problemi del Paese debba giovarsi di una intesa
forte tra i protagonisti del mondo produttivo e imprenditoriale. Nel novembre
dello scorso anno abbiamo sottoscritto un protocollo e stretto un’alleanza con
la Confindustria, leale e rispettosa dei peculiari
ruoli di ciascuno. In questo quadro, il 30 giugno abbiamo concluso
la prima fase di realizzazione di questa iniziativa, volta a regolare al meglio
fattispecie operative specifiche. Abbiamo condiviso dieci specifici progetti,
che saranno resi progressivamente operativi: dalla negoziazione degli assegni a
nuove forme contrattuali a supporto del finanziamento all’export, dalla
comparazione delle condizioni economiche per i finanziamenti alle imprese, alle
modalità di modifica di tali condizioni.

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Il mercato finanziario fortemente concorrenziale che abbiamo voluto e contribuito a
costruire porta con sé le sue regole, i suoi controlli, le sue operazioni. Di
tutto ciò fanno parte le offerte pubbliche di acquisto
e di scambio. Negli ultimi quindici anni, sono state lanciate in Europa circa
100 offerte pubbliche su banche; di queste 100, 70 sono riuscite e 30 no. È una risposta di mercato sia
l’eventuale contro-offerta, sia la semplice non accettazione dell’offerta
lanciata. In Italia il nostro settore ha già sperimentato 15 offerte pubbliche.
Rifiutiamo l’immagine che vorrebbe il nostro sistema al di fuori delle regole e
sempre nel ruolo del bersaglio. Constatiamo soddisfatti che l’operazione di
maggiori dimensioni, fra quelle in corso, vede un grande
gruppo italiano nel ruolo di offerente. La competitività dei sistemi Paese
gioca un ruolo fondamentale nel determinare le possibilità di crescita
all’estero. Se le nostre banche quotate scontassero un carico fiscale analogo a
quello medio dei Paesi europei, la loro capitalizzazione di borsa sarebbe di un
quinto più elevata; non solo sarebbero di più alto valore le quote azionarie
nelle mani dei due milioni di investitori privati
italiani, ma diverse e più forti sarebbero le possibilità di intervento nello
scacchiere europeo.

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Le linee programmatiche delineate dagli organi deliberanti e i suggerimenti degli
associati hanno continuato a ispirare l’azione di rappresentanza degli
interessi del settore, anche a livello decentrato, con il prezioso ausilio
delle Commissioni regionali, che ormai si sono pienamente inserite nella
struttura organizzativa dell’ABI. A nome del Consiglio
e del Comitato esecutivo, voglio ringraziare tutto il personale per la
disponibilità, l’impegno e l’alto livello professionale mostrato nello
svolgimento dei propri compiti. Signori Associati, l’ottimismo della ragione si impone. L’Europa rappresenta per noi tutti,
imprese industriali, imprese bancarie, famiglie, l’ambito economico e
sociale in cui abbiamo scelto di vivere e agire. Rappresenta il mercato dove le
nostre imprese vogliono operare e su cui i nostri consumatori vogliono
acquistare beni e servizi senza limitazioni localistiche.

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Il nostro sistema bancario è oggi più
forte e più solido di quanto non fosse agli inizi
degli anni Novanta. Nessun altro settore economico italiano può annoverare
nell’area euro 3 operatori tra i primi 14. Senza rinunciare ai nostri obiettivi
di creazione di valore per gli azionisti, finanziamo le imprese industriali e
le famiglie; nelle fasi di difficoltà le accompagniamo nella ristrutturazione e
sulla via dello sviluppo a più lungo termine. Non temiamo la concorrenza delle
altre imprese bancarie europee: non chiediamo barriere protettive. Sottolineiamo con forza i tratti del nostro sistema: in 10
anni ha operato una vera e propria rivoluzione organizzativa portandosi sugli
standard internazionali, senza nulla chiedere. Finanzia in misura abbondante
sia le imprese che le famiglie, gestisce ogni giorno milioni di transazioni per
milioni di cittadini, con continuità ed efficienza. Ha
gestito con le organizzazioni sindacali le relazioni di lavoro in maniera
equilibrata e senza trasferire tensioni sui clienti. Di tutto ciò si deve tener
conto. Il successo delle banche italiane non è frutto né del caso né della
fortuna. Abbiamo avuto un inquadramento istituzionale adeguato e un incentivo
alle fusioni: su questo abbiamo lavorato con impegno, abbiamo abbandonato i
vecchi processi produttivi investendo più di ogni
altro settore nelle nuove tecnologie. Crediamo che questo stesso modello possa
oggi essere riproposto per incentivare l’intero
apparato produttivo del Paese. La via indicata va percorsa con determinazione,
urgenza, efficacia.

* * *

La riduzione del debito in rapporto
al Pil è pre-requisito di qualsiasi politica di
rilancio. Il governo rigoroso dei conti trova il suo presupposto nella
definizione di obiettivi chiari per entrate e spese
pubbliche. Le banche non hanno mai chiesto e non stanno chiedendo
una mera riduzione delle imposte per se stesse e ad ogni costo. Quello che
reclamiamo con forza è la parità di trattamento rispetto alle altre imprese.
Spiace dover constatare che in quest’ultimo anno le
discriminazioni nei confronti del nostro settore in materia di
Irap si sono aggravate. In
base a una errata analogia con le imprese industriali, la legge prevede
che le banche non possono dedurre dalla base imponibile le perdite su crediti,
che sono un costo di produzione per imprese che negoziano finanziamenti: 437
milioni di maggiore imposta. Qualche settimana fa si era addirittura prefigurata
la prospettiva di un taglio dell’Irap, dal quale
sarebbero state escluse le banche e le assicurazioni, imprese fra le imprese. Il rientro dal "deficit eccessivo" non
consente, oggi, riduzioni generalizzate delle imposte e richiama al dovere
della selezione delle priorità. E’ prioritaria l’attenzione alle imprese, alla
macchina produttiva, al motore del Paese, di cui le banche sono
parte integrante. Recupero di gettito deve realizzarsi con una razionale
ed efficace lotta all’evasione. Sgravi tributari da vararsi con la prossima
sessione di bilancio possono essere finanziati da un aumento dell’IVA, che, tra
i Paesi europei, ha in Italia il peso più contenuto sul totale delle entrate
fiscali, se si esclude il Lussemburgo. Non riteniamo invece percorribile la via
dell’incremento della tassazione delle rendite finanziarie, che genererebbe sui
mercati effetti negativi maggiori dei benefici attesi in termini di aumento del gettito. L’espansione della spesa pubblica
corrente non deve eccedere il tasso di inflazione. Per
gli investimenti in infrastrutture si impone una netta
sterzata verso la finanza di progetto. Il fabbisogno di servizi essenziali come
l’acqua, il gas, l’energia elettrica, lo smaltimento dei rifiuti è ingente, in
grado di generare una significativa spinta sulla
domanda; può essere soddisfatto con la finanza di progetto se le aziende locali
di erogazione vengono privatizzate e consolidate, come talune esperienze già
dimostrano. Vanno accelerati i processi di liberalizzazione
dei servizi locali e di privatizzazione delle aziende municipali. Per le
opere pubbliche chiediamo interventi legislativi finalizzati a ridisegnare le
procedure in modo da limitare la prassi delle varianti in corso d’opera, da
ridurre il contenzioso e i relativi costi, da impedire l’ingerenza negli
appalti della criminalità. Chiediamo insomma che si crei quel quadro certo di
regole che consenta alle banche di intervenire con rapidità ed efficacia. Se ne
gioverebbe l’intero Paese sia in termini di miglioramento della qualità dei servizi, sia in termini di finanza pubblica.

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Una caratteristica della nostra
economia sta nelle ridotte dimensioni delle imprese industriali: quelle che
vogliono crescere, magari per cogliere le opportunità della globalizzazione
dei mercati, sarebbero facilitate se potessero giovarsi di incentivi
fiscali. Proponiamo che sia dedotta dall’imponibile una quota dei maggiori
utili generati dal complesso produttivo nato dalla aggregazione
aziendale.

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Nella Relazione dello scorso anno
avevamo rimarcato l’urgenza di porre mano a tre essenziali riforme, quasi senza
costi: del diritto fallimentare, per la tutela del risparmio, dei fondi
pensione. Per la prima, siamo a buon punto; per la seconda, la discussione
parlamentare svolta fa sperare in una possibile conclusio-
ne; sulla terza siamo in sede di dibattito, ma si tratta di un dibattito ormai
molto approfondito, da cui si confida possano
derivare, dopo l’estate, soluzioni operative. Chiediamo al legislatore di
portare a compimento il lavoro intrapreso e di intervenire prontamente sulle
altre nostre richieste. Nuove regole possono rafforzare il clima di fiducia,
orientare positivamente le aspettative, contribuire a
riavviare il ciclo economico. Vi sono spazi e possibilità per farlo
efficacemente anche in un periodo pre-elettorale.
Ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità. Agire secondo i doveri del
proprio ruolo: dando più spazio a chi più sa, a chi più merita; contrastando
l’approssimazione; incentivando l’eccellenza;
investendo nella ricerca, nell’innovazione, nel futuro.