Penale

Thursday 20 January 2005

Processo penale. Per le Sezioni Unite l’ incompatibilità si estende anche ai Giudici Onorari

Processo penale. Per le Sezioni Unite lincompatibilità si estende anche ai Giudici Onorari

Corte di cassazione

S.U. penali

Sentenza 13 gennaio 2005, n. 292

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 23 novembre 1999 il Tribunale di Torino, sezione distaccata di Cirié, dichiarava S. Massimo colpevole dei reati di violenza privata (capo A), ingiurie (capi B e C), minaccia (capo D) e molestie (capo E), commessi nei confronti di C. Antonella fra l’ottobre 1996 e il giugno 1998, e, concesse le attenuanti generiche e riconosciuto il vincolo della continuazione fra tutti i reati, lo condannava alla pena di mesi sette di reclusione e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della C., cui attribuiva una provvisionale di Lire 3.000.000.

Su appello dell’imputato, la Corte di appello di Torino, con sentenza in data 20 maggio 2003, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere per il reato di cui all’art. 660 c.p. perché estinto per prescrizione, confermando la declaratoria di responsabilità per gli altri reati, per i quali la pena veniva rideterminata in mesi sei e giorni quindici di reclusione, e le statuizioni civili.

Sulla preliminare questione di incompetenza ex art. 11 c.p.p., già sollevata in primo grado sul rilievo che la persona offesa svolgeva all’epoca dei fatti le funzioni di vice pretore onorario presso la Pretura di Torino, la Corte territoriale si pronunciava in senso negativo, ritenendo, alla luce di alcune pronunce della Suprema Corte, l’inapplicabilità della detta norma ai magistrati onorari, per mancanza del requisito del pieno e stabile esercizio delle funzioni giudiziarie.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo S., lamentando, col primo motivo, l’inosservanza dell’art. 11 c.p.p., per non essere stato il procedimento celebrato dal giudice territorialmente competente secondo il criterio stabilito da tale norma. Ha rilevato al riguardo che la giurisprudenza ritiene l’applicabilità della norma citata anche ai magistrati onorari e che il contrario orientamento talora manifestato dalla Suprema Corte non può comunque trovare spazio nel caso di specie, caratterizzato dallo strettissimo rapporto fra la C. e il giudice unico di primo grado dott. Denaro, all’epoca dei fatti suo diretto superiore in qualità di Consigliere Pretore.

Nel merito lo S. ha dedotto che:

in ordine alla violenza privata, le dichiarazioni accusatorie della querelante sono smentite dalle risultanze istruttorie;

per il duplice episodio di ingiuria vi è un sostanziale difetto di prova;

per quanto concerne la minaccia, nessuna idoneità intimidatoria può riconoscersi alla frase proferita.

Il ricorso è stato assegnato alla quinta Sezione penale di questa Corte, che, all’udienza pubblica del 6 ottobre 2004, ha deliberato ex art. 618 c.p.p. la rimessione del ricorso alle Sezioni unite, evidenziando, nella relativa ordinanza, depositata il 29 ottobre 1994, il perdurante contrasto, nella giurisprudenza di legittimità (tutta facente capo alla prima Sezione), in ordine all’applicabilità della speciale competenza stabilita dall’art. 11 c.p.p. anche ai procedimenti riguardanti i magistrati onorari.

La sezione rimettente richiama in particolare pronunce che hanno ritenuto l’inapplicabilità del richiamato art. 11 ai vice pretori, ai vice procuratori onorari e ai giudici popolari delle Corti d’assise, e pronunce che hanno ricompreso nell’ambito di applicabilità della detta norma gli esperti delle sezioni agrarie dei Tribunali, i componenti privati chiamati a far parte del Tribunale per i minorenni, i giudici di pace, i giudici onorari aggregati al Tribunale e gli stessi vice pretori onorari.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La soluzione del caso rimesso a queste Sezioni unite, riguardante specificamente l’applicabilità dell’art. 11 c.p.p. alla pregressa figura del vice pretore onorario, postula l’esigenza di stabilire con precisione quali siano i “magistrati” cui tale speciale disciplina si estende.

Un primo rilievo evidente è che essa concerne solo i magistrati operanti nell’ambito della giurisdizione ordinaria – alla quale soltanto si confà il riferimento al distretto di corte d’appello in cui sono esercitate le funzioni (oltre che, come si vedrà, la stessa “ratio” della norma) -, onde da essa sicuramente esulano i magistrati delle giurisdizioni speciali (v. sul punto Cassazione 2 dicembre 1999, Stara).

Altra esclusione certa, per l’assenza del presupposto della delimitazione territoriale delle funzioni, è quella riguardante i magistrati della Corte di cassazione (v., in relazione al vecchio codice di rito, Cassazione 15 gennaio 1969, Lombardo).

Nell’ambito della giurisdizione ordinaria si apre poi il problema, che è alla base del motivo processuale dedotto con il ricorso, dell’eventuale limitazione della disciplina speciale ai soli magistrati “togati”, con conseguente generale esclusione, dal suo ambito, dei magistrati “onorari”.

Per vero, una tesi cosi radicale non risulta essere mai stata sostenuta in giurisprudenza o in dottrina, neppure con riferimento alle formulazioni normative del codice di rito previgente (artt. 60 e, poi, 41-bis): ed, in effetti, mentre si rinvengono specifici riconoscimenti dell’applicabilità della competenza derogatoria ai magistrati onorari (v. Cassazione 8 luglio 1983, Riccetti e altro; Cassazione 18 novembre 1969, Mantarelli, relative a componente della sezione specializzata per la proroga dei contratti agrari; Cassazione 13 aprile 1978, Del Pero, che considera applicabile la competenza derogatoria ai membri laici del tribunale minorile; Cassazione 19 gennaio 1973, Orlandi, relativa a vice pretore onorario), le esclusioni al riguardo affermate trovavano precipuo fondamento (non nel carattere onorario delle funzioni, bensì) nella formulazione testuale delle norme, in forza della quale, ad es., alla disciplina in esame si ritenevano non soggetti il conciliatore, che non poteva appartenere all’ufficio giudiziario competente per il procedimento penale che lo riguardava (Cassazione 21 dicembre 1987, Valentino), e, limitatamente ai reati di competenza del tribunale, il pretore e il vice pretore, che, parimenti, erano estranei all’ufficio competente a procedere (Cassazione 17 dicembre 1984, Rambaldi; 14 novembre 1986, Giacomelli; 19 gennaio 1994, confl. comp. in proc. Motta).

Gli argomenti che militano contro l’espunzione generale dei magistrati onorari dall’ambito di applicabilità della disciplina speciale sono, in realtà, assolutamente stringenti.

Anzitutto, a livello ordinamentale, i magistrati onorari sono formalmente definiti magistrati e appartenenti “all’ordine giudiziario” (artt. 4, comma 2, r.d. 12/1941, e 106, comma 2, Cost.).

La “ratio”, poi, che presiede alla speciale disciplina “de qua”, pacificamente ravvisata nell’esigenza, particolarmente marcata nel processo penale (stante la natura degli interessi coinvolti e l’assenza della mediazione dell’impulso paritario delle parti: v. Corte costituzionale, sentt. 51/1998 e 147/2004), di evitare che il rapporto di colleganza e normale frequentazione nascente dal comune espletamento delle funzioni nello stesso plesso territoriale possa inquinare, anche solo nelle apparenze, l’imparzialità del giudizio (v. in particolare, sul punto, Corte costituzionale ord. 462/1997), non viene certamente elisa dal mero carattere onorario delle funzioni.

Questi rilievi già legittimano di per sé la conclusione che l’assenza, nelle previsioni normative sulla competenza speciale contenute sia nel nuovo che nel vecchio codice di rito, di qualunque distinzione tra magistrati “togati” e magistrati “onorari”, non è casuale e tanto meno può interpretarsi come implicitamente selettiva della sola figura principale costituita dai togati, ma deve al contrario ricondursi a una volontà di ricomprensione anche dei magistrati onorari.

E che questa fosse la voluntas legis sin dalla disciplina recata dall’art. 60 c.p.p. 1930 (come sostituito dall’art. 1 della l. 517/1955), è confermato testualmente dalla esplicita esclusione, contenuta nel capoverso di tale articolo, della figura del conciliatore dall’ambito dei magistrati cui estendere la competenza derogatoria per i reati di competenza pretorile. Una simile esclusione, infatti, non sarebbe stata necessaria se dal detto ambito fossero stati già concettualmente esclusi tutti i magistrati onorari.

Tale dato apporta naturalmente un ulteriore conforto formale alla suesposta interpretazione dell’assenza di distinzioni fra togati e onorari, reiterata nelle successive formulazioni normative di cui all’art. 41-bis c.p.p. 1930 e all’art. 11 del vigente c.p.p., che hanno meglio definito e, poi, anche allargato l’area applicativa della competenza speciale.

Ciò chiarito, il problema che resta da sciogliere e che riguarda più da vicino il ricorso rimesso a queste Sezioni Unite, è se la speciale disciplina dell’art. 11 del vigente c.p.p. si applichi a tutti i magistrati onorari, quali indicati, nelle varie elencazioni succedutesi nel tempo, nel già citato art. 4 del r.d. 12/1941 (o previsti da leggi speciali e ad essi assimilabili, come i componenti laici delle sezioni specializzate agrarie e i giudici onorari aggregati di tribunale), ovvero se ne restino esclusi taluni e, in ipotesi, in base a quale criterio discretivo.

Esaminando le posizioni emerse al riguardo nella giurisprudenza di legittimità, deve segnalarsi anzitutto quella espressa da Cassazione 4516/1997, confl. comp. in proc. Bilotta, che considera fondamentale per l’applicabilità dell’art. 11 c.p.p. l’elemento del “pieno e stabile esercizio delle funzioni giudiziarie”, ritenendone in particolare priva la (pregressa) figura dei vice pretori onorari, in quanto (alla stregua del regime già per essi vigente) “non possono di regola tenere udienza se non nei casi di mancanza o di impedimento” dei magistrati togati e “svolgono il lavoro giudiziario loro assegnato dal capo dell’ufficio”, agendo, quindi, su sua delega.

Sulla stessa linea, in relazione alla figura dell’attuale vice procuratore onorario, di cui evidenziano la analogia con quella del vice pretore, per la natura parimenti “derivata” delle funzioni, in quanto esercitate su delega del Procuratore della Repubblica, si collocano Cassazione 4532/1999, confl. comp. in proc. Daccò, e Cassazione 1267/2000, confl. comp. in proc. Siracusano.

A conclusioni diverse, e mettendo in particolare l’accento sul carattere di componente necessaria dell’organo giudicante e sulla durata apprezzabile del loro incarico, perviene, in riferimento ai componenti laici delle sezioni specializzate agrarie, Cassazione 4307/1999, confl. comp. in proc. Li Bassi.

Focalizzando il discorso sul secondo degli elementi valorizzati in tale ultima pronuncia e ponendosi in aperto dissenso dalla sentenza Bilotta, Cassazione 5532/1999, confl. comp. in proc. Mangiapane e altri, sottolinea che gli elementi dell’inserimento organico e dell’inquadramento non estemporaneo nel plesso giudiziario operante nel distretto costituiscono i più sicuri indici dell’esistenza delle specifiche esigenze di garanzia di cui all’art. 11 c.p.p., mentre non rilevano, al riguardo, la maggiore o minore ampiezza delle attribuzioni o la circostanza che le stesse siano esercitate su delega. Ritiene conseguentemente ricompresi nella disciplina speciale anche i vice pretori, in quanto “chiamati a svolgere il lavoro giudiziario loro assegnato”, in virtù di un incarico di “durata triennale con possibilità di conferma”.

Pienamente allineata con la pronuncia Mangiapane è Cassazione 7124/1999, confl. comp. in proc. La Torre. A quest’ultima sentenza si richiamano a loro volta, in riferimento agli esperti privati dei tribunali minorili, di cui vengono sottolineati la triennalità e confermabilità dell’incarico e il carattere di componente necessaria dell’organo giudiziario, Cassazione 3481/2000, confl. comp. in proc. Galdi e altri, e, in riferimento ai giudici onorari aggregati, di cui si valorizza lo svolgimento non meramente occasionale delle funzioni giudiziarie, Cassazione 13105/2001, confl. comp. in proc. Amore.

Nello stesso indirizzo, con riferimento ai giudici di pace, di cui rimarca la quadriennalità e confermabilità dell’incarico, oltre alla formale inclusione fra gli organi di amministrazione della giustizia, si colloca esplicitamente Cassazione 3010/2001, confl. comp. in proc. Bidetti (seguita da Cassazione 3875/2003, confl. comp. in proc. Landi).

Per completare il quadro, va infine ricordata Cassazione 4788/1998, confl. comp. in proc. Foci, che nega l’applicabilità della competenza derogatoria ai giudici popolari delle Corti d’assise, facendo leva sull’occasionalità e temporaneità del loro incarico, oltre che sulla configurazione del tutto peculiare, anche dal punto di vista costituzionale, di tale categoria.

Per approdare a una soluzione univoca e coerente del problema relativo alla definizione dei limiti (eventuali) di applicazione della disciplina della competenza derogatoria ai magistrati onorari, è indispensabile fare capo alla “ratio” che presiede a tale disciplina, da individuarsi per unanime riconoscimento – come già ricordato – nell’esigenza di garantire che il processo penale si svolga, e appaia svolgersi, nella più perfetta imparzialità, potendo questa essere, o apparire, alterata, dalla circostanza che a giudicare di un reato nel quale è indagato, imputato, offeso o danneggiato un magistrato, sia un giudice che, per appartenere allo stesso plesso territoriale in cui il detto magistrato abbia esercitato o sia venuto ad esercitare le sue funzioni, abbia con quello un rapporto di colleganza e di normale frequentazione (certamente più marcato rispetto a quello che può instaurarsi, ad esempio, con gli avvocati o col personale di cancelleria: v. sul punto Corte costituzionale, sentt. 462/1997 e 570/2000).

Proprio in considerazione di tale esigenza, si è, fra l’altro, affermata, nella più recente giurisprudenza (Cassazione 45248/2003, confl. comp. in proc. Romualdi; Cassazione 43449/2003, Avallone; per l’indirizzo contrario, v. Cassazione 26 ottobre 1999, Battaglia), la tesi (che appare dogmaticamente corretta) della natura funzionale, e non semplicemente territoriale, della competenza in esame, con conseguente rilevabilità , anche officiosa, del relativo difetto, in ogni stato e grado del procedimento.

Quanto poi alla specifica formulazione dell’attuale art. 11 c.p.p. – che rende rilevante ogni procedimento attribuibile a un qualsiasi ufficio dell’intero distretto nel cui ambito operi il soggetto interessato e ne comporta lo spostamento in altro distretto – non c’è dubbio che con essa la soglia di “sensibilità” all’esigenza predetta è stata (rispetto alla disciplina anteriore) ampliata dal legislatore, che ha, con tale scelta, voluto evidentemente rafforzare in modo particolare la tutela dell’immagine della terzietà agli occhi del pubblico, al di là del grado più o meno intenso dei rapporti intersoggettivi di colleganza, che s’instaurano all’interno dell’area distrettuale.

In relazione alla “ratio”, cosi definita, della disciplina speciale vigente, è evidente che il presupposto saliente per l’insorgere di quella situazione di comune appartenenza, con il connesso più agevole sviluppo di relazioni soggettive, da cui scaturisce, o si teme possa scaturire, il condizionamento psicologico idoneo a minare l’imparzialità del giudizio, è costituito dalla stabilità, e cioè dalla continuatività riconosciuta formalmente per un arco temporale significativo, dell’incarico assunto dal magistrato onorario coinvolto nel procedimento penale, in un ufficio giudiziario compreso nel distretto ove il procedimento stesso dovrebbe essere celebrato.

L’esistenza di tale formale e continuativo incarico appare, invero, di per sé sufficiente a radicare istituzionalmente il magistrato onorario nel plesso territoriale di riferimento, e a determinare, quindi, in relazione soprattutto all’esigenza di tutela dell’immagine “pubblica” della neutralità della giustizia (tenuta, come si è visto, in particolare considerazione dal legislatore del 1988), quella situazione potenzialmente idonea a ledere il principio di imparzialità del giudice, che giustifica la competenza derogatoria.

Agli stessi effetti, invece, chiaramente non assumono apprezzabile rilevanza il grado più o meno esteso delle attribuzioni e il loro concreto esercizio sulla base di “deleghe”.

Consegue da tanto che l’applicabilità della competenza speciale, oltre che alle figure che presentano aspetti di più costante e assidua continuità nel concreto esercizio delle funzioni (come, in particolare, i giudici di pace, i componenti laici degli organi giudiziari minorili e delle sezioni agrarie e i giudici onorari aggregati, nonché, in precedenza, i conciliatori, su cui v. in particolare Cassazione 24 ottobre 1994, confl. comp. in proc. Jovino), va riconosciuta anche a quelle che, indipendentemente dal più flessibile atteggiarsi di questo (in relazione alle contingenti situazioni degli uffici e alle scelte dei rispettivi preposti), si caratterizzano comunque per la formale durevolezza dell’incarico in un plesso giudiziario definito: tali sono, oltre ai (pregressi) vice pretori, i giudici onorari di Tribunale (figura che nel sistema ha sostituito quella del vice pretore e che si caratterizza per la triennalità e confermabilità dell’incarico) e (per l’applicabilità delle stesse regole dei giudici onorari di tribunale) i vice procuratori onorari. Rispetto ai quali ultimi non è inutile notare che le sopra ricordate pronunce di Cassazione 4532/1999, confl. comp. in proc. Daccò, e Cassazione 1267/2000, confl. comp. in proc. Siracusano, che si rifanno ai criteri della sentenza Bilotta, valorizzano erroneamente in senso negativo proprio la temporaneità ed episodicità delle funzioni riferita alla circostanza – irrilevante, secondo quanto sopra osservato – del loro concreto esercizio sulla base di “deleghe”.

Dalla disciplina speciale restano quindi fuori solo i giudici popolari di Corte d’assise e di Corte d’assise d’appello, che, designati per sorteggio, espletano un incarico meramente interinale, espressione non dell’ausilio istituzionale previsto dal comma secondo dell’art. 106 Cost., bensì del principio di partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia, di cui all’ultimo comma dell’art. 102 Cost.

Non sembra invece neppure rientrare nella problematica in esame, in quanto non dà luogo a una autonoma identificabile figura di magistrato onorario – e ha comunque palesemente carattere episodico, sicuramente preclusivo dell’applicabilità della disciplina “de qua” – l’espletamento, in sé considerato, delle funzioni di Pm nelle udienze dibattimentali tenute (già) dal pretore e (ora) dal tribunale in composizione monocratica.

Alla stregua di quanto sopra, l’impugnata sentenza e quella pronunciata il 23 novembre 1999 dal Tribunale di Torino, sezione distaccata di Cirié, devono essere annullate senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi per l’ulteriore corso al Pm presso il Tribunale di Milano, competente alla stregua dei criterio originariamente previsto nella norma citata, applicabile ai procedimenti relativi ai reati commessi anteriormente all’entrata in vigore della l. 420/1998, in forza del comma 1 dell’art. 8 di tale legge (per coincidenza, peraltro, la competenza sarebbe comunque la stessa anche alla stregua dei criterio tabellare introdotto da tale normativa).

P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e 620 c.p.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata nonché quella del Tribunale di Torino, sezione distaccata di Cirié, del 23 novembre 1999 e dispone trasmettersi gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano per l’ulteriore corso.