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Tuesday 07 October 2003

Per la Corte di Giustizia UE i bambini possono essere registrati all’ anagrafe con il nome che avrebbero nel paese di origine dei genitori. SENTENZA DELLA CORTE 2 ottobre 2003

Per la Corte di Giustizia UE i bambini possono essere registrati allanagrafe con il nome che avrebbero nel paese di origine dei genitori

SENTENZA DELLA CORTE 2 ottobre 2003. «Cittadinanza dell’Unione europea – Trasmissione del cognome – Figli di cittadini di Stati membri – Doppia cittadinanza»

Nel procedimento C-148/02,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Conseil d’État (Belgio) nella causa dinanzi ad esso pendente tra

Carlos Garcia Avello

e

Stato belga,

domanda vertente sull’interpretazione degli artt. 17 CE e 18 CE,

LA CORTE,

composta dal sig. G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, dai sigg. M. Wathelet, R. Schintgen e C.W.A. Timmermans, presidenti di sezione, dai sigg. D.A.O. Edward, A. La Pergola, P. Jann e V. Skouris, dalle sig.re F. Macken e N. Colneric, dai sigg. S. von Bahr, J.N. Cunha Rodrigues (relatore) e A. Rosas, giudici,

avvocato generale: sig. F.G. Jacobs

cancelliere: sig.ra M.-F. Contet, amministratore principale

viste le osservazioni scritte presentate:

– per il sig. Garcia Avello, dal sig. P. Kileste, avocat;

– per lo Stato belga, dalla sig.ra A. Snoecx, in qualità di agente, assistita dal sig. J. Bourtembourg, avocat;

– per il governo danese, dal sig. J. Bering Liisberg, in qualità di agente;

– per il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster, in qualità di agente;

– per la Commissione delle Comunità europee, dal sig. J.L. Iglesias Buhigues, dalla sig.ra C. O’Reilly e dal sig. D. Martin, in qualità di agenti,

vista la relazione d’udienza,

sentite le osservazioni orali del sig. Garcia Avello, rappresentato dal sig. P. Kileste, dello Stato belga, rappresentato dal sig. C. Molitor, avocat, del governo danese, rappresentato dal sig. J. Molde, in qualità di agente, del governo olandese, rappresentato dal sig. N.A.J. Bel, in qualità di agente, e della Commissione, rappresentata dal sig. J.L. Iglesias Buhigues, dalla sig.ra C. O’Reilly e dal sig. D. Martin, all’udienza dell’11 marzo 2003,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 maggio 2003,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

  1. Con ordinanza 21 dicembre 2001, pervenuta alla Corte il 24 aprile 2002, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione degli artt. 17 CE e 18 CE.

La questione è sorta nell’ambito di una controversia tra il sig. C. Garcia Avello, in qualità di legale rappresentante dei suoi figli, e lo Stato belga in merito a una domanda di cambiamento del cognome di questi ultimi. Contesto normativo Normativa comunitaria

Ai sensi dell’art. 12, n. 1, CE: “Nel campo di applicazione del presente trattato, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dallo stesso previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità”.

L’art. 17 CE così dispone: “1. E’ istituita una cittadinanza dell’Unione. E’ cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima. 2. I cittadini dell’Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dal presente trattato”.

A norma dell’art. 18, n. 1, CE: “1. Ogni cittadino dell’Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal presente trattato e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso”. Normativa e prassi nazionali Il diritto internazionale privato belga

L’art. 3, terzo comma, del codice civile belga così dispone: “Le leggi relative allo stato e alla capacità delle persone si applicano ai cittadini belgi, anche se residenti all’estero”.

I giudici belgi si fondano su questa disposizione per applicare la regola secondo la quale lo stato e la capacità delle persone sono disciplinati dalla rispettiva legge nazionale.

Secondo lo Stato belga, quando un cittadino belga possiede al contempo una o più altre cittadinanze, le autorità belghe fanno prevalere la cittadinanza belga, in applicazione della regola, di origine consuetudinaria, codificata dall’art. 3 della Convenzione dell’Aia 12 aprile 1930, concernente determinate questioni relative ai conflitti di leggi in materia di cittadinanza (Raccolta dei trattati della Società delle Nazioni, vol. 179, pag. 89; in prosieguo: la “Convenzione dell’Aia”), ai sensi della quale “la persona avente cittadinanza doppia o plurima può essere considerata come proprio cittadino da ciascuno degli Stati di cui possiede la cittadinanza”. Il codice civile belga

Ai sensi dell’art. 335 del codice civile, che fa parte del capitolo V, intitolato “Degli effetti della filiazione”, nell’ambito del titolo VII (“Della filiazione”): “1. Il figlio di cui sia accertata solo la filiazione paterna o la cui filiazione paterna e materna siano accertate allo stesso tempo porta il cognome del padre, salvo che il padre sia sposato e riconosca un figlio concepito durante il matrimonio da una donna diversa dalla moglie. (…)”.

Al capitolo II, intitolato “Cambiamento del cognome e del nome”, della legge 15 maggio 1987, relativa ai cognomi e ai nomi, l’art. 2 così dispone: “Chiunque abbia motivo di cambiare cognome o nome rivolge la relativa domanda motivata al Ministro della Giustizia. L’istanza è proposta dall’interessato stesso o dal suo legale rappresentante”.

L’art. 3, che fa parte dello stesso capitolo della detta legge, dispone quanto segue: “Il Ministro della Giustizia può autorizzare il cambiamento del nome qualora i nomi richiesti non si prestino a confusioni e non possano recare pregiudizio al ricorrente o a terzi. Il Re può, eccezionalmente, autorizzare il cambiamento di cognome ove ritenga che la domanda sia fondata su motivi seri e che il cognome richiesto non si presti a confusioni né possa recare pregiudizio al ricorrente o a terzi”. La prassi amministrativa in materia di cambiamento del cognome

Lo Stato belga afferma che, al fine di attenuare gli inconvenienti connessi al possesso della doppia cittadinanza, le autorità belghe propongono, in situazioni come quella della fattispecie, di operare un cambiamento di cognome, cosicché i figli si vedano attribuire soltanto la prima parte del cognome del padre. In via eccezionale, in particolare qualora siano scarsi i fattori di collegamento con il Belgio, può essere attribuito un cognome conforme alla legge straniera, in particolare nell’ipotesi in cui la famiglia abbia vissuto in un paese estero in cui il figlio sia stato registrato con il doppio cognome, e ciò al fine di non nuocere alla sua integrazione. Più di recente, l’amministrazione avrebbe adottato una posizione più flessibile, in particolare qualora un primo figlio, nato con lo status spagnolo, porti un doppio cognome conformemente al diritto spagnolo, mentre il secondo figlio, in possesso della cittadinanza belga e di quella spagnola, porti il doppio cognome del padre conformemente all’art. 335, n. 1, del codice civile, e ciò al fine di ristabilire l’unità del cognome in seno alla famiglia. Causa principale e questione pregiudiziale

Il sig. Garcia Avello, cittadino spagnolo, e la sig.ra I. Weber, cittadina belga, risiedono in Belgio, ove si sono sposati nel 1986. I due figli nati dalla loro unione, Esmeralda e Diego, nati rispettivamente nel 1988 e nel 1992, posseggono la doppia cittadinanza, belga e spagnola.

Conformandosi al diritto belga, l’ufficiale di stato civile belga ha indicato sull’atto di nascita dei figli il patronimico del padre, vale a dire “Garcia Avello”, come loro cognome.

Con istanza motivata indirizzata al Ministro della Giustizia il 7 novembre 1995, il sig. Garcia Avello e la moglie hanno chiesto, in qualità di legali rappresentanti dei loro due figli, il cambiamento del cognome di questi ultimi in “Garcia Weber”, affermando che, secondo l’uso invalso in diritto spagnolo, il cognome dei figli di una coppia coniugata è composto dal primo cognome del padre seguito da quello della madre.

Risulta dagli atti che gli interessati sono stati registrati con il cognome “Garcia Weber” presso la sezione consolare dell’Ambasciata di Spagna in Belgio.

Con lettera 30 luglio 1997, le autorità belghe hanno proposto al ricorrente nella causa principale di cambiare il cognome dei figli in “Garcia”, in sostituzione del cambiamento auspicato; con lettera 18 agosto 1997, il ricorrente nella causa principale e la moglie hanno respinto tale proposta.

Con lettera 1° dicembre 1997, il Ministro della Giustizia ha informato il sig. Garcia Avello del rigetto della sua domanda nei seguenti termini: “Il Governo ritiene che non vi siano motivi sufficienti per proporre a Sua Maestà il Re di accordarvi la sostituzione del vostro cognome in Garcia Weber. Infatti, qualsiasi richiesta di aggiungere il cognome della madre a quello del padre, per un figlio, è abitualmente respinta in quanto, in Belgio, i figli portano il cognome del padre”.

Il 29 gennaio 1998 il ricorrente nella causa principale, in qualità di legale rappresentante dei figli Esmeralda e Diego, ha proposto avverso la detta decisione ricorso di annullamento dinanzi al Conseil d’État, il quale, tenuto conto degli argomenti svolti dalle parti e dopo aver escluso l’applicabilità dell’art. 43 CE come non pertinente, giacché manifestamente, nei confronti dei figli minorenni oggetto della domanda controversa, non sorgeva alcuna questione di libertà di stabilimento, ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: “Se i principi del diritto comunitario in materia di cittadinanza europea e di libertà di circolazione delle persone, riconosciuti in particolar modo agli artt. 17 e 18 .CE., debbano essere interpretati nel senso che ostano a che l’autorità amministrativa belga, cui è stata rivolta una domanda di cambiamento di cognome per figli minorenni residenti in Belgio e titolari della doppia cittadinanza belga e spagnola, motivata, senza altre circostanze particolari, con il fatto che tali figli dovrebbero portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione spagnola, rifiuti tale cambiamento, sostenendo che questo genere di domanda è abitualmente respinta, poiché in Belgio i figli portano il cognome del padre, in particolar modo qualora la prassi generalmente seguita dall’autorità derivi dal fatto che essa ritiene che la concessione di un cognome diverso possa, nell’ambito della vita sociale in Belgio, dare origine a questioni relative alla filiazione del figlio in questione, e qualora, al fine di attenuare gli inconvenienti connessi alla doppia cittadinanza, venga proposto ai richiedenti che si trovano in tale situazione di adottare solo il primo cognome del padre, ma eccezionalmente, ove sussistano scarsi legami con il Belgio o occorra ristabilire l’unità di cognome tra fratelli, possa essere adottata una decisione favorevole”. Sulla questione pregiudiziale

Occorre anzitutto esaminare se, contrariamente alla tesi propugnata dallo Stato belga nonché dai governi danese e olandese, la situazione oggetto della controversia principale rientri nell’ambito di applicazione del diritto comunitario e, in particolare, delle disposizioni del Trattato relative alla cittadinanza dell’Unione.

L’art. 17 CE conferisce a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro lo status di cittadino dell’Unione (v., in particolare, sentenza 11 luglio 2002, causa C-224/98, D’Hoop, Racc. pag. I-6191, punto 27). Atteso che i figli del sig. Garcia Avello posseggono la cittadinanza di due Stati membri, beneficiano di tale status.

Come la Corte ha più volte rilevato (v., in particolare, sentenza 17 settembre 2002, causa C-413/99, Baumbast e R., Racc. pag. I-7091, punto 82), lo status di cittadino dell’Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri.

Tale status consente a chi tra di essi si trovi nella medesima situazione di ottenere, nell’ambito di applicazione ratione materiae del Trattato CE, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, il medesimo trattamento giuridico (v., in particolare, sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk, Racc. pag. I-6193, punto 31, nonché D’Hoop, cit., punto 28).

Tra le situazioni che rientrano nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto comunitario figurano quelle relative all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato, in particolare della libertà di circolare e di soggiornare nel territorio degli Stati membri quale conferita dall’art. 18 CE (sentenze 24 novembre 1998, causa C-274/96, Bickel e Franz, Racc. pag. I-7637, punti 15 e 16, nonché cit. sentenze Grzelczyk, punto 33, e D’Hoop, punto 29).

Sebbene, allo stato attuale del diritto comunitario, le norme che disciplinano il cognome di una persona rientrino nella competenza degli Stati membri, questi ultimi, nell’esercizio di tale competenza, devono tuttavia rispettare il diritto comunitario (v., per analogia, sentenza 2 dicembre 1997, causa C-336/94, Dafeki, Racc. pag. I-6761, punti 16-20), e, in particolare, le disposizioni del Trattato relative alla libertà, riconosciuta a ogni cittadino dell’Unione, di circolare e di soggiornare sul territorio degli Stati membri (v., in particolare, sentenza 23 novembre 2000, causa C-135/99, Elsen, Racc. pag. I-10409, punto 33).

La cittadinanza dell’Unione, sancita dall’art. 17 CE, non ha tuttavia lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario (sentenza 5 giugno 1997, cause riunite C-64/96 e C-65/96, Uecker e Jacquet, Racc. pag. I-3171, punto 23).

Tuttavia, sussiste un simile collegamento con il diritto comunitario nel caso di persone che si trovino in una situazione come quella dei figli del sig. Garcia Avello, che sono cittadini di uno Stato membro i quali soggiornano legalmente sul territorio di un altro Stato membro.

A tale conclusione non si può obiettare che gli interessati hanno anche la cittadinanza dello Stato membro in cui soggiornano dalla nascita e che, secondo le autorità di tale Stato, sarebbe pertanto l’unica cittadinanza ad essere riconosciuta da quest’ultimo. Infatti, lo Stato membro non è legittimato a limitare gli effetti dell’attribuzione della cittadinanza di un altro Stato membro, pretendendo un requisito ulteriore per il riconoscimento di tale cittadinanza ai fini dell’esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato (v. in tal senso, in particolare, sentenza 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti e a., Racc. pag. I-4239, punto 10). Peraltro, l’art. 3 della Convenzione dell’Aia, sulla quale il Regno del Belgio si fonda per riconoscere soltanto la cittadinanza del foro in caso di pluralità di cittadinanze ove una di esse sia la cittadinanza belga, prevede non un obbligo, bensì una semplice facoltà, per le parti contraenti, di far prevalere quest’ultima cittadinanza su ogni altra.

Ciò considerato, i figli del ricorrente nella causa principale possono avvalersi del diritto, sancito dall’art. 12 CE, di non subire alcuna discriminazione in ragione della propria cittadinanza con riferimento alle norme che disciplinano il loro cognome.

Occorre pertanto accertare se gli artt. 12 CE e 17 CE ostino a che l’autorità amministrativa belga respinga una domanda di cambiamento del cognome in una situazione come quella della fattispecie.

In proposito, risulta da una giurisprudenza costante che il divieto di discriminazione impone di non trattare situazioni analoghe in maniera differente e situazioni diverse in maniera uguale (v., in particolare, sentenza 17 luglio 1997, causa C-354/95, National Farmers’ Union e a., Racc. pag. I-4559, punto 61). Un trattamento del genere potrebbe essere giustificato solo se fondato su considerazioni oggettive, indipendenti dalla cittadinanza delle persone interessate, e adeguatamente commisurate allo scopo legittimamente perseguito (v., in particolare, sentenza D’Hoop, cit., punto 36).

Nel caso di specie, è pacifico che le persone che possiedono, oltre alla cittadinanza belga, quella di un altro Stato membro sono, di regola, trattate allo stesso modo delle persone che abbiano soltanto la cittadinanza belga in quanto, in Belgio, chi possiede la cittadinanza belga è considerato esclusivamente belga. Alla stregua dei cittadini belgi, i cittadini spagnoli che abbiano anche la cittadinanza belga si vedono solitamente negare il diritto di cambiare il cognome in quanto, in Belgio, i figli portano il cognome del padre.

La prassi amministrativa belga che, come risulta dal punto 12 della presente sentenza nonché dalla questione pregiudiziale, ammette deroghe a quest’ultima regola, rifiuta di annoverare tra tali deroghe il caso delle persone che si trovino in una situazione come quella della fattispecie, e che tentino di rimediare al fatto che, in base all’applicazione della normativa di due Stati membri, essi risultano avere due cognomi diversi.

34. Occorre pertanto verificare se queste due categorie di persone si trovino in una situazione identica o se, al contrario, versino in una situazione diversa, nel qual caso il principio di non discriminazione implicherebbe che i cittadini belgi i quali, come i figli del sig. Garcia Avello, posseggano anche la cittadinanza di un altro Stato membro, possano rivendicare un trattamento diverso da quello riservato alle persone che posseggano soltanto la cittadinanza belga, a meno che il trattamento in discussione sia giustificato da ragioni obiettive.

Contrariamente alle persone che posseggono unicamente la cittadinanza belga, i cittadini belgi che abbiano anche la cittadinanza spagnola portano cognomi diversi sotto il profilo dei due sistemi giuridici interessati. In particolare, in una situazione come quella della fattispecie, i figli di cui trattasi si vedono negato il diritto di portare il cognome risultante dall’applicazione della normativa dello Stato membro che ha determinato il cognome del padre.

Orbene, come l’avvocato generale ha rilevato al paragrafo 56 delle conclusioni, è pacifico che una simile situazione di diversità di cognomi è tale da generare per gli interessati seri inconvenienti di ordine tanto professionale quanto privato, derivanti, in particolare, dalle difficoltà di fruire, in uno Stato membro di cui hanno la cittadinanza, degli effetti giuridici di atti o di documenti redatti con il cognome riconosciuto nell’altro Stato membro del quale possiedono la cittadinanza. Come constatato al punto 33 della presente sentenza, la soluzione proposta dalle autorità amministrative, consistente nel permettere ai figli di portare soltanto il primo dei cognomi del padre, non costituisce un rimedio alla situazione di diversità di cognomi che gli interessati intendono evitare.

Ciò considerato, i cittadini belgi titolari di cognomi diversi a causa delle diverse legislazioni cui sono collegati in forza della propria cittadinanza possono invocare difficoltà peculiari della loro situazione e che li contraddistinguono dalle persone che abbiano soltanto la cittadinanza belga, le quali sono designate da un solo cognome.

Tuttavia, come rilevato al punto 33 della presente sentenza, le autorità amministrative belghe rifiutano di considerare fondate su “motivi seri”, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, della citata legge 15 maggio 1987, le domande di cambiamento del cognome, presentate da cittadini belgi che si trovino in una situazione come quella dei figli del ricorrente nella causa principale al fine di evitare la diversità di cognomi, per il solo motivo che, in Belgio, i figli di cittadinanza belga portano, conformemente al diritto belga, il cognome del padre.

Occorre esaminare se la prassi controversa possa giustificarsi sulla scorta dei motivi dedotti, in subordine, dallo Stato belga nonché dai governi danese e olandese.

Lo Stato belga rileva che il principio dell’immutabilità del cognome costituisce un principio fondante dell’ordinamento sociale, di cui è sempre un elemento essenziale, e che il Re non può autorizzare un cambiamento di cognome se non in circostanze del tutto eccezionali, che non ricorrono nel caso di specie. Alla stregua dello Stato belga, il governo olandese afferma che il pregiudizio per i diritti dei figli del ricorrente è ridotto in quanto costoro possono in ogni caso valersi della cittadinanza spagnola e del cognome attribuito secondo il diritto spagnolo in ogni altro Stato membro che non sia il Belgio. La prassi controversa consentirebbe di prevenire i rischi di confusione sull’identità o la filiazione degli interessati. Secondo il governo danese, la detta prassi, applicando le stesse regole ai cittadini belgi che abbiano anche la cittadinanza di un altro Stato membro e a coloro che abbiano soltanto la cittadinanza belga, contribuisce ad agevolare l’integrazione dei primi in Belgio e favorisce così la realizzazione dell’obiettivo perseguito dal principio di non discriminazione.

Nessuno di questi motivi può validamente giustificare la prassi controversa.

Per quanto riguarda, in primo luogo, il principio dell’immutabilità del cognome in quanto strumento destinato a prevenire i rischi di confusione in merito all’identità o alla filiazione delle persone, occorre rilevare che, sebbene tale principio certamente contribuisca ad agevolare il riconoscimento dell’identità delle persone e della loro filiazione, non è tuttavia tanto indispensabile da non poter ammettere una prassi consistente nel permettere a figli, che siano cittadini di uno Stato membro e che abbiano anche la cittadinanza di un altro Stato membro, di portare un cognome composto da elementi diversi da quelli previsti dal diritto del primo Stato membro, cognome che costituisce, peraltro, oggetto di un’iscrizione in un registro ufficiale del secondo Stato membro. E’ inoltre pacifico che, segnatamente a causa della vastità dei flussi migratori all’interno dell’Unione, diversi sistemi nazionali di attribuzione del cognome coesistono in uno stesso Stato membro, cosicché la filiazione non può essere necessariamente valutata nella vita sociale di uno Stato membro con il metro del solo sistema applicabile ai cittadini di quest’ultimo Stato. A ciò va aggiunto che un sistema che consenta la trasmissione di elementi del cognome dei due genitori, lungi dal provocare confusione sul legame di filiazione dei figli, può al contrario contribuire a rafforzare il riconoscimento di questo legame rispetto ai due genitori.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obiettivo d’integrazione perseguito dalla prassi controversa, è sufficiente ricordare che, tenuto conto della coesistenza negli Stati membri di sistemi diversi per l’attribuzione del cognome applicabili alle persone che vi risiedono, una prassi come quella di cui trattasi non è necessaria e nemmeno idonea a favorire l’integrazione dei cittadini di altri Stati membri in Belgio. 44. Il carattere sproporzionato del diniego opposto dalle autorità belghe a domande come quella della fattispecie è tanto più manifesto in quanto, come risulta dal punto 12 della presente sentenza e dalla questione pregiudiziale, la prassi controversa già ora ammette deroghe all’applicazione del regime belga in materia di trasmissione del cognome, in situazioni affini a quella in cui versano i figli del ricorrente nella causa principale.

45. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione pregiudiziale dichiarando che gli artt. 12 CE e 17 CE devono essere interpretati nel senso che ostano al fatto che, in circostanze come quelle della causa principale, l’autorità amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altro Stato membro, allorché la domanda è volta a far sì che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membro.

Sulle spese

46. Le spese sostenute dai governi danese e olandese, nonché dalla Commissione, che hanno presentato osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese.

Per questi motivi, LA CORTE,

pronunciandosi sulla questione sottopostale dal Conseil d’État con ordinanza 21 dicembre 2001, dichiara: Gli artt. 12 CE e 17 CE devono essere interpretati nel senso che ostano al fatto che, in circostanze come quelle della causa principale, l’autorità amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato e di un altro Stato membro, allorché la domanda è volta a far sì che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membro. (Firme) Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 ottobre 2003. (Firme)