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Monday 09 February 2004

Per la Corte di Giustizia CE troppo restrittiva la disciplina italiana per la commercializzazione degli integratori sportivi. Corte di Giustizia europea Terza Sezione – Sentenza 5 febbraio 2004

Per la Corte di Giustizia CE troppo restrittiva la disciplina italiana per la commercializzazione degli integratori sportivi

Corte di Giustizia delle Comunità Europee – Terza Sezione

Sentenza 5 febbraio 2004 – Nella causa C-270/02,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C.-F.Durand e dal sig.R.Amorosi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M.Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig.G.Aiello, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana, mantenendo in vigore una legislazione che subordina la commercializzazione di prodotti alimentari per sportivi, legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, all’obbligo di richiedere un’autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa procedura, senza aver dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt.28CE e 30CE,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta dal sig.C.Gulmann, facente funzione di presidente della Terza Sezione, dal sig.J.-P.Puissochet e dalla sig.ra F.Macken (relatore), giudici,

avvocato generale: sig.J.Mischo

cancelliere: sig.R.Grass

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire sulla causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con atto introduttivo, depositato nella cancelleria della Corte il 24 luglio 2002, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell’art.226CE, un ricorso diretto a far constatare che la Repubblica italiana, mantenendo in vigore una legislazione che subordina la commercializzazione di prodotti alimentati per sportivi, legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, all’obbligo di richiedere un’autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa procedura, senza aver dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt.28CE e 30CE.

Contesto normativo

La normativa comunitaria

2

Ai sensi dell’art.28CE, sono vietate fra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione e le misure di effetto equivalente. Tuttavia, secondo l’art.30CE, le restrizioni all’importazione giustificate, in particolare, da motivi di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali sono autorizzate purché non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri.

3

Benché la direttiva del Consiglio 3 maggio 1989, 89/398/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare (GU L 186, pag.27), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 7 giugno 1999, 1999/41/CE (GU L172, pag.38), preveda all’art.4, n.1, nonché all’allegatoI che le disposizioni specifiche applicabili a gruppi di alimenti tra cui figurano gli alimenti adattati ad un intenso sforzo muscolare, destinati soprattutto agli sportivi, sono stabilite mediante direttive specifiche, a tutt’oggi non è stata ancora adottata alcuna di tali direttive per questo tipo di alimenti.

La normativa nazionale

4

In Italia l’art.8 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n.111, concernente la produzione e l’importazione a scopo di vendita di taluni prodotti (Supplemento ordinario alla GURI n.39 del 7 febbraio 1992; in prosieguo: il «decreto legislativo n.111/92»), tra cui figurano gli alimenti adattati ad un intenso sforzo muscolare e destinati soprattutto agli sportivi, dispone che la produzione e l’importazione a scopo di vendita di prodotti destinati ad un’alimentazione particolare, appartenenti ai gruppi di cui all’allegatoI del decreto legislativo in parola, sono soggette ad autorizzazione da parte del Ministero della Sanità nonché al pagamento delle spese collegate al trattamento amministrativo della domanda. Le modalità di tale procedura sono definite in un regolamento adottato successivamente, il decreto del Presidente della Repubblica 19 gennaio 1998, n.131.

Procedimento precontenzioso

5

L’attenzione della Commissione è stata attirata dal deposito di un reclamo da parte di un fabbricante britannico di prodotti alimentari per sportivi, in particolare di barrette energetiche e bevande reidratanti, in seguito alle asserite difficoltà incontrate dal suo distributore italiano nella commercializzazione in Italia di tali prodotti. Questi ultimi erano soggetti all’autorizzazione preventiva del Ministero della Sanità nonché al pagamento delle spese amministrative collegate a tale domanda di autorizzazione, in forza dell’art.8 del decreto legislativo n.111/92.

6

Lo stesso fabbricante ha inoltre informato la Commissione del fatto che le autorità italiane gli avevano comunicato che, eliminando la dicitura «sport» dall’imballaggio dei prodotti, la semplice notifica di un campione dell’etichetta gli avrebbe evitato di dover richiedere un’autorizzazione.

7

L’11 giugno 1998 la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di diffida, constatando che la procedura di autorizzazione preventiva rappresentava una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione contraria all’art.28CE, che tale procedura non era giustificata da una delle ragioni elencate all’art.30CE e che essa non era necessaria per il perseguimento di un obiettivo legittimo, e nemmeno proporzionata al perseguimento del medesimo.

8

Poiché tale lettera è rimasta senza risposta, il 18 dicembre 1998 la Commissione ha notificato un parere motivato alla Repubblica italiana, invitandola ad adottare i provvedimenti necessari a conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla notifica dello stesso.

9

La Repubblica italiana ha risposto al parere motivato, in primo luogo con lettera 4 febbraio 1999, affermando che la normativa contestata aveva lo scopo di tutelare la salute dei consumatori e che le linee guida relative al rilascio dell’autorizzazione erano state elaborate a tale scopo e, successivamente con lettera 26 aprile 1999, allegandovi copia delle citate linee guida.

10

La Commissione, non soddisfatta della risposta che le autorità italiane le avevano indirizzato il 4 febbraio 1999 e neppure dei chiarimenti che le erano stati forniti nel corso di una riunione «pacchetto» del 2 luglio 1999, ha inviato, il 25 luglio 2001, un parere motivato complementare.

11

In mancanza di risposta nel termine stabilito, la Commissione ha quindi proposto il presente ricorso.

Sul ricorso

Argomenti delle parti

12

La Commissione ritiene che, alla luce della giurisprudenza della Corte relativa agli artt.28CE e 30CE, la sussistenza dell’inadempimento non possa essere contestata.

13

In primo luogo, essa sostiene che una normativa come quella del caso di specie costituisce un ostacolo alla libera circolazione dei prodotti di cui si tratta. Orbene, la Repubblica italiana non ha dimostrato né l’esistenza di un rischio per la salute pubblica e di un nesso tra l’obiettivo di prevenzione di tale rischio e la normativa adottata né l’inesistenza di una soluzione che avrebbe permesso il raggiungimento del medesimo scopo arrecando minor pregiudizio al commercio intracomunitario.

14

Inoltre, la Commissione sostiene che le linee guida su cui il governo italiano si è fondato nel corso del procedimento precontenziosa si limitano a sottolineare l’aspetto nutrizionale e informativo del prodotto, senza menzionare i rischi per la salute insiti nell’uso dello stesso e senza nemmeno distinguere secondo le modalità di tale uso; essa non comprende quindi le ragioni di tutela della salute pubblica invocate dalle autorità italiane per giustificare la procedura di autorizzazione preventiva.

15

Infine, a parere della Commissione, nell’ipotesi in cui l’obiettivo di tale procedura sia di garantire un’informazione completa del consumatore, risulta che tale obiettivo potrebbe essere conseguito in modo altrettanto efficace mediante la notifica del prodotto all’autorità competente, accompagnata da una copia dell’etichetta.

16

Nel controricorso la Repubblica italiana si limita ad affermare che si sta apprestando a modificare l’art.8 del decreto legislativo n.111/92, prevedendo che la commercializzazione dei prodotti di cui trattasi non sia più subordinata a una procedura di autorizzazione preventiva, ma esclusivamente sottoposta a una procedura di notifica.

Giudizio della Corte

17

La libera circolazione delle merci tra gli Stati membri è un principio fondamentale del TrattatoCE che trova espressione nel divieto, enunciato all’art. 28CE, delle restrizioni quantitative all’importazione fra gli Stati membri nonché di qualsiasi misura di effetto equivalente.

18

Il divieto delle misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative, enunciato all’art.28CE, riguarda ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari (sentenza 11 luglio 1974, causa 8/74, Dassonville, Racc. pag.837, punto 5; 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione/Germania, detta «Legge di purezza per la birra», Racc. pag.1227, punto 27, e 16 gennaio 2003, causa C-12/00, Commissione/Spagna, Racc. pag.I-459, punto 71).

19

Per quanto riguarda la commercializzazione in uno Stato membro di prodotti legalmente fabbricati e commercializzati in un altro Stato membro, e in mancanza di armonizzazione comunitaria, un obbligo come quello imposto nella fattispecie dall’art.8 del decreto legislativo n.111/92, in forza del quale alimenti adattati ad un intenso sforzo muscolare e destinati soprattutto agli sportivi siano soggetti ad una procedura di autorizzazione preventiva nonché al pagamento delle spese amministrative ad essa collegate, rende la commercializzazione di tali alimenti più difficile e costosa (v., in tal senso, sentenze 3 giugno 1999, causa C-33/97, Colim, Racc. pag.I-3175, punto 36, e 16 novembre 2000, causa C-217/99, Commissione/Belgio, Racc. pag.I-10251, punto 17). Di conseguenza, essa ostacola gli scambi tra gli Stati membri e costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione ai sensi dell’art.28CE.

20

E’ vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, una normativa nazionale che assoggetti ad autorizzazione preventiva l’uso di una sostanza nutritiva in un alimentare legalmente fabbricato e/o commercializzato in altri Stati membri non è, in linea di principio, contraria al diritto comunitario purché siano soddisfatte talune condizioni (v., in tal senso, sentenza 16 luglio 1992, causa C-344/90, Commissione/Francia, Racc. pag. I-4719, punto 8, e sentenza in pari data, causa C-24/00, Commissione/Francia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 25-27).

21

Tuttavia, un obbligo come quello di cui al caso di specie può essere giustificato solo da una delle ragioni d’interesse generale elencate nell’art. 30CE, come la tutela della salute e della vita delle persone, o da una delle esigenze imperative dirette, segnatamente, alla difesa dei consumatori (v., in particolare, sentenze 20 febbraio 1979, causa 120/78, Rewe-Zentral, detta «Cassis de Dijon», Racc.pag.649, punto 8, e 19 giugno 2003, causa C-420/01, Commissione/Italia, Racc. pag.I-6445, punto 29).

22

Secondo costante giurisprudenza, spetta alle autorità nazionali competenti dimostrare, da un lato, che la loro normativa è necessaria per conseguire uno o più obiettivi menzionati all’art.30CE o per soddisfare esigenze imperative e, se del caso, che la commercializzazione dei prodotti in questione presenta un serio rischio per la salute umana e, dall’altro, che essa è conforme al principio di proporzionalità (v., in tal senso, sentenze 30 novembre 1983, causa 227/82, Van Bennekom, Racc. pag. 3883, punto 40; 13 marzo 1997, causa C-358/95, Morellato, Racc. pag. I-1431, punto 14; 8 maggio 2003, causa C-14/02, ATRAL, Racc.pag.I-4431, punto 67, e sentenza Commissione/Italia, cit., punto 30).

23

Nella fattispecie il governo italiano non ha dimostrato che la procedura di autorizzazione preliminare alla commercializzazione degli alimenti per sportivi sia giustificata da una delle ragioni di interesse generale elencate all’art.30CE, segnatamente la tutela della salute pubblica, e proprozionata ad essa.

24

Malgrado le richieste della Commissione, il governo italiano non ha provato alcuno degli asseriti rischi per la salute pubblica che i prodotti dui cui trattasi potrebbero presentare. Il detto governo si è astenuto dal precisare quali studi scientifici o rapporti medici fossero alla base delle linee guida allegate e non ha fornito indicazioni di massima sui rischi asseritamente identificati. Inoltre, non ha chiarito quale nesso vi sia tra la procedura in questione e l’asserito rischio per la salute pubblica né spiegato per quale motivo una tutela del genere sarebbe più efficace rispetto ad altre forme di controllo e quindi proporzionata allo scopo perseguito.

25

Del resto, se, come ha sostenuto la Commissione, la procedura in questione riguarda, in realtà, piuttosto la difesa dei consumatori, il governo italiano non ha neppure dimostrato sotto quale profilo tale procedura sia necessaria e proporzionata al detto scopo. Infatti, esistono misure meno restrittive per evitare tali rischi residuali di ingannare i consumatori, tra cui figurano, in particolare, la notifica all’autorità competente da parte del fabbricante o del distributore del prodotto di cui si tratta della commercializzazione del detto prodotto, accompagnata da una copia dell’etichetta, e l’obbligo per il fabbricante o il distributore del prodotto in parola di fornire, in caso di dubbio, la prova della veridicità sostanziale dei dati di fatto menzionati nell’etichetta (v., in tal senso, sentenze 28 gennaio 1999, causa C-77/97, Unilever, Racc.pag.I-431, punto 35, e 23 gennaio 2003, causa C-221/00, Commissione/Austria, Racc.pag.I-1007, punti 49 e 52).

26

Alla luce dell’insieme delle circostanze sin qui esposte, occorre dichiarare che, mantenendo in vigore una legislazione che subordina la commercializzazione di prodotti alimentari per sportivi, legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, all’obbligo di richiedere un’autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa procedura, senza aver dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 28CE e 30CE.

Sulle spese

27

Ai sensi dell’art.69, n.2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Terza Sezione)

dichiara e statuisce:

1)

Mantenendo in vigore una legislazione che subordina la commercializzazione di prodotti alimentari per sportivi, legalmente fabbricati e commercializzati in altri Stati membri, all’obbligo di richiedere un’autorizzazione preventiva e allo svolgimento della relativa procedura, senza aver dimostrato il carattere necessario e proporzionato di tale obbligo, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza degli artt.28CE e 30CE.

2)

La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Gulmann

Puissochet

Macken

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 febbraio 2004.

Il cancelliere

Il presidente

R. Grass

V. Skouris